Diary for EUTIKIA ... festina lente


Lavori a casa in attesa della partenza per Las Palmas

2007-10-22

Come ogni lunga o breve navigazione inizia con il primo miglio, anche questo diario inizia con il primo post in.

Ora siamo ancora a casa e le giornate passano velocissime in attesa di prendere il volo per Las Palmas il 5 novembre pv.

Ci sono diverse cose da finire :

-prosegue il gran giro di cene e incontri con gli amici per saluti e programmi da definire per la prossima stagione ai Caraibi.

-settaggio del satellitere IRIDIUM

-lista finale cose da portare in barca ( ricambi, libri, musica,medicine,ecc)

-chiusura pratiche burocratiche relative ai servizi ( banca,enel,tasse! ecc)

-definizione lista attività in Las Palmas ( revisione life raft, ritiro genoa, manutenzione con AMEL in loco ecc) e relativi appuntamenti.

-controllo meteo in progress sulla ns rotta

Questa breve nota finisce qui . vedrò poi come gestire questo sito per tempi e metodi.


IN DIRETTA DALL’OCEANO : IRIDIUM e GETJELAOUS.EUTIKIA

2007-10-25

Giornate dense di novità nel settore Comunicazioni.Il terminale IRIDIUM è ora attivato e funzionante.Consente di:

-parlare con qualsiasi numero telefonico fisso o mobile del mondo da qualsiasi punto noi ci troviamo , l’ideale per gli oceani o per luoghi remoti. Costo circa 1.2 E al minuto e quindi competitivo rispetto al normale roaming della telefonia mobile.

- di ricevere ed inviare em dal display del telefono come si fa con gli sms ( gli sms veri invece non si possono fare per i gsm italiani )

- a chiunque ( a conoscenza del mio numero Iridium) di inviarmi sms gratuiti da web http://www.iridium.com/sendmsg/sendmsg.html

- collegato al pc, di navigare in Internet sino a 10 kbs. Lentino e costoso, ma utile in caso di necessità.Vedremo da bordo come si comporterà anche per capire ed usare al meglio le sue potenzialità. 

http://www.getjealous.com/eutikia é l’indirizzo del sito dal quale comunicare le novità di bordo.E’ la nostra prima esperienza ed il modello utilizzato ci pare adatto per semplicità e funzionalità per chi, come noi, viaggia e quindi non ha grande facilità di accesso a internet per gli aggiornamenti.Le foto in particolare saranno discrete ,…nel senso di dimensione, se ci sarà la possibilità di aver internet a portata di pc, oppure piccoline se inviate via radio, magari però in diretta dall’oceano !


TRE GIORNI ALLA PARTENZA

2007-11-02

Cosa si porta da casa uno che parte in barca e va dall`altra parte dell`Atlantico ?

Bella domanda eh ! Di tutto di più, ma cercherò di autorispondermi con l`indicazione delle prime 10 cose.

1- buoni libri e buona musica per le lunghe ore tra cielo e mare

2- un corso di inglese e uno di spagnolo.....il francese ho rinunciato a studiarlo anche se ho una barca francese con tutte le istruzioni in francese appunto...

3- ricette di cucina , pasta, parmiggiano e caffè.......questi italiani non si smentiscono mai

4- un PC e tutto l`universo multimediale che ci va attaccato : videocamera, camera digit, alimentatori 12/24 volt, pennette varie, prese USB e seriali aggiuntive , telefonini, Iridium, cartografia digitale, ecc ecc  In realtà una barca a vela se ne frega di tutto questo, le basta una buona mano e un buon vento. Però tutto questo peso tecnologico ha un riscontro molto positivo. E` una palestra per la mente : capire e far funzionare tutto è una bella sfida per chi da bambino giocava con i soldatini di carta del Corrierino dei Piccoli e non con una PlayStation.

5-un pò di vestiario nuovo per le prime lunghe notti verso le isole di  Capo Verde. Temperatura prevista 14°di notte e 20° di giorno. Poi gireremo a destra, spero nel mitico sole dei tropici. A proposito dovremo abituarci ad un ritmo giornaliero per noi inconsueto : 12 ore di luce e 12 di buio.

6-una bella paccata di documenti "precotti"  per guadagnare tempo ed evitare noie  burocratiche un volta di là , utili sia per la vita a bordo in nazioni non EU e sia per "telegestire"casa. Tra tutti il visto USA valido per 10 anni (! )  che userò per  soli 20 gg  circa veleggiando tra le Isole Vergini US. In compenso, per averlo, ci siamo fatti una bella gita a Firenze con visita all`Ambasciata in riva all`Arno.

7-COLORI. E già colori per i miei acquerelli, ma anche per per lasciare un saluto sul molo di Las Palmas. Credo che ci vorrà almeno una giornata per dipingere ,con rosso carminio e giallo oro, un leone di San Marco con tanto di " PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS" e un bel Date Vela Ventis, ovvero DVV ovvero Diporto Velico Veneziano, il mio circolo velico a Venezia.

8-Rapala in gran quantità. Per chi non lo sapesse sono delle esche per la traina tipo pescetti finti di vari colori e di diversa grandezza e foggia. I cd. testa rossa fanno impazzire i tonni e le alelunghe e noi per loro se ben cotti alla griglia o al forno con patate, o marinati crudi al limone ed olio.

9-qualche balocco ,candeline e sorprese per il primo Natale fuori casa da sempre.Credo che per l`occasione sforeremo abbondantemente e felicemente il budget in TLC !

10- Una bella agenda 2008. Un anno tutto da scoprire e da vivere con le emozoini più care che ci circondano e quelle più vere che  il mare il vento e la vela sanno dare.


LAS PALMAS: il mio amico EA8RCT

2007-11-09

Se non ci fosse EA8RCT bisognerebbe inventarlo !

In realtà non lo conosco personalmente, ma è sempre molto disponibile quando si tratta di inviare o ricevere em via radio e soprattutto di ricevere tutte quelle info meteo di cui avremo bisogno.

EA8RCT è un radioamatore di Las Palmas che liberamente mette a disposizione, come altre decine per il mondo, di tutti i radioamatori le sue apparecchiature per consentire di connetterci , suo tramite, ad internet.

Ecco allora che con un bel sw “ Airmail”fornito gratuitamente dall’inventore di questa estesa organizzazione ( www. winlink.org ) è possibile, quasi per magia, richiedere in mezzo all’Atlantico o al Sahara da un bel Catalogo tutta una serie di files meteo .

Una volta scelti è sufficiente spedire un’ em con la relativa richiesta  al mio amico , aspettare un po’ e richiamarlo, sempre via modem, per veder se nella mia box c’è posta per me ovvero se ci sono i files richiesti o i vostri saluti.


Date Vela Ventis e..tanti bei barattolini

2007-11-11 to 2007-11-14

Le giornate proseguono intense e sotto un bel sole non troppo caldo, circa 24° digiorno, ma di notte copertina.Alcuni anni fa , mentre veleggiavamo in lungo ed in largo per l’Egeo, a nord di Siros, ma potrei sbagliarmi , in una splendida caletta ridossata da tutti i venti prevalenti e soprattutto dai temuti eterei, prendavamo il sole sulle calde e lisce pietre tra la bassa e profumata flora mediterranea. La barca era laggiù sospesa nel turchese della baia. La vedavamo nè più né meno di come la osservavano i marinai greci e prima di loro i fenici e prima di loro chissà chi da quel luogo, ove su quelle stesse pietre avevano inciso i loro nomi, quello della loro barca e avevano invocato i loro dei. Forse da allora i marinai amano lasciare un segno lungo le loro rotte, forse allora è nato questo uso di lasciare una testimonianza anche oggi sulle banchine dei porti più importanti prima di una grande attraversata. E così è stato anche per noi.Un bel Leone di San Marco, il moto del Diporto Velico Veneziano, “ DATE VELA VENTIS “ e le bandiere dei componenti l’equipaggio.Marina , invece, in cucina a preparare decine di barattoli con sughetti vari ai calamari, alle seppie, al ragù, spezzatino e funghi, ecc tutti ben sterilizzati con 30 minuti di bollore. Torneranno molto utili quando la barca rollerà e ci sarà poca voglia di cucinare ! Tre giornate piene di lavoro tra acquisti e preparazione, ma siamo convinti che l’equipaggio apprezzerà…almeno speriamo.


Pazzi scatenati e seminari seriosi

2007-11-17

Ogni sera l’ARC organizza qualcosa di speciale. Il programma di queste due settimane è davvero ricco.Tanto per avere un’idea le cose funzionano così :Di mattina coda all’ Office ARC per i recuperare i biglietti per le varie iniziative : seminari tecnici, drinks e party promossi da sponsor vari.Poi i maschi in coda nei vari negozi di nautica dove c’è assolutamente tutto e se non c’è viene ordinato con consegna abbastanza rapida. La componente femminile degli equipaggi va invece in coda nei supermarket.Nel pomeriggio seminari, lavori in barca che non finiscono mai. Ieri pomeriggio mi sono passato un’ora abbondante con un ispettore dell’ARC per controllare tutte le dotazioni di sicurezza . Oggi è ripassato per vedere se avevo fatto in più quello che aveva suggerito, si fa per dire.Per finire il pomeriggio drink delle happy hours.Ieri sera siamo andati ad uno dei party, anche per incontrare i pochi altri italiani iscritti , in tutto 7 barche ( le barche inglesi sono 80 ! ). La cosa più bella e divertente è stata una spontanea esibizione sul palco dei molti bambini e bambine delle barche iscritte: tutti rigorosamente nordici e biondissimi.Dopo diversi rock hanno assaltato il palco e da pazzi si sono scatenati in sfrenatetorsioni e danze improbabili con i genitori sotto, …me compreso che riprendevano la scena.Tra i seminari, sino ad ora, ho partecipato a quello sul meteo che incontreremo lungo la rotta, o meglio sulle varie ipotesi possibili, e ad uno sul funzionamento della Radio di bordo, ovvero della cd SSB.Questa radio è molto importante perché ci consente di :-parlare in voce con altri radio utilizzatori in Italia o tra barche- di inviare e ricevere e.mail- di aggiornare ,quindi, questo sito con documenti e foto inviati appunto via radio-- di ricevere navigando informazioni meteo di vario tipo a costo nullo.


Las Palmas 22 novembre : 3 giorni alla partenza.SAFETY e RADIO

2007-11-22

Fuori diluvia. Lavori in coperta sospesi. Marina , Zeina e Giampiero fuori a far cambusa a El Corte Ingles a far cambusa, vino soprattutto. Toni ci raggiungerà questo pomeriggio per un breafing aggiuntivo sulla safety a bordo.

SAFETY : sicurezza a bordo. Quelli dell’ARC fanno sul serio.

Oggi dimostrazione di recupero di un ferito con elicottero . Spettacolare dimostrazione, da non vivere però in diretta. Poi prova di accensione fuochi rossi di segnalazione, fumogeni e fuochi bianchi anti collisione. Niente lancio di razzi rossi a paracadute perché non è arrivato il permesso della Capitaneria. Comunque , buono a sapersi, un razzo di questi sale per 300 mt ed è visibile a 28 mg di distanza. Poi tutti in piscina a provare l’apertura di una zattera di salvataggio e dei giubbotti autogonfiabili.

RADIO : l’ARC resterà in contatto con i partecipanti via radio SSB.

Tutte le imbarcazioni sono state divise in 4 gruppi ,omogenei per dimensione, ed ogni gruppo ha 2 o 3 "net controller" che hanno il compito di mettersi in contatto periodicamente con i partecipanti al gruppo di riferimento per lo scambio di varie informazioni. Quella più importante riguarda il meteo.

In più l’Ufficio Meteo dell’ARC invierà direttamente per email a ciascuna imbarcazione una previsione a 48 ore relativa all’area atlantica in fase di attraversamento.

Il nostro apparato radio a bordo è composto da una radio amatoriale ICOM 706MKII, da un Tuner ICOM A-H4 e da un’antenna wip di 7 mt valida per frequenze da 3 a 30 MHz. Tutto ciò è necessario per poter comunicare a voce con un’altra imbarcazione lungo il percorso oppure con altri net di radioamatori grazie alla cortesia di uno di questi che fa da master coordinatore oppure con chiunque abbiate definito un orario ed una frequenza di lavoro.

Per avere anche l’email via radio è necessario aggiungere un pc, un modem SCS pactor 3 ed un programma "airmail" che assomiglia molto ad "outlook " e che ha la caratteristica di mettere a disposizione un catalogo di file meteo che possono esser richiesti in automatico al gestore del sistema " airmail".


Las Palmas 24 novembre 2007 : DOMANI PARTENZA!

2007-11-24

Siamo arrivati al dunque. Finiti i preparativi, fatta la cambusa…più vino che acqua, finiti i seminari di preparazione ed anche lo skipper breafing con 2 ore di istruzioni impartite a 500 partecipanti, due per barca..

Oggi mentre montavamo la cappotta, Marina e Zeina hanno cucinato per i prossimi 3 giorni.

Poi è venuta anche la stampa italiana con Fare Vela : intervista e foto.

L’articolo uscirà a febbraio.

Ultimi accordi anche con Gianni FABIO che partirà con il suo OceanSunrise e con lui staremo in contatto via radio per tutto il viaggio.

Il meteo prevede per domani una partenza sul veloce : 20, 25 nodi da NNE, quasi in poppa per una bella partenza nella giusta direzione. Qualche onda di troppo..soffia da diversi giorni, ma subito in calo a sud delle Canarie. Poi anche vento in calo sino a 15 nodi.

Le prime notti saranno rischiarate da una bella luna piena. I giorni, dopo un po’ di nuvole, saranno con il sole e le nuvolette tipiche degli alisei.

Domani partenza alle ore 13 , 14 in Italia.

Poi aggiornamenti in diretta dall’Atlantico.

Salutoni da Marina, Zeina, Giampiero,Toni e da me.


Las Palmas 26 novembre 2007 : Prima notte in mare

2007-11-26

Partiti al colpo di cannone ! Qualche minuto dopo ma in sicurezza.

Poi un po’ alla volta abbiamo recuperato qualche posizione e grande corsa in poppa verso il lato sud di Las Palmas. Poi siamo rimasti un po’ intrappolati dalla bonaccia sotto l’isola e siamo ripartiti a farfalla. Poi una notte stupenda sotto il faro della luna.


28 novembre 2007 :23° 19 N 20° 32 W verso Capo Verde

2007-11-28

L’equipaggio incomincia a prendere piede. Ieri sera drink e cenetta con pasta , in pentola a pressione, e sugo di calamaretti.

I turni sono stati cambiati. In sostanza , io sono più libero dai turni e Toni più occupato , mentre Marina e Zeina più impegnate in cucina.

Il tempo è assolutamente tranquillo. Poco vento da NE, 10,15 n e onda da NW, in conclusione si balla e la velocità raramente supera i 6.5 n

Le rollate non agevolano la nanna e le vele spesso sbattono.

Per ora sembra di andare con il freno a mano.

Gianni Fabio è quasi in vista e ci sentiamo benissimo in vhf.

Oggi alba tra decine di delfini gioiosi.


30 novembre 2007 : Ocean Sun Rise

2007-11-30

Anche se da Las Palmas ne sono partite più di 250, incontrare qualche barca , anche solo dopo pochissimi giorni, è molto difficile.

Con Gianni Fabio, però, e con il suo Ocean Sun Rise siamo rimasti a contatto Vhf ed anche ora che siamo oltre la sua portata, i contatti alla voce continuano via SSB .

Cosa ci diciamo ? Di tutto di più !

Iniziamo con scambiarci la reciproca posizione e qualche rapido commento su mare, intensità e direzione vento. Poi ci confrontiamo sul da farsi anche in relazione a quello che probabilmente hanno fatto le altre barche.

La nostra scelta di scendere di più verso Capo Verde pare che per ora ci abbia ritardato per un semplice motivo . Con poco vento in poppa, soprattutto di notte, forse era meglio orzare e spostarsi a Ovest. Mentre loro camminavano, noi rollavamo e sbatteva tutto con minime anche a 3 n.

Ora abbiamo scelto di correre verso Ovest di notte e con poco vento, e di scendere un po’ a farfalla di giorno e con più vento.

Ora dovremmo esser abbastanza più indietro, ma avvantaggiati dal fatto che gli altri dovranno comunque prima o poi scendere, speriamo sforzando con meno vento.

Salutoni a Noelia e a Luca che segue il papà anche da questo sito. Tutto ok sull’OSR con pescate da far invidia a Noelia : un bel dorado da 7,8 Kg.


2 dicembre 2007 - Cambiato fuso orario

2007-12-02

In Italia ora sono le 10.40 e qui le 08.40.

Corriamo finalmente con l’aliseo in poppa sotto uno srotolarsi di nuvolette che poi di notte diventano piccoli, per ora, acquazzoni.

Nei turni di notte chi sta di guardia ha il radar come punto di riferimento.

Nel giro di circa 8 miglia 8 (16 km) rileva praticamente tutto. Ma bisogna avere un po’ di pratica e leggerlo bene.

Attorno alla barca per 1 miglio lo schermo rileva le onde come una nuvoletta di puntini al centro della quale siamo noi. La lettura è molto difficile perché eventuali oggetti restano confusi nella nuvoletta.

Più al largo è possibile rilevare navi, pochissime, altre barche ARC e persino gli acquazzoni da evitare come quello in foto.

Da 2 giorni usiamo esclusivamente le vele a farfalla : genoa tangonato a sinistra e randa aperta a destra.. Il vento , che varia intorno Est, ci consente una rotta quasi diretta su Saint Lucia, nostra meta.. Ora mancano esattamente 1780 miglia.

Gianni Fabio è un po’ più a sud di circa 50 mg e un po’ alle nostra poppa.. L’altra notte abbiamo tenuto rotte leggermente divergenti e ci siamo allontanati. Restiamo sempre comunque in contatto radio SSb almeno 2 volte al giorno.


4 dicembre 2007 : Tropico, Turni e Bolina

2007-12-04

Questa mattina alle 7.05 UTC Toni ha registrato il passaggio verso sud del Tropico del Cancro in posizione 19°59.09 N 35°35W con 1495 miglia alla meta…..!

Altra notizia di questa mattina è che piove da questa notte. Prima a mezza nave con SE , ora in bolina con SW con cielo che più grigio di così non si può.

La coda di un fronte freddo a Nord in via di dissipazione ha provocato questa rotazione del vento, del resto ben evidenziata da una cartina ricevuta via FAX 30.

Per oggi comunque è prevista un’ ulteriore e decisiva rotazione da ENE con il ritorno dell’aliseo abbastanza sostenuto e cielo sereno. Vedremo.

Qualcuno si è domandato come ci siamo organizzati con i turni.

Bene, dopo una prima ipotesi da me proposta del tutto equalitaria per distribuzione ore , si è passati ad uno schema più elastico come da foto.

In sostanza Toni prevede di fare più ore, Marina e Zeina hanno più tempo per la cucina ed io più tempo per navigazione, contatti radio e meteo.

Oggi però colpo di scena ! Con un documento ufficiale affisso in quadrato la componente femminile dell’equipaggio è entrata in modalità "stand by" ( sciopero) della serie ..RANGEVE!


8 dicembre 2007 : pioggia e pasta in pentola a pressione

2007-12-08

Da tre giorni siamo sotto la pioggia. Il meteo è un giochino complesso. Ci sono molte fonti di informazione, Con la radio riceviamo il bollettino fornito dall’organizzazione, i file grib ( sorta di immagine dell’area dove ci troviamo con sovra impressa la direzione e l’intensità dei venti per i giorni successivi ), cartine meteo con fronti vari e foto da satellite ed altre ancora. Il bello è che comunque vada , qui ci troviamo e ci becchiamo quello che Dio comanda. Oggi per menu ancora pioggia, ma siamo molto invidiati dalle altre barche perché stiamo all’asciutto in maglietta sotto la cappotta, mentre , quasi sempre, gli altri equipaggi devono fare i turni allo scoperto e prendersela tutta.

Nonostante il clima non proprio tropicale, a bordo la vita prosegue alla meraviglia.

Marina ha ormai preso le misure con la pentola a pressione e la pasta esce cotta a puntino. Da consigliare anche per casa.

Si fa un piccolo soffritto, si toglie l’aglio e si mette la pasta corta, gli spaghetti non sono molto adatti. Aggiungere tanta acqua da coprire appena la pasta, una punta di sale ( un terzo del normale ).

Si chiude e dal fischio, un terzo del tempo previsto dalla pasta per la cottura normale. A cottura ultimata, aggiungere il sugo già fatto e mescolare per amalgamare e scaldare per un minuto a piacere. Servire.


10 dicembre 2007 : 449 miglia a Saint Lucia, dopo la pioggia, sole e aliseo

2007-12-10

Ci aspettano, se tutto va bene, ancora solo tre notti in mare. Le previsioni sono per sole e un aliseo sostenuto . Per noi vuol dire vento in poppa a farfalla e una velocità sulle onde  con punte di 8,5/9 nodi, come ora. Proprio un bel andare.
Dopo la pioggia, il tropico ci da il benvenuto con il sole e l`aliseo.
Sul plotter il puntino rosso della nostra barca lascia la sua scia e la direzione della prua è ormai su Saint Lucia ad una distanza equivalente al nostro Adriatico da nord a sud.
Con i giorni ci siamo distanziati da Gianni ed il suo Ocean Sun Rise. Ci sentiamo almeno due volte al giorno e confrontiamo posizione , rotte e le info meteo.Poi ci sono quasi tutti i giorni gli appuntamenti in radio con Martino dal Lido e Grande Laguna da Mestre. Dalla 13.15 alle 14 molti italiani si danno appuntamento in radio per darsi informazioni, confrontarsi, e perchè no,darsi sicurezza e creare nuove amicizie. AH ! QUESTA RADIO !!

  


12 dicembre 2007 : ultimo report prima dell` arrivo

2007-12-12


L`arrivo è previsto alle 7.10 utc del 13 dicembre, il giorno di Santa Lucia, lo stesso giorno in cui C. Colombo scoperse l`isola.
Al nostro arrivo, in piena notte, ci aspetteranno con un cesto di frutta e con il primo rum.
Gli ultimi due giorni sono volati spinti da un buon aliseo. Farfalla con tangone e via notte e giorno.
La fatica si fa sentire soprattutto per il continuo rollio ed il poco sonno.
La bellezza delle albe e dei tramonti , però, ci ricompensano abbondantemente.
Ieri abbiamo perso un magnifico dorado da 4, 5 Kq. Sotto l`acqua guizzava di un colore blu intenso, con venature sul verde e le pinne gialle. Stupendo e se ne è andato. Speriamo per oggi.
I turni si susseguono e ieri abbiamo brindato all`ultima cena in tavola perchè questa sera dovremo vigilare sull`arrivo e la convergenza delle altre barche.Tra gli Amel saremo ultimi o penultimi, ma la vittoria più grande è essere qui, ora.


14 dicembre 2007 Saint Lucia : arrivati!

2007-12-14

Alle ore 02. 32’ 23" del 13 dicembre EUTIKIA ha completato l’attraversata dell’oceano ATLANTICO e ha gettato l’ancora a ridosso di Pigeon Island a Saint LUCIA:.

L’arrivo è stato davvero emozionante ad iniziare dal pomeriggio precedente.

Stavamo volando spinti da un gagliardo aliseo quando all’orizzonte di poppa abbiamo scorto qualcosa di non ben definito...quasi una nave o una spinnaker enorme.

Mai avrei pensato ad un vero e proprio clipper sotto vela. Rollava maestoso, lentamente tra alte onde. Che immagine davvero unica ! Per alcune ore abbiamo navigato di conserva, poi ci ha superato sotto vento, ma ci siamo gustati ogni istante sino alla sua scomparsa tra i riflessi del sole al tramonto.

Ci siamo poi dedicati all’atterraggio in piena notte. Lucette verdi e rosse incominciavano ad apparire come per magia da sinistra e da destra. Dopo giorni e giorni di solitaria navigazione, ora le barche convergevano nel canale tra Martinica e Sain Lucia. Fuori scrosci di poggia e buon vento.

La barca filava tra gli 8 e i 9 nodi.

Dopo aver segnalato il nostro ETA ( tempo stimato di arrivo ) al comitato ARC , giriamo a sinistra sotto Pigeon Island e puntiamo sulla finish line. Un bordo di bolina stretta ed era fatta !

ARRIVATI ! Un grandissimo grazie a tutto l’equipaggio, un bacione con abbraccione a Marina forte forte.


GRAZIE A TUTTI

2007-12-17

ORA , sono le 23 del 17/12 e sto scrivendo al buio in un bar chiuso, PER LA PRIMA VOLTA SONO ENTRATO NEL SITO E HO VISTO TUTTI I VOSTRI MESSAGGI SONO EMOZIONATO PIù CHE ALL`ARRIVO. GRAZIE A TUTTI DA PARTE MIA DI MARINA DI TONI DI ZEINA E DI GIAMPIERO e grazie da parte di EUTIKIA !


18 dicembre 2007 Saint Lucia : Immagini inedite dell`attraversata

2007-12-18

L’attraversata è forse stata più complessa del prevedibile.

Dalle cose lette e dalle informazioni ricevute anche dai seminari organizzati dall’ ARC a Las Palmas, mi ero fatto un’idea un’idea abbastanza precisa.

Con Gianni Fabio dell’Ocean Sun Rise, in partenza con noi, avevamo anche definito una rotta spezzata, possibile tra le tante, che doveva portarci a ca 200 mg a nord di Capo Verde ad una latitudine tra i 18° e i 19° N e poi avremmo girato a ovest scendendo progressivamente ai 14° N di Saint Lucia..

Il percorso era più lungo di ca 200 mg della diretta , ma probabilmente con venti più costanti e tesi, ovvero con l’aliseo, al caldo e cielo più azzurro, niente code di eventuali fronti a Nord.

Non è andata proprio così !

I primi 3, 4 giorni sono stati un disastro. Vento debole e in piena poppa e rollate da non credere.

Mentre gran parte della flotta era partita per la diretta.

Persi netti due giorni abbiamo girato a destra e siamo partiti all’inseguimento. Si fa per dire !

Le condizioni erano comunque a quel punto diverse e abbiamo dovuto fare diverse puntate fuori rotta per far camminare la barca.

Poi , dopo qualche giorno di scarso sole , è venuta la pioggia con densi nuvolosi. Fortunatamente senza fulmini. Groppi continui dal tramonto al sorgere del sole, circa 12 ore di buio.In compenso la barca volava anche se di notte , per prudenza, eravamo sotto invelati.

E infatti il colpo di vento molto forte, 35, 40 n è proprio arrivato di notte al mio turno.

L’onda tropicale OLGA si stava formando proprio sopra le nostre teste. La barca volava a 10, 11 nodi con punte a fondo scala sull’onda tra baffi di schiuma bianchi appena intravisti tra il buio e la pioggia battente. Il tutto è durato circa 3 ore, per fortuna! Ed il mare già grosso non è montato oltre.

La barca , senza tangone, leggermente all’orza manteneva la rotta in piena sicurezza e senza alcuna deviazione. Praticamente faceva tutto da sola. Era un piacere sentirla andare.

Gli ultimi giorni sono stati una volata sotto pioggia e raffiche e rollate.

Ma ormai era fatta..


St.LUCIA

2007-12-27

St.LUCIA, Natale 2007-12-26

I giorni qui sono volati. Dopo un meritato e prolungato riposo è iniziata l’esplorazione dell’isola.

La parte est è molto selvaggia e per nulla turistica, quella ovest è più abitata e turistica. Quello che colpisce di più è il verde lussureggiante e le dimensioni abnormi delle piante di arredo che nelle nostre case sono piccole e asfittiche. Per esempio i Croton sono alti anche un paio di metri e nel giardino botanico si trova di tutto e non mancano mobilissimi e piccolissimi colibri neri con macchie di piume verde smeraldo.

I villaggi lato est sono di pescatori ma non ben organizzati con lance aperte e grossi motori FB. A vederli c’è da chiedersi come facciano a prendere il mare ed a tornare tra quei cavalloni che battono la costa.

Il mercato a Castries è molto vivace. Tutto quello che c’è , è diverso da quello che trovi da noi. Uniche cose uguali, o quasi, banane e salata, per fortuna ottima.

Pesce fresco non c’è, ma quello congelato non è male.

Ci sono molti negozi di tessuti locali e ci siamo fatti cucire due camice su misura con un motivo sul blu davvero brillante e divertente.

Una storia a parte meritano i punch rum ed i planters. Qui dal pomeriggio in poi nei locali lungo la spiaggia o nei bar dei resorts i drinks vanno come acqua fresca.

In realtà sono molto molto forti e possono fare brutti scherzi se sei assetato e un po’ disidratato. Per ora abbiamo imparato a preparare un rum alle spazie.

Si prende al mercato una bottiglia già preparata con dentro non so quante spezie ( cannella, chiodi di garofano, liquirizia, bacelli vari e piantine, ecc), poi si aggiunge un terzo di miele locale liquido e poi due terzi di buon rum. Si lascia macerare per un paio di giorni e poi il liquido diventa rossiccio e bevibile. Ottimo digestivo e con ghiaccio anche dissetante, ma più pericoloso.

Alla sera i locali dove mangiare lobster e sentire steel band non mancano.

Ad un Party ARC abbiamo anche assistito ad un Limbo music con splendide creole in bichini che scherzavano con il fuoco ad un ritmo davvero caliente.

Poi a nanna, immaginando ancora le nubi rosa al tramonto, con lo sciacquio della poppa ormai lontano, rapiti da Hipnos e… dal rum.


MARTINICA, Cul de sac Marin 3.1.2008.Anno nuovo..randa nuova

2008-01-03

Martinica , Cul de sac Marin, 3 genneio 2008 : Anno nuovo….randa nuova!

 St Lucia ci ha trattenuto ancora una volta per passare il Capodanno nella bellissima Marigot Bay.

Dopo una brevissima gita in Martinica, il 28 e il 29 passati sotto la pioggia sia nell’attraversata del canale tra St Lucia e Martinica  sia nel giro in macchina dell’isola, siamo ritornati con Toni e Sebnem a Marigot Bay.

Il Capodanno a Marigot aveva un precedente storico irripetibile.

C’eravamo già stati qualcosa come 15 anni fa e la serata finì con tutto l’equipaggio fradicio di rum in piscina al suono di un’ inarrestabile steel band.

Ma anche questa è stata una serata indimenticabile, se non altro perché alla fonda c’era la nostra barca dopo un oceano e non una barca charter.

Cenetta sotto le palme, ma questa volta solo fuochi artificiali e poca musica reggae. E così dopo aver cambiato più locali ci siamo trasferiti a bordo ed abbiamo fatto tardotto con la nostra musica, champagne e balli sfrenati…quasi, in pozzetto.

Toni e Sebnem sono partiti proprio l’1 e noi siamo ripartiti per tornare in Martinica e ritrovare Gianni, Noelia e Luca.

Bel vento teso, mare formato e bolina stretta per recuperare al vento l’insenatura di Marin.

Quasi arrivati, le ultime raffiche ci facevano filare a 8 nodi dove il mare s’era quasi calmato a ridosso della punta sud dell’isola, quando…..straaak…e la barca si raddrizza di botto. Occhiatina, quasi senza speranze , verso l’alto e …addio randa.

Rollato quello che è rimasto, acceso motore e via verso l’incontro con Gianni.

Che si rompano le vele può succedere e la fortuna ha voluto che ciò accadesse a 5 miglia dalla più grande veleria dei Carabi !

 E così il tutto è stato ben stemperato con la deliziosa ospitalità di Noelia con una cenetta memorabile a bordo dell’Ocean Sun Rise.


DOMINICA,Rupert Bay - 9 gennaio 2008

2008-01-09

Finalmente abbiamo lasciato la Baia de Marin, anche se si stava davvero a meraviglia. Tutto a portata di tender : veleria, s.market, pescheria, baretto con internet e chandler, ovvero la gioielleria di noi barcaroli.
La prima tratta è stata breve. Ci siamo fermati per la notte davanti a St. Pierre a nord di Martinica. Qui nel 1902,l`8 di maggio,il vulcano Pelè si svegliò di colpo ed il giorno dopo la Parigi delle Antille non esisteva più. Morirono quasi 30 mila abitanti. Si salvarono in due, uno di questi era un carcerato chuiso nella sua ben robusta cella. Affondarono molti vascelli alla fonda. Il porto aveva portato con i traffici, rum, canna da zucchero e cacao, la ricchezza alla città.
Ma i mercanti, sordi agli avvertimenti che il Pelè aveva  lanciato loro,per non perdere l`oro persero la vita.
Dalla Martinica veleggiata bellissima sotto fiocchi di nuvolette verso Dominica.
Bella e selvaggia ci ha subito salutato con uno spettacolo naturale non raro da queste parti: un incrocio con una famigliola di Globicephala melas, una sorta di balenotteri di una decina di metri.
Ora siamo alla fonda in Ruper Bay,il sole si tuffa a ovest e una goletta dondola nella dolce risacca. Immagine d`altri tempi."
      


Guadaloupe, Les Saints - 12 gennaio 2008

2008-01-12


Da un mare all`altro il navigare ci porta non solo per rotte e luoghi che segnamo sulla carta o sul Libro di Bordo, ma anche a portare a bordo piccole, grandi cose che poi lasciano una traccia nella memoria ben più forte di qualche tratto di penna.
Già , proprio in queste serate due di queste ci hanno illuminato.
Sono infatti due lampade un pò particolari.
Una è la conchiglia che ci regalarono i pescatori turchi a Focea. Non sapevamo dove fermarci e questi pescatori molto cortesi fecero di tutto per aiutarci nell`ormeggio al loro fianco. Li ringraziammo con grandi sorrisi e con quel poco di turco che sapevamo del tipo " te sce cur ederim" non si scrive sicuramente così ma letto significa " molte grazie". Allungammo anche un pacco di pasta e qualche Coca. Immediatamente con occhi gioiosi, scuri e brillanti, ci ricambiarono con un bel sacchetto di gamberetti
vivi e questa ormai famosa conchiglia , ora diventata la nostra compagna nelle cenette in pozzetto.
L`altra lampada è un piccolo, turchese lume a petrolio che trovammo da un rigattiere a Pilo, dentro la baia di Navarrino sulla costa ovest del Peloponneso. Non ha molta forza, ma si è abituato ai refoli sparsi che aggirano la nostra cappotta e discretamente rischiara nel buio i nostri discorsi attorno ad un bicchiere.
Ultima arrivata, ma con un grande e riposante futuro, una splendida rossa amaca.
Ci siamo passati davanti occhieggiando tra i negozietti di Les Saints e non abbiamo resistito alla tentazione.
Sarà ottima e comoda anche per osservare le stelle. E` ad una piazza e mezza e così non ci sarà neppure il problema del chi primo arriva.... Quella delle stelle me la metto via per una prossima puntata."


ANTIGUA 19 gennaio 2008 : Ospiti da Nelson

2008-01-20

Siamo ormeggiati al dock di Nelson a English Arbour, proprio sotto casa sua.Dopo una splendida bolinata da Guadalupe abbiamo raccolto l`invito di Nelson e ora ci stiamo gustando questo bel sito carico di storia navale.

Nelson ci arrivò nel 1784 con la fregata Boreas di 28 cannoni e ne fece la base più importante alle West Indians. Il lugo è adatto per i carenaggi, per proteggersi dagli uragani ed è ben difendibile. Lui ci rimase sino al 1787, poi tornò in Inghilterra alla caccia dei francesi. Credette che la loro flotta fosse ai Caraibi e allora ci tornò e passo al setaccio tutte le isole e nulla trovo. Allora con tutta la flotta ripassò l`Atlantico e finalmente ebbe la soffiata giusta e li incastro a Trafalgar, a sud del Portogallo.

Quando la battaglia iniziò fece issare con le bandierine il messaggio "L`Inghilterra si aspetta che ognuno faccia il suo dovere ! " Prima di morire, centrato da un cecchino ( ma in battaglie precedenti aveva già perso l`occhio destro ed il braccio destro) disse " Grazio Dio, sono riuscito a fare ilmio dovere" ed entro` nella leggenda.

Vicino a noi ho avuto la fortuna di ritrovare ELEONARA, quello splendido scooner che mi era sparito nella notte a Las Palmas. E` o non è una meraviglia ?


Le ultime da Antigua, 25 gennaio 2008

2008-01-25

Abbiamo lasciato English Harbour con la mezza intenzione di far rotta su Barbuda, solitaria tra i reef verso l`oceano.
Purtroppo l`inesperienza e il meteo ci hanno consigliato di rimandare la visita ad una prossima volta.
Ci siamo così diretti a Deep Bay, una deliziosa insenatura con spiaggia sulla costa ovest di Antigua e chi abbiamo trovato ?
Abbiamo trovato Paolo Paganuzzi con il suo bellissimo trimarano giallo. Paolo era stato con noi in una regatina , credo nel 1977, a bordo di Kithera, il nostro Sangiovese rosso e in più aveva già fatto diverse regate con il MELTEMI di Toni !
Poco tempo dopo si era trasferito  ai Caraibi per soggiornarvi di anno in anno per periodi molto molto lunghi. Insomma un vero bucaniere dei Caraibi. Trasferimenti oceanici, regate, pesca d`altura e vita mondana. Una vera guida piena di informazioni per noi pivelli.
Tra l`altro, molto banalmente, ci ha consigliato un gustosissimo spuntino a base di frutta. Papaia tagliata a metà, via i semi, una bella spremuta di lime all`interno della barchetta e mezzo frutto della passione dal sapore aspretto ma delicatamente dolce e profumato. Il tutto si mangia con un cucchiaino come fosse una coppa di gelato. FANTASTICO !
La pesca continua a non esser fortunata, peschiamo solo piccoli baracuda che liberiamo subito, troppo pericolosi per la ciguatera. Questi voraci predatori della barriera mangiano pesci che a loro volta hanno mangiato delle alghe tossiche per l`uomo. Assorbire queste tossine anche un pò alla volta è molto pericoloso.


St. Kitts, 28 gennaio 2008. Un`isola nel cuore dei Caraibi

2008-01-28

St.Kitts è davvero un bel posto da girare. Lasciata la barca al sicuro in marina abbiamo esplorato le verdissime coste pianeggianti dell`isola, dove ancora estese piantagioni di canna da zucchero si susseguono senza sosta.  Al centro domina un`alta montagna smeraldo sempre incappucciata.
Abbiamo visto alcune cose del tutto particolari.
Per prima siamo stati sorpresi dal grande ordine in tutto, ad iniziare dai bambini che vanno a scuola.
Hanno tutti una loro divisa, diversa per ogni scuola.Gli alunni sono sempre impeccabili,perfettamente pettinati, puliti, scarpe lucide e zainetto in ordine. Niente telefonini, niente motorini, niente mamme con enormi macchine ma perfetti e colorati scuola bus. Che sia da mandare qui in formazione qualche nostro burocrate ?
E poi il verde brillante dell`isola ed i suoi giardini fioriti. Le case sono quasi tutte dipinte che sembrano disegnate con pastelli da bambini, semplici, normali e ben curate.
L`arte non manca. C`è una ricca produzione di batik ed il centro principale e ` proprio in un fioritissimo giardino botanico.
I colori dei tessuti si confondono con quelli della natura.
Per ultimo l`imponente forte di Brimstone Hill. Una vera Gibilterra caraibica. Quando finalmente gli inglesi hanno avuto la meglio sui francesi e sui poveri indigeni, allora hanno costruito in un secolo tra metà 600 e metà 700 questa fortezza.
O meglio l`hanno costruita gli africani ridotti in schiavitù e qui portati per esser poi smistati in tutti i Caraibi.
Ora però se la godono e sono molto orgogliosi della loro isola.


St Martin, 5 febbraio 2008 : Aragoste e Carnevale

2008-02-05

Siamo rimasti alla fonda dentro la laguna di St Martin, parte francese, per alcuni giorni in compagnia di Gianni, Noelia e Luca con il loro Ocean Sunrise, in attesa dell`arrivo di Marina 2 e di Andrea.
Giornate dedicate alla visita dei Chandlers, ovvero negozi per la nautica,al Carnevale e...alle aragoste.
Allora, i chandlers sono davvero ricchi di ogni possibile ed impensabile "cosa" da portare a bordo.
Sono veri piccoli paradisi dove trovare di tutto, dalla manutenzione,alla pesca,elettronica, libri,vestiti,gommoni, insomma proprio di tutto. Costo in dollari, pagamento contanti altro 10%.verrebbe voglia di comprare anche se non serve !
Siamo capitati proprio alla sfilata dell`ultimo di Carnevale. Tutto molto rustico e genuino: carri,colori, piume,costumi sgargianti e sopratutto una sfilata di bellezze locali dirompenti. Il tutto travolto da un susseguirsi rombante di musica soca, calipso e reggae al massimo volume e tanta folla a far ala.
Poi per caso abbiamo scoperto un tesoro. Già un vero tesoro dei pirati. Scendendo da un pontiletto ti vedo un tale con un dorato da 5 Kg. Lo seguo per veder se riesco a combinar qualcosa. E dove capito ? Dritto , dritto in un retro bottega con due enormi vasche brulicanti di aragoste !
Facile da immaginare che me ne sono tornato a bordo con dorado e due splendide aragoste.
Tanto per la cronaca a 20 E al Kg!


Vergini Britanniche-Gorda sound 13 febbraio 2008 : da Anguilla alle BVI

2008-02-13

Anguilla è davvero un bel posto dalla parte ovest con alcune isolette di corallo e sabbia deliziose.
Noi siamo stati prima a Road Bay e poi a Prickly I.: un granello di corallo dal quale siamo poi partiti per Tortola.
Abbiamo fatto 70 mg di notte, vento in poppa e vele a farfalla, 7 n e via. Un piccolo ricordo di Atlantico per le rollatine.
La cosa più bella e unica è stato il cielo stellato: a dritta la Stella Polare a sinistra La Croce del Sud.
La capitale di Tortola è Road Town, vale poco ma è stata molto utile.
Ho incontrato Bob della veleria Doyle e ho ordinato la nuova randa che sarà consegnata tra un mese.
Ho poi trovato anche l`antivegetativa uguale a quella che ho. Cosa non facile ed è stata ordinata con consegna insieme alla randa !
Prime annotazioni sull`ambiente delle BVI.
Il Canale di Sir Francis Drake che le divide per ora è sempre molto ventoso da 18 a 28 n, ma senza onda. Le lavate comunque non mancano. Fa freschetto e di sera c`è pure qualche piovasco per lavare la barca.
Inizia la navigazione tra i reef. Ma questo alla prossima puntata.


ANEGADA, 15 febbraio 2008 : un granello di sabbia nell`oceano

2008-02-15

Partiti da Virgin Gorda, veleggiata superb, come dicono gli US di qui, a 8,9 n a bolina molto larga sino al canale di entrata e relativo allineamento.
ENTRATA DA BRIVIDO !
Fondale che decresce sino a 0. Ad una boa rossa, che qui si lasciano a destra entrando, tutto il contrario che da noi, quasi tocchiamo, anzi tocchiamo, ma subito dopo di nuovo 10, poi 20, 30 cm...e basta.
Ci fermiamo di fronte alle poche e variopinte casette, ancora, 30 mt di catena. Attorno fondali di max 2.8. Tutto azzurro, cielo,mare e anche il vento, che non molla mai, sempre più di 20n e punte a 27, ondina anche se siamo ridossati.
Siamo entrati.
Dietro un campo boe con barche charter, di fianco due barche più piccole di noi.
Il fondale sullo strumento oscilla da 20 a 40 cm. Scandaglio con il piombo ma il risultato non cambia.
Cerco sulla CMAP la marea. La minima +10 sarà alle 20, ora è +30. Toccheremo sicuramente.
Arrivano le 20. Siamo a terra, il vento è calato a 15n, l`ondina pure e anche l`acqua ed il reef è fuori.
Dal nostro tavolo scorgo la lucetta di fonda che ancora dondola almeno un pò.
Mezza luna e cielo quasi stellato.
Musichetta soca che fa menare il culetto alla creola dietro al banco del bar tra festoni di lucette e bottiglie di rum.
Davanti a noi un`aragosta cotta alla brace, memorabilia !
Eutikia continua a dondolare nel buio, sul pulpito,appena illuminato dalla luna, un cormorano fa la guardia.


ANEGADA,16 febbraio 2008 : qualche immagine dal giro in macchina

2008-02-16

Montiamo su un piccolo 4 ruote motrici bianco di polvere, cambio automatico e solita guida a sinistra.
La strada in cemento scorre tra bassi cespugli, ma alti abbastanza per non farci vedere mai il mare.
Arriviamo dopo una decina di km al settlement, come chiamano qui un grumo di casette veriopinte lungo la strada.
Nessuno.All`incrocio il vento fa tintinnare lucette e pendagli di un povero albero di Natale. Nessuno a cui chidere dove sta il  bakery per un pò di pane. Troviamo un negozietto. Dentro un pò di tutto. Il proprietario ci serve con un casco da moto in testa, borbottando un inglese molto cortese ma incomprensibile.
Rimontiamo in macchina e riprendiamo la via. Il cemento diventa terra battuta, ma punta verso la costa. Almeno così pare.
Ma ecco finalmente un squarcio di azzurro rompere la verde barriera dei cespugli, l`oceano.
E` un attimo e siamo a piedi nudi lungo la bianca spiaggia di Loblolly. Se pensi a un poster dei Caraibi questo è meglio.
Veloci nuvolette spinte dall`aliseo macchiano di viola l`azzuro cobalto chiaro della lagunetta tra spiaggia e reef.
Sotto pescetti e corallo, verso la fine del reef un correntone mi consiglia un rapido pinnato rientro.
Il giro finisce al tramonto con la marmitta rotta, sembriamo un jet al decollo, e con un tramonto tra i più rossi.


PETER ISLAND, Little Harbour 21 febbraio 2008 : baietta mediterranea !

2008-02-21

Prosegue il giretto per le B.V.I.
Da Jost Van Dyke siamo passati a Norman I.. l`isola del tesoro di mitica memoria,e poi a Peter I.dove ora siamo con ancora a prua e cima a terra. Baia di una tranquillità totale, l`aliseo passa sopra le alte colline che ci proteggono e l`acqua è immobile cristallina. Di poppa ci sono due teste di corallo con pescetti e flora da acquario tropicale.Ci si può avvicinare a cm, non scappano e continuano a mangiare scivolando tra gli anfratti.Questa notte c`è stata eclisse di luna totale, non lo sapevamo
e siamo rimasti stupefatti.
A Little J.V.Dyke c`è un isoletta di sabbia bellissima con molti pellicani, pur troppo è inserita tra i must dei charteristi e a metà mattina arrivano a frotte. Appena scesi dal gommone bevono qualcosa di ghiacciato e grassi come sono sembrano dei leoni marini un pò rosetta, ma la stazza è la stessa.
Noi, ai noi ! incominciamo ad adeguarci. Al pomeriggio pigna colada e alla sera invariabilmente aragoste. Ora siamo in overdose ed abbiamo recuperato la ciccia dopo le fatiche atlantiche. Comunque dopo cena un punch rum "EUTIKIA" non manca mai , ecco la ricetta : 1/4 di sciroppo di canna, 3/4 di rum bianco Agricole ( è un rum doc delle isole francesi), 2/3 cubetti di chiaccio,
una fettina di lime, qualche goccia di Angostura e per finire una grattatina di noce moscata.IRRESISTIBILE!
Ieri in fine un incontro del tutto inaspettato: due delfinetti han girato attorno al nostro gommone giocando tra di loro e prendendosi gioco di noi.


USVI, St.John, Caneel Bay, 27 febbraio 2008 - Stars ans stripes

2008-02-27

Per la prima volta in US in barca e con la bandiera stelle e strisce. Pratiche di dogana ultra veloci e gratis,è bastato esibire il Visa, conquistato al consolato USA di Firenze, e voilà " you are welcome! "
lo scenario però è sempre lo stesso. Una meravigliosa catena di isole queste Vergini !
Sembrano,da come sono disposte, le Incoronate. In mezzo c`è il Canale di Sir Francis Drake e il vento sempre da est, come il maestrale nel canale dell`arcipelago dalmata. La direzione cambia ma il modo di far vela no, mare poco formato e bolina se vuoi risalire con un apparente da 20 a 27 n. In poppa o al lasco è una goduria cercare la baietta dove passare tramonto e notte.
La gente a terra però è radicalmente diversa.
Qui i simpatici e ritmici scurotti ti organizzano la giornata. E sì, i servizi, qualsiasi,è affar loro. I pelle bianca governano dal back office e dalle ville, splendide,fronte poster.
Dall`aiuto all`ormeggio, al noleggio macchina,alla cassiera in banca,al mio motorista da 350 $, tutti scurotti !
Però sono simpatici e nel super mercato di spende ma si balla il reggae.
A proposito, al Market si trova di tutto..o quasi. La frutta è ottima : una  papaia a metà con pezzi di banana e mela, meglio con frutti della passione, e lime ben spremuto sopra, è la nostra colazione di metà giornata.
Ieri la giornata si è chiusa sotto la pioggia, ma ci ha regalato un arcobaleno così grandioso che non ci sta nella foto .


Portorico, Isole Vergini Spagnole, Coluebra 3 marzo 2008 : con l` ancora dietro il reef.

2008-03-03

Siamo arrivati ieri a Coluebra e siamo andati a far le pratiche di entrata  in aeroporto !
Martino è salito a bordo il giorno prima a St. Thomas, Crown Bay Marina, ed è stato subito messo al lavoro: pulizia barbeque !
In serata però grigliata stupenda di filetti di dorado sotto un fantastico cielo stellato che pur troppo non si può fotografare.
Da St Thomas siamo partiti , oltre che con Martino,anche con un nuovo componenete dell`equipaggio : un nuovo fuori bordo Yamaha 8hp ! Il Johnson è ancora in riparazione per la sostituzione del carburatore. Non ho capito il perchè, ma mi hanno assicurato che non c`era altro da fare se non pagare 400 $.
Oggi primi bagni dietro al reef di Punta Colorada....di un azzurro smeraldo davvero unico.
Di solito la nostra linea di ancoraggio è di 45/50 mt di catena, praticamente sempre con tempi normali.
Con più vento o senza adeguato ridosso anche 65 mt. Il max di catena disponibile è di 75 mt.
Poi dalla prua, per scaricare il salpa ancore Lofran, posiziono un "elastico" ovvero una cima con gancio per la catena di lunghezza variabile tra 5 e 8 mt di nylon con in più un amortizzatore di gomma nera.
Il tutto per dar elasticità maggiorata a tutta la linea.


Portorico,Isola Culebrita, 5 marzo 2008 :Speciale Culebrita

2008-03-05

Entrarci non è facilissimo. Bisogna prima aver letto molto bene il portolano di Pavlidis su queste isole, studiato le carte ed avere il sole alle spalle. Anche il radar può esser di aiuto per individuare la dimensione reale della baia.
Poi si entra a occhio, si cerca il chiaro azzurro della sabbia sul fondo e splaf ! giù l`ancora in 4 mt e via con 45 mt di catena ben in linea a 15 mt per tratta.
E poi la luce ti abbaglia.
Nessuno.
Nel silenzio, solo il vento . Lo specchio d`acqua si tinge di cobalto sotto le nuvole o schiarisce tra lo smeraldo e l`azzurro chiaro ai raggi del sole. C`è solo una linea di sabbia bianca e palme che unisce cielo e mare.
Una rapida pinneggiata e siamo sulla sabbia,bianca e soffice.
Da qui la barca appare piccola piccola nel suo mondo. E noi altrettanto piccoli in questo mondo.
Le nuvole scorrono veloci. Diventano più scure e coprono il cielo.
E`ora di andare, pioverà.
Usciamo. Il cielo è gia molto scuro, turbini ci inseguono.Piove a strappi.
Quella luce ci è rimasta ancora più chiara.


Portorico, Isola di Culebra e di Vieques, 9 marzo 2008 : dopo anni ancora soli in baia.

2008-03-09

L`ultima volta che ci trovammo una notte soli in baia fu 3 anni fa all`estremo sud di Skiros,a Renes Bay tra le aspre e rocciose sponde di un`isola greca, ora, a qualche migliaio di miglia di distanza, stessa emozione a Vieques.
E` un`isola più difficile. Lunga 10 mg ca si infila da ovest a est dritta dritta nell`aliseo sostenuto di NNE/E. Andarci è facile , tornarci meno. Per fortuna le distanze sono minime e tra motore e randa si può rimontare sino al suo capo a est dove il mare monta tra correnti e bassi fondali.
Vieques ci ha però accolto con un grande abbraccio in Ensenada Onda. L`entrata è difficile, tra bassi fondali e reef, ma devo dire che la C-MAP è perfetta con segnati allineamenti in linea nera esatti.
Eravamo andati via, o meglio mandati via, dall`insenatura più a est,Bahia Salina del Sur,da qualcuno che stava bonificando l`area di terra sopravento a noi. E già , fino a pochi anni fa gli USA hanno usato questa meravigliosa isola come poligono di tiro ! ....e infatti, prima di andarcene, rapidamente dopo il caldo invito via vhf, avevo già controllato l`ancora con la maschera, non vorrei dire ma forse a qualche metro in là dalla catena c`era la coda circolare, infilata nella sabbia, di una bomba.
Motivo in più per andarcene.
Ensenada Onda invece è primordiale, raccolta tra le mongrovie e le dolci colline. Di notte buio totale, solo le stelle.
E` un vero ancoraggio ben protetto dove stare a lungo e guardare i treni delle nuvole passare cangianti e veloci spinte dall`aliseo e dove i veloci tramonti lasciano il cielo purpureo.


USVI, St.John - Water Melon Bay, 15 marzo 2008 :per la prima volta senza vento!

2008-03-15

Lasciate le Vergini spagnole ( Coluebra e Vequies ) siamo ritornati prima a St. Thomas, per ritirare il motorino riparato e dove è sceso Martino per tornare a Venezia, e poi al Parco Naturale di St. John.
St. Jhon è molto più accogliente e bella di St Thomas. Tutto è regolato dall`Autorità del Parco, soprattutto le boe per gli ormeggi. Sono numerose ovunque, ben distanti tra di loro in modo tale che le barche non si diano fastidio. Per intenderci la distanza è almeno tripla di quelle in Dalmazia. Massima misura è per barche di 16 mt. Quelle più grandi possono stare all`ancora , ma lontane almeno 200 mt. Tutte comunque pagano 15 $ per notte.
E per pagare si sono inventati un bel sistema.
Il pagamento è sull`onore, prima cosa. Devi scendere a terra prima del tramonto con il gommone ed imbucare un`apposita busta con i dollari( tanti quante le notti)ed il nome della barca. In alcune baie c`è un piccolo pontile galeggiante con buca/box per le buste. Al tramonto un gommone con la volontaria di turno ( ho visto solo simpatiche donne e tutte avevano un bel cagnetto, volontario pure lui,che le accompagnava)viene a controllare il nome della barca e a darti tutti i suggerimenti più utili per.."
enjoy your sunset!" naturalmente...
Ultima annotazione.Tra le Vergini US e quelle Britanniche ho visto davvero le barche più belle da quando vado in barca.
Per un assaggio ..enjoy la goletta al tramonto.


USVI, St.John, Francis Bay, 22 marzo 2008 : AUGURI DI BUONA PASQUA A TUTTI

2008-03-22

Ormai per noi St John è diventata l`isola di Pasqua. Siamo qui da un tot, prima con Martino ora con Gianni ,Noelia e Luca.
L`isola però svela lentamente la sua storia. Ora sappiamo quasi tutto sul rum dopo aver visitato Annaberg Sugar Mill.
Ora restano solo le sue rovine ma sino a metà `800 era uno dei centri più importanti di produzione dello zucchero di canna dei Caraibi.
I danesi vi avevano portato l`idea del mulino a vento,altrove usavano i cavalli, per far girare i rulli per schiacciare le canne tagliate da centinai di schiavi. La produzione di liquido spremuto era enorme , qui il vento non manca mai !
Dal mulino con canalizzazioni il liquido arrivava nei locali della bollitura. La "ribollita" scremata passava così da vasca in vasca e alla fine il condensato, lasciato raffreddare diventava un pane di zucchero grezzo cristallizzato al punto giusto.
I tempi per la bollittura erano decisivi per aver un buon prodotto finale.
Naturalmente c`era molto scarto. E si sono inventati il rum !
La melassa rimasta, infatti,veniva trattata con acqua e lasciata fermentare e poi veniva distillata con lambicchi di rame.
Ed il gioco era fatto! Oggi restano poche pietre, ma gli scaffali nei market sono pieni di ogni tipo di rum e al tramonto il punch rum ed i planters sono un rito.
A bordo c`è un nuovo pc portatile, omaggio del dollaro mai a livelli così bassi.
Naturalmente farlo funzionare con il nuovo sistema Vista è una bella sfida per noi sixty, per Luca invece giocare con il pc è come era per noi giocare con i soldatini !


St. Martin, 30 marzo 2008 : la laguna dei balocchi e dei boat people

2008-03-30

St Martin ha una laguna interna, metà francese e metà olandese. Quasi tutte le barche stanno dalla parte francese perche non si paga. Tutti però devono passare un ponte per entrare e uscire che si paga agli olandesi.
La laguna ha grandi vantaggi. Non si rolla e l`ancoraggio è sicuro. Ma soprattutto ha ben due grandi "negozi di nautica" dove si trova praticamente di tutto a prezzi in dollari e sconto 10 % pagamento contanti.
Questi negozi sono così forniti e grandi che assomigliano  ad un super market : si gira con carrello e si paga alle casse.
Il bello è che tutti arrivano in gommone dalle loro barche e parcheggiano a pontili, dingy dock,loro riservati.
L`altro giorno siamo stati in visita per acquisti e ci siamo stati dentro 3 ore. Non si può resistere alla tentazione di comprare di tutto di più.
Con queste dritte è facile immaginare quante barche stazionino in laguna. Un vero villaggio di boat people. Barche lussuose, ma anche zingaresche, bellissime e orrende,molte vecchie ed arrugginite, ma tutte abitate da un variopinto mondo internazionale di naviganti. Alcuni sfrecciano con il loro gommoni con motori vissuti,altri se la fanno a remi dalla barca a terra,altri ancora hanno dingy con veletta e si spostano così dalla barca per far acquisti in giro.
Ma l`acquisto dei balocchi non finisce qui. A 10 minuti di bus c`è Philisburg. Qui arrivano in continuazione le navi crociera con migliaia di turisti, un genere di boat people molto diverso : spendono e spandono nei numerosissimi negozi che si trovano in prossimità dei moli. Gioielli,profumi,elettronica,macchine fotografiche,abbigliamento,ecc tutto a prezzi in dollari e tax free.Dietro i banchi ci sono quasi sempre indiani ed è divertente trattare per tirar giù i prezzi. Con un pò di fortuna si possono
fare buoni acquisti.


St. Kitts, Ballast Bay, 7 aprile 2008

2008-04-07

Parlare del meteo ai Caraibi sarebbe troppo lungo e per molti noioso, ma qualche idea bisogna pur averla.
In questo periodo, lontani ancora dai mesi estivi noti per gli uragani, tutto dipende dal ventilatore che si trova a NE, più o meno, dei Caraibi in mezzo all`Atlantico.
Questo ventilatore ha un nome sulle carte meteo :"H", ovvero alta pressione. L`aria gira in senso orario dal suo centro verso l`esterno e quindi verso zone di minor pressione con un certo angolo di incidenza.
Questo angolo è la direzione dalla quale provengono i cd TRADES, cioè l`aliseo usato da sempre per i traffici marittimi commerciali ( TRADE = commercio).
La loro direzione ed intensità dipende da quanto l`Alta ha voglia di farsi sentire o meno. E dipende anche dalla Bassa, o fronti, che dalla costa USA la voglione spostare.
In sostanza più è vicina e salda, con la sua pancia (isobare) ben posata e schiacciata sui Caraibi e più noi si fa terzaroli.
Questo però non vuol dire sempre sole, anzi spesso dall`Atlantico arrivano treni di snuvolazzi carichi di umidità che appena incontrano le isole più alte, come St Martin, si trasformano in acquazzoni anche rafficati. Almeno le barche sono sempre pulite !
Qui in sostanza il vento non manca mai, spesso è anche troppo. Non ricordo una smotorata con mare piatto. Ricordo invece molto bene smotorate inevitabili contro mare e vento per raggiungere isole sopravento.
Gestire il tutto per assicurarsi veleggiate piacevoli non è facile, ma oggi con le info meteo che arrivano a bordo via radio cerchiamo di ridurre gli imprevisti. Ma sulle info meteo sarò più preciso in una prossima puntata.


Le Saints, Guadalupe, 12 aprile 2008.

2008-04-12

Come detto la volta scorsa qui il vento non
manca mai. L`altro giorno però ne abbiamo preso che basta!
Da Nevis a
Guadalupa, rotta vera 137°, ci siamo trovati l`inevitabiled aliseo da E
a 25/30 n di apparente, mare molto formato dai giorni precedenti,
insomma un bel 6 B.
Non riuscivamo a fare più di155°, ma abbiamo
recuperato con un buono sotto Monserrat e poi nel tardo pomeriggio
sotto Guadalupe smotorata di sole 10 mg.
Dopo 10 ore di questa bolina
eravamo ricoperti di sale sino alla luce di fonda, con qualche schizzo
sotto la cappotta giù per la scaletta !
E non c`è nulla da fare anche
scrutando per bene le fonti meteo. Per esempio ora sono molto usati i
grib file - ma forse ne avevo già parlato- che riceviamo via radio ( v.
foto). Questi danno per la zona prescelta direzione ed intensità del
vento ad intervalli anche di 6 ore sino a 10 gg. Naturalmente a 3 gg
sono più affidabili. Altri file danno anche l`altezza delle onde
prevista,altri ancora tutti questi dati insieme per un punto a piacere(
lat/long)dove la rotta prescelta dovrà passare.
Il gioco quindi dei
boat people è quello di prevedere non se ci sarà vento e da che parte,
ma se sarà maneggevole in base alla rotta. Tutto cambia se invece che E
sarà 70° o 100/110.
E ancora se l`onda sarà di 10 feet(3 mt) o solo 6
feet(1,8 mt.). Alle volte queste differenze non sono così evidenti
nella previsione e allora si piglia, come sempre in mare, quello che
viene.


Dominica, 16 aprile 2008 : L`isola verde smeraldo

2008-04-16

Da Bas du Fort, Guadalupe, ci sono poco più di 40 mg per raggiungere verso sud Dominica, naturalmente di bolina. Sempre per il solito giochino della variazione nella direzione del vento attorno i 90°. Se hai fortuna quel giorno gira a NNE, se hai sfiga viene da ESE e questa differenza di 20/30°fa anche la differenza per la qualità della vita a bordo, soprattutto con onde da 2 a 3 mt.Noi ci siamo beccati l`ESE !
Dominica è un`isola diversa ed inaccessibile.
Diversa perchè molto grande e montagnosa,le nuvole dell`aliseo si fermano, piove e così l`isola appare come uno smeraldo sotto variopinti, anche doppi,arcobaleni.
Inaccessibile perchè la costa est rimane battuta dall`oceano, quella ovest è comunque alta con un solo grande baione a NNW,Prince Rupert Bay. Da qui si può partire per almeno un paio di esplorazioni dell`interno.
Naturalmente bisogna prima soddisfare le aspettative del comitato di accoglienza. Qui, per fortuna, si sono organizzati professionalmente. Prima erano dei ragazzotti di dubbia affidabilità, ora si sono trasformati in Guide con tanto di foto al collo e bigliettino da visita, come i battitori in Piazza.
Questa mattina giretto di un paio di ore a risalire l`Indian River: un Rio delle Amazzoni in miniatura.
La barchetta risaliva a remi lungo sponde ove la vegetazione oscurava il cielo. Liane,croton enormi,palme,bamboo,callaloo con grandi foglie ad orecchio di elefante,ibiscus bianche e gialli,colibri, radici galleggianti,pesci a pelo d`acqua ..insomma una natura ancora padrona ci sfilava lentamente da prua. Il rumore silenzioso della scena, ritmato dal leggero tonfo dei remi, era rotto impietosamente dalla voce roca ed incomprensibile della nostra guida alticcia e con un nome altisonante," I`m King
Robert,wellcome in Paradise!" Anche qui!


Granadine, Mustique 26 aprile 2008 : Piccole storie.

2008-04-26

A Wallalibou, una piccola ansa a ovest di St Vincent,subito dopo un ormeggio trafficato tra scoglietti e raffiche ma aiutati dai vendors locali,inizia la trafila delle barchette con scurotti che vogliono venderti di tutto. Chi pesce, ma avevamo un baracuda,chi manghi, chi banane e lime e chi ...sogni. Già sogni. Si è avvicinato per ultimo un vecchietto male in arnese, un pò sdentato ed un sorriso da fanciullo. " Se volete vi vendo di tutto - in un inglese borbottato-  nel mio locale sotto le palme,
vendo anch`io frutta, pesci che cucino, ma se volete..vendo anche sogni" ...e gli occhi hanno avuto un lampo quando hanno scorto lassù contro luce la bandiera italiana." Ma sieeete italianii...I love italian music, opera, Pavarotti, Donizzetti..ogni domenica la serata è dedicata all`opera..I love opera". La prossima volta torneremo di domenica !

A bordo molti strumenti hanno un loro nome, alle volte un sopranome quasi per dar loro un posto in questa famiglia piuttosto ristretta. Ci sono i ragazzi in sala macchine, ovvero il motore Yanmar ed il generatore Onan,che vanno spesso coccolati e viziati.C`è chi lavora ogni tanto e solo quando gli altri stanno fermi : Barichello, il nostro gommone . Si chiama così perchè è sempre dietro, arriva secondo e ogni tanto- senza motorino !- derapa ed esce di pista rovesciandosi in curva sotto raffica.
Però senza di lui e gli 8 cavalli del suo Yamaha, è come stare senza macchina sotto casa, anzi peggio, se non vuoi andare a riva a nuoto e ritornare con la baguette tra i denti.

Verso poppa, sul lato destro, ha trovato posto definitivo il barbeque acquistato a St Lucia il giorno dopo il  nostro arrivo.
Le prime volte combinavo disastri con il grasso di pollo o carne, o pesce che mi colava tra le griglie sollevando fiamme da estintore. Di solito si cucina di sera e spesso tira anche vento. Tenere la fiamma per la cottura giusta,girare al minuto i tranci , non perdere paletta o forchetta in acqua mentre apri e chiudi il coperchio rovente con il faretto in testa, il tutto è davvero un gioco tipo calipso music, come vedemmo la notte di Capodanno, tra mangiatori di fuoco e ballerine sculettanti, illuminate
al passaggio sotto barre incandescenti sempre più basse.....e alla fine voilà tra fumo e scintille la grigliata è servità !


Granadine, Tobago Cay, 29 aprile 2008 : SPECIALE TOBAGO, foto and much more!!!

2008-04-29

Tobago è una pozza blu dove ancorare su sabbia bianca di fronte
all`oceano.
Questo è possibile perchè da N verso E e S siamo divisi dal mare da un
reef a ferro di cavallo e infatti si chiama Horse Shoe Reef.
Per entrarci da W, con buona visibilità e sole alle spalle, non ci sono
problemi passando tra vari bassi fondi di corallo.
Con l`allineamento sul plotter poi, oggi è tutto molto più facile. Una
volta entrati, e cancellate per un attimo le barche alla fonda,sembra
davvero di entrare in un santuario della natura.
La luce e i colori prima di tutto.
La prua scivola tra riverberi azzurro smeraldo, il fondo bianco
luminescente da trasparenza viva alle crestine appena segnate dalla brezza.
Se alzi lo sguardo c`è una linea netta. L`orizzonte blu viola del mare,
sopra l`aliseo spinge le nuvole tra l`azzurro manganese del cielo. Ogni
nuvola, scorrendo sopra l`albero,chiazza di viola lo specchio
luminescente di Tobago.
Attorno l`ancoraggio il verde un pò bruciato di morbide isolette
completano il cerchio.
Lingue di sabbia accecante si allungano sfumando il limite tra l`onda e
le alte palme mosse dal vento.
Pochi tratti di colori quasi puri e l`aquerello è finito.
Il Cay è anche però ricco di una certa animazione accompagnata
dall`eterno mormorio del mare che frange sul reef.
Simpatici , piccoli gabbiani, tra un pesciolino e l`altro, aspettano
l`occasione buona che qualche lancio di cibo arrivi dalle barche.Gli
scurotti locali sono, più o meno,come i gabbiani. Appena vedono un certo
minimo movimento sulle barche alla fonda si fiondano, per non parlare
quando arrivi, ad offrirti di tutto. Questa mattina alle 7
,toc..toc..bussano al fianco della barca, é arrivata la baguette, calda,ordinata la
sera prima !
Poi arrivano quelli del pesce, naturalmente le magliette non mancano e
il ghiaccio neppure.Per questa sera abbiamo visto che hanno aragoste,
vedremo come andrà a finire.
Poi ci sono gli altri, ovvero i catamarani charter e qualche isolato
barcaiolo.
Per fortuna c`è spazio per tutti, sempre che non ti capiti vicino e
sopra vento una di queste zattere con sopra da 10 a 12 pelle bianca.
Allora ti arriva, molto bene,la musica loro preferita ad un volume tale che
sembra siano sordi. Ronzano con i gommoni in continuazione tra zattera
e spiaggia per pascolare adulti e bambini. Ieri siamo stati molto
fortunati: una zattera ,con 8 bambini urlanti ed exagitati,se ne è andata
quando già pensavo di spostarmi per non rovinarmi il tramonto.
I tramonti da queste parti, ormai lo sapete benissimo,sono davvero
unici. E`come iniziase una rappresentazione.
Dalle barche tutti si spostano a poppa( vento da est e sole a Ovest).
Macchine fotografiche e telecamere puntate e inizia lo spettacolo.
E che dire delle stelle ? Loro stanno lì da sempre e noi da sotto
vorremmo capirci di più, ma noi con il solito punch non siamo nelle
condizioni migliori.Forse è meglio così. A domani.

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Venezuela - Isole Los Testigos, 10 maggio 2008 : tre granelli di sabbia

2008-05-10

Qui l`aliseo arriva con il gran soffio del mare aperto. Da Grenada si scende per 85 mg ed a E di Testigo Grande, si fa per dire,si gira subito a destra ed il mare si smorza. Oltre una piccola, semisommersa lingua di sabbia e corallo c`è l`ancoraggio.
Si vede il fondo e l`ancora si infila subito nella sabbia.
Alzi lo sguardo.Di fronte tre casupole,una rosa,una verde e una azzurra fanno un villaggio. Il vento a raffiche agita le sei barche all`ancora.Sulla riva a sinistra un rado palmeto regala ombra ad altre misere capanne di pescatori.
Con il binocolo osservo con stupore le peripezie di quattro diavoli che stanno caricando una lancia. Non c`è pontile e portano tutto bagnandosi sino oltre la cintura.
Quando scendiamo una gentilissima coppia, che poi scopriamo gestisce un baretto alla casetta verde,ci indica il sentiero per raggiungere la parte sopra vento dell`isola. Arrivando avevamo visto spiagge dalle alte dune ed avevamo letto che le tartarughe lì deponevano le uova.
Tra spinosi alti cactus, pietre ed il sole allo zenit riusciamo a non perdere l`incerto sentiero. Nel caldo senti solo il fischio del vento, qualche richiamo d`uccello e l`ansare della fatica . In barca, ai noi!, il massimo che possiamo fare sono i 16 mt della lunghezza che ripetiamo più volte per sgranchire le gambe sempre più malferme.
Usciti dalle sterpaglie lo spettacolo è superbo. A sud intravediamo le barche,macchioline bianche tra lo smeraldo, a nord tra le quinte della bassa vegetazione un canalone di sabbia abbagliante, in fondo il mare vibra.
Scendiamo sino al mare incontro alle onde che alte si infrangono scivolando poi sino ai nostri piedi.
Lo sguardo però è altrove.Cerchiamo una traccia,un piccolo movimento che riveli la presenza delle nostre tartarughe.
I polaroid non bastano, la luce riverbera dalla sabbia che sottile scricchiola sotto i nostri piedi.
Camminiamo, semplicemente camminiamo.
Oltre un basso e piccolo pietroso promontorio, ancora spiaggia. Andiamo sino in fondo. Laggiù.
Oltre la battigia, ove l`onda non arriva ma scava solo rodendo il duro arenile, una traccia finalmente.
Quasi un disegno di un gioco sulla sabbia, oppure una materica composizione d`arte moderna, semplicemente il faticoso avanzare di una pesante testuggine. Il disegno, se ben guardato, è però preciso ed il segno lasciato dalle zampe porta ad un cumolo di sabbia. Forse là sotto ci sono le uova.
Ritorniamo sui nostri passi seguendo le orme lasciate sulla sabbia . Il mare monta e le porta via.


Venezuela, Puerto La Cruz.21 maggio 2008

2008-05-22

Venezuela, Puerto La Cruz. Marina Bahia Redonda, 22 maggio 2008 : Elogio a EUTIKIA

….e già,come tutte le storie, anche questa sta voltando pagina. Siamo arrivati in Venezuela dopo 7.805 miglia da Lignano, da dove siamo partiti il 7 maggio 2007.

Chi ci ha portato sino qui è stata la nostra buona Stella e la nostra barca Eutikia .

Eutikia ha visto per noi notte e giorno.

Miglia e miglia sono passate scivolando in poppa sulle creste dell’oceano, con la prua ha solcato bianche creste di bolina, respirando con l’aliseo dei Carabi. Il vento ha giocato con le sue vele e qualche volta è stato davvero rabbioso. Ma Eutikia ha sempre trovato la giusta rotta ed è stato un “ navegar come Dio comanda “.

 Il giorno  le ha portato il cielo cobalto, il veloce scorrere di bianche nuvole spinte dal soffio dell’Atlantico ma anche di grigie minacciose nuvole cariche di pioggia. Tramonti infuocati  le hanno arrossato le vele, la notte tante, tante stelle e la luna, la luna, che dire della luna ?

Eutikia ci ha cullato in calmi ridossi. Presa per il naso, mordeva il freno, guizzando sotto raffica , ma anche lei gioiosa specchiandosi su un mare smeraldo oppure immobile sotto la nera volta del cielo tra la Polare e la Croce del Sud.

Ma l’immagine , il regalo più bello, l’emozione più forte è sempre la stessa.

La prua che scivola sull’onda tra riflessi d’arcobaleno, un chiarore di bianche vele, il blu del mare che scorre di poppa, veloce, lungo una scia senza spazio , né tempo. E lo sguardo torna verso la prossima onda, oltre c’è solo un nuovo orizzonte.

Arrivederci e grazie a tutti.

Marina & Gianni


VENEZIA 22 ottobre 2008 - RIECCOCI !

2008-10-22

RIECCOCI !

Un carissimo saluto a tutti gli amici , vecchi e nuovi.

Ai primi di novembre saremo di nuovo a bordo di EUTIKIA.

Ci sarà un bel da fare per rimetterla in ordine e rifar vela verso....dove lo scopriremo insieme.

Per ora una breve raccolta di nuove foto inedite della scorsa stagione e qualche suggerimento.

Ricordo a chi volesse scriverci sul Message Board di lasciare il proprio indirizzo e.m. per consentirci di rispondere.

Per esser rapidamente informati sugli aggiornamenti del Diario conviene registrare la propria e.m. nell`apposita funzione, "Subscribe to my News"  evidenziata a sx della home page.

A presto allora ! ...o meglio Hasta Pronto....stiamo studiando lo spagnolo ;-))!


DOMANI SI TORNA IN ACQUA - Puerto La Cruz 16.11.2008

2008-11-16

Domani si torna in acqua.

Al tramonto è il momento ideale per fare il bilancio della giornata.

E in questi giorni i tramonti sono stati piuttosto lunghi. Molti lavori e però molta soddisfazione. Ora è quasi buio, le mie mani sono ancora nere di olio, grasso e antivegetativa, ma finalmente sono riuscito a trovare una connessione decente per internet. Dove ci troviamo a terra siamo completamente schermati.

Marina invece non è molto soddisfatta. Mi ha aiutato a mettere su l`elica principale e quella di prua, ma la barca è un completo casino dentro e fuori. E da qualche giorno di pomeriggio anche piove....con orme nere ovunque.

Ora l`I.POD sta partendo con i Vangelis , un buon Matteus e via a contare i pellicani che vengono a svolazzare sulle nostre teste cercando un buon ridosso per passare la notte.

hasta pronto


Chi c`e` a Bahia Redonda Marina ?

2008-11-30

Puerto La Cruz, 30 novembre 2008

Chi c`e` a Bahia Redonda Marina ?

L`ultima indagine demografica , mi ha assicurato la gerente tutta British del Minimarket, segnala la presenza di 20 gatti. I cani non sarebbero molti meno. Vivono tutti in perfetta armonia, di solito dormendo e qualche volta, rara, mangiando quello che arriva dalle barche. E cosi` che Marina e` stata adottata da un cagnetto. Fu galeotto una cartina di carne macinata, ora appena la fiuta non la molla.

I canni e i gatti convivono con le iguane, anche se ad una certa distanza. L`altro giorno ho visto volare un`iguana dalla riva in acqua inseguita da un cagnotto seccato della sua presenza vicino alla ciottola del cibo.

I gatti, i cani e le iguane ci salvano da altre odiose presenze, dai topastri e da altre piccole bestioline scure a molte zampette che adorano di solito salire sulle barche.

Se da terra alzi gli occhi al cielo allora c`e` da meravigliarsi davvero.

I primi a comparire sono le fortezze volanti, i pellicani. Possenti ma leggeri vibrano nell`aria come aquiloni. Stallano tra le correnti ascendenti in formazione a delta, scrutano la cresta delle onde e piombano sul pescetto di turno come se partissero all`attacco in scivolata d`ala.

In risalita devono poi sfuggire alle fregate che li aspettano al varco per carpire loro da dentro il becco il pesce appena pescato. Inizia cosi` una danza da veri acrobati del cielo finche` uno dei due non vince o si stanca. E la caccia ai pesci continua.

Per ultimo c`e` Yachty, spero si scriva cosi`. Un cagnetto di compagnia, grigetto e ricciolino, che esce in passeggiata solo al guinzaglio. Alla fine del guinzaglio, piuttosto lungo, compare la coppia dei padroni. Lui alto con barbetta , lei bassetta con un caschetto di capelli grigi. " hi, hello ! "..." Buenos dias ! " " Buon goirno"..non so mai come salutarli, parlano di tutto..saltando, " jamping" come dice lui, da un idioma all`altro. Sono tedeschi pero` e Yachty dovrebbe stare per yachtsman....come al solito pero` il discorso non va oltre e si ferma alla simpatia del cagnetto...." I see you "..." hasta pronto ! " " ciaoo" e via ai prossimi incontri......da non perdere!

In arrivo foto....etnografiche

 


Ora un po` di Umanita`

2008-12-09

Venezuela, Puerto La cruz, Bahia Redonda marina. 9 dicembre 2008.

A dire il vero non e` che qui abbiamo conosciuto molta gente.

Uscire dal marina a piedi e` rischioso e cosi` conosciamo abbastanza i tassisti. Con il nostro spagnolo in miglioramento riusciamo a capire come la pensa la gente di qui`. Mas meno come in Italia! La maggioranza e` contro Chiaves, il loro Presidente, pero` alle elezioni vince lui, come il Berlusca da noi.....forse anche perche` la benzina costa 10 lt = 1 Bolivar ..1 Eu=62 Bolivar , capito ?

Nei SuperMercati c`e` quasi tutto e il costo della vita per loro e` altino, per noi ovviamente no. Da non credere pero` e` la quantita` di roba che comprano, arrivano alla cassa stracarichi. I prodotti di bellezza vanno a ruba. Qui le donne se hanno molto seno lo riducono,se poco lo aumentano. Agli uomini non ho chiesto cosa fanno. Se pero` hai gli occhi azzurri e la pelle bianca potresti facilmente concupire miss Venezuela, che e` poi per quest`anno miss Universo.

I macchinoni, tipo monovolume abbondano, i bus pubblici sono peggiori di quelli di Nuova Delhi. Le strade sono limpiade=pulite per bene e non ci sono vu compra`.Il traffico da terzo mondo, ma sono attenti. Un appassionato di " modernariato"d`auto non avrebbe che l`imbarazzo della scelta.Ieri il nostro taxi Ford aveva 28 anni, il tassista sicuramente molti di meno.

Le case lungo le strade sembrano carceri, anzi i primi giorni pensavo che qui vicino ci fossero le carceri, poi ho visto che sono tutte cosi`, sono tutte con le inferiate alle finestre sino all`ultimo piano, che potrebbe esser anche il decimo !

In compenso oggi girando in gommone dal marina, attraverso una laguna interna, verso un Supermercato ,attorno a noi solo ville e villoni con posto barca di fronte. Gli stili sono i piu` diversi, alcune alla L.Wright altre  da Bianca Neve e i sette  nani, dove i nani sono i vigilantes armati sino ai denti.

Alla sera, prima di andare a dormire, tiro su la passerella e saluto il mio vigilantes personale. Sta seduto tutta la notte sulla testata del pontone dove stanno allineate le nostre barche. Gli passo una bibita e si tira su il bavero contro un vento teso e velenoso, ma non freddo..per noi. Ogni tanto in piena notte sento strillare un cellulare, e` il suo, dall`altra parte la sua chica. E in tanto la madrugada sta per finire con le prime luci dell`alba tra le palme.

La prossima volta andro` piu` nel dettaglio con ritratti e vere storie di vita.

 

 


QUALCHE RITRATTO APPENA ABBOZZATO

2008-12-14

Qualche ritratto appena abbozzato. Puerto La Cruz, 14 dicembre 2008

 

Sono giovanissimi i ragazzi del varadero=cantiere. Quest`anno indossano anche una divisa blu e sembrano professionali, ...quasi. Mi hanno limpiato e pintato  il fondo con l`antivegetativa. Quasi tutti lavorano e studiano, almeno cosi` dicono. Bolivar all`universita` segue un diploma per la Sicurezza nei posti di lavoro..!, Paul uno in elettronica e Victor, che non studia, tiene una chica che gli ha dato un nino da pochi mesi. Non sempre sono gli stessi.Girano sotto l`ombra delle barche e canticchiano. Conoscono Venditti ed il Milan di Ronaldino, pero` di Venezia mai sentito parlare. Hanno tutti due cose in comune : il telefonino e pochissima voglia di imparare un mestiere lavorando.Appena possono lavorano a turno, uno limpia o pinta, gli altri giochicchiano al cellulare seduti all`ombra della barca accanto. All`improvviso schizzano. Hanno sentito, piu` che visto, i passi del capo cantiere. Fanno a moina, come dicono a Napoli, e poi il gioco rincomincia. Hanno tutti un bel sorriso e quando li porti un maltino frio ( una specie di incrocio tra birra scura e cocacola) diventi quasi un loro amico. FOTO

Chi lavora, invece, e molto sono i controllori bigliettai dei bus, quelli che cadono a pezzi e che viaggiano con le due porte aperte perche` spesso non le hanno . Sono veloci acrobati. Scendono prima che il bus si fermi. fanno i biglietti alla gente mentre sale o e` gia` dentro. Mentre il bus riparte rizompano a poppa, con una mano stringono i bolivar della cassa e con l`altra afferrano l`ultimo appiglio e voila` risalgono, dopo un ultimo controllo, e via in una nube nera di scarico e un gran polverone. Paese che vai... I.MOB che trovi ! Per chi non fosse veneziano e` cosi` chiamato il sistema elettronico di accesso al servizio urbano di trasporto, con una fondamentale differenza , pero`, qui tutti pagano il biglietto, a Venezia sui bus l`evasione e` quasi la regola bip, o non bip.

Tonino lavora in pescheria. O meglio HA una pescheria. Viene da Gaeta e con suo figlio gestisce un`azienda di prodotti ittici. Avete presente quelle scatole azzurre di gamberoni o di calamari che spesso si intravedono tra il vapore surgelato degli espositori nei Supermercati ? Molte sono spedite da Tonino, anzi un suo importante cliente tine il deposito proprio a Marcon ! Con il cellulare Tonino ordina ai suoi di scaricare il pescado dal peschereccio, altri lo sciacquano , lo dividono per pezzature, lo inscatolano e lo portano nei freezer. Ci sono entrato anche io..- 27 c, fuori + 30, da MORIRE ! Abbiamo preso qualche scatola di camarones e un blocco di calamari. Devo dire che erano squisiti. Se li trovero` in Italia non avro` dubbi.

La sto facendo un po` lunga ma mi mancano Luisa e Paolo.

Luisa e` una chica muy bonita ma soprattutto molto intelligente. L`abbiamo conosciuta per caso . Una sera avevamo invitato per cena Claudio, il nostro vicino di barca, ma al tramonto ha avuto visite e cosi` abbiamo aggiunto un posto a tavola. Il giorno dopo Claudio e` partito e Luisa ci ha adottati. Con il suo bel italiano, e con mani che non stanno mai ferme, ci ha raccontato a puntate la sua vita, di sua figlia , dei suoi mariti, anche uno italiano, ma nessun venezuelano. La storia inzia quando la madre mandave la piccolissima Luisa a vendere impanadas per pochi bolivars lungo le spiagge di Porto La Cruz. Poi si e` mantenuta agli studi ed e` entrata all`universita`, poi e` entrata in banca. Alla fine in una agenzia finanziaria internazionale.Ora vive di rendita. Quando sua figlia aveva solo due anni, in una brutta notte di pioggia battente ha incontrato la morte contro un camion fermo al buio. Ma non era la sua ora. Ne e` uscita a pezzi, ma viva. Dopo molte sofferte operazioni e tornata a rivivere, sempre con un bel sorriso e gran volonta`. Ama la sua gente ed e` convinta in un futuro migliore, con una nuova cultura crede che si possa combattere la poverta` che certo qui non manca. Ne risentiremo parlare.FOTO

I bolognesi credo abbiano il primato della simpatia, Paolo non e` certo un`eccezione.Stava, con altri amici piu` o meno come lui, a bordo della barca di Claudio . Il bello della vicenda e` che erano venuti per una crociera di 10 gg ma da 7 stavano cercando di far partire un motore. Ogni tanto emergevano in pozzetto con bulloni o la testata del motore , con mani nere e grondanti sudore, ma le battute non mancavano mai ! la moglie da Bologna ogni tanto lo consolava via Skipe e lui girando con il pc fuori della barca le faceva vedere con la telecamerina le bellezze del marina, non il mare e le spiagge per le quali eran venuti. " ohoh ..qui sta tutto BeliSSimo, alcune chicas mo sono beLLe,.....ma le altre poi...... sono beliSSSime !  soch ! " Alla fine sono partiti lo stesso, la barca  ha due motori, ma senza servizi, salpa ancore e luci. Hanno fatto in quasi 3 gg, 50 mg andare e 50 a tornare da Tortuga. Praticamente toccata e fuga, ma erano felicissimi...avevano molto da raccontare. Dimenticavo di dirvi che la barca di Claudio e` un ketch di 57 piedi. Lo ha comprato in Adriatico usato 16 anni fa, ora sta qui da 15. Per Claudio era la prima barca in assoluto ! Anche di Claudio ne riparleremo.FOTO

Naturalmente tutti i nomi sono di fantasia, ma le vicende no.

 


TORTUGA

2008-12-29

TORTUGA, Cayo Herradura, 29 dicembre 2008

 

Si parte da Puerto La Cruz, finalmente ! Cavetto sostituito, vela nuova Natalina issata e via.

Usciamo alle 7 con un bel 18/20 nodi e Natalina , cosi’ chiamata dal giorno del suo arrivo, fa subito bella figura. Bolina larga sui 60g. ondina. Usciamo dalla zona portuale e siamo in mare.

L’aliseo si stende da NE, 20/25 ma poggiamo un po’ verso Tortuga a 51 mg.

Una bella volata a piu’ di 7 n. e arriviamo alle 14. Giriamo molto larghi la punta di NE. Qui si sono incagliate molte barche. La C-MAP, la carta elettr.di bordo, qui non e’ precisa. Prudenza e occhio !

Girata la punta rientriamo da ovest. Il mare si calma. Ancora in 4 mt e incominciamo a rollare. Il vento sta a est, ma l’onda gira il capo e ci prende di fianco. Dormiamo non bene. La scena pero’ e’ spettacolare. Siamo circondati da una lunghissima spiaggia bianca. Dietro le dune il mare frange e si sente il rombo, lontano. Basse mongrovie lasciano qualche pennellata di verde chiaro. Qualche tettoia abbandonata e qualche casetta lontana la’ dove dovrebbe essere una piccola pista di atterraggio. Sulla riva del mare, con il muso sulla sabbia, un piccolo aereo ricordera’ per sempre al suo pilota e a chi era a bordo che la vita e’ molto bella.

Il giorno dopo facciamo subito vela per Cayo Herradura e l’equipaggio riprende confidenza con il mare e con la barca. Dopo solo 2 ore diamo ancora in 4 mt. di fianco all’Ocean Sun Rise di Gianni e Noelia. Hanno a bordo la sorella di Noelia con tutta l’allegra famigliola.

Attorno a noi un vero spettacolo. Spiaggia bianca, cielo blu , veloci nubi violacee si spostano all’orizzonte. La barca galleggia su verde smeraldo, chiaro. Il vento fischia e alza piccole crestine. Vento e silenzio. Credo che qui staremo molto bene.


BLANQUILLA. 10 gennaio 2009

2009-01-10

 

Nessuno. La prima impressione e’ quella di esser approdati su un’isola, o meglio su un granello di sabbia, di quelle che esistono solo come idea nella nostra testa.

Due palme indicano la direzione ove calare l’ancora su una macchia azzurro intenso. Li’ c’e’ sabbia e fara’ presa. Davanti a noi piccole spiagge scandite da reef appuntiti ma ben segnati.

Tra noi ed il bagnasciuga pellicani e fregate passano il tempo cercando la termica giusta, planano, scartano e giu’ un bel tuffo. Alzano il becco e giu’. La colazione anche per oggi e’ assicurata .

C’e’ da non credere, in un giorno faranno decine e decine di tuffi in velocita’ e da una certa altezza. Devono avere una bella testa dura.

Il vento soffia da terra. Le nuvole si fanno portare nella stessa direzione. Non tutte pero’.

Alcune , piu’ scure e basse, non ne vogliono sapere. Alle volte sono cariche di pioggia, scartano, fanno deviare e rinforzare il vento. Qualche raffica e gia’ sono passate. E ritorna l’azzurro.

Alle nostre spalle, il mare. Appena increspato sotto riva, poi via via, piu’ al largo vedi qualche cresta bianca e immagini gia’ una distesa d’onde , di mare formato, sino all’orizzonte.

Qui l’orizzonte e’ proprio una linea certa. Puoi vedere la cresta di una nuvola far capolino laggiu’ e poi lentamente sparire come se si infilasse nel mare. Con il sole al tramonto tra i nuvoloni sparsi , il gioco sta nel cogliere il momento del suo tocco con l’orizzonte. Non c’e’ piu’ TEMPO. E noi siamo qui.

 


BLANQUILLA, 13 GENNAIO 2009

2009-01-13

Ormai i pellicani hanno fatto l’abitudine alla nostra presenza. Anzi si esibiscono in vere acrobazie per stupirci. Scendono a volo radente, si impennano, scrutano d’intralice il malcapitato pescetto sotto lo specchio d’acqua, e ..,zac, tuffo e rimbalzo con il lungo becco che fa appena intravedere gli ultimi guizzi del malcapitato. Dopo pochi minuti la storia si ripete, senza soste sino a sera.

Senza sosta passano anche le nuvole spinte dal vento che fischia tra le sartie. Passano alle volte molto scure e basse, allora il vento rinfresca e cambia direzione, qualche goccia o un po’ di doccia, poi piu’ nulla. Torna il sole. Come ogni mattina. Sale tra le due palme, sale, sale tra l’azzurro e le nuvole violacee, ci passa sopra e ridiscende oltre, verso ovest. Allora e’ vero spettacolo. Una palla infuocata veloce si infila nel mare e ci lascia con sorella luna.

Anche lei s’alza tra le palme. La sua luce, prima radente e fioca, prende coraggio salendo. Non fai in tempo a gustarti il fondo del bicchierino di rum ed e’ gia’ alta. Una luce argentea illumina noi, la spiaggia, le palme ed la superficie striata del mare che ci circonda. Certo aiuta Ipnos e ci infiliamo in cuccia. Tra le sartie il vento non smette di farsi sentire. Vedremo domani.

 


Da Blanquilla alla Repubblica Dominicana. 23 gennaio 2009

2009-01-23

“Salpammo dalla rada di Barcelona ( Venezuela) il 24 novembre (1803)  alle 9 di sera…l’aria era di quel fresco caratteristico delle notti dei tropici di cui e’ difficile immaginare la piacevolezza..” cosi’ Alexander von Humbolt inizia il suo diario di viaggio verso Cuba.

Negli anni dal 1799 al 1804 aveva esplorato il Rio delle Amazzoni,la Cordigliera andina, Cuba e Messico. Aveva raccolto casse e casse di materiale scientifico. Pietre , animali in formalina, piante, disegni e rilevamenti erano la sua preziosa collezione da portare in Europa.

Quando rientro’  pubblico’ a sue spese la relazione storica “ Viaggio alle regioni equinoziali del Nuovo Continente” Fu un successo clamoroso. Humbolt, poco piu’ che trentenne e gia’ ricco di famiglia , passo’ il resto della sua vita a girare l’Europa per conferenze ed a raccogliere onorificenze. Ancora oggi questa superba raccolta di scritti e di originali acquerelli di piante , uccelli, paesaggi e’ tra le pubblicazioni piu’ ricercate dai collezionisti ed antiquari.

“ Fummo in rada a L’Avana il 19 dicembre, dopo 25 giorni di navigazione con tempo quasi costantemente cattivo”…..speriamo che a noi vada meglio.

Per ora siamo arrivati dopo 450 mg alla Repubblica Dominicana. Abbiamo attraversato da sud a nord in diretta il Caribbe che e’ stato molto benevolo con noi. Un vento giusto ci ha accompagnato su un mare un po’ stanco di fare il broncio.

Il momento della partenza da Blanquilla e’ stato studiato, dati meteo alla mano, nei dettagli per non aver sorprese troppo negative. La radio ci ha dato una grande mano e cosi’ pure Enzo sul Tatanai dalle San Blas ci ha ogni sera confortato con i sui esperti commenti meteo durante il net con gli italiani ai Caraibi.

Con qualche ora di sonno in meno siamo cosi’ felicemente approdati al Marina de Campo, verso la punta est della RD.

Piu’ che un marina e’ un enorme area turistica ( 10 km x 10 km ) per riccastri...ville, piscine, campi da golf, da tennis, campo da polo..and much more. Per attraversare  in macchina i suoi viali non bastano 20 minuti. Il verde e’ ovunque a giardino. Palme di ogni foggia, croton, fiori, bouganville variopinte, non un filo d’erba fuori posto.

Naturalmente non mancano i ristoranti, i centri commerciali, negozi griffati e piazzette tipo Portofino…gli architetti sono tutti italiani !..ma i soldi vengono dalla canna da zucchero e da quella povera storia di miseria che da sempre ha accompagnato gli schiavi d’Africa dal loro arrivo alle Antille. Ma ne ripaleremo.


SANTIAGO DE CUBA 5 FEBBRAIO 2009

2009-02-05

 

" Il nome dei Caribi – continua A.von Humboldt - , che ho incontrato per la prima volta in una lettera di P.Martire di Anghiera, deriva da Calina e da Caripuna, ove le l e le p si trasformarono in r e b . Ed e’ anche veramente notevole che questo nome, che Colombo udi’ per la prima volta dalla popolazione di Haiti, si ritrovi sia presso i Caribi delle isole che in quelli del continente. Da Carina o Calina si e’ passati a Caribi, denominazione con cui viene designata nella Guyana francese una popolazione che parla la lingua caribe."

Di Caribi ora non ve ne sono praticamente piu’. Forse un seme e’ rimasto tra i villaggi che tuttora si trovano nella parte meno accessibile di Dominica nella sua parte piu’ selvaggia di nord est.

Gia’ ai tempi di Humboldt la situazione era di molto cambiata " Abbiamo notato come – nel 1823 –

nelle Antille, su una popolazione totale di 2.843.000 abitanti il 17% corrisponde ai bianchi e l’83% a uomini di colore, schiavi o liberi che siano" Gli schiavi erano almeno 1.147.500.

Continuare la lettura del resoconto di viaggio di Humboldt aiuta a capire anche la diversita’ che tuttora permane tra le isole che abbiamo solo toccato attraversando il Caribbe e giungendo a Cuba.

Ad esempio ci ha molto colpito quello scampolo di Haiti, parte pero’ significativa per il tutto, che abbiamo visto all’ Isola A Vache. La popolazione locale discende da quegli schiavi che gettarono a mare i loro padroni francesi nel 1789 , ironia della sorte in piena Rivoluzione francese.

Acquistarono la liberta’ ma persero l’occasione per lo sviluppo. La produzione di zucchero si sposto’ a Cuba e a est di Hispagnola, dove i dominicani fecero di tutto per tenersi separati dai negri d’Africa di Haiti. Ancor oggi uno scurotto della Rep. Dominicana ci tiene a far notare – per esperienza mia personale - che la sua pelle si e’ abbronzata al sole e non e’ nera come quella dei suoi vicini haitiani.

A I. A Vache il tempo si e’ fermato. Il villaggio solo 20 anni fa , cosi’ mi dice il gestore francese del vicino Resort di Port Morgan, era di capanne di foglie di palma. Ora ci sono decorose casette di pietra, la scuola ed una chiesetta. Ma ci sono soprattutto loro, i marinai che con misere, non pontate ma eleganti barchette sfidano l’oceano che si insinua nel Caribbe.

Credevo, arrivando da lontano, che ci fosse una regata sotto costa. Una lunga fila di vele procedeva verso terra. Alcune erano scure, di carbonio pensai io , altre piu’ chiare. La velocita’ ad occhio era notevole. Pensai ad una delle regate organizzate dai club dominicani attorno ad Hispagnola, come mi disse un velista a Boca Chica.

Preso il binocolo rimasi stupefatto. Erano barchette ben invelate con a bordo non piu’ di 4, 5 persone. Tutti ben posizionati per equilibrare lo stretto guscio sulle onde e per contrastare il vento.

Non era una regata, ma la loro vita di tutti i giorni. Pescavano, si trasferivano da un villaggio all’altro, facevano piccoli traffici. Al tramonto rientravano tutti, mentre a terra si accendevano i fuochi di legna per la cena. Con il primo buio tutto era gia’ silenzio. Unica luce, la luna.

 


SANTIAGO DE CUBA - 6 FEBBRAIO 2009

2009-02-06

 

Il tratto di mare che divide Hispagnola da Cuba si chiama Windward Passage, il nome dice tutto.

In piu’ c’e’ un bel traffico di navi. Eravamo a I.A Vache in attesa di una buona finestra meteo per passare e l’ormeggio per la sua bellezza non invogliava certo a muoverci .

Ma il meteo spesso non rispetta i nostri desideri. E cosi’ dalle previsioni arrivate a bordo via weatherfax e dai grib del vento via radio e’ apparso abbastanza chiaro che avevamo due giorni di calma e che poi i giorni di vento fisso sarebbero stati numerosi . Meglio andare.

40 miglia sino a Capo Tiburon, sw di Haiti, e poi 130 sino a Santiago: una bella smotorata !

Pero’ senza particolari patemi, se non per il traffico per altro ben monitorato con la funzione ARPA sul radar.

Superate le luci di Guantanamo, la notte e’ scivolata via. All’alba il sole ci ha presentato l’imponente costa est di Cuba. Di fronte a noi la meta del nostro viaggio. E’ questo uno dei momenti piu’ piacevoli del navigar. Le miglia non sono state poche, 900 ca da Porto La Cruz e diverse le notti passate di guardia in mare, ma Eutikia ci ha sempre accompagnato sicura su ogni onda spinta dal giusto vento.

L’entrata a Santiago e’ davvero unica, emozionante. Si scorge solo all’ultimo miglio, ma non si puo’ sbagliare : in alto sulla destra svetta imponente il forte de El Morro . Il progetto dell’ italiano Antonelli era del 1587, ma i lavori sono iniziati solo nel 1633 e sono durati 60 anni.

Il Marina ci ha dato prima il ben venuto sul 16 e poi al molo tutto il personale e’ stato davvero pronto e molto cortese. L’ormeggio di fianco in banchina e’ ottimo e con fondale oltre i 4 mt. Energia e acqua..poca.

Poi e’ iniziata la processione dei vari funzionari , saliti a bordo rigorosamente con scarpe e scarponi. Abbiamo perso il conto, ma sono stati una quindicina scarsa , piu’ un cane anti droga che e’ saltato sui nostri letti senza alcun riguardo, lasciando le sue nere zampette ovunque. La Dogana ha messo i sigilli a GPS , vhf portatili, e razzi.

Il cibo non e’ stato toccato e ci hanno lasciato le tre uova con l’impegno di consumarle subito.

Il costo complessivo e’ stato ragionevole, qualcosa meno di 100 cuc , ovvero quasi 100 EU. Pero’ tutti con ricevuta e non a mano libera come nella Rep. Dominicana. Tutti pero’ sono stati molto cortesi e hanno cercato di ridurre al minimo il fastidio. Mi sono preso anche un bel besos dalla dottora.

Poi dopo una bella dormita e’ iniziata la visita alla citta’. Alla prossima puntata. Hasta pronto…a presto.

 


Santiago de Cuba , 5-11 febbraio 2009

2009-02-21

La citta’ di Santiago e’ la seconda di Cuba. La sua fondazione risale ai tempi di Cristoforo Colombo e Cortez la scelse come base della sua flotta per la spedizione di conquista del Nuovo Mondo.La storia di Santiago e’ quindi lunga, tra le piu’ lunghe dell’intero Caribbe.

 Ma ora sembra che il tempo si sia fermato a quel 1 gennaio 1958 quando Fidel dal balcone del palazzo dell’ex governatore diede a tutto il popolo cubano l’annuncio della liberazione dalla dittatura di Battista.

L’atmosfera che si respira e’ sempre la stessa di allora. Immagini, manifesti , slogan, striscioni stradali ricordano ai cubani che la vittoria li appartiene, che uniti si vince, che la rivoluzione e’ patria, che gli eroi ritorneranno. L’anniversario dei 50 anni, 2008, e’ raffigurato ovunque con murales ove la data e’ stata ridipinta su quella dei 40 anni. I volti di Fidel e del Che’ sempre gli stessi : giovani, sguardo acuto, sicuri e rivolti verso il futuro

.Lunga la via la vita pulsa. Ma e’ un via vai molto diverso da quello delle nostre citta’. Sembra quasi di ricordare la nostra primissima infanzia. Molta gente a piedi, non molte le macchine, tutte d’epoca. Ogni tanto passa un carrito, l’autobus locale, stracarico di gente, assolutamente paziente.Le vetrine hanno poco. Ho visto file per comprare lampadine, biscotti, pane. Quasi il nostro dopo guerra. Al super market, se proprio vogliamo chiamarlo cosi’, ci sono scaffali di scatolame, di biscotti cinesi, di farina a pacchi, di birra, poca scelta ma di ogni tipo quantita’ fuori scala.Niente formaggi, la carne, poca e congelata, niente uova, niente affettati. Molti detersivi, tutti in bottiglie di plastica uguali, cambia solo il colore. A sinistra una pila di copertoni da bicicletta, piu’ in la’, a terra, lavandini e wc.

Si paga tutto in CUC, vedi oltre.Per fortuna ci sono i mercatini rionali dove si compra in pesos. Alla Trocha troviamo tutto quello che ci serve tra le molte bancarelle di frutta e verdura. Con i pesos locali tutto costa davvero pochissimo,.. per noi. Con neppure 100 pesos usciamo con due borsoni ricolmi di frutta e verdura. Ma per loro la spesa e’ davvero un bel problema. Con la tessera “annonaria” si ha diritto gratuito, quasi, ai beni essenziali, come il pane. La spesa , fuori dai mercatini, si fa in CUC, ovvero pesos convertibili che valgono 25 pesos nazionali. Un Euro vale 1,15 CUC. Lo stipendio  di un bancario e’ di 700 pesos naz. , quello di un pescatore di 350. Tutti gli stipendi sono statali.Una maglietta per una bambina costa 4,5 CUC, ovvero poco piu’ di 100 pesos naz. In pratica se mangi, non ti vesti. In realta’ il cubano lo sa bene, ma prende la vita nel suo verso migliore.Basta un attimo, un primo contatto ed e’ subito un sorriso di simpatia. Il desiderio di comunicare si mescola con il mio spagnolo, piuttosto improbabile. Ho sentito l’inizio di una telefonata di un tale impiegato che rispondeva ad una chiamata. Appena sollevato il telefono, si e’ presentato “ Buena tarde y felicidad..” …..quasi come i nostri call center!

Un Cd di musica cubana costa 8 CUC, in pratica quasi quanto lo stipendio della ragazza che me lo vende. Pero’ i cubani la musica se la fanno da soli ! Lungo la via, nei caffe’, nelle case della Trova.Gruppi di orchestrali, con strumenti a percussione e chitarre, trasformano un incrocio in un palcoscenico. Uno di questi gruppi aveva un organetto di legno, a manovella, con la musica prodotta dalla trama di fogli forati di cartone che scorrevano veloci dando al meccanismo il ritmo del son de Cuba .Per la cronaca l’organetto era di produzione francese, tardo ottocento.

E poi ci sono loro, le vere regine della strada. Variopinte, enormi,cromate vetture  d’epoca made in USA, con sedili consunti in pelle, sono ancora li’ lungo le vie e i marciapiedi, quasi vi passasse un rally in citta’. Ai tempi della rivoluzione chi e’ scappato ha lasciato case e macchine e ora sono ancora li’.Le case con gli intonaci e gli interni di allora, con lampadari e mobilia anni 50; le macchine curate, ridipinte, rifatte dalle mani dei piu’ abili meccanici del mondo.


Baracoa, 12-13 febbraio 2009

2009-02-22

Colombo giunse qui nel 1492 e defini’ questa terra come la piu’ bella che avesse mai visto.Con lo spirito di rigustare quella scoperta siamo partiti da Santiago con Andrea al volante e le due Marine con la guida in mano. Tutti ci avevano detto di stare ben cuidati ,ben attenti, nella guida per le innumerevoli curve .

Arrivarci in effetti e’ stata lunghetta. Poca segnaletica, asfalto rattoppato ma sempre tutti pronti nei consigli. In effetti e’ molto facile trovare sempre qualcuno lungo il ciglio della strada. I mezzi di trasporto tra i vari paesi praticamente non esistono. Solo di rado passa un carrito pubblico e raccoglie tutti quelli che trova. Ogni cubano o cubana, aspetta ore. Aspetta che qualcuno passi e lo raccolga. E cosi’ abbiamo fatto noi con un tale che di lavoro faceva il geometra edile e che tornando al suo villaggio ci ha cosi’ fatto pure da guida.

Lungo la tortuosa salita, dalla costa est verso la costa nord, il paesaggio e’ rapidamente cambiato.Non piu’ le aride colline del sotto vento meno piovoso sud, bensi’ lussureggianti colline e vallate.Clombo aveva ragione ? Sembrava di si’. A poco a poco si e’ aperta la vallata verso il mare. Alla fine della strada tra alti palmizi un primo squarcio di mare. Le prime case, base e dimesse. Entravamo in Baracoa. Primo impatto con la Baracoa di oggi e’ stata la ricerca di una casa particular dove soggiornare. Non direi una esperienza confortante. Alla fine abbiamo optato per un hotel in centro, lo storico Hotel La Habenera.Gia’ dal balcone della terrazza, Baracoa ci ha fatto sentire la sua voce.

Di fianco a noi una palazzina tardo ottocento era ora il Centro Culturale e da li’ risuonava nell’aria il ritmo sensuale di un bolero. In realta’questo Centro era un vero e’ proprio laboratorio d’arte. L’ampio salone centrale ospitava un corpo di ballo che preparava lo spettacolo serale. Nella sala di sinistra uno studio di pittura primitiva e grandi ritratti del Che’. Oltre , nel cortile, vari ambienti. Sotto una pergola un piccolo gruppo di musicanti provava. Tra loro un maestro educava la voce, ancora immatura ma ricca di timbro, di una ragazzina che si accompagnava con nacchere. Altri, concentrati, la circondavano con chitarra e strumenti vari a percussione. Sono entrato per riprendere. Con un cenno ho avuto il consenso. Musica e voci sono continuate. Come non ci fossi. Non uno sguardo, solo un sorriso alla mia uscita.

Lungo la strada, qui tutto il reticolata urbano e’ come il castro romano, un altro incontro fuori del tempo. Da una finestra aperta scorgo su un vecchio scrittoio una ancor piu’ vecchia macchina da scrivere. Attorno, sulle grigie pareti,vecchie foto e manifesti, quadri del realismo comunista.Entriamo. Alcune signore , uscite dalla penombra, ci accolgono dandoci un caloroso benvenuto.Eravamo ospiti del Comitato Femminile della citta’. La responsabile , dopo averci presentato le altre compagne componenti della struttura, ci ha spiegato il loro ruolo. Assistenza scolastica, agli anziani, ai drogati, agli alcolizzati. Un gran lavoro di solidarieta’ sociale, con mezzi irrisorii. E di lavoro deve essercene davvero tantissimo visti anche gli effetti disastrosi degli ultimi due uragani che hanno recentemente colpito la citta’.Tutto il Malecon, il lungomare, era stato distrutto e le case lungo costa svuotate dalla furia del mare e del vento.

Ma torniamo alla musica. Baracoa e’ famosa a Cuba per i suoi trovadores , ovvero cantanti e musicisti che si ritrovano alla casa della Trova per far musica con chi ha il piacere della musica.Incontriamo cosi’ il complesso di LOLY. Da un palchetto otto musicanti suonano un ritmo dolce, ma malinconico, sicuramente cantano storie d’amore appassionato. Davanti poche sedie, quasi tutte vuote. Ora cantano solo per noi. Il cameriere ci porta un moito, un drink con ron bianco Havana, lime, zucchero e herba buena, una specie di menta.Il ritmo cresce, il leader del gruppo e’ davvero trascinante. Entra un’altra coppia. Lui e’ un bel nero, alto e forte, lei, bianca, capelli lunghi e raccolti, una figuretta graziosa. Il bolero e’ tutto per loro.Poi arriva Loly e invita Marina 2 per una salsa. Non immaginava certo di trovarsi tra le braccia una ballerina provetta . Marina  ha frequentata una scuola di salsa tutto l’inverno ed ora la scena era tutta per lei. Loly cambia le figure e Marina ribatte. Dal gruppo dei trovadores parte un applauso verso Marina e la musica va.Si’, torniamo da Baracoa, in macchina, con la musica  dal cd  di Loly “ a mi Baracoa “nell’aria e con l’immagine fissa di un quadro appeso alle nude pareti del Centro. Un coppia di amanti colti a colori forti e decisi, occhi grandi, troppo grandi, quasi un triste domandarsi, perche ? 


Los Jardines de la Reina, 16-24 febbraio 2009

2009-03-02

Colombo quando le esploro’ per la prima volta dedico’ queste isole alla sua regina Isabella.In realta’ ora queste isolette si chiamano Cayo e si estendono da Capo Cruz sino a Casilda, il porto di Trinidad, per circa 150 mg.Si allungano da SE verso NW e dividono il mare in due parti ben distinte.

Una tra le isole e la costa di Cuba, l’altra tra le isole ed il mare aperto. La parte interna e’ di non facile navigazione per le numerose secche, l’altra ti fa respirare con fondali anche oltre i 1000 mt che salgono rapidissimamente con reef vicino ai cayo piu’ prossimi al mare.Questa serie continua di cayo e’ spesso interrotta da canali di passaggio, molto ampi o molto stretti, quasi ghebi.

L’acqua spesso non e’ molto trasparente, ma sempre molto pulita. All’interno la navigazione e’ da brivido. Ci si salva solo ove sono segnati canali e direttrici sulla cartografia digitale. Quelli da me percorsi, si puo’ dire, sono esatti al metro. Quando esci dai canali per tagliare o raggiungere cayo piu’ interni c’e’ solo da sperare che le profondita’ segnate sulla carta siano esatte. Meglio un confronto con le carte di carta di Cuba. Sotto i 4 mt c’e’ comunque da diffidare, anche perche’ gli uragani possono aver modificato i fondali. Molte volte, inoltre, hanno messo fuori uso i verdi o i rossi dei canali. Quindi esclusa la navigazione notturna.

Il vero dilemma comunque e’ dove passare la notte. Il fatto che d’inverno il vento prevalente soffi da NE aiuta non poco. Bisogna dunque trovare un buon ridosso  da questa direzione. Diversi cayo interni danno questa possibilta’ e spesso con fondali relativamente bassi e misti sabbia fango. Pero’, date le distanze, e’ necessario passare anche per l’esterno. Se la navigazione e’ piu’ semplice, trovare un ancoraggio per la notte e’ piu’ difficile e  le cose si complicano. Bisogna trovare un ridosso dall’onda lunga del mare da S e dal vento di NNE. E allora non resta che entrare in questi canali ed infilarsi dietro qualche cayo o qualche reef. Ma le carte a questo punto non bastano. Ti trovi in pratica ad entrare nella laguna di Venezia e nei suoi ghebi come se fosse per la prima volta. E si va a finire in secca quasi sicuramente! E cosi’ e’ successo pure a me a Boca Chica. Per fortuna la cosa era stata notata da un piccolo peschereccio. Ci siamo liberati da soli, ma subito il capitano ci ha invitati a seguirlo e mentre il sole scendeva sotto l’orizzonte abbiamo trovato un ottimo ridosso in un canaletto con crescente di acqua. La sera poi si e’ conclusa con capitano e “cuoco” del peschereccio a cena da noi e sul tavolo aragoste a non finire. E grandi brindisi anche per il compleanno del capitano.

A questo punto un breve cenno alla vita di questi pescatori. Sono tutti dipendenti statali. Lavorano per circa 350 pesos al mese ( 14 EU ) ed hanno, a volte, una percentuale del 10 % sul pescato. Stanno in giro per almeno 2 settimane di seguito, poi portano il pescato presso centri di raccolta. Si spostano tra i cayo per raccogliere prevalentemente aragoste. Usano nasse molto grandi che posano tra gli 8 e i 10 mt. Spesso in ogni nassa vi sono sino  60, 70 aragoste! Basta che entri la prima e poi tutte le altre la seguono. Per il pescado usano sardine e parangal. Qui sono abbondanti i pargo, molto simili ai nostri dentici e sono davvero saporiti. I pescatori non potrebbero tenere per se’ nulla, ma scambiano volentieri il pescato con le barche di passaggio. E cosi’ a bordo, quando si ha la fortuna di trovare uno di questi piccoli pescherecci, arrivano secchi di aragoste e di pesce in cambio di rom, sigarette e qualche cuc. Per la verita’ la generosita’ e la simpaticissima accoglienza da parte di tutti sono del tutto spontanee e non si sa mai come ricambiare …

Veleggiare sotto vento lungo questo arcipelago di isolette, basse e verdeggianti per la impenetrabile vegetazione di mongrovie, puo’ esser una vera goduria. Vento teso da NE sui 18, 20 nodi tra bolina larga e traverso con mare piatto . Cosa c’e’ di meglio! Il bordo finisce dentro il fiordo di Cienfuego. Ne parleremo la proxima vez.  


TRINIDAD, 28 Febbraio 1-2 Marzo 2009

2009-03-04

 Fondata nel 1514 da Diego Velazquez, La Villa de la Serenissima TRINIDAD fu il terzo insediamento dell’isola. In realta’ poi non ebbe vita facile. La difficile accessibilita’, la lontananza da l’Havana e la continua presenza dei pirati non agevolarono i primi abitanti.Solo alla fine del ‘700, con l’arrivo dei francesi in fuga dalla vicina Haiti per la rivolta degli schiavi, la cittadina si sviluppo’ e si arricchi’ grazie al suo oro bianco, lo zucchero.Allora qui si produceva un terzo di tutto lo zucchero cubano e tale ricchezza finanzio’ la costruzione dei palazzi davvero magnifici che ancor oggi si ammirano e che l’Unesco ha deciso di restaurare e tutelare.

Naturalmente tutto cio’ fu possibile solo con lo sfruttamento degli schiavi, anzi la schivitu’ fu dichiarata del tutto legale il 28 febbraio 1789, anni dopo che altrove ai Caraibi era invece stata abolita.Lo spirito degli schiavi di allora, per fortuna, ora continua a vivere nella musica.A Trinidad i luoghi della musica non si contano. Ogni via, ogni incrocio, l’ombra di un grande albero possono diventare luogo di ritrovo per musicanti. Poi ci sono i locali di ritrovo dove complessi ben organizzati offrono spettacolo tra un moito e l’altro.

Purtroppo queste poche righe non possono trasformarsi in note, ma sicuramente Guajira Guantanamera, Maracaibo oriental, Chan Chan, e i ritmi dei Buena Vista Social Club sono motivi che ben esprimono nel ricordo la musicalita’ vitale di questa gente.Ogni gruppo pero’ ha una sua diversa espressivita’. Dipende dalla loro composizione strumentale con piu’ o meno prevalenza dei tamburi o delle nacchere o di particolari strumenti a “grattuggia” che con semplici sonorita’ danno il ritmo all’insieme. Naturalmente la chitarra e’ lo strumento tradizionalmente piu’ importante,  ci sono pure violini e non mancano trombe con sordina.Ma tutto gira attorno alla voce ed alla personalita’ di uno di loro, di solito e’ il piu’ carismatico. Sembrano tutti uguali nel loro ritrovarsi tra le note, ma sempre c’e’ un primo che da’ il la’ e che da’ lo spirito al gruppo.

Attorno ci sono poi i colori della citta’. Palazzi color pastello, bianche colonne e lesene delle lussuose residenze di allora e povere pareti sgretolate dal tempo e dall’incuria, Quadri ovunque. Esposizioni all’aria aperta o in androni chiusi nella penombra, ma ove squarci di luce penetrano e rivelano superfici di tele con volti troppo stereotipati, una pop art cubana, pitture infantili o sacre, campiture brillanti o scure armonie plastiche che ricordano l’ocra bruciata di queste terre. Qua e la’ vetture d’epoca, quasi fantasmi di allora, ma ancora brillanti nei colori metallizzati delle nuove vernici.Sui tetti, tra le calles, tra le cuspidi dei campanili, tra le terrazze, tra i colonnati dei chiostri, sul forte ciottolato della via, ovunque una tagliente LUCE  sparsa dal vento non accetta compromessi.

Tutto questo e’ il palcoscenico della vera vita di Trinidad, la danza.E’ gente nata con il ballo e per il ballo. Il ritmo scandisce il loro andare lungo la via, Si accompagnano e ondeggiano con il primo accenno di salsa da un televisore o del ragazzino che suona la chitarra davanti ad un negozietto per turisti. Nei locali, nella Casa Della Trova, gli avventori , spesso piuttosto impacciati ma vogliosi di lanciarsi nella salsa, trovano facilmente accompagnatori locali, piccoli grandi viveur, che un passo dopo l’altro sciolgono l’incerta turista e regalano un ricordo fuori del tempo. 


Cienfuegos y Santa Clara - 25 Febbraio - 3 Marzo 2009

2009-03-09 to 2009-03-23

 

Sono due citta’ che Cuba ha dedicato ai suoi carissimi figli rivoluzionari, Camillo Cienfuego e Che’ Guevara.

Dopo la vittoria con la liberazione da Batista il primo mori’ cadendo in servizio con l’aereo nelle acque di fronte alla bella cittadina , il secondo ora riposa in un mausoleo eretto a Santa Clara ove il Che’ ottenne la decisiva vittoria contro le truppe del dittatore.

Andiamo con ordine.

Cienfuegos, venendo dal lungo e suggestivo fiordo di accesso, da’ subito una bella impressione.

Sulla sponda di Punta Gorda, dove sta anche il marina, e’ tutto un susseguirsi di splendide dimore in stile moresco-liberty, fine ‘800 inizi ‘900, parenti in piccolo del nostro Hotel Excelsior al Lido.

Alcune sono state restaurate e ospitano attivita’ per turisti, altre sono ora abitazioni statali. Alcune cadono a pezzi. A Cuba tutte le case sono statali e sono assegnate gratuitamente alla popolazione in base a diversi criteri. Gli assegnatari possono scambiarsele, se lo Stato e’ d’accordo, per esempio se la famiglia cresce e serve un alloggio piu’grande. Alcuni, pochissimi, si sono costruiti nuove case su terreni rimasti di proprieta’. Moltissimi nelle periferie i condominii di fabbricazione russa, orribili e fatiscenti.

Lungo il Malecon, verso la tarde y la noche i giovani, una vera folla di tantissimi giovani si ritrova a passeggiare, come un tempo senza macchine, ne’ motorini, solo qualche bicicletta.

Il centro, a vie squadrate come un po’ tutte le citta’ cubane, mantiene il gusto coloniale. Case basse bianche o pastellate, porticati,traffico quasi assente, molti carretti a cavallo per il trasporto delle persone e tanta gente a piedi.

Il cubano nelle citta’ si muove praticamente solo a piedi o con il carretto a cavallo o con un piccolo calesse trainato da un ciclista o con la gua gua . Di solito e’ questa una specie di camion porta persone che tiene un servizio tra centro e periferia.

Le uniche macchine sono quelle americane degli anni ’50, lasciate dai cubani in fuga dopo la Rivoluzione, le Lada, ovvero le Fiat russe, e qualche taxi moderno dello Stato. Altre macchine moderne sono, in base al colore della targa, o per turisti o delle ambasciate. Il traffico, come lo intendiamo noi, e’ praticamente inesistente, tranne che all’Havana.

Da Cienfuegos prendiamo anche noi un taxi per Santa Clara , 30 km circa . Il costo, andata e ritorno e tempo di attesa in pratica tutta la giornata, e’ di 70 CUC ( poco meno di 70 Eu.), ovvero pesos per turisti, che corrispondono a 1.750 pesos nazionali. Il salario statale del nostro tassista e’ di 250 pesos nazionali, ma ha in piu’ il privilegio di un’aggiunta di 10 CUC.

Andiamo a Santa Clara in pellegrinaggio per render omaggio al mito del Che’.

Carlos, il nostro tassista-guida, ci piazza di fronte al mausoleo. Ed in effetti si tratta proprio di un enorme piazzale sovrastato dal mausoleo con l’enorme statua bronzea del Che’ che avanza con al braccio un fucile. Il volto, sicuro e fiero, la chioma straripante sotto al basco. Sul marmo una scritta, voce della sua vita e simbolo per tutti i cubani, HASTA  LA VICTORIA SIEMPRE, avanti sempre.

Turisti, pochi, e scolaresche fanno la fila per visitare la piccola cella che raccoglie i resti del Che’ e dei suoi compagneros uccisi in Bolivia nel ’67, nonche’ l’annesso museo di ricordi sulla sua vita.

Di famiglia argentina piu’che benestante gli fu fatale la passione per la bicicletta. Decise di girare in bici un po’ di Sud America e scopri’ cosi’ la profonda miseria dei campesinos. Laureato in medicina, da allora dedico’ la sua vita alla misera gente e trovo’ poi in Castro una fortissima condivisione di idee.

Aggiungo due note di storia per ricordare l’incredibile vicenda della Rivoluzione.

Il 26 luglio 1953, questa data e’ un marchio a fuoco nella memoria collettiva cubana, Castro, ricco avvocato di grido anti Batista decide di passare alla violenza dopo tante inutili parole. Si compra le armi in armeria nel centro dell’Havana ( c’e’ ancora ed e’ meta per turisti) e attacca con 119 compagni la caserma Moncada a Santiago. E’ una strage, vengono uccisi tutti tranne Castro e pochi altri. Processato, si difende da solo terminando con il famoso proclama " la storia mi assolvera! ".

Il 2 dicembre 19956 , amnistiato, ci riprova e sbarca con 81 compagni dopo aver attraversato con il Granma, un vecchio  motoryacht,il golfo del Messico. Evitato il naufragio per miracolo, appena toccano terra sono subito intercettati ed e’ una nuova strage. Si salvano in 12 e si nascondono nella retrostante Sierra Maestra. Con l’aiuto dei campesinos si riorganizzano e con la guerriglia, dove il Che’ era un vero maestro , ottengono le prime vittorie, ma soprattutto il consenso nazionale ed internazionale. Gli Usa si allontanano da Batista.

Il 31 dicembre 1957 a Santa Clara il Che’ fa deragliare un treno carico di truppe e di armi. E’ la vittoria decisiva.

Il 1 gennaio 1958 a Santiago, dal balcone del palazzo dell’ex governatore, Castro annuncia la vittoria.

Quel treno rovesciato e’ ancora li’. Ormai museo, ma molti di loro sono ancora vivi e hanno creato questa incredibile Cuba.

  


L` Habana - 5 - 8 marzo 2009

2009-03-25

 

Da Cienfuego alla capitale ci sono circa 300 km, 250 di autovia, come chiamano la loro autostrada.

La nostra Lada, Fiat russa, guidata da Cayo, ex generale rivoluzionario in pensione, ci ha offerto un viaggio inconsueto.

Ricordo una fascia di asfalto dritta dritta e larga larga, direi quasi 4 corsie per senso di marcia. Nessuna segnaletica. Nessun spartitraffico. Niente traffico, nel senso di un veicolo ogni 10 minuti mal contati. Ai lati terre incolte. Ogni tanto noto degli enormi rulli arrugginiti. Chiedo a cosa servono, forse per arare i campi ? No, i campesinos hanno l’ordine di piazzarli sulla carreggiata in caso di invasione per impedire agli aerei di prendere terra. Peccato, dentro di me penso che la prossima invasione, se ci sarà, sarà economica ! Con Cayo, che è stato due volte in Angola è meglio andarci piano.

Questa autovia è l’immagine dei problemi di Cuba. E’ vuota, la gente non si sposta ( da Cienfuego a L’Habana il viaggio costa quasi 200 pesos, uno stipendio) e neppure le merci, nessun tir. Il mio generale dice che il costo per asfaltare è troppo e che per lui basterebbe metà larghezza.

Arriviamo alla periferia senza accorgerci, naturalmente non ci sono caselli e capitiamo rapidamente nel centro della città vecchia dove alloggeremo. Attorno a noi case e palazzi quasi in rovina. La prima impressione è pessima. Speriamo bene !

Attraversiamo calle strette con molti sensi unici. Quasi ci perdiamo. Cayo chiede e finalmente troviamo la nostra casa particular. Per fortuna è un blocchetto restaurato di recente e le stanze ottime.

Il costo è di 35 CUC, 33 Eu , circa. Cayo tornerà a prenderci tra tre giorni.

Non vorrei fare la cronaca di questi tre giorni, ma descrivere, come viene e senza ordine, ciò che mi ha colpito di più.

Le case, le case dell’Habana, i suoi palazzoni sono un ricordo di loro stessi più che una realtà. A guardarli ora fanno impressione per quanto sono trascurati e fatiscenti. Non c’è intonaco senza crepa, le finestre lasciano intravedere interni disadorni e malandati. I colori si sono persi, ma restano i panni ad asciugare per ravvivarne le facciate. Meglio il bianco e nero. Le vie e i marciapiedi sono incalpestabili senza guardar attentamente dove mettere i piedi. Cedimenti e fori ovunque.

Poi ti fermi e ritrovi antichi e nuovi splendori. In alto statue e mosaici liberty tra i più originali nel gusto, bellissimo il palazzo ex Bacardi. Da una palazzina a piano terra vicino al Malecon sentiamo della musica ed un cantar reggaetòn. Alcuni ragazzini si esibiscono in casa davanti ai genitori per provare il loro gruppo, nuova vita in un grigio e polveroso quartiere.

Al tramonto tutto si impasta di un caldo e morbido rosato. Entriamo nell’androne di un palazzo. Dovrebbe esserci il miglior ristorantino privato della città, così ci hanno suggerito le guide. Sul soffitto luci al neon, spente dal ’50. Un’ elegante statua, al posto della testa un bicchiere di plastica. Lo scalone ci porta curvando al secondo piano. Su un terrazzo troviamo un ragazzo che fa i capelli ad un amico. Scena da Fellini. Tante porte senza nome , né insegne. Dove siamo ? Piuttosto buio. Ed il nostro ristorantino? Chiediamo, ancora.

Ci indicano una porta. Suoniamo e bussiamo. Ci aprono. Il locale è una vera sorpresa. Di ottimo gusto, il fatiscente diventa decoro, il grezzo contemporaneità, vetrate floreali lasciano passare la dorata luce del tramonto che si posa su tavolini ben ornati con gusto d’epoca. Mi fa piacere pensare che sia sempre un po’ così con queste casepalazzo. Se cerchi c’è sempre un angolo che ti sorprende perché alla fine è la gente che davvero da vita e ritmo a questa città.

La gente è davvero tanta. Sempre in movimento per le calles. A piedi. Fanno la fila per tutto. Vuoi una pizzetta, fai la fila. Vuoi entrare ed acquistare un sapone profumato. Fai la fila. In una tienda ( negozio), più in là, sono arrivati i biscotti. Già la gente fa la fila dalla prima mattina.

A vederli non colpisce una differenza di classe sociale. Né ricchi, né poveri. Le vetrine sono impolverate e disadorne. Tutto il personale è statale. Stesso salario. Quasi.

Il salario base è di 250/300 pesos nazionali, poi vengono gli specializzati con 500 e poi i burocrati con 800. Gli operatori del tabacco, quelli che arrotolano il puro sigaro cubano, più di 1000 pesos. Sono gli unici che lavorano a cottimo. Devono confezionare almeno 105 sigari al giorno di ottima qualità. Il resto è maggior guadagno.

Cammini e tra negozi e portoni trovi sempre una scuola. I ragazzini su banchetti, ferro e legno, agitando le manine ci salutano. Alle pareti slogan rivoluzionari, foto del Chè e vivaci disegni multicolore. Il gusto per il colore, quello vero artistico, qui è particolare. Non quello che ti aspetti.

Quello commerciale è un naif stucchevole, quello invece delle gallerie e degli studi, nascosti quà e là, è trattenuto entro sfumature materiche smorzate di grigi, ocra, rossi bruciati. I colori puri faticano in ristrette campiture. Prevale l’informale, a volte il richiamo a simbologie è forte. Il quadro come l’intonaco, graffiato come perduti affreschi.

Tra il mormorio della gente, i richiami dei ragazzini che giocano, il rombo delle vecchie Cadilac c’è sempre un po’ di musica che accompagna la gente. Naturalmente nessuno ha l’ I.Pod alle orecchie, ma musica da vecchie radioline o meglio dal vivo.

Dai bar esce per via la salsa, il bolero. I gruppi suonano e si danno il cambio e ,così di sera , nei club sociali o nei vecchi bar di quartiere, ora risistemati.

E’sera, entriamo al Floridita. Mobilio d’epoca in mogano scuro, una grande specchiera alle spalle del bancone. Sul largo ripiano tra mazzi di fiori, forse finti ma quasi veri tra il fumo dei sigari, scivolano veloci le mani degli avventori su bicchieri d’ogni foggia, una per ogni cocktail servito da camerieri in giacca rossa e cravattino nero. Ai tavoli, tondi di legno nero, una folla di avventori si gusta la scena bevendo un daiquiri dietro l’altro…come noi. Hemingway li adorava. Questo locale ne ha fatto una vera propria specialità servendoli da sempre con ghiaccio tritato.

Ma la vera star del locale è lei, Elisabeth Corrales Zequeira, violino e voce del gruppo Los Germanos.

E’ minuta, sembra fragile ma la voce è sicura , forte. Da vita e fa vibrare al ritmo tutto il gruppo.

La gente capisce ed applaude. Averla al tavolo e stato un vero piacere. Ci ha chiesto un titolo di una canzone cubana. L’avrebbe cantata e dedicata a noi. Cerco di ricordarle, stonato come sono, un motivo di una canzone , cavallo di battaglia del grande, anni ’50, Benny More’. Provo a balbettare il ritornello " la, ra ra ra la ra ra…." Per fortuna capisce al volo. Torna tra i suoi, appoggia il violino 1, 2, 3 e via il locale ora è tutto per lei.

Ricorderò sempre quel

" Me voi pa’l pueblo. Hoy es my dia

Voy a alegrar con el alma mia

La ra ra ra la la la la la

La ra ra ra la la la la la "

Ciao CUBA.

 


Portorico 2 aprile 2009 : 1000 mg contro vento ed un incontro molto speciale!

2009-04-02

 

E’ gia’ notte. Alle nostre spalle una falcetta di luna rischiara la nostra scia a poppa.

Gobba a ponente luna crescente…gia’ a ponente , noi e’ dal 10 di marzo che andiamo verso est, contro vento.

Da queste parti prima di andare verso ovest tutti ci pensano molto, ma molto bene.

Ritornare a est e’ sempre assai complicato.

Noi siamo stati abbastanza fortunati. Per superare il Windward Passage , doppiare capo Beata ed attraversare finalmente il Mona Passage tra Hispagnola e Porto Rico non abbiamo dovuto aspettare molto per trovare la finestra giusta di tempo favorevole. Altri hanno aspettato anche 5 giorni dietro capo Beata prima di passare.

Per evitare legnate, che per altro possono sempre capitare per fenomeni locali, la regola numero uno e’ stare almeno un paio di ore al giorno sul meteo.

Si inizia alla mattina presto per recuperare le carte a 24, 48 e 72 ore emesse via fax dal NOAA , centro meteo USA, trasmesse da New Orleans. Da queste si ricavano la direzione , l’intensita’ dei venti e l’altezza delle onde.

Poi ci sono i GRIB . Questi sono file particolari che si ricevono anche via radio come allegato ad una e.m. Con la radio di bordo bisogna richiedere a Saildoc , che e’un’organizzazione amatoriale, il vento previsto per una data zona per un certo periodo di tempo.

Inviata la richiesta via em, dopo alcuni minuti e’ possibile avere la risposta.

Sembra facile, ma in realta’ la propagazione delle onde radio e’ molto bassa in questi anni e spesso anche aleatoria. Per cui bisogna passare ore per trovare il contatto giusto. Naturalmente l’esperienza semplifica tutta la procedura e ci sono diversi trucchetti.

In questa stagione il vento viene di norma da ENE tra i 15 e i 20 nodi. Il mare ha onde tra i 5 e i 7 piedi ( da 1,5 a 2.10 mt ). Quando va bene, ed allora bisogna correre, tra i 10 e i 15 nodi, con mare tra 3 e 5 piedi. In queste condizioni, se sei fortunato in base alla rotta, riesci a fare bolina stretta, altrimenti motore, motore e mezza randa. Il mare vecchio pero’ frena molto e la corrente non scherza, spesso un nodo contro. Pero’ se si sta molto sotto alle isole c’e’ spesso una forte contro corrente. Ed allora e’ vera goduria.

Altro aspetto da tener presente sono le distanze. Non vi sono quasi mai ancoraggi per fermarsi la notte. Da Cienfuego, Cuba, abbiamo passato in mare 5 notti per tratte oltre le 100 mg.

E le notti sono lunghe. Il sole tramontava alle 19 e sorgeva alle 7. Sotto costa bisogna stare molto attenti per evitare le nasse e di notte si passa larghi allungando. Di giorno si vedono, ma con onda e riflessi lo stress e’ notevole. Beccarsi una bella cima sull’elica in quelle condizioni e’ da evitare con cura.

Di notte si passano ore al radar..grande invenzione ! Da molta sicurezza per svariate ragioni.

Non solo si vede da che parte va una nave, ma se ne riconoscono la dimensione e la velocita’.

Si puo’ verificare quale sara’ il punto piu’ vicino di approccio e molte altre cose ancora.

E anche qui bisogna fare molta esperienza per valutare al meglio le situazioni ed intervenire sulla propria rotta per evitare rogne. Alle volte bisogna chiamare via VHF sul 16 la nave/target e chiedere se ti ha visto e che intenzioni ha.

Alle volte tutto cio’ non basta e l’adrenalina va a mille !

L’altra notte, verso l’Isola De Mona, siamo stati superati, 2 miglia a sinistra, da un target non grande e velocissimo, faceva piu’ di 20 nodi. Era a luci spente.

Lo seguo sul radar e lo vedo fermarsi sotto vento all’isola, dove eravamo diretti pure noi .

L’isola e’ in mezzo al passaggio ed offre per 6 mg un buon ridosso dal mare.

Arrivato in prossimita’ dell’isola il target, presumibilmente un grosso motoscafo d’altura, punta verso di noi, ancora a luci spente.

Questo passaggio e’ frequentato da trafficanti di droga e di uomini. Sto quindi molto all’erta.

Decido di variare la rotta, ma il target mi segue. Mi fermo, lui si ferma. Prendo il VHF e lo chiamo, dando la sua posizione e la mia. Non risponde, nemmeno dopo il terzo richiamo. La cosa e’ assolutamente anormale. Luci spente e non risponde. Spengo le luci pure io.

L’adrenalina sale quando vedo che il bersaglio e’ oramai a 2 miglia ad una velocita’ di 20 nodi.

Tra qualche minuto puo’ abbordarmi. Mi sento come un topo, loro sono il gatto !

Decido di inviare un Pan Pan Pan ( e’ questa una modalita’ di chiamata di emergenza sul 16 per informare tutti quelli in ascolto che il chiamante si trova in difficolta’ ). L’adrenalina sale a mille.

Io sono dentro al radar e alla radio, Marina fuori cerca di capire dov’e’.

Improvvisamente il bersaglio si illumina, ormai assai vicino. Per radio sento finalmente una voce.

E’ la Guardia Costiera USA. Questo e’ stato il loro welcome !!

Il bello e’ che poi mi chiedono perche’ ho spento la luce ! Dopo aver risposto alle loro domande per il nostro riconoscimento, ci salutano e se ne vanno..al buio.

 


British Virgin Islands, 10 aprile 2009 : In Radio e altre foto di Cuba e dintorni

2009-04-10

 

Enzo, Enzoo, ..Gianni Eutikia, mi copii " " Sii, con la buonasera Gianni, dove sei ? tutto bene ? "

Ogni giorno, due volte al giorno gli italiani tra Atlantico e Pacifico si ritrovano in radio.

Grande Laguna e Angelo, dall’Italia, Enzo dalle San Blas coordinano il net.

La propagazione non sempre e’ tra le migliori, ma rapidamente e con continuita’ le informazioni girano tra le barche e gli equipaggi.

Enzo ha un impianto davvero efficiente e riesce a far da ponte quasi con tutti.

C’e’ chi naviga lungo le coste del Brasile, chi ha gia’ raggiunto le Galapagos, chi e’ gia in navigazione di rientro in Atlantico verso il Mediterraneo. C’e’ chi sta per partire dal Messico dritto in parallelo, ma a latitudine piu’ alta, verso le Marchesi. Arrivato alla loro altezza vi scendera’ giusto sopra, per proseguire poi verso la Polinesia francese. Non e’ finita naturalmente. Perche’ poi puntera’ ancora piu’ a sud verso i 40 per raggiungere le coste cilene e rientrare quindi in Sud America. Dimenticavo di dirvi che prima era passato dal Giappone all’Alaska, poi Canada, USA e Messico , appunto. Prima ancora , non so ! Ma presto lo sapro’ perche’ leggero’ un suo libro che porta per titolo il nome della sua barca " Mai Strac"..sperando si scriva cosi’,… ne poteva chiamarsi diversamente !

Tutti in rete sono davvero grandi amici e , se non lo sono ancora per new entry, presto lo diventano.

C’ e’ sempre un utile consiglio per chi ne ha bisogno, la necessita’ di incontrare qualcuno, di inviare un’informazione, dove trovare questo o quello. E poi ci sono le battute che danno il giusto sapore anche nei momenti meno facili.

Nel meteo poi Enzo e’ un punto di riferimento per tutti. Non riesco proprio a capire come faccia.

Ognuno di noi ovviamente focalizza l’attenzione su una certa area e se ne fa una certa idea.

Lui invece riesce a saltare tra Atlantico e Pacifico, tra nord e sud del Caribbe dandoti anche il temporale che hai sulla testa. Non basta. Visto che di miglia ne ha fatte diverse ti dice anche come muoverti e cosa ti puoi aspettare sotto un capo oppure lungo una rotta.

Grande Laguna dall’Italia , come Enzo, prende sempre nota della posizione delle barche in attraversata, delle condizioni meteo e delle miglia ancora da percorrere. Sentire la sua voce che inizia il giro al mattino, per lui e’ gia’ pomeriggio, e’ sempre un gran piacere che si mescola al profumo del primo caffe’. Quando sei in navigazione ed il sole si e’ appena alzato, la radio incomincia a ronzare. Fissata la frequenza si resta in ascolto sperando in una propagazione amica.

I minuti passano, qualcosa si muove in rete, qualcuno bussa, poi, piano, lontano, appena udibile la voce di Grande Laguna con il buon giorno a tutti. L’etere si anima . Da alcune zone il segnale e’ piu’forte che in altre. Le voci si incontrano ed il mare sembra di nuovo non proprio cosi’ grande.

 


British Virgin Islands - 12 aprile 2009 : Un racconto breve

2009-04-12

La luce, che entrava diffusa dalla veranda, rifletteva sulle pagine patinate della rivista un arabesco di sfumature azzurre.

Stava leggendo quasi con noia l’invito di quella pubblicita’ "Immerse Yourself " quando s’accorse che era proprio vero. Tutto all’intorno aveva un suo azzurro. La lacca pastello della stessa veranda era di un azzurro pallido, bruciato dal sole. Alcune foglie di palma vibravano al vento con un verde blu brillante. Nel cielo passavano veloci nuvole, la loro base grigio azzurra conteneva i riflessi del mare blu indaco, striato dal vento teso della prima mattina.

Da quella posizione, alta sulla collina dove si trovava il lodge, che aveva scelto come alloggio dopo averne visto le foto cercando sul web, dominava per un vasto tratto il canale di Francis Drake. Distingueva bene ogni singola isola, non ne conosceva pero’ il nome. Questo , pensava, ne aumentava il loro fascino. In fondo che importanza aveva ?

Ora l’azzurro si mescolava al giallo del bush che circondava all’intorno. Un tremolio di calore che saliva dal basso confondeva i contorni. I fiori del piccolo ma ben curato giardino, le bouganville e i grandi ibiscus sfocavano alla sua vista. Ricordava di aver gia’ visto una scena simile. Ma si !

La luce di Bonnard. Certo la Provenza era molto lontana, ma anche qui c’era tutto quel riquadro in luce della Costa Azzurra. Lei non c’era mai stata, ma poteva immaginarla cosi’.

Questo pensiero l’aveva distratta e riportata, solo per un attimo, al suo lavoro lasciato a New York.

Si era presa una breve vacanza dopo aver chiuso , con molta ed ricercata soddisfazione, una retrospettiva sulla POP ART.

Dalle finestre del suo ufficio all’ultimo piano del MOMA godeva dello stesso piacere che provava qui dominando dall’alto. Le era sempre piaciuto quel gusto di veder le cose senza intermediazioni.

Senza rumori di fondo. Lo sguardo era sempre diretto. Lei e la scena, come davanti ad un quadro.

Un rapporto esclusivo, intimo.

Le nuvole del primo pomeriggio avevano quasi coperto il cielo. Grigie, appena riscaldate dai raggi di sole, si muovevano scomponendosi in forme dilatate di vapore. Grigio,nero,rosa. Un impasto senza contorni certi di forme. Che coincidenza ! Si era ritrovata a ripensare dove aveva gia’ visto questo gioco confuso. L’idea di giocare tra cio’ che vedeva ed il motivo artistico di pittori a lei noti e che piu’ amava, l’aveva per un momento fatta sorridere. Perche’no ?

Questi impasti grigio rosa le ricordavano l’espressione di Rauschenberg. Spatolate,ora decise ora incerte. Ora a spessi strati, ora appena ruvide pennellate sulla grezza tela. Larghe campiture con casuali combinazioni di materia.

Ma gia’seguiva, laggiu’, quei piccoli triangolini bianchi procedere lentamante. Lasciavano una lunga scia che poi liquida si perdeva. Sufficiente pero’ per seguirli nella loro direzione. Le appariva davvero curioso questo avanzare a zig zag. Altre invece non cambiavano direzione e finivano per scomparire dietro al capo sulla sua destra. La superficie del canale cambiava continuamente tonalita’. Azzurro chiaro intenso, smeraldo vicino al profilo della costa. Blu piu’al largo, viola al passare di grosse basse nuvole spinte dall’aliseo che le sembrava ora meno teso.

Il sole stava scendendo rapidamente. Aveva notato che qui il sole scendeva molto piu’ rapidamente che a New York. O forse era solo una sua impressione. Qui pero’ la trasparenza dell’aria lasciava intatta tutta la forza dei colori. Quel disco prima giallo saturo poi rosso, quasi un vaso di pittura rovesciato e tirato, tirato sulla tela. Ah! Certo Rothko. Potrebbe essere proprio lui, l’autore per oggi di questo tramonto.

Per un momento ebbe un leggero brivido. Una fresca brezza entro’ dalla veranda mentre gia’ la giornata finiva. Senza distogliere lo sguardo, ipnotizzata quasi dal disco che stava sparendo oltre l’orizzonte, cerco’ con le mani dietro di se’ sulla sedia il pareo indiano, acquistato il giorno prima in gita a West End, e se lo avvolse sulle spalle.

Rimase li’. Fuori tutto era ora fermo. Solo le nuvole continuavano la loro corsa e la luna, ora piena, ricamava di una tagliente luce il loro contorno. La scena , piu’ che ferma, era calma.

Difficile continuare questo gioco, penso’, con la natura. Ci ripenso’. Ma si’, come non ricordasi di quel soggiorno, troppo breve, a Napoli quando era stata per la prima volta in Italia. Aveva visto i notturni di Caffi, ne era rimasta sbalordita e aveva trattenuto il fiato di fronte al golfo di notte dalla sua terrazza lassu’ , da Sorrento.

Nella piccola insenatura, subito sotto alla veranda, doveva quasi sporgesi per vederla tutta sino alla bianca spiaggia illuminata dalla luna, ballavano piccole luci. Una per ogni barca alla fonda.

Che strano, penso’, osservandole con piu’ attenzione. Vedeva appena i piccole ombre muoversi a bordo sotto il tremolare di qualche luce.

Si alzo’, lentamente, e appoggio’ la mani sulla balaustra in teak. Senti un piacevole tepore salire dal legno ancora caldo.

Forse stanno guardando verso la luna, forse in alto verso di me. Forse qualcuno pensa a me, quassu’. Chissa’ da dove vengono, cosa faranno domani.

Helen si volto’ solo per un attimo quando il lume a candela si spense per un refolo piu’ teso.

Guardo’di nuovo verso quelle luci nel buio della baia, ancora una volta.


Da St. Marteen a Martinica : la nostra bolina quotidiana - 19-28 aprile 2009

2009-05-01

" GIANNIII..ora ci sta puntando ! " Ero sotto al blotter piu’ grande per veder come avvicinarmi alla costa NW di Guadalupe. Eravamo in bolina con 25 nodi ed il sole ci dava ancora un paio d’ore prima di tramontare. Marina mi richiamava urgentemente in coperta.

Avevamo visto un piccolo cargo in prua e lo stavamo controllandolo da un pezzo. Sembrava tutto sotto controllo. Sembrava !

Esco e vedo la sua prua dritta sulla mia a poco piu’di un miglio. Prima stava procedendo chiaramente per passarmi a destra. Io ho mure a sinistra. Ho il tempo e lo spazio per passare orzando di qualche grado. Facciamo 7 nodi e governo bene. Orzo deciso e prendo il vhf. Lo chiamo. Nessuna risposta.

Accendo il motore. Conto di passare a sinistra e di sfilargli poi subito di poppa poggiando.

Non volevo poggiare prima ne’ per incrociare la sua direzione precedente ne’ per perdere gradi sottovento rispetto a Guadalupe. Il mare era formato sui 7 piedi. Fare un bordo con mure a destra voleva dire andare a sbattere contro l’alta onda oceanica da est e fermarmi per istanti preziosi.

Il cargo devia ancora sulla sua destra. Io ormai non posso piu’ orzare contro mare e vento.

Tra noi due ci saranno 300 mt. Do motore quasi al massimo e poggio di 90 g.

La barca sollevata dalle onde passa rapidamente oltre la sua prua e ci liberiamo con gran sollievo dalla brutta situazione. Mi volto e lo vedo sfilare lentamente alla mia sinistra…..a poppa lunghe lenze per la pesca alla traina. L’equipaggio stava cercando di procurarsi la cena !

O non c’era nessuno al comando con il pilota automatico o il capitano aveva intuito le mie intenzioni e non voleva rischiare le lenze sulla mia successiva poggiata !

Di notte sarebbe stato davvero un affar serio. Se non fossimo stati di bolina sarebbe stato tutto forse meno complicato.

Ma la bolina e’ il nostro pane quotidiano da St Marteen. Nulla di grave, sia chiaro, ma son sempre 350 mg con mare e vento in prua. Il meteo in questi giorni ci ha sempre dato 20 nodi che diventano piu’ di 25 di apparente. Sui capi il vento sale anche sino a 30 nodi. Mare da 1.7 a 2.4 mt.

Il vento soffia mediamente da est, se sei fortunato da 80 g. Da St Marteen a St Kittis rotta 164 g e va abbastanza bene. Da St Kittis , Nevis a Guadalupe, 138 g ed e’ duretta anche per il mare molto formato. Da Guadalupe a Dominica, 153 g bolina piu’ agevole. Da Dominica a Martinica 161 g , quasi goduria.

Al tramonto, dopo una giornata di bolina, siamo ricoperti di sale. Per andar all’ancoraggio sottovento alle isole raffiche consistenti sollevano onda ripida e corta, altra smotorata.

Finalmente giu’ l’ancora. Pigna colada e ci godiamo il tramonto.

Domani ? Un’altra bolina….naturalmente.

 


Bequia 1 - 2 maggio 2009

2009-05-02

 

Piove a dirotto. Torrenziale. Admirality Bay e’ grigia, diverse tonalita’ di grigio vibrano dalla spiaggia sotto le palme verso l’apertura della baia tra i velieri alla fonda.

Nel pomeriggio si apre un po’ e scendiamo a terra. Inizia la caccia !

Gia’, avevo comprato qui a Bequia una ventina di anni fa un modellino di ‘whale boat"in un laboratorio artigianale e ora mi incuriosiva rivedere dal vero queste belle barche che ora sono usate dai locali per regatare.

Ci incamminiamo verso Friendship Bay. La’, sulla spiaggia,’ le avevo viste quella prima volta. Fa caldo e umido. La strada e’ lunga e in salita. Le gambe non proprio in ordine. Il sole scende rapidamente. Rientriamo. Niente " whale boat ".

In un negozietto, nascosto tra frangipane e bouganville, trovo un elegante fascicolo " BLOWS, MON, BLOWS !". Non ho rivisto le baleniere, ma ho trovato la loro storia.

Tra il 1860 e il 1870 baleniere Yankee scendevano alle Grenadine per la caccia e i locali impararono presto la lezione. Non c’era lavoro e avevano molta fame. Finita la schiavitu’ le piantagioni di canna avevano chiuso. Non c’erano altre attivita’.

Una famiglia locale di origini scozzesi, i Wallace, decise cosi’ di investire in una barca per la caccia alle balene.

La fecero corta, 26 feet , 8 mt circa. Non larga, poco piu’ di 2 mt e poco profonda.

Il tutto " hand and eye " usando " the horizon as a level " . Il bianco cedro locale era l’ideale per sagomare le ordinate. L’albero ed il boma di bamboo Tutto il cordame di manila.

La cosa funziono’. Le baleniere crebbero di numero e fu anche necessario fissare delle regole per definire i diritti di precedenza per la caccia dopo l’avvistamento.

Al grido " Blow, Mon, Blow! ‘ SOFFIAAA ! I sei dell’equipaggio saltavano rapidamente a bordo e a remi e vela rimontavano l’onda dell’aliseo per sorprendere l’ " Humpback", la megattera con la gobba.

Erano momenti decisivi.

" A Whalesman must be strong and have plenty pluck ( fegato )… per affrontare una balena. Un uomo deve esser un uomo- andare sulla barca e prendere ordini. Ogni uomo deve avere il suo compito Tutto deve esser ben coordinato."

Se la fortuna aiuta, la balena e’ presto sotto bordo a pochissimi metri, 3..4 non di piu’.

L’ " Harpooner " calls the sea, ordina la direzione, e scaglia l’arpione di 4,5 mt.

La balena , ferita, inizia la corsa. In un lampo, l’equipaggio disarma tutto. Il timoniere/capitano salta a prua e regola il calumo da dare alla traina . Se la balena si immerge, lasca. Uno da dietro gli bagna il manila. Filano a 20 nodi.

Passano ore. Quando la balena sembra rallentare, stanca, allora recuperano un po’. Alla fine se la ritrovano di nuovo sotto bordo. Con un altro arpione le danno il colpo di grazia nei polmoni.

Due si tuffano e le chiudono con cime la grande bocca. Potrebbe affondare.

Inizia il difficile rientro con l’aliseo che spinge i sei esausti sulla spiaggia dove gia’ e’ iniziata una grande festa.

In due giorni poi la balena sara’ trattata. Molto olio con la bollitura e carne per tutti.

La grande epoca fu negli anni ’20, poi arrivarono anche i norvegesi ed inizio’ una strage.

Si cacciava durante la stagione invernale , 100 giorni, sino al ’45 poi la guerra.

Balene furono catturate anche negli anni ’80 e si apri’ un piccolo museo. Le ossa di balena decorano ora i localini dove al tramonto si gustano i drink dai nomi piu’ esotici.

Sfogliando ancora questo bel racconto trovo che " Why Ask", l’ultima "whale boat",dovrebbe esistere ancora.

Anche il vecchio tassista se la ricorda. Era amico dell’ultimo cacciatore, ora e’ morto, e la barca ? Boh, forse c’e’ ancora ! Dove ? Proprio non ricorda.

Cerco in veleria, dove fanno i modellini, e trovo un simpatico scurotto. " Why Ask ? " " Sicuro, c’e’ ancora, e’ stata ridipinta e ora corre nelle regate. La trovi sull’ultima spiggia , prima del reef."

Non ci penso due secondi e in gommone, anche se dovevamo salpare, corro a vedere questa ultima signora. Riposava all’ombra delle palme vicino ad una spiaggia bianchissima. Il sole era tornato e luccicava sullo smalto delle fiancate. La prua verso lo smeraldo della prima battigia.

Dimenticavo…lo scurotto , prima di salutarmi, mi aveva detto che sabato scorso " Why Ask ", una nuova whale boat rifatta pero’ con lo stesso nome, aveva catturato una balena.

E la storia continua.

 


Isola Blanquilla - Una notte in mare, 8 - 9 maggio 2009

2009-05-09

Sono seduto in pozzetto. Da dove sono, vedo bene gli strumenti. Ogni volta che mi siedo qui, rivedo Toni quando , attraversando l’Atlantico, si fumava l’ennesima sigaretta. Era il suo posto preferito ed anche il mio. Finestrina aperta della capotta a destra, tutta la plancia di fronte e il timone che governa da solo.

Ogni tanto mi alzo. Sbircio la luna . Questa notte e’ piena, piena. Il mare arriva da poppa.

L’onda lunga non e’ troppo alta e non da troppo fastidio. Le creste non rabbiose. Il vento e’ quello giusto.

Finalmente, dopo tanti giorni di bolina. Ci sono non piu’ di 18,19 nodi di apparente.

Eutikia vola sulle onde con randa a destra e genoa tangonato a sinistra.

La media e’ di 8 nodi, ma sull’onda la lancetta schizza oltre gli 11. Al GPS godiamo inoltre di mezzo nodo in piu’ di corrente a favore. E’ proprio un bel andare.

Avevamo lasciato Grenada alle 10 pensando a 24 ore per far 165 mg sino a Blanquilla. Se va avanti cosi’ arriveremo molto prima. Sara’ per noi quasi record di miglia percorse in 24 ore.

Ogni tanto il vento rinforza. Si avvicinano nuvoloni , scuri e bassi. La luna li scopre e non facciamo fatica a controllarli. Vado al radar. A 5 miglia vedo qualche piovasco. Ci passeranno sulla nostra destra, pare, senza problemi.

Gia’ che ci sono controllo meglio lo schermo radar. E’ settato sulle 8 miglia. Prima allargo sino a 24 mg per cercare grossi targhets in avvicinamento. Nulla. Poi accorcio a 6, a 4 mg. Il radar ora mi legge tutte le onde che mi circondano. E’ un bel casino capirci qualcosa. Cerco di notare se qualche puntino resta piu’ fisso degli altri…..e forse noto qualcosa. Va e viene , ma sempre nello stesso punto, quasi. E si’ ! C’e’ proprio qualcosa a meno di 4 mg. Marina mi sente e arriva subito con il binocolo. " SI, SI vedo una lucetta bianca alle 2..sembra una barca a vela"

Guardo anch’io e mi sembra di notare un certo biancore sotto la luce. Potrebbero esser le vele. Al radar, ma anche a occhio ormai, la lasciamo rapidamente, prima di fianco, poi la perdiamo di poppa.

Nessun problema. Ma in futuro, anche in mezzo al mare, settero’ piu’ spesso il radar su distanze brevi.

Gianni, che e’ con noi da St Martin, viene di guardia per 3 ore. Io mi risiedo al posticino di Toni e mi godo la scena. La luna illumina le creste, vicine e lontane. La scia scivola velocissima verso poppa. La luna ora e’ sopra di noi e ci illumina , quasi fosse giorno. Il vento e’ come la coda di un cane e oscilla di qualche grado piu’ da sud est. Speriamo non troppo, altrimenti dovro’ togliere il tangone. Sforzo un po’ la poppa e gia’ che ci sono rido’ un’occhiata al radar.

Questa volta sulle 12 mg c’e’ un target chiaro e ben grande. E’ una nave sicuramente.

Lo fisso con l’ARPA. Con questa modalita’ il radar mi da la sua velocita’ , la sua direzione e quanto mi passera’ vicino in una frazione di tempo. La situazione pero’ non e’ ancora chiara.

Abbiamo due rotte opposte. Lui all’una, ma non riesco a capire se mi passera’ a sinistra o a destra.

Le miglia si riducono molto rapidamente. A 4 mg prendo il VHF e lo chiamo sul 16 dando la mia posizione , rotta e velocita’. Nulla. Richiamo e questa volta risponde . In inglese e molto calmo si presenta. Il nome del cargo e’ " Pigeon Island" come il capino di St Lucia che per primo vedemmo arrivando dall’ Atlantico. Ci consultiamo. E rapidamente mi suggerisce " PORT TO PORT ", gli rispondo OK e lo saluto. Accosto verso destra di 10 gradi. Lui fa altrettanto. Passiamo cosi’ ben lontani, rosso al rosso.

E torno al posticino di Toni a gustarmi questa notte indimenticabile.


Puerto La Cruz . Storie di CACAO e RUM

2009-05-23

Puerto La Cruz , 18 maggio 2009 . Grenada : storie di CACAO e di RUM.
PENULTIMA PUNTATA ! SORPRESA PER L’ULTIMA !
Oggi Gianni, amico trovato e grande compagno di viaggio da St Marteen, ha preso l’aereo per Venezia.
Insieme siamo stati benissimo, mi rincresce solo una cosa. Abbiamo scoperto solo ieri che fa crostate alla frolla e marmellata deliziose ! Alla prossima Gianni !
A Grenada abbiamo svelato due quasi misteri : come si fa il CACAO e come nasce il RUM.
Allora, per il cacao bisogna vedere le foto per capire meglio.
Il CACAO non si trova a pacchetti sugli alberi, ma in origine ha la sembianza di un grande frutto a forma di piccolo pallone da rugby. Dall’albero, molto verde alto e ben frondoso, viene tagliato con una pertica a cesoia. Il frutto viene poi tagliato in orizzontale. Tolto il cappuccio appare un insieme di baccelli bianchi e succosi, leggermente viscidi. Questi ,in gran quantita’, vengono raccolti dai contadini e portati in un centro cooperativo .
I baccelli vengono lasciati scolare per almeno una settimana e perdono cosi’ l’acqua.
A questo punto sono pesati e i contadini pagati.
I baccelli vengono lasciati a fermentare per un’altra settimana sino a che perdono completamente la polpa bianca che li avvolgeva. A questo punto sono portati all’aperto e stesi al sole su grandi superfici ad essiccare. Se piove, e succede spesso, tutti accorrono e coprono i baccelli con tetti enormi e mobili su rotaie o fanno scorrere i tavolati sotto i tetti . In pratica la stessa cosa, ma dipende dallo spazio disponibile.
I baccelli ben distesi e sparsi si seccano al sole. Una volta tutte le donne dei villaggi ci camminavano sopra per muoverli continuamente e facilitarne l’essiccazione. Un po’ come nella nostra vendemmia.
Ora il baccello e’ pronto. Basta spezzarlo e dentro c’e’ il cacao puro, di un color marron bello scuro e dal gusto di cioccolato fortissimo “ cocoa beans world-famous for their rich,complex flavour”.
Verra’ poi macinato e mescolato con burro di cacao , zucchero e un po’ di vaniglia per avere le stecche di cioccolata.
Quelle piu’gustose contengono cacao al 60% o 70%.
Passiamo al RUM.
La raccolta della canna da zucchero a Grenada non e’ cosi’ estesa come nelle isole francesi. In piu’hanno meno acqua per far girare i mulini. E gia’, qui la spremitura della canna avviene, vedi foto, con grandi torchi mossi dalla caduta d’acqua. Non a caso la distilleria che abbiamo visitato si chiama RIVER Antoine Estate. Ergo poca acqua , poco rum. Cosi’ quando piove poco importano da Trinidad la salamoia di canna.
Allora, prima fase torchiatura della canna e raccolta del succo. Gli impiani sembrano ancora quelli del 1785, anno di fondazione, tanto sono vecchi. Il succo viene avviato con canalizzazione verso 5 grandi vasche circolari per la bollitura. Al mattino inizia la bollitura nella prima , poi lo passano con grandi mestoli nella seconda, poi nella terza e cosi’ via. Il tutto termina in giornata.
Il liquido cosi’ ottenuto viene convogliato in grandi cubi per la fermentazione che dura una settimana. A questo punto inizia la distillazione con il classico procedimento dei lambicchi e del raffreddamento. Grandi muchi di legname boschivo servono ad alimentare il fuoco sotto i lambicchi.
Alla fine ne esce il rum a circa 69 gradi, gestibile, ma anche piu’ forte a quasi 90 gradi, fuoco puro.
Naturalmente va poi diluito a piacere con acqua o succhi tropicali per i variopinti cocktail e per il punch rum.
Per gli appassionati ricordo il PUNCH EUTIKIA :
su due cubetti di ghiaccio
¼ di sciroppo di canna, oppure zucchero di canna, oppure miele.
¾ di rum agricole, quello francese, oppure rum bianco a piacere
Una fettina di lime o limone
Qualche goccia di Angostura
Una grattatina di noce moscata
INDIMENTICABILE!
ALLA PROSSIMA PER I SALUTI PRIMA DEL RIENTRO A CASA …IN AEREO


PUERTO LA CRUZ , 28 maggio 2009 : BUON VENTO A TUTTI

2009-05-28

Puerto La Cruz – 23 maggio 2009. E’ TEMPO DI SALUTI !
I lavori di rimessaggio sono quasi finiti ed i 3 giugno si parte per Venezia.
C’e’ poco da aggiungere ai report gia’ nel sito. Ma questo poco e’ molto, molto importante :
UN GRANDE GRAZIE A TUTTI QUELLI CHE CI HANNO SEGUITO
A MARINA 2 e a ROBERTO un grazie speciale per aver aggiornato il sito.
Ricordo che tutti i testi e le foto sono state inviate direttamente dalla barca via radio con e. mail e modem pactor3.
A tutti un coloratissimo omaggio floreale con un bellissimo sorriso.
BUON VENTO
MARINA & GIANNI
E
CIAO CIAO
DA
EUTIKIA


Puerto La Cruz - Marina Bahia Redonda - 4 dicembre 2009

2009-12-04

Di nuovo in acqua finalmente !
Queste due prime settimane sono passate lavorando sopra , sotto e dentro la barca. Particolare non irrilevante , la temperatura. Anche 36 gr dentro la barca. Ho lasciato una pinza al sole in coperta, impossibile riprenderla. Ora le cose vanno meglio, sono le 18 locali ed in barca abbiamo 28 gr. Ma c’e’ piu’ aria da poppa che si infila giu’ in cabina.
Quando si riprende in mano la barca dopo mesi saltano fuori sempre rogne. Un breve elenco.
Sostituito rubinetto bagno poppa. Perdeva acqua dal miscelatore. Impossibile da aprire e da riparare. Siamo rimasti cosi’ senza autoclave per una settimana. Per fortuna c’e’ il caro vecchio rubinetto a pedale in cucina !
Ordinata in Italia nuova pompa bassa pressione per dissalatore. Quella attuale e’ a rischio per para acqua partito. Riparazione precaria.
Yanmar : sostituito o ring air cooler, pulizia circuito raffreddamento dal calcare. Per fortuna ho aperto una fascetta per una leggera infiltrazione e staccato il tubo , ho trovato un trombo di calcare. Poteva dare seri problemi.
Il resto e’ normale manutenzione. …per fortuna l’elenco dei ricambi a bordo e’ abbastanza ben fornito. Naturalmente si rompe sempre quello che non hai.
Marina ha rimesso la barca come nuova. Limpiatura di tutto cio’ che era susio. Dopo una settimana a terra era un disastro. Attorno a noi su ogni barca c’era chi levigava, raschiava o dipingeva a spruzzo. Abbiamo cambiato posto due volte ! travel lift e via, Eutikia spostava le chiappe e noi pure…incazzati neri !
Oggi due belle notizie. E’ arrivata la catena che avevamo mandato per una nuova zincatura e soprattutto primo collegamento radio con l’Italia e con tutti gli amici in mare.
Buona la propagazione , abbiamo parlato con Grande Laguna con discreta comprensione. Enzo dalle San Blas , fortissimo. Ma sulla radio ci torneremo presto e’ veramente un mondo straordinario.
Ho inviato anche il primo Position Report.
L’altra sera cena con sorpresa da Gianni, Noelia e Luca. La sorpresa e’ che sono venuti a prenderci in macchina , ma….la direzione era opposta a quella dell’ormeggio dell’Ocean Sunrise. E dove siamo finiti ? Nella nuova casa terramare appena acquistata. Grande cena con pargo alla griglia e brindisi a non finire: siamo tornati a bordo letteralmente in balla !
Ora vado, Marina ha scodellato in tavola un profumatissimo risotto di funghi !


L'ultima storia ...un vero thrilling !

2009-12-14

PUERTO LA CRUZ, 13 dicembre 2009
L’ ultima storia…un vero thrilling !

Sto trafficando al pc. Vista come al solito fa di tutto per complicarti la vita ed il mio programma che gestisce le email via radio non gira a dovere. La pazienza non e’ il mio forte.
“ Gianii…” sospensione… se ho raccolto, e Marina mi richiama “ Gianni ..” Il tono e’ di quelli che ben conosco. Non buone notizie in vista. La guardo, china verso i gavoni sotto al tavolo, mi mostra uno scatolone appena estratto “ e’ bagnato ! “. “ Bagnatooo ?...ma se e’ il gavone piu’ asciutto che abbiamo ! “
Lascio perdere il pc e mi allungo sotto il tavolo. Anche gli altri scatoloni , che di solito sono la nostra cantinetta per i vini, sono , chi piu’ chi meno, bagnati. Bella rogna. Da dove verra’ il liquido e di che si tratta ? Mentre a palpo e con la torcia cerco di vedere meglio, Marina mi richiama.
“ Gianni! Anche quelli del gavone accanto sono bagnati..un po’ meno , ma lo sono..”
Aii ! La cosa si complica, a sinistra poteva esserci qualcosa dal frigo centrale o dal condizionatore centrale, ma in questo gavone oltre al tavolo non c’e’ alcun punto di passaggio.
Ad una prima , prolungata occhiata non vedo rivoletti, anche se in effetti il fondo sembra piuttosto umido. Assaggio con la punta del dito. E’ acidetta, ne’ dolce, ne’salata. Ma ?
Avevamo lasciato gli impianti con un liquido misto acqua dolce e glicole antigelo. E’ meglio evitare di lasciare acqua salata in circolo. Forse ci sara’ stata una perdita. Si tratta di sapere da dove.
Puliamo il tutto, asciughiamo i cartoni e li riposizioniamo con le bottiglie. Controlleremo la situazione.
Me ne ero quasi dimenticato. Tre giorni dopo Marina mi richiama. Stesso tono. “ Gli scatoloni sono ancora bagnati, molto meno, ma lo sono” La cosa si complica.
Decidiamo di smontare tutto. Via i cuscini, via i sedili. Torcia e seguiamo a vista i tubi che vengono dalla cucina sino al bagno di prua. Sono tre di gomma e due di rame. Tutti perfettamente asciutti. Anzi con la polvere. C’e’ solo un tratto non controllabile, sotto un sedile praticamente inamovibile. Per fortuna Amel vi ha fatto un foro per ispezioni. Ci infilo il braccio. Tutto asciutto. Ma non arrivo sino alla parte piu’ bassa. E se ci fossero delle giunzioni non raggiungibili ? Come vederle ? La telecamera del pc ! Perbacco! Detto fatto, infilo la telecamera con torcia. Tutto assolutamente asciutto e niente giunzioni.
Controllo al millimetro il condizionatore ed il frigo. Nulla di nulla.
Quell’acqua sara’ mica piovuta dal cielo ?!
Decidiamo di fissare sul fondo dei gavoni dello scottex per tracciare eventuali percorsi.
Certo che analizzando i fatti non riesco proprio ad immaginare la fonte e la natura di quel liquido !
Mi inizia a frullare una strana idea, una pazza idea ! Se il liquido non puo’esser venuto dall’alto, potrebbe esser venuto dal basso…..siamo sotto la linea di galleggiamento e siamo appena tornati in acqua dopo i lavori a terra, dove ci hanno spostato per ben due volte.
Ormai e’ notte. Apro i piani della barca. I due gavoni sono ben individuati. Direi che alla loro altezza potevano esseri i punti di appoggio dell’invaso. Marina mi guarda e mi dice che sono fuori di testa solo a pensare ad una cosa del genere.
Vado a dormire, o meglio a pensare una possibile soluzione. Incubi per tutta la notte. Alle 6 sono gia’ in piedi e vado a vedere come e’ stato sistemato a terra un altro AMEL.
Ora ricordo perfettamente . Tirando su la barca le cinghie del travel lift erano finite, nonostante le mie indicazioni, sullo spidometro elettronico. E se avesse ceduto e crepandosi avesse creato una micro falla ? Torno in barca…..cerco , seguendo i cavi , la posizione interna dello spidometro. ASCIUTTA ! meno male , per un momento…
Il problema pero’ resta : da dove veniva quel liquido ? Forse una manovra incauta del manovratore spostando la barca..hanno sforzato puntando troppo le patte di appoggio. Possibile!?
Resta un fatto. Prima tutto asciutto, poi bagnato . Mi consola il fatto che, se cosi’ fosse stato, il liquido non si sarebbe contenuto. Ma !?....poteva anche stagnarsi..
Ormai siamo a mezzogiorno e non so darmi pace. Il tarlo lavora, lavora..lavora.
Guardo la data..13 dicembre ! i marinai sono tutti un po’ superstiziosi, io pure.
Mi metto al pc, per pensare ad altro. In pochi minuti risolvo l’inghippo con Vista. Buon segno.
Vado oltre e ne risolvo un altro. ….Marina mi chiama. Il tono e’ quasi speranzoso.
La guardo. E’ china davanti al frigo centrale mentre sta pulendo..” e se l’altro giorno sbrinando il frigo avessi lasciato tutto, bottiglie e scatole varie, proprio sopra al pavimento blu sopra i gavoni e l’acqua di sgelo fosse poi scesa lentamente sul fondo ? ”
Morale. Mai farsi le idee fisse. La vita, soprattutto in barca, e’ come giocare a scacchi. Bisogna alzarsi girare attorno e cambiare prospettiva……..ora vado a vedere se c’e’ ancora..


NUOVE FOTO

2009-12-16

Puerto la Cruz, 16 dicembre 2009.

Nuove foto e commenti nella Gallery. Quasi pronti a mollar gli ormeggi !


Tortuga - Cayo Herra Dura - 22 dicembre 2009

2009-12-22

Con le punte delle dita tra il biancore della sabbia calcinata dal sole avevo trovato una piccola, graziosa conchiglia. Tra tante, perche’ proprio quella ? Perche’ questa ricerca la’ dove c’e’ un limite tra terra e mare, un limite che continuamente muta ? Un biancore accecante riflette il calore del sole sui nostri volti, noi quasi senz’ombra. ……e’ stato come un balzo improvviso nella memoria….la’ c’erano ombre lunghissime. Un sole radente proiettava i nostri corpi, piatti verso la fine quasi curva dell’orizzonte nel deserto del Sahara. Tra gli alti picchi dei Tassili cercavamo tra la rossa sabbia tracce del lontanissimo passato. Qui conchiglie, allora piccole punte di silicio, aguzze punte di freccia.
Cercavamo contro luce , raso sabbia, spuntare piccolissime rugosita’con sotto vento , appena segnati, coni di sabbia ramata portata dal vento. Piu’ questa rugosita’ era accuminata piu’facile era trovarvi una freccetta. E il gioco continuava in un silenzio assoluto, mai piu’vissuto.
Attorno a noi un mare infinito di sabbia, dune alte color rame a perdita d’occhio. Oltre , a ridosso della friabile arenaria di un tassili, con le pareti piu’ lisce appena segnate da graffiti preistorici, si alzava lentamente il fumo del campeggio allestito dai Tuareg.
Ecco , nella notte il cielo stellato sia qui, in mezzo al mare, che allora nel gelo della notte, dopo un dolciastro e forte the’ alla menta , il cielo stellato ti appare come un telo nerissimo punteggiato da forellini luminescenti, come se lapilli lo avessero forato lasciando passare una luce dall’aldila’.
Siamo all’ancora di fronte ad una linea bianca di sabbia. Qualche capanno, i pescatori li chiamano rancho : sembrano improbabili patch-works di ogni relitto lasciato dal mare, Ondulex,travidi legno consunto, cartoni incatramati, fogli di plastica deformata dal calore, mozziconi di travi qua e la’ ancora con croste di pittura rosa dalla salsedine..composizioni alla Burri..
Qualche anno fa la coda di un uragano spazzo’ via alcuni di questi poveri ranchos .sul margine piu’ a est del cayo limando brutalmente l’ultimo lido. Quando Chaves capito’ poi da queste parti in visita ad un paese sulla costa , ma di fronte a Tortuga, i pescatori accorsero e chiesero un aiuto finanziario per ripristinare al meglio i loro ranchos . La risposta fu, piu’ o meno, che lui non sarebbe andato contro natura e quindi niente dinero!
Mentre mi raccontava questa storia, il pescatore , del tutto simile al suo rancho , rivelo,’tra le profonde ed ispide rughe del volto, un amaro sorriso “ …e loco ! “


Los Roques - Noronqui 29 dicembre 2009

2009-12-29

Mi sono appena svegliato..si fa per dire. Sono le 06.20 e tutta la notte abbiamo ballato. Ieri sera questo ridosso sembrava perfetto. Isoletta con spiaggia rosa avvolgente, reef a sinistra e reef a destra . Da poppa il vento non viene , qui sempre intorno est. Poi dopo una bella cenetta in pozzetto, a nanna.
Il vento e’ cresciuto . Il reef e’ improvvisamente diventato basso, troppo basso. Le onde hanno incominciato a frangere ed a superarlo di slancio, sia da sinistra che da destra, girando attorno all’isoletta. Noi in mezzo. Niente di che, ma rollate confuse tutta la notte e beccheggio molto fastidioso. Pero’, pero’ che luna ieri notte !
E’ quasi piena, lo sara’ il 31. La coperta era illuminata a ..notte chiara. La lagunetta, ancora protetta dal reef, riverberava luminescente. Netta la differenza tra le zone profonde e i bassi fondali che ci avevano impensierito entrando. Non c’e’ piu’ lo smeraldo, ne’ il cielo ceruleo , ne’ il viola cobalto del filo del mare verso l’orizzonte, c’e’ solo una luce diffusa chiara, molto chiara.
Gli alberi , puntati verso le pallide stelle, proiettano la loro ombra in coperta. Sopra scorrono rapidi grumi grigiastri di nuvole che l’aliseo spinge verso ovest. La forma si sfiocca lasciando liberi ricci che si prendono tutto il biancore dalla luna. Ora ci illumina, ora la nuvola ci fa ombra.
Dalle altre barche solo qualche fioca , vacillante luce. Piu’ in la’ verso il reef i pellicani dondolano assonnati e stanchi dopo i mille tuffi a capofitto della giornata.


NUOVE FOTO - LOS ROQUES

2009-12-31

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LOS ROQUES, CARENERO - 1 GENNAIO 2010 - IL RAGGIO VERDE

2010-01-01

Siamo stati proprio fortunati. La notte di Capodanno con una luna piena memorabile e ieri al tramonto il sole ci ha regalato il RAGGIO VERDE.
Stavamo rientrando ai nostri gommoni dopo una bellissima passeggiata lungo la spiaggia.
Luca giocava e con uno stecco tracciava arabeschi improvvisati, ampi segni gestuali sul biancore dell’arenile, segni, simboli primitivi che graffiavano le nostre lunghe ombre proiettate dal sole, ormai raso alle nostre spalle.
“ Avete mai visto il raggio verde? “ Gianni, indicando il sole ormai prossimo a lambire l’orizzonte.
Bah ! In effetti ricordavo di aver visto proprio qui a Gran Roques diversi anni fa un tramonto strepitoso. Eravamo all’ancora ed il sole tra grandi nuvoloni rosso violacei stava precipitando, come solo ai tropici accade. Una vela contro luce stava bordeggiando verso di noi. Ne notavi solo il triangolo, nero contro luce, delle vele ed ad ogni bordo il sempre piu’ prossimo schioccare delle vele ad ogni cambio di mura.
I raggi del sole passando tra la bassa nuvolaglia si aprivano con diversi effetti di luce. Allora mi sembro’ di cogliere un raggio piu’ chiaro che si perse smeraldino verso il violaceo imbrunire. Mi era rimasta questa impressione.
Ora Gianni , con sicurezza, aveva richiamato la nostra attenzione verso il sole che stava sparendo oltre il filo dell’orizzonte. “ o lo vediamo ora, subito o non lo vediamo piu’ ! “
Fu un attimo ! Che attimo ! Un bagliore, un piccolo bagliore verde, un flash smeraldo, la’ dove, in quel preciso punto, il sole era sparito…….” VISTOOOOO !!!”..tutti d’istinto, con grande meraviglia. Che ricordo !


LOS ROQUES - CAYO DE AQUA - 5 GENNAIO 2010

2010-01-05

Avanziamo a velocita’ moderata con ondetta e vento sui 25 nodi. Marina e’ aprua che cerca di cogliere qualche sfumatura dalla superficie contro luce. Le secche ed i bassi fondali non si vedono, il cielo coperto non lo permette, senza luce. Per ora , no problem, seguiamo Gianni. Siamo sulla sua poppa.
Vedo che procede sicuro anche se il fondale si riduce a 1.5 mt sotto la chiglia.
Poi gira a destra verso una singola palma dove c’e’ un motoscafone ancorato.
Lo seguo. Ci avviciniamo lentamente. Gianni trova spazio per ancorare. Io mi infilo tra lui ed il motoscafo, oltre il fondale decresce. Giu’ 35 mt di catena, non si sa mai, le raffiche continuano tese.
Alla fine ci siamo e ci guardiamo attorno. C’eravamo gia’ stati nel ’95 con Gianni. Altri tempi.
Il paesaggio e’ sempre superbo , selvaggio. Il mare , con il sole, ha tutte le sfumature tra il turchese e lo smeraldo.
Sono posti splendidi , ora a completa disposizione del turismo nautico venezuelano in fortissimo sviluppo.
Salvo rare eccezioni, facilmente individuabili dall’estro e dal buon senso dei proprietari, la qualita’ nautica di questi capitani e’ piuttosto scarsa. Sono passati dalle super quattro ruote motrici con pneumatici quasi piu’ alti di me e cromature da Luna Park a super yacht tipo Bertrand da 60 piedi.
Bisognerebbe vederli alla fonda. Hanno come minimo 3, 4 ponti con canne da pesca che spuntano lucicanti da ogni dove. Sembrano porcospini. A poppa galleggia una varieta’ stupefacente di accessori. Almeno due tender, di cui uno con 2 potenti motori mostruosi. Uno o due prendi sole galleggianti tipo coccodrillone per le signore, rigorosamente in bikini, rigorosamente grasse, rigorosamente rifatte. I ragazzi hanno a disposizione lo sci nautico o la moto d’acqua.
Il proprietario e’ letteralmente circondato da parenti di minor grado e da personale di servizio che lo accudiscono e gli puliscono in continuazione la barca.. Naturalmente il passatempo preferito e’ quello di star seduti, guardarsi in giro con tronfia soddisfazione, e bere e bere, di tutto.
Dimenticavo. La musicaa! Non manca mai. Quasi sempre a volumi che facciano crepare d’invidia i motoscafisti amici vicini, che , poveretti, hanno qualche piede in meno ed un impianto meno spinto.
Il bello e’ che spesso tutta questa allegra brigata decide di spostarsi con tende, tipo emiro, e cassoni frigo per cibo e bevande sulla spiaggia. Finalmente , lontani ! E no ! Me misero tapino. Se ne vanno , ma ti lasciano con la disco music piu’sacchetton del sacchetton, tipo dun, dun, da, dun, dun al massimo volume e con nessuno a bordo con cui prendertela !
Ieri c’e’ stato il record di esempi di imperizia nautica.
Arriva un 45 piedi a vela, sfreccia a zig zag tra le barche per portarsi in prima fila sotto vento alle mangrovie. Arriva sin sotto, sotto. Adesso sbatte, penso. E infatti vedo salire di botto la prua e fermarsi. Tutto calcolato, pero’ ! Il secondo a prua getta l’ancora sulla sabbia, poi corre a poppa , si tuffa e raggiunge la spiaggia a prua . Prende l’ancora e la infila nella sabbia. Come facciamo noi con i nostri gommoncini !
Poco dopo arriva un altro buon 40 piedi. Dove si piazza ? Anche lui davanti a tutti e proprio sopra vento alla mia prua. Punta verso le mongrovie, ma si ferma prima della botta. Il secondo a prua cala una bruce, tipo ciondolino per collanina, e qualche metro di catena. Il resto cimetta. Lasca, lasca e la barca si mette filo a vento tra le raffiche. Bah ! Terra’? Lo tengo d’occhio mentre la barca balla lo swing davanti a me. Lascio perdere e torno alla mia radio. Dopo un po’ sento il classico cicalino del motore appena acceso. Esco. Stanno arando e il capitano gia’ armeggia, per fortuna, con destrezza per togliersi dai pasticci.
Ultima della giornata. Rientra il tender di cui sopra, quello con i due motoroni mostruosi. Al “ volante” uno della truppa scelta con divisa bianca, berettino e occhiali da formica. A bordo tutti i famigli che rientrano da una giterella da magna e bevi sulla spiaggia. Si infila nella passe e punta diretto a tutto gas verso il motoscafone. Taglia pero’, taglia un po’ troppo lungo il reef per accentuare un’accostata a gran effetto con onda verso le poppe di tutti noi e …..GRRRANG !


Puerto La Cruz .15 gennaio 2010

2010-01-15

Puerto La Cruz, 15 gennaio 2010
Uscire dall’arcipelago delle Los Roques non e’ proprio semplicissimo. Decidiamo di partire verso le 15 per aver luce favorevole e per aver tutta la notte a disposizione ed arrivare a Carenero, sulla costa, all’alba dopo circa 85 mg.
Il meteo con i suoi puntuali grib ci offre una finestra buona. Fino a mezza notte da 15 a 20 nodi di bolina lasca, poi 20 di stretto, ma dovremmo esser gia’ sotto costa con meno vento e mare. Meno vento perche’ i grib non leggono bene le previsioni sotto costa o tra le isole. In altre parole non sono precisissimi quando si tratta di valutare altri effetti che non siano il solo gradiente barico.
E cosi’ e’ stato. Bella navigata notturna di conserva con l’Ocean Sunrise di Gianni.
Dopo aver evitato, grazie al radar, un paio di incroci pericolosi con piccoli cargo che nemmeno hanno risposto sul 16, diamo ancora alle 03.00 dietro Capo Codera. Si rolla molto e appena fa chiaretto ci infiliamo nella laguna di Carenero.
Carenero puo’ esser il simbolo di questo nuovo Venezuela.
Ancoriamo proprio di fronte ad uno dei Marina. Sembra di esser in laguna a Venezia. Acqua scura e verde, fondo di fango. Alla mia sinistra un muro di mongrovie alte, a destra un altro muro…di motoscafi.
I marina rigurgitano di motor yachts enormi e di motoscafi di ogni dimensione e foggia. Qui ormai sono diffusissimi sistemi di rimessaggio a 4, 5 e piu’ piani dove stivare le barche. Attorno inizia il carosello di moto bikes, sci d’acqua e gommoni vari. Il tutto naturalmente condito da musica al massimo volume per superare il rumore dei motori. E’sabato !
Vedo un distributore. Andarci con la barca non si puo’, troppo basso. E poi non sappiamo se ci danno, a noi stranieri, la nafta. A Puerto La Cruz ci fanno storie, solo una tanica. Il resto con un taxi. Con il gommone ci avviciniamo, pieni di taniche. Ci infiliamo tra motoscafi in coda dove nessuno puo’ arrivare e ci aggrappiamo al moletto. Un assistente ci aiuta con grande cortesia. Strano. Anzi, scambiamo simpatiche battute sugli italiani che qui sono ovunque. In pochi minuti ci ritornano le taniche piene. Strano, senza battere ciglio. 120 litri di gasolio in 6 taniche.
“ La cuenta por favor ! “..un gran sorriso di risposta e ..” Diez mila bolivars “ STRANO !
Facciamo rapidamente due conti, ci guardiamo negli occhi pensando di non aver capito bene.
Me lo faccio ripetere, mentre Marina furega nel portafoglio. “ Diez bolivar, senor.” Ripete il nostro.
Ha tolto i mila, ma e’ in pratica la stessa cosa. Usava ancora il vecchio sistema. Ora c’e’ il bolivar pesante e sempre diez sono. Nafta GRATIS ! Per 120 lt, abbiamo speso al litro 0,011 Eu !
Hai capito perche’ tanti motoscafi ? Il carburante costa nada.
Nel pomeriggio ci infiliamo con il gommone nella laguna. Ancora oggi a tratti lo scenario e’ selvaggio. Tra alte mongrovie pellicani, copie di pappagalli e aironi bianchi si accapigliano cercando il ramo migliore per la notte. Il sole ormai tocca l’orizzonte, sopra di noi rossi aironi si spostano a stormo formando nel cielo cangianti forme geometriche.
Raggiungiamo ,che e’ quasi buio, le nostre barche dopo aver evitato per un pelo l’ultima moto bike.


TORTUGA - CAYO HERRADURA - 25 GENNAIO 2010

2010-01-25

Siamo ritornati in questo meraviglioso posto. E si’, e’ proprio quello che un velista, e non solo un velista, vorrebbe sempre avere..quasi. Il vento sempre da una direzione, intorno EST, ed una spiaggia bianca e lunga proprio a chiudere il quadrante da N a Sud. Fondale di sabbia dai 3 ai 5 metri. Attorno i pescherecci non mancano quasi mai e quindi pesce ed aragoste a volonta’.
Bei bagni e lunghe passeggiate tra cielo, mare e soffice sabbia.
Ci siamo tornati, un po’ stressati, dopo 10 gg di lavori vari in Marina a Porto La Cruz.
La vita in barca non e’ sempre cosi’ fantastica come appare. Forse , per me, la cosa piu’ rognosa sono gli accidenti che possono capitare agli impianti vari di bordo.
Prima cosa , te la devi cavare sempre da solo, anche se i suggerimenti di Marina sono spesso decisivi…da non credere . Poi , naturalmente, se ti serve un ricambio o c’e’gia’ in barca o trovarlo da queste parti e’ come andare alle giostre e centrare con una pallina il vasetto con il pesciolino rosso che piu’ ti piace..ricordate ?
A proposito di IdealMarina, sentite questa.
Dobbiamo smontare le due membrane del dissalatore fissate con una struttura che pesa piu’ di 15 kg al soffitto nel vano motore. Naturalmente dei 4 bulloni che la reggono , due sono a portata di mano, gli altri due sono in una posizione impossibile. Ci arrivo a stento in posizione da fachiro a pancia in su mentre le braccia si tagliuzzano con le varie fascette inox che popolano il loculo che mi circonda.
La temperatura non aiuta. Gocce di sudore colano prima sulle lenti degli occhiali. Me li tolgo. Poi negli occhi che di squincio scorgono i due maledetti perni. Perdo la luce da testa. Al buio riesco ad infilare la chiave da 13. Naturalmente gira tutto e Marina si infila nel gavone e tiene botta con un cacciavite sulla testa. Ok , ora il bullone viene via, ma dopo come fare con questo peso che rischia di cadermi sulla testa una volta libero dai bulloni ? Esco da quella scomodissima posizione inarcandomi con fatica e facendo leva sui talloni…la posizione mi ricorda tanto quella danza caraibica del passaggio a ventre in su sotto una barra fiammeggiante.
Torniamo in pozzetto a pensare. E Marina la pensa giusta. “ Perche’ non usiamo un cavetto infilandolo nei fori lasciati liberi dai perni per sostenere la struttura ? “ Detto, fatto !
Tolgo un bullone, infilo il cavetto e faccio un nodo savoia. Marina in gavone mette in tiro e assicura il cavetto su un anello. E cosi’ via per gli altri perni. Far scendere poi tutta la struttura lascando i cavetti e’ stata pura goduria. Cambiare la testa difettosa non e’ stato molto difficile e ora pare che il tutto funzioni…fino alla prossima rogna.


TORTUGA - I pescatori di Cayo Herradura - 26 GENNAIO 2010

2010-01-26

Scendiamo dal gommone. Un piccolo balzo e siamo sulla bianca sabbia di fronte ad un rancho, o meglio di fronte al rancho di Andres Felipe. Cerco dove fissare la cima del gommone e trovo ben infisso nella sabbia un vecchio, arrugginito rampino. Tiene da solo una lunga fila di pegneros. Terra’ anche il mio gommone.
Guardo questo vecchio pezzo di ferro. E’ proprio come questi pescatori. Aggrappati a questa arena per vivere. I loro volti corrosi dalla salsedine, bruniti dal sole. Mani pesanti, forti. Occhi scuri, vivaci, non ancora bruciati dal micidiale riverbero.
Scorgo, all’ombra incerta della rabberciata tettoia, alcune figure appena ritagliate nel controluce.
Rivolti verso di noi, appena volgono lo sguardo. Un bel cartello campeggia sul fronte della tettoia.
“ Il rancho de la oia, Andres Felipe “ Lascio il sole abbagliante, sotto la tettoia lo sguardo riposa ed incontro sguardi curiosi. Ci hanno gia’ fatto una radiografia completa.
“ Buenas tardes a todos ! “ li saluto accompagnando il sorriso con un ampio gesto di saluto.
“ Donde sta Senor Felipe ? “ ..subito, dal retro oscuro del rancho mi viene incontro una bella figura d’uomo di una certa eta’,.. forse la mia. Ci da un caldo benvenuto e subito il discorso si apre sul pescado, sul tempo, sulle giornate di pesante lavoro.
Su questo lido, lungo un paio di chilometri, conto quasi una decina di rancho. Alcuni molto piccoli, solo povere tettoie. I piu’ grandi con un vasto spazio antistante a veranda e un ambiente piu’chiuso e protetto per dormire. Ad ogni rancho fa riferimento un gruppo di lavoro, possono essere poco piu’ di una decina di pescatori. Ogni rancho ha di fronte i propri pegnero, grossi lancioni con la prua slanciate ed alta. A poppa poderosi fuori bordo. Il carburante in Venezuela e’ gratis.
Il lavoro e’ ben organizzato, il metodo consolidato da sempre. Il loro obiettivo e’ semplice.
Pescare e portare il pescato al mercato di Margarita, isola distante circa 50 mg, normalmente contro mare e vento dai 15 ai 25 nodi.
Per pescare escono con i pegnero a posare le reti nei dintorni del Cayo e nelle secche piu’ pescose delle vicinanze. Alla mattina vanno a raccogliere le reti e rientrando si fermano a lato di pescherecci piu’ grandi alla fonda a ridosso del lido, come noi.
Vendono subito tutto il raccolto al comandante del peschereccio e se ne tornano al rancho. Il peschereccio di raccolta staziona alla fonda finche’ il carico e’ completato , circa 4,5 giorni. Poi parte per Margarita, quasi 10 ore di smotorata.
Ma non tutto il pescato e’ cosi’ pregiato da esser mantenuto fresco e portato rapidamente al mercato. Di fronte ad ogni rancho ,su grandi tavolati,mucchi di filetti di pesce vengono salati e messi a seccare.
Poco prima del tramonto i piu’ giovani si divertono con una partitella di baseball, mentre al riparo del rancho si prepara da mangiare. Qui non hanno quasi nulla. Appena ci vedono, ci chiedono sempre sigarette, batterie, rum o pezzi di ricambio. Alle volte riusciamo ad accontentarli ed allora tutti gli altri ci riprovano e passano sotto bordo andando su e giu’ verso il loro rancho. “ ei amigo cigarillos !..ei amigo batterias ! “ e non se ne vanno finche’ non trovi qualcosa per loro.
Poi fa buio, rapidamente. Le fioche luci dei rancho si spengono una ad una. Resta solo la luna a vegliare su di loro e su di noi.


Speciale Orinoco e Gran Sabana, 7-13 febraio 2010

2010-02-17

Dopo due anni non avevamo ancora visto nulla dell’entroterra venezuelano. E cosi’ , arrivati Marina e Andrea, abbiamo deciso di farci un giretto … di piu’ di 2000 km . Niente mezze misure.
Con il driver Leo, un italo venezuelano figlio di un ex cercatore d’oro romano, ed il suo 4x4 abbiamo rivissuto, si fa per dire, le grandi avventure di Alexander von Humboldt, giovane e ricco esploratore tedesco che negli ultimi anni del ‘700 passo’ anche da queste parti, e del pilota Jimmie Angel che nel 1937, cercando l’oro, individuo’ la cascata piu’ alta del mondo che da allora prese il suo nome.
L’Orinoco e’ il terzo grande fiume della terra con un delta di piu’ di 300 km. Noi ne abbiamo navigato un piccolissimo vaso capillare, ma sufficiente per intuirne il grande fascino.
Ci siamo imbarcati a San Jose’ di Buia e, con una guida francese ed un indio al fuoribordo, ci siamo infilati tra canali piu’o meno larghi e pareti impenetrabili di una fitta giungla.
Sulle sponde qualche piccolo villaggio warao su palafitte, qualche canoa ed un enorme muro verde brulicante di vita, quasi invisibile. Sulle alte cime passano i grandi pappagalli dallo stupendo piumaggio verde e azzurro, tucani e scimmiette, mentre un’incredibile varieta’ di piccoli pennuti ci organizza un concerto polifonico di benvenuto. Sotto il tetto dei churuata , le piccole capanne con il tetto di foglie di palma, gli indio dondolano e ci salutano dalle loro amache.
Mentre arriviamo al campo base una vera sorpresa . Un delfino guizza fuori dall’acqua marron davanti alla nostra prua ! E’ il tonina raro esemplare di delfino di acqua dolce in via di estinzione.
Dopo un forte caffe’ ed un’abbondante spruzzata di Autan ci infiliamo nella giungla .
Per fortuna ci avevano fatto calzare alti stivali di gomma. Affondiamo spesso sino alle caviglie.
Marina finisce nel fango in un punto piu’ vischioso e non ne esce piu’. La tirano su di peso ... imboresata! Avanziamo grondando sudore, avvolti da nubi di moscerini e zanzare. Spine e liane ci sbarrano il passo. Formicai di termiti appesi alle liane. Grandi farfalle azzurre. La nostra guida indio taglia con un fendente di macete una liana e dal tronco reciso sgorga l’acqua. Qualcuno la beve, pare piu’ buona della minerale. Poi ci serve, dopo averne tagliata la parte superiore come si fa con gli aranci, uno strano frutto violaceo che contiene un liquido trasparente. Lo bevo. Sa di tamarindo ed e’ molto dissetante. Ci voleva. Proseguiamo. Avanzare costa fatica e non capisco quale sia la meta. Finalmente rivedo un pezzettino di cielo, siamo ritornati, dopo un’oretta, da dove eravamo partiti. Sfatti contempliamo, ora con un po’di consapevolezza, l’immobile superficie del fiume forse appena increspata da una bava di vento che scende e penetra tra le alte quinte color smeraldo della giungla.
Ripartiamo. Altri 500 km e dopo una corsa a quasi 140 kmh su una striscia d’ asfalto stretta come una nostra dissestata strada provinciale con un’unica corsia per senso di marcia, un vero stress, arriviamo ai margini della Gran Sabana.
Ormai il sole sta tramontando dietro gli alti tepuy che circondano l’altopiano. Ci fermiamo qualche minuto per le foto. L’aria e’ ora quasi frizzante, siamo a 1400 mt. Il controluce esalta la prospettiva in profondita’ del succedersi delle montagne in lontananza. E’ tutto un riverbero rosso oro sopra il verde marcio della savana.
Questa sabana e’ davvero immensa, 35.000 Kmq. Una lunga, dritta e ondulata strada d’asfalto la taglia in lunghezza da nord a sud sino al confine con il Brasile, piu’ di 300 km. Da questa spina dorsale si diramano molte strade sterrate di rossa arenaria, polvere fine come la cipria. Ne seguiamo una verso ovest, dritti contro il sole. Non capisco come Leo riesca a vedere buche e dossi, il sole ci acceca. Lo guardo. Sta con la testa fuori dal finestrino.
Passiamo la notte in un Campamento. Le stelle fuori brillano e noi ceniamo su un lungo tavolo in una sala da pranzo, rustica e con pareti di pietra a vista. Siamo in corrente d’aria,sento un’arietta fresca arrivare dalle finestre … non ci sono i vetri.
Il giro nella savana di fatto consiste nel deviare dall’arteria principale e cercare, lungo sterrate laterali, salti e cascate d’acqua o panorami infiniti verso i tapuy.
Ci fermiamo ad Aponguao. Montiamo su una curiara, una canoa scavata nel tronco di un albero, e via in discesa lungo un bel corso d’acqua. Dalle rive potresti veder spuntare la testa di qualche dinosauro ... ma non per scherzo. Qui hanno girato la corsa dei dinosauri del film Giurassik Park.
Ad un certo punto, dietro un’ansa, il fiume scompare. Siamo arrivati alla cascata e la nostra guida pemon si arena con la prua su un piccolo approdo naturale. Sbarchiamo. Lungo la breve passeggiata verso la cascata ci mostra piante carnivore di diversi tipi, apre delicatamente un formicaio, ci infila un dito subito ricoperto dai piccoli animaletti. Non esita un attimo e se lo infila in bocca. Dice che sanno di menta. Marina 2 ci prova anche lei e conferma, sanno proprio di menta.
Dopo un cespuglio, che ospita tre verdi e simpatici pappagallini, raggiungiamo una terrazzetta a strapiombo sulla cascata. Lo scenario e’ primordiale. L’acqua precipitando nella valle sottostante svapora dispersa dal vento a folate. La pietra rossa di arenaria brilla al sole. Piu’ in giu’ si allarga un laghetto dal quale defluisce lentamente l’acqua verso la valle circondata da alti dirupi. Nessun segno dell’uomo.
Questa e’ stata la cascata piu’ bella. Purtroppo si era deciso di non effettuare la gita al salto Angel perche’ in questo periodo prevale la siccita’ e con poca acqua lo spettacolo della cascata piu’ alta del mondo di fatto non c’e’ .
Dopo una puntatina al confine con il Brasile e pernottamento a Sant’Elena di Uarien, altro paesaggio di grande effetto dopo 37 km di strada rossa infernale. Il 4x4 si inerpica , sobbalza, quando non c’e’ la fa Leo mette la massima potenza alle 4 ruote e si torna ad avanzare salendo tra sassi e fenditure . Lo scudo di protezione sotto la macchina lancia scricchiolii sinistri.
Arriviamo finalmente su di un poggio. E’ il campo base per la salita al Roraima, il tepuy piu’ alto e massiccio. Lo spettacolo e’ grandioso. Una lunga catena di tepuy scandisce l’orizzonte, tutti nel grandangolo non ci stanno. Trovo un posto all’ombra e dipingo un acquarello. Restera’ un piccolo ricordo di questo immenso Venezuela.


LES AVES, 25 febbraio 2010

2010-02-26

A sole 35 mg a ovest delle Los Roques due piccoli e rasi gruppi di isole, separate appena da 10 mg, ospitano un’incredibile colonia di uccelli marini. Semplici i nomi di queste isole , la’ Los Roques per identificare sparse scogliere e qualche rado dirupo sparso nella vastita’ del sud Caribbe, qui Les Aves per gli uccelli che vi nidificano.
Ci arriviamo, ai noi!, dopo una bella smotorata. Normalmente da queste parti soffia un costante aliseo, giusto da est. Da giorni invece non si vede. Questo e’ l’anno del nino ed ogni condizione meteo appare inconsueta ed alterata. Quindi niente aliseo.
Almeno non ci sono stati problemi nell’infilarci nello stretto dedalo di reef per raggiungere un ancoraggio decente ridossato dalla leggera maretta. Entrando per la prima volta e’ sempre meglio aver buona luce alta dalle spalle e poco vento per manovrare con precisione tra secche e coralli.
Ci fermiamo appena trovo un po’ di spazio, proprio di fronte ad un muro di alte mongrovie.
Di fronte a noi il reef, uno specchio smeraldo, poi la scogliera lontana, oltre l’indaco del mare aperto a Nord Est.
Spengo il motore. Il silenzio. No, non e’ silenzio. Un volare alto di uccelli oltre le cime degli alberi, un roteare continuo, scivolate d’ala, risalite improvvise e cabrate, un richiamo continuo, toni acuti e stridenti, altri piu’ cupi ed insistenti. Un vero concerto, piuttosto atonale pero’ direi, ci da il benvenuto. Tra il curioso ed il seccato un po’.
Il sole scende ora rosso cinabro, rapidamente oltre il verde marcio, tra grigie nuvole oltre l’orizzonte.
La luna prende il suo posto, quasi piena. Dall’oscurita’ del muro degli alberi s’odono ancora richiami. Forse l’ultimo parapiglia per conquistarsi il ramo giusto per posare le zampette.
Il mattino dopo e’ tutto dedicato all’esplorazione del sito. Fa molto caldo e la leggerissima brezza non ci e’ di gran sollievo mentre ci avviciniamo con cautela e molta curiosita’ ai primi rami che sbalzano verdi dal muro di mongrovie.
Marina e Andrea pagaiano lentamente, molto lentamente verso i primi uccelli appollaiati sui rami piu’ bassi. Scatto rapidamente le prime foto prima che si alzino in volo. Non succede nulla.
Ancora qualche pagaiata e siamo solo a qualche metro. Immobili. Immobili noi sul gommone tratteniamo il fiato, immobili loro ci scrutano muovendo leggermente il becco e scrutandoci con occhietti neri e vispi.
Ormai ci hanno quasi accettato. Cerco lo scatto migliore. In piedi, con incerto appoggio sul gommone, sono ora all’altezza di un nido. Un bobby femmina sta covando e mi guarda appena timorosa, ma resta accovacciata. Piu’ in la’ un’altra ha gia’ il suo piccolo al fianco.
Piumette morbide bianche con un becchetto nero alla fine di un corto collo che stenta a star dritto verso il becco azzurro della madre.
Tra il groviglio del verde alcuni arbusti s’alzano alti e frondosi. Tra le chiome, a schiera, i maschi, dalle zampette palmate e rosse, si stiracchiano asciugando le ali al sole. Ci guardano dall’alto con assoluta indifferenza.
Qualcuno pare mettersi persino in posa. Altri spiccano il volo roteando su di noi e temiamo di esser bombardati. Attorno a noi il guano ricopre abbondantemente il fogliame e l’olezzo non manca.
Ci allontaniamo prudentemente. Il motorino scoppietta ora lentamente e seguiamo da vicino il succedersi frondoso delle sponde. Dove si ferma lo sguardo la natura non manca di offrire uno spettacolo unico, indimenticabile.
Lo scenario e’ primordiale, mai visto. Tutto sommato e’ molto semplice. Una parete di mongrovie con una vita stupefacente di uccelli, un cielo piuttosto imbronciato si riflette su un’acqua ferma, smeraldo saturo, opaco. Ormai lontana Eutikia sta alla ruota appena sospesa sul filo dell’orizzonte.
Ultima tappa, dirigiamo sul reef esterno. Passiamo indenni, ma con qualche timore, un reef quasi affiorante e troviamo una piccola spiaggetta dove scendere a terra.
Ormai lo sguardo si perde verso il mare aperto. Non c’e’ vento, non c’e’ onda. E’tutto cosi’ inconsueto. Solo una leggera risacca imbianca il corallo che emerge lontano. In mezzo una laguna trasparente, immota. Cammino sull’argine basso di una lingua bianca di sponda. Uno strato spesso di corallo rosa in frantumi fa da riva. Qua e la’ rami neri di corallo sradicati dalle onde e gettati tra i detriti della natura. Qualche piccolo airone s’alza in volo e si rifugia poi nel fitto dei bassi arbusti.
Il sole ora picchia forte. E’ ora di rientrare.
Questa volta dirigiamo diretti verso la barca. Cerco pero’ prima un canaletto, indicato dalla piccola mappa sulla guida, per un altro ancoraggio. Si potrebbe passare evitando quel chiaro basso fondo, poi girando tra due reef e poi … sara’ per la prossima volta!


Los Roques, SARQUI. L’elogio ... breve a Cayo Carenero. 2 marzo 2010.

2010-03-03

Si trova , piu’ o meno le carte sono qui molto imprecise, a 11.53’ N – 66.50’ W. Visto sulla carta e sulla guida appare un ancoraggio, protetto da est, come ve ne sono molti alle Los Roques. Pero’ e’ invece davvero unico.
L’entrata non e’ difficile. Basta infilarsi tra due lingue di reef, chiaramente visibili anche con luce non ottimale, e si e’ subito in una piscina naturale. Mongrovie , spiagge e reef la circondano proteggendola a 360 g. Il vento, anche se di forte intensita’, viene attutito dalle chiome fitte delle mongrovie. Le circostanti scogliere evitano anche il piu’ piccolo insinuarsi di ondine laterali. All’interno, dunque, calma piatta.
Il paesaggio e’ molto vario. Verso nord, oltre un reef sommerso, una lunga spiaggia bianca lontana con qualche rancito appena visibile. Ancora piu’ in la’ a NW il blu indaco dell’orizzonte.
A est, prima la superficie smeraldo chiaro di un basso fondale proteso verso il mare aperto, poi il riposante verde chiaro delle mongrovie proprio di fronte alla prua che si stende un po’ verso sudest.
Verso sud il canaletto blu intenso dell’entrata tra le due sponde smeraldo di un reef semi sommerso.
A ovest, a poppa, ancora mongrovie, solo una grande pagnotta pero’, con candide spiaggette e bassi fondi che si prolungano verso nordovest. A ovest il tramonto del sole e’ sempre uno spettacolo. Ai primi di gennaio vedemmo per due giorni di seguito il raggio verde smeraldo che brilla all’orizzonte nell’istante preciso in cui il sole sparisce, oltre il mare, in un cielo che deve esser perfettamente terso. Di notte poi la fioca luce del rancio non disturba in lontanaza ne’ l’osservazione delle stelle ne’ il diffondersi argenteo del chiarore della luna piena.
Sott’acqua lo spettacolo continua. Lungo i reef in ogni dove , anche in 50 cm , pescetti e pesciotti variopinti guizzano tranquilli tra i coralli. Sembra Carnevale, la natura in maschera. Gialli a strisce azzurre, meta’ gialli e meta’ blu, solo blu con puntini azzurri, verdi con le pinne rosse rossi, bianchi a puntini neri. In somma chi piu’ ne ha piu’ ne metta. Piccoli e slanciati, a scatola o quasi a palla, lunghi come aghi o piatti e frangiati, microscopici puntini gialli o grossi panzoni blu e neri come i pesci pappagallo della mezzanotte, scarus coelestinus . Il corallo crea mille anfratti tra ventagli , teste rotondeggianti con labirintiche decorazioni ( brain corals), fire coral e anemoni, spugne, ricci neri con aculei lunghi e finissimi oppure tozzi e violacei, ottimi per gli spaghetti. Ancora piccoli molluschi, stelle marine, grandi e rosse, oppure piccole e nere, alghe e alghette di ogni foggia e colore. Tutta la vita della barriera corallina e noi sopra a sbirciare con maschera e pinne trattenendo il fiato stupefatti.
Di contorno non mancano le lunghe passeggiate al tramonto su spiagge dorate osservando l’instancabile e maestoso planare dei pellicani, l’incontro con i pescatori locali che di queste isole conoscono ogni segreto. Il primo e’ come scovare le aragoste che non mancano mai. Poi il pescado.
Parghi dorati e cerniotte multicolore saltan fuori dal fondo dei loro pegneros . Sono molto gentili e sembra che vivano di cigarillos, frescos, ovvero bibite varie ghiacciate, e qualche batteria per le radioline. Prima o poi arrivano, si chiacchera un po’ e l’intesa e’ subito raggiunta. Se ne vanno poi con gran saluti “ hasta pronto, a la proxima vez “ … e gia’ Carenero alla prossima volta !


LES AVES DI SOTTOVENTO - LONG ISLAND 24 MARZO 2010

2010-03-24

 
Dalle Aves di Sopra Vento ci sono solo 15 mg. Voliamo con il solo genoa spinti da un piu’ che gagliardo aliseo di SE che da giorni soffia anche troppo. Ci ha costretti ad una permanenza prolungata a Cayo Carenero, del resto sempre molto gradita in uno dei piu’ bei ancoraggi mai visti. Anzi l’ultimo tramonto ci ha regalato un nuovo raggio verde smeraldo che questa volta sono anche riuscito a fotografare per mostrarvelo.
Ora la nostra ancora e’ quasi completamente affondata sul fondo sabbioso in 3 mt d’acqua cerulea proprio di fronte ad una pura linea bianca calcinata di sabbia. Una palma, un raso e rado verde marcio. Oltre, ancora, l’incresparsi arruffato dei marosi color indaco. A destra e sinistra profili di basse isolette, dietro , a poppa, solo mare sino a Bonaire. Sembra di essere fuori del mondo, dice Toni !....gustandosi l’ennesima sigaretta.
Passa un pegnero con due pescatori e si accosta. Sul paiolato della piccola imbarcazione saltano le aragoste ed una cicala di mare. In mano ci mostrano un pargo, sara’ di almeno due chili.
Non abbiamo dubbi. Il pargo e la cicala sono gia’ a bordo. Loro se ne vanno sorridenti, con qualche dente in meno, e qualche pacchetto di sigarette e birre in piu’. Qui e’ cosi’ , i bolivars non contano.
Dopo cena , con la luna quasi a meta’, torniamo alle stelle. A sud troviamo , ormai senza difficolta’, prima la Croce falsa, poi a sinistra quella vera giu’basse verso l’orizzonte. La Croce del Sud non indica proprio il Sud, come la nostra Stella Polare, ma facilita la sua collocazione. Basta prolungarne l’asse maggiore, formato dalle stelle Gacrux e Acrux, di circa 5 volte e mezzo e voila’ il Sud e’ trovato, qui oltre l’orizzonte.
Oggi siamo sbarcati con Barrichello, il nostro gommone, sulla bianca spiaggia del’Isola Lunga.
Veramente fuori dal mondo. Toni dice che e’ come al Redentor con i foghi, si termina in crescendo. La luce e’ abbagliante e le macchine fotografiche fanno fatica a reggere i riflessi.
Una palma, sola e alta, rompe esile la linea blu dell’orizzonte. Le creste bianche , mosse dall’aliseo in calando, arrivano da lontano e frangono sul reef senza sosta. Piccoli, diafani , trasparenti granchietti scartano rapidi tra le conchiglie e i coralli spezzati del bagnasciuga.
Riprendo con la cinepresa, ma non riesco a tenerla ferma mentre il vento mi passa tra le dita…peccato non poter filmare il vento.


CURACAO, SPANISH WATER - 10 APRILE 2010

2010-04-10

Abbiamo lasciato Bonaire da qualche giorno . Ora siamo a Curacao, Spanish Water, ma tra qualche ora faremo vela verso la Colombia.
Le ABC, ArubaBonaireCuracao, sono una tappa obbligatoria sia verso ovest che verso est.
Noi abbiamo passato una settimana prima a Bonaire e poi a Curacao. Salterò Aruba, troppi problemi per le pratiche di entrata ed è comunque ora di allungare il passo. Il tempo per la settimana prossima è in miglioramento. Vedremo.
A Bonaire , piccola e spinosa dai moltissimi cactus, è selvaggia ed è praticamente tutta parco naturale. Tre sono le cose che mi resteranno nella memoria. L’acqua, mai vista così trasparente
Fare il bagno dalla barca è come immergersi in un acquario- La barca sta alla boa a 100 mt da riva e sotto di noi il reef brulica di vita, davvero incredibile. La seconda cosa è collegata alla prima.
Non avevo mai visto pescare con lenza e amo con maschera e pinne. Un locale nuotando calava l’amo esattamente davanti al pesciotto che voleva prendere e voilà il gioco era fatto. Tirava su e infilava il malcapitato in una retina e passava al prossimo sbuffando dal boccaglio !
La terza cosa è l’aver trovato accanto a EUTIKIA la prima EUTIKIA. O meglio un Primat di Van de Stadt identico alla mia prima barca, alla prima EUTIKIA. Ci ha fatto un certo effetto, è davvero piccolissima, 7,10 mt !
Lasciata Bonaire, le sue saline,i fenicotteri rosa, i pappagallini verdi, le immersioni e l’acqua fantastica, siamo entrati nella laguna, per altro pulita, di Curacao.
Qui abbiamo fatto molte amicizie e girato non molto.
Luigi e Cristina hanno un Amel come il nostro e stanno cambiando il motore. A Bonaire hanno comprato casa. Abbiamo cenato da loro fronte mare con i piedi in acqua, si puo’ dire. Però la cosa più strana sono stato i piccoli pipistrelli che planavano veloci su una tazza d’acqua e zucchero posta da Cristina sulla pergola. Li dissetava, in cambio loro mangiavano le zanzare !
Elena ed Andrea vivono qui sul Mabel da tre anni. Lei fa graziosi gioiellini, lui pesca di tutto e non vede l’ora di tornare alle Aves. Poi ci sono Tomy e Liz. Hanno fatto il giro del mondo e ora stanno tornando in Canada. Il nonno di Liz era furlano , abbiamo brindato con il prosecco..è stato molto gradito ! Poi c’è Smith che ci da la connessione internet dalla sua barca, anche se non sempre funziona.
Curacao è molto grande. Traffico, super mercati, negozi per turisti, casette colorate e ponti girevoli.
Un crogiolo di lingue, l’olandese, lo spagnolo,l’inglese, un po’ di dialetti africani locali hanno creato una vera e propria lingua locale, il Papiamento- “ BON BINI “ è il loro saluto di benvenuto,
“AYE” arrivederci ABC, noi si va verso ovest…


DA CURACAO ALLE SAN BLAS - 26 APRILE 2010 - ISLA PINOS

2010-04-26

Rieccoci ! Riprendiamo il nostro raccontino, la nostra rotta. Spero di non farla troppo lunga.
Da Curacao alle San Blas, Panama, sono circa 650 mg. Per arrivare a Cartagena, tappa intermedia, sono 420. La rotta attraversa la parte SW dei Caraibi notoriamente uno dei passaggi piu’ difficili lungo la circumnavigazione del mondo. La ragione e’ semplice. Qui l’aliseo invernale, da dicembre ad aprile, soffia forte e subisce un’accelerazione trovandosi al suo fianco sinistro l’alta costa colombiana. A complicare le cose una naturale controcorrente da sud ovest. Uguale, ventaccio e frangenti. In poppa e’ tutto, o quasi, fattibile, ma ritornare in questo periodo e’ molto dura, durissima. Ma conosciamo chi l’ha fatto !
Noi siamo stati previdenti e fortunati. Siamo passati a meta’ aprile. L’aliseo subisce i primi colpi di arresto, le isobare danno meno spinta , il mare si placa un po’. Una buona previsione con almeno 3,4 gg di tempo favorevole e via si parte !
Per dove ? Dalle ABC ( Aruba, Bonaire e Curacao ) ci sono due alternative. O la via diretta verso le San Blas, con eventuale sosta intermedia a Cartagena, o discesa a tappe lungo la costa della Colombia. Nel passato e’ quasi sempre stata privilegiata la prima per due ragioni. Si sostiene che al largo il mare sia piu’ maneggevole non incontrando la piattaforma continentale e si evita una costa mal famata, quindi insicura. Da alcuni anni qualcosa e’ cambiato. Non nella natura delle cose, ma in quella degli uomini. La costa colombiana e’ diventata piu’ ospitale per il grande controllo delle autorita’ locali operato contro i trafficanti di droga . In piu’ una piccola guida redatta da un velista, la cui barca si chiama “ PIZZAS”!, ha suggerito un percorso piu’ agevole sotto costa con WPT e descrizione dettagliata dei ridossi. Google Earth ha fatto il resto con le immagini via satellite.
Questa e’ la via che abbiamo scelto verso Cartagena.
Prima tappa : gli scogli delle Monjes del Sur in mezzo al golfo di Maracaibo a 120 mg da Curacao.
Ci arriviamo all’alba dopo una bella impoppata. Troviamo ridosso dietro ad un gran muraglione che collega due enormi dirupi. Sulla destra una base militare venezuelana. Noi appesi per la poppa ad un cimone steso per traverso tra le due sponte scoscese dei dirupi. Mai fatto un ormeggio cosi’ !
Il posto fa impressione. Solo pietra, un farone e sule. Attorno solo mare e mare. Da qui si capisce cosa vuol dire far la vita da uomini del faro ! Il posto sarebbe fantastico se non ci fosse un particolare molto fastidioso. I militari tengono acceso h24 il loro mostruoso generatore..e la pace e’ finita. I militari in compenso sono molto ospitali, ci fanno da guida , ci portano in cima al  faro e ci danno, non senza un pizzico di orgoglio, un foglietto con la storia dell’ arcipelago.
Per farla breve. E’ stato esplorato per la prima volta nel 1499 da Alonso de Ojeda. Appare gia’ nel 1527 sulla mappa del Duca di Weimar e pare anche, piu’ tardi, su una mappa di Sebastiano Caboto.
Nel 1952 i venezuelani reagirono ad aggressioni contro i loro pescatori e buttarono a mare i colombiani. Da allora nulla e’ cambiato.
Il meteo per i giorni successivi continua ad esser favorevole, ovvero aliseo debole.
Puntiamo a Capo della Vela, primo ridosso sulla costa Colombiana. Tra vela e motore arriviamo al tramonto. Il baione e’ sicuramente un ridosso benedetto dai velisti da sempre.
Una grande collina rossa sporge verso il mare, poi si allarga il gran baione, pero’ con poco fondale.
Ancoriamo subito dopo la punta. Per fortuna le raffiche che scendono dalla collina non sono troppo violente e spianano l’onda di risacca che vorrebbe girare attorno al capo. In giro nessuno, quasi.
Prima una barchetta , poi due, poi tre si avvicinano ma sono dirette non da noi ma verso i reef esterni. Poi al ritorno ci passano vicini per curiosare. Li saluto e una barchetta si avvicina, sono in tre. Povera gente vestita di stracci con arnesi da pesca rudimentali. Sono molto imbarazzati, noi piu’ di loro. Vedo sul fondo della barca alcuni bei pesciotti. Sembrano parghi. Va a finire che diamo loro, non soldi, non li vogliono, ma un pacco di zucchero, uno di farina e un pacco di pasta con relative istruzioni. Noi ci teniamo un pargo non pargo, che poi scopriamo esser un hog fish, squisito tra i migliori mai mangiati.
Controllato il meteo si riparte. La tratta e’ lunghetta ed e’ forse quella piu’ brutta, altre 120 mg.
Credo che pochi l’abbiano fatta tutta solo a motore. Meglio comunque che ventaccio. Passiamo a una decina di miglia dalla costa. Nessuna luce. Nessun faro. Nessuna nave. Da quando siamo partiti non abbiamo visto nessuno in mare. La costa montagnosa, a tratti piu’ bassa, e’ deserta.
Alla mattina ci avviciniamo alle cinque baie. Dalla costa montagnosa ed aspra sporge un gran promontorio con cinque insenature. Una sola e’ accogliente e senza troppa risacca. Ci infiliamo. Silenzio totale. Solo qualche capanna, sulla riva alcune piccole barche. Attorno alte colline scendono verdeggianti sino all’acqua, bella fresca e tonificante dopo una nottata stranamente monotona. Al tramonto si avvicina un gommone. Sono guardiani del Parco. Quello che sembra il piu’ in grado del gruppetto si presenta subito “ Per voi c’e’ una notizia buona e una non buona ! “
Possiamo rimanere per la notte , ma domani dobbiamo lasciare la baia. Peccato !
E cosi’ si riparte di buon mattino con un aliseo, questa volta, bello teso. Voliamo a 8 nodi in poppa.
Ora ci aspetta una tratta con un grosso punto interrogativo. Dobbiamo passare a poche miglia dalla foce di un fiume. Dicono che si alzano grosse onde con frangenti e l’acqua fangosa trascina con se’ detriti di ogni tipo. Bisogna stare molto attenti, ma con questa velocita’ c’e’ poco da fare.
Allargo ancora un po’. Poi improvvisamente l’acqua , un metro per l’altro, diventa color fango. Ci siamo. La scena appare un po’ inquietante, ma tutto va liscio. Niente frangenti , neppure detriti.
Poi un po’ alla volta l’acqua schiarisce.
Ora si tratta di trovare un’insenatura, Bahia Hermosa, appena segnata sulla CMAP, ma che da satellite appare molto ampia. Un ottimo ridosso prima di Cartagena. Ci arriviamo al tramonto. Giusto in tempo. Evitiamo una lunga striscia di sabbia e di bassi fondali che chiudono l’entrata. Puntiamo verso terra e ritorniamo verso nord est. Entriamo cosi’ in uno specchio d’acqua, non limpida, che ricorda la nostra barena. Sulla riva molte capanne. I pescatori ci salutano. La zona e’ davvero tranquilla e l’ancora scende nel fango. L’ideale per una bella dormita.
Superiamo le ultime 50 mg sino a Cartagena a motore e vela. Caldo torrido. Ci infiliamo nel porto canale molto stretto. Avvisiamo il Port Controll sul ch 16 del nostro arrivo. Ci dicono di tenere il verde a sinistra. Bene, procediamo e giusto in contromano sta uscendo una portacontainers che a noi sembra gigantesca. Da che parte la prendiamo? Da noi si passerebbe a destra e cosi’ facciamo.
Mi infilo tra le boe rosse alla mia destra e la nave . Ci passo bene, ma molto da vicino. Mi ricorda molto l’entrata di Sant’Andrea , alla nostra destra c’e’ anche qui un bel forte, spagnolo.
Ora puntiamo , seguendo le boe verdi a sinistra, verso il centro citta’ a circa 4 mg dentro una vasta laguna. Ormai e’ quasi sera. Grigi nuvoloni incombono sui grattacieli che occupano tutto l’orizzonte a prua. Ma !? Dopo giorni e giorni, di nuovo tra la gente. Sembra una piccola New York, non bella, ma lo spettacolo, con questa luce radente con forti chiaroscuri, c’e’ tutto.
Ancoriamo di fronte al Club Nautico in buona compagnia. Ora ci aspetta la visita della parte storica di Cartagena. Alla prossima.


DA CARTAGENA ALLE SAN BLAS - 28 APRILE 2010

2010-04-28

Quando sporgo la testa dal pozzetto di buon mattino, ancora fradicio di sudore dopo una notte in forno, non credo ancora ai miei occhi. Sono praticamente circondato dai grattacieli. In barca e’ proprio una cosa inconsueta, almeno per noi. Dopo giorni di solitudine, poi !
Le giornate corrono come sempre veloci. Il lavori piu’ fastidiosi , come far nafta con taniche e gommone, e’ meglio farli di buon ora o molto tardi. E’ comunque una sudata garantita.
Per la prima volta, da quando sono in barca , accendo l’impianto d’aria condizionata quando ceniamo. Il consumo dell’acqua cresce e dobbiamo fare acqua con la tanica. Di usare il dissalatore non se ne parla neppure, l’acqua e’ grigia.
Perdiamo quasi due giorni per cercar di acquistare un gommone. Qui fanno gli ottimi AB.
Pero’ non si puo’ acquistarlo normalmente in negozio. Il combinato disposto, per cui sono necessari contemporaneamente l’ok della Dogana, lo Zarpe d’uscita, pagamento anticipato e consegna non prima di circa una settimana dall’ordine, vanificano ogni tentativo. Quelli dell’AB mi consigliano di comprarlo a Panama !
Cartagena pero’ e’ una bella conferma. Tutti ne avevano parlato benissimo. Ed e’ stato cosi’.
La parte storica e’ godibilissima. Vecchi palazzi tenuti perfettamente, bei negozi e graziosi ristoranti. Lo stile coloniale spagnolo e’ di buon gusto, non barocco eccessivo. Eleganti le piazzette verdeggianti di alte palme . Naturalmente la statua di Simon Bolivares, il Garibaldi nostrano, non manca mai. Il museo dell’oro e’ una meraviglia, anzi, usciti non resta che entrar nel negozio adiacente e comprar il monile in copia perfetta, veramente di buongusto.
Ci perdiamo per le calli sbirciando dentro ai vecchi palazzi spagnoli. Gli spagnoli si godevano la vita chiusi al fresco delle loro alte mura. Fuori gli indios a lavorare…finche’ non e’ arrivato Bolivares.
Spossati dalla calura ci ritroviamo in piazzetta San Diego. Di fronte a noi l’Istituto di Belle Arti e tanta gioventu’ che se la spassa come da noi in campo Santa Margherita. Sul lato opposto l’imponente facciata del Convento di Santa Clara, ora gran albergo di lusso. Faccio una foto. Nel mirino intravedo, oltre il portale d’entrata, un bel giardino, verdi palme basse, fontanelle, una gran sensazione di fresco. Non ci pensiamo due volte. Entriamo e siamo gia’ seduti ad un tavolino . Tutto semplice , ma raffinato. Attorno a noi si apre un bel chiostro, grandi portali, giardini d’acqua. Queste suore, pero’ ! Ordiniamo due moito. Mentre aspettiamo abbiamo una visita inaspettata.
Con un veloce saltello balza sul tavolino un tucano ! Cosi’ da vicino sembra finto, tanto preciso e brillante e’ il gioco di colori del suo piumaggio. Si mette in posa. Scatto a ripetizione. Incredibile. Da noi sui tavolini ci vengono i colombi, qui i tucani. Dimenticavo. I moito sono stati i migliori mai bevuti, neppure a Cuba cosi’.
La visita non poteva che finire con un classico giro in carrozzella con il nostro cocchiere impegnato ad illustrare, come ogni buon gondoliere, la storia di palazzi, di chiese, di Inquisizione , di tratta di schiavi e di conquistadores. Ci riporta, che e’ormai sera, al porto. Gia’, domani si riparte verso le San Blas destinazione Cayo Olandese, oltre 180 mg.
Ci svegliamo presto, anzi praticamente non dormiamo per il caldo umido. Usciamo dal porto e a motore punto sul wpt. Non si va avanti. La barca e’ molto sporca sotto e immagino come possa esser l’elica dopo la lunga sosta in porto. In piu’ abbiamo quasi 1,5 nodi di controcorrente.
Salgo a 2300 giri, ma non riesco a fare nemmeno 6 nodi di avanzamento reale. Normalmente molto piu’ di 7.
Di vento non se ne parla. L’ultimo grib non da molte speranze, forse 10, 15 nodi in poppa piena. Non basterebbero. Per fortuna il mare non e’ mosso e ci spinge con l’onda lunga.
Dopo 20 mg facciamo due conti . Con questa velocita’ e con questi giri di motore consumeremmo moltissimo carburante senza aver la garanzia di arrivare con una luce decente per entrare tra i reef di Cayo Olandese. Decidiamo cosi’ di accorciare e di puntare piu’ a est, verso l’Isla Pinos, con facile accesso, almeno sulla carta.
Scende la sera, sempre smotorando. Il barometro e’ bassissimo. Guardo il nuovo meteo. Siamo proprio al centro di una bassa, bassa. Di fronte a noi, dalla Colombia, sta passando un fronte piuttosto esteso verso ovest. Facciamo un po’ di conti e l’ora presunta di arrivo in costa appare contestuale al passaggio del fronte. Non ci voleva.
Incominciamo i turni con qualche lampo in prua. Alle 02, Marina mi sveglia “..ci sono molti lampi a prua, sempre di piu’ ! “ Esco e la scena non appare molto confortante. Ci stiamo letteralmente infilando nel bel mezzo del fronte in piena attivita’ !
Mancano 40 mg alla costa. Pare che i colmo del fronte sia veloce. Decidiamo di rallentare ed aspettare la luce per decidere al meglio. Sul radar siamo circondati da densi piovaschi che evitiamo con un po’ di zig zag. La scena e’ impressionante. Scariche orizzontali e verticali illuminano a giorno l’orizzonte.
Arriva l’alba e con il chiaro qualcosa migliora. Con il radar scruto sino a 35 mg e per quanto possibile non vedo bassi addensamenti, anche se il cielo resta molto cupo.
Alzo il numero di giri. Se tutto va bene vero le 12.00 dovremmo esserci.
La nuvolaglia pare addensarsi sui monti oltre la costa. L’Isla Pinos e’ ormai a poche miglia, verde come uno smeraldo. Mare calmo. Entriamo pano, piano. Qui non ci sono carte affidabili, il plotter meno che meno. Il fondale dietro l’isola sale lentamente. Con un metro sotto la chiglia ancoriamo, finalmente. Trenta ore di motore ed un po’ di stress. Spengo. Silenzio.


Dalle isole San Blas a Panama , 25 aprile-11maggio

2010-06-08



Isla Pinos. Ci svegliamo all’alba, come sempre. Tutta la notte i lampi hanno illuminato le colline attorno alla baia. Ora la situazione non e’ molto cambiata. Nere e basse nuvole rotolano dai monti verso il mare.
La scena e’ davvero affascinante. La costa e’ montuosa, ricoperta da una densa foresta pluviale, smeraldo scuro. Attorno a noi , chiusi quasi da ogni quadrante, l’acqua e’ quella di un lago. Verso nord l’isola si allunga tra bianche spiagge e filari di palme, alte ed appena mosse dalla brezza. Verso una stretta passe a ovest il piccolo villaggio di capanne ancora sonnecchia. Il cielo sopra di noi e’ nero. Resto in attesa. Non conosco le condizioni meteo locali. Da noi sarei ben piu’ preoccupato. Qui con gli alisei sino ad ora non ha mai soffiato proprio di brutto, ma non si sa mai.
Scrutando l’orizzonte cerco di cogliere qualche segnale, ma le nuvole passano senza malizia.
Vedo invece quella che sembra una piccola vela in avvicinamento.
Prendo il binocolo. Sono loro, sono i Kuna. Vengono non si capisce da dove e puntano verso di noi. Ci passano vicino. Ci salutiamo e proseguono verso la passe. Non si fermano al villaggio. A bordo sono in quattro. La barca, lunga e stretta, e’ ricavata da un tronco. Hanno poi alzato le fiancate con un tavolato ed l’ hanno armata con un alberetto ben rizzato per dispiegare una randa a picco ed un fiocchetto.
Mi par di vederli secoli fa’mentre per la prima volta sbarcarono su queste sperdute isole per fuggire a genti nemiche e soprattutto agli invasori spagnoli. Da allora non molto e’ cambiato. Volutamente.
Questi Kuna, “veneziani” del Caribbe, nel loro secolare isolamento hanno cocciutamente mantenuto le loro tradizioni e conservato il loro ambiente. Ogni isola ha i suoi organi di governo. In primis i tre Saila, una sorta di triunvirato eletto a vita, governano in toto la comunita’. Gli abitanti del villaggio si riuniscono in assemblea molto spesso per discutere su tutto e i Saila poi decidono.
E’ ora di scendere a terra e di capire un po’ dove siamo capitati.
Il villaggio, piccolo e ben ordinato, e’ di capanne di palma. Ognuna ha il suo giardinetto interno dove scorazzano bambini quasi nudi ed animali da cortile. Le donne sono le prime a venirci incontro, del resto tra i Kuna comandano loro la famiglia e non solo. Ci presentiamo incrociando complimenti e saluti con quel po’ di spagnolo italianizzato che ormai abbiamo assimilato abbastanza bene.
Chiediamo il permesso di far foto. Permesso accordato. E subito spuntano le mitiche Molas.
Queste donne da sempre confezionano riquadri di stoffa, al massimo direi un 50x50, che si presentano come un multi strato di tagli colorati di stoffa. I singoli strati vengono ritagliati e cuciti insieme dando forma ad un caleidoscopico gioco di forme animali piu’ o meno astratte.
Non basta. Ogni sagoma di animale o disegno geometrico e’ minuziosamente ricamato nei contorni con un fitto intreccio di punti. Un lavoro di giorni, piu’ una molas e’ dettagliata e piu’ vale.
Ne compriamo alcune e ci lasciano cosi’ liberi di curiosare per il villaggio.
Verso il moletto una semplice costruzione, forse l’unica non di palme, ospita la scuola.
Infilo la testa dentro la prima auletta. Un vero pandemonio di voci urlanti . Gli alunni hanno finito la lezione e stanno uscendo verso casa. Sullo scrittoio accanto alla porta il maestro, un indios di una certa eta’, sta con calma ritagliando forme di carta che poi usera’, come sinopia, per ritagliare le stoffe e farne poi delle molas. Un bel gioco che mi ricorda le colombe di Matisse.
“ Buenas dias “ lo saluto e gli chiedo se e’ proprio lui il maestro. Si alza con calma, si rivolge ai ragazzini e a bassa voce “ Soave, soave ! “ Piano, piano… e incomincia a presentarmi la scuola, tutta la scuola. Le aule, il giardino sul retro, il verde di fronte alla laguna e i ragazzini. Tutto e’ frutto del suo lavoro,prima non c’era nulla. Ma molto ci sarebbe ancora da fare e i soldi non ci sono.
I ragazzini vogliono le foto e noi pure. E cosi’ il maestro li raccoglie e li porta sotto la bandiera , proprio di fronte al mare. Foto d’altri tempi. Ormai siamo quasi amici e promette che verra’ nel pomeriggio a trovarci.
Ormai il sole sta quasi tramontando tra le nuvole, quando una canoa si avvicina. E’ il nostro maestro. Sale con calma e si accomoda con un po’ di disagio in pozzetto. Fa ancora molto caldo e beviamo un succo fresco. Si chiama Nicasio Obaldia. Lui e’ di Panama, ma da quando lo hanno assegnato all’Isla Pinos vive qui. “…e da quando vivi qui ? “ Sorride, ma con un sorriso misto tra soddisfazione e tristezza “....da 35 anni “ Resto incredulo, da 35 anni quest’uomo ha portato il sapere della vita a quasi due generazioni di isolani. Molti giovani hanno poi seguito gli studi a Panama e son partiti forse per non tornare piu’. Altri son rimasti a viver come sempre, a commerciare cocco a 20 $ per 100 noci, a pescare e cucir molas. Ora ha 63 scolari, ma sara’ l’ultimo anno, poi andra’ in pensione.
Vorrebbe migliorare la sua scuola in questo ultimo anno e cerchiamo di dargli una mano.
Anzi chiunque volesse sostenerlo puo’ scrivergli a jl8219@hobmail.es
Prof. Nicasio Obaldia, Escuela Isla Pinos.
Ripartiamo verso ovest. Prima ci fermiamo a Mani Tupu, poi a Snug Harbour. Ed eccoci al mitico Coco Bandero. Mitico perche’ da ormai piu’ di un decennio e’ l’isola di ritrovo degli italiani che in barca vivono alle San Blas tutta la stagione. Ne avevamo sentito parlare moltissimo da amici e per radio e la realta’ non ha tradito le attese. Il contesto e’ davvero unico. Dietro al reef, tra alcuni isolotti verdeggianti di alti palmizi, stanno piccoli e ben ridossati specchi d’acqua.
Noi purtroppo non ce li siamo goduti molto per il tempo sempre uggioso . Anzi siamo anche riusciti a prenderci una bella sventolata con oltre 35 nodi. La stagione e’ quasi finita. Piove speso e gli italiani se ne sono quasi tutti andati. Chi a Cartagena e chi a Colon, Panama. Noi raccogliamo il richiamo di un amico per andar a Coco Bandero ovest. Non sono molto convinto. E’ un bel posto ma e’ protetto solo da nord ed ora i venti soffiano spesso anche da sud. Metto giu’ quasi 60 mt e resto largo dal reef. Ma come quasi ogni sera nere nuvole si addensano.
Passiamo la notte con l’allarme ancora acceso. Alle 7 di mattina verso est fa scuro, basso, a rotoli. La situazione non mi piace per niente. Da quella direzione siamo completamente esposti al vento ed al mare. E naturalmente proprio da quella direzione inizia a soffiare. Prima 20, poi 30, poi 35 n e non cala. Le raffiche vanno oltre i 37 nodi. Il mare monta e con il motore acceso faccio molta fatica a tenere la prua al vento , ma l’ancora tiene bene.
Mi consola solo il fatto che verso sud ho un braccio di mare libero da reef di almeno 4 miglia, sufficienti in caso disperato per mollare tutto e mettermi alla cappa e andar su e giu’. Per fortuna inizia a piovere fisso. Il vento perde d’ intensita’ ed il mare cala un po’. Il peggio e’ ormai passato.
Cosi’ pure per il mio amico…ma non completamente. Dopo aver toccato il reef con i timoni del suo catamarano il pomeriggio precedente, aveva messo un’altra ancora .
Ma durante i salti di vento della notte aveva fatto un bel groviglio a prua e con il colpo di vento aveva incominciato a derapare sul reef. Per fortuna qualche testa di corallo aveva bloccato una delle ancora e si era fermato a pelo. Ora aveva rifatto l’ancoraggio, questa volta ben lontano dal reef, e dondolava tranquillo tra noi ed il braccio di mare libero a sud. Stavo in pozzetto ripensando ancora alla mia idiozia per aver accettato un simile ancoraggio, quando sento gracchiare il vhf. E’ lui e mi chiede con voce strozzata se ho una pompa elettrica. “ Una pompa, e a cosa ti serve ? “ “ Abbiamo l’acqua una spanna sopra i paioli dello scafo di sinistra !! ..e non so ancora bene da dove entri ! “
La pompa non ce l’ho, mettiamo in acqua il gommone e sono da lui. Stanno sgottando disperatamente ma l’acqua pare sotto controllo. Non sale piu’. Anzi forse ha capito da dove entra. Forse dal motore. Mentre pompo a mano proprio di fronte al vano motore, lui esce e lo fa partire. Una fontana d’acqua esce da un manicotto. Trovato ! Una fascetta inox ha mollato !
Morale : mai accettare compromessi su ancoraggi non sicuri, controllare sempre fascette stringi tubo e manicotti !
Ormai e’ tempo di raggiungere Panama e di vedere com’e’ questo Shelter Bay Marina dove lasceremo la barca per molti mesi.
Le miglia non sono molte e l’entrata in porto di una certa emozione. Navi ovunque, due grandi dighe chiudono il porto. Ci infiliamo al volo nel canale d’entrata tra una porta container e l’altra.
Dentro il mare si calma. Chiamo al vhf il marina “ Eutikia calling ! …do you read me over ? “
Dopo un po’ qualcuno risponde in un americano incomprensibile. Capisco solo che il posto c’e’ e che ci aspettano. Siamo arrivati.
Un grande grazie a tutti gli amici che hanno avuto la pazienza di seguirci e che non si sono annoiati in queste forse troppo lunghe letture e che hanno condiviso con noi il gusto dell’emozione per nuove avventure. Alla prossima ...si dios quieres.


Shelter Bay Marina - Colon - Panama " auf Wiederseheeen!"

2011-01-13

" auf Wiederseheeen !" il tono della voce e lo sguardo ceruleo tra i biondissimi capelli della hostess erano assolutamente inquivocabili . Era come se volessero dirci " ...e adesso son...vostri ! "

E gia', stavamo uscendo dall ' Europa attraversando lo sportellone dell'areo Luft Hansa a Caracas e stavamo entrando in un altro mondo. Il terzo. Non era certo la prima volta, ma questa mi e' rimasta particolarmente impressa. E infatti siamo arrivati poi a Panama con volo Copa, con biglietto unico, ma non sono arrivate le 4 valigie ! Circa 100 kg di materiale tra pezzi di ricambio, libri, accessori e cibarie. Da brivido.

Abbiamo cosi' imparato a conoscere il mondo, il terzo, che gira attorno all'aeroporto di Panama.

Naturalmente a seguito del reclamo la prima risposta e' stata " Magnana..domani ".

E sia, naturalmente siamo ritornati all'indomani dopo aver dormito in un vicino albergo.

In attesa della risposta dalla per altro cortese signorina Nadia dell'Ufficio bagagli, piantiamo le tende in aeroporto. Non mollo l'osso e ogni ora vado dalla Nadia e chiedo notizie. Naturalmente mi aspetto che con il primo volo da Caracas imbarchino anche le mie maletas. Ma cosi' non e'.

In tanto ci guardiamo in giro. Per un qualsiasi lavoro..retto sono almeno in tre, quattro.

 Naturalmente, parlano chiaccherano, rispondono al cellulare o chiamano, " mi amor como tu estas..ecc..ecc " e il tempo passa , se tu poi chiedi qualcosa a una o uno del gruppetto non sanno chi deve rispondere e chiamano il collega. Ed allora prende corpo un consulto spontaneo. La risposta e' illuminante " MAGNANA ! "

Arriviamo alle 8 di sera e niente valigie. La situazione e' paradossale.

Giurano che a sistema le maletas sono a Caracas. Forse la Luft Hansa non fa in tempo a consegnare le maletas alla Copas...da 2 giorni.

Chiedo quando parte il primo volo per Caracas, dico loro che vado a prendermi le mie maletas ! Restano di sasso. Pare che si diano una mossa.

Insisto, voglio parlare con cheffe, il Capo dell'ufficio, o vado subito dalla Polizia.

Dopo pochi minuti, ma sono gia' le 9 di sera, compare Gonzales, il Capo.

Cortesemente mi informa che a sistema le mie maletas sono sicuramente a Caracas.

Mi sono trattenuto dal rovesciargli il banco in testa . Cortesemente mi dice anche che mi dara' 100 $ per il disturbo. Ok , gli dico che il loro sistema e' stupido, ma che loro sono intelligenti. Il suo sguardo brilla un po'. Lo incalzo, perche' non telefona al suo collega di Caracas per assicurarsi che magnana le mie maletas saranno imbarcate da una persona fisica e non dal sistema ?

Scompare per qualche minuto e ritorna raggiante . Ha concordato tutto con la sua collega di Caracas. Magnana le maletas saranno a Panama. Andiamo al Marina , 2 ore di viaggio e 120 $.

Il giorno dopo torniamo all'aeroporto. Finalmente alle 6 del pomeriggio vedo spuntare la prima valigia rossa dal buco del carosello.

Benvenuti a Panama !

 

 


GIORNATA CLAMOROSA !

2011-01-19

Shelter Bay Marina - 19-1-2011

Finalmente ieri siamo tornati in acqua, non senza patemi !

All'ora prevista ci comunicano che.. il travel lift si  e' rotto ! Il tutto e' rimandato a magnana, forse. Il giorno dopo pare che il travel lift funzioni. La messa in acqua e' prevista per il pomeriggio, dopo la comida, il pasto. Bene ci prepariamo.

Tutto per fortuna fila liscio sino a quando la barca torna a galleggiare. Bel lavoro da parte di Victor, veramente professional e da queste parti e' cosa rara.

Ora bisogna far ripartire il motore dopo quasi 7 mesi di fermo. Incrocio le dita, dopo aver controllato la batteria di accensione. Buona. Giro la chiave . Qualcosa si muove, ma il motore non parte. Riprovo, nada.Riprovo nada.

Decido di cambiar batteria. Un lavoretto da 10 minuti. Incomincia a far caldo. Riprovo, nada ! Altra batteria, riprovo nada. Incomincia a far molto caldo.

Arriva Victor con un carica batterie ricoperto di ruggine e pesantissimo. Lo porto sotto coperta e lo collego alla batteria motore. Ok , ora DEVE partire. Riprovo...nada ! Anzi un fumetto equivoco ed inquietante esce da non so dove. Boh ! Ora fa caldissimo. Grondo sudore .Il sole del tramonto batte impietoso.

Non so proprio cosa fare e un'altra barca incalza per farmi uscire dallo scalo. Per fortuna si fermano . Pare che anche il loro motore non parta.

Ritorno nel vano motore . Lo guardo, lo tocco, lo accarezzo. Perche' non parti ? Riprovo.

Questa volta sento una specie di borbottio. Spengo e riprovo. E DAIII ! Si, si ora borbotta deciso e PARTEEE ! Una nuvola di fumo nero avvolge Victor che sorride,,.Suerte !

Finalmente ci muoviamo verso il nostro posto. E' ormai buio, ottimo Prosecco della riserva, cenetta e a nanna stravolti. Un problema risolto, il motore va.

Oggi in mattinata  altri grossi problemini decisivi.

Far partire il generatore,il dissalatore,cambiare 13 batterie e decidere con Robert come pulire il serbatoio della nafta e i 600 litri di gasolio.

Prima pero' devo smontare l'estrattore aria calda della sala macchine . Fa un rumore sinistro e si surriscalda. Lo apro e scopro un pezzetto di metallo tra le pale. Brigante , tu sei la causa ! Lo estraggo a fatica con pinza. Sono le 8 e fa gia' molto caldo. Pero' l'operazione riesce. Effettivamente ora l'aspiratore gira a meraviglia. Buon segno per il resto !

Parto dal generatore. La madre di tutte le battaglie. Se parte lui siamo quasi a cavallo.

Rimetto tutte le varie levette su on ed incrocio le dita. Premo nel silenzio piu'assoluto lo START. Niente , neppure click ! MI avvicino al pulsante e riprovo. Assolutamente come se non ci fose corrente. Mai successo.

Dico a Marina di avviarlo dal pulsante remoto, vicino alla cucina. Incredibile, qualcosa si muove. Il motorino di avviamento parte e fa girare il tutto, ma non parte.

Il pulsante Start in sala macchine si illumina . Ah ci sei , dunque ! Riprovo, il motorino riparte, ma non ancora il generatore. lascio riposare e gli do una cichettata in piu'.

Silenzio, riprovo. Von, von, voon, dai che va, von, voon, e vaiiii. PARTITOOOO !

Ora tocca al Dissalatore che funziona solo con il generatore.

Seguo la procedura di avviamento, ormai e' un file nel mio cervello ben archiviato.

La pompa a bassa pressione parte, BENE ! ora deve partire quella ad alta  pressione. Passano i secondi, dovrebbe partire dopo circa 40 secondi. Non passano mai. Ma alla fine BBRRR parte anche quella e dopo un po' il segnale verde mi conferna che l'acqua dolce entra nel serbatoio. E DUE !

Ora tocca alle batterie. Arturo mi sta gia' chiamando. E' alla base del molo con le batterie ed ha bisogno di aiuto. Corro. Arturo e' il rappresentente di una ditta alla quale si puo' ordinare praticamente tutto quello che e' disponibile sul mercato americano.

Con l'aiuto di un ragazzone, giovane e scurotto le batterie nuove sono a bordo e quelle vecchie a terra. Respiriamo, ma proprio ora arriva Robert, quello che dovrebbe pulirmi il serbatoio della nafta. Lo cerco da giorni e mi arriva proprio mentre sto cambiando le batterie ! Cribbio !

Ok, concordiamo il tutto in una decina di minuti e riprendiamo a montare le batterie nuove, da fuori a dentro13 volte x 2 con un peso cadauna di 33 kg. Un bel lavoretto per Marina che mi aiuta ! Alle 4 del pomeriggio sono rimontate. Il motore riparte ed i servizi funzionano. Finiamo il prosecco di ieri !

Alla prossima.

 

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Isola Linton, 9.36.72 N 79.35.25 O

2011-02-07

Verso le San Blas. Dopo le ultime rifiniture e l'imbarco di Marina 2 e di Andrea, finalmente schiodiamo da Shelter Bay marina.
L'ultimo giorno ci ha preso con la cambusa. Puntata al Super Mercato Ray a Colon e compra davvero abbondante in previsione di una quasi totale impossibilita' di aquisti di cibarie presso i Kuna.
Tanto per dare un'idea 60 bottiglie da 1,5 lt di acqua, 50 bottiglie di vino, 40 lattine di birra, 20 succhi di frutta, 40 china dry per gin tonic, latte, marmellate, tutto per la colazione, formaggi, carne, anans, papaia, mango, limoni, verdure insomma una spesa da 900$. per non parlare del loro trasporto e dello stivaggio a bordo. La barca alla fine era ben seduta in acqua.
Finite le incombenze burocratiche siamo partiti e ci siamo subito avviati all'uscita della grande baia di Colon.
Protetti dalle grandi dighe ci siamo presentati all'uscita del porto accolti da 20 nodi di vento, da un bel mare formato e da corrente contraria. Esattamente quello che non ci voleva, come prima giornata, per barca ed equipaggio.
Tutto il mar dei Caraibi, spinto dall'aliseo forte in questa stagione, sbatte contro una costa bassa di 10 mt e solleva un bel mare. Per fortuna riusciamo a prenderlo randa e motore leggermente sul moscone di sinistra e riusciamo ad avvanzare.
Tutto il nostro lavoro di pulizia e di lucidatura in un minuto va in fumo. Siamo spazzati dalla schiuma delle onde. Sale ovunque.
Poi le cose migliorano. Cresce il fondale e l'onda si ammorbidisce. Dopo poche miglia ci infiliamo a Porto Bello.
Così lo chiamò Colombo quando vi giunse nel 1502 affascinato dal verde e dalla calma del ridosso. Il porto e' stato poi teatro di mille battaglie e saccheggi ai danni degli spagnoli che lo usavano come base e deposito per le merci e soprattutto per l'oro da inviare in Europa. Si narra che ce ne fosse talmente tanto che era indifferentemente accatastato a lingotti sulle banchine insieme a tutto il resto della mercanzia. Ovviamente la cosa non passo' inosservata a Francis Drake che passo' piu' volte a razziare e distruggere tutto, nonostante i forti spagnoli che ancor oggi ornano la baia a destra ed a sinistra.
Le razzie continuarono a fasi alterne sino al '700, mentre carovane di muli trasportavano dalle coste del Pacifico ogni tipo di ricchezza. Prima il bucaniere Henry Morgan, poi gli inglesi nel 1739 chiusero definitivamente la bella stagione del traffico spagnolo d'oro. Da allora gli spagnoli preferirono raggiungere dal Pacifico l'Europa via Capo Horn!
Ma torniamo a noi. Ora siamo a ridosso di una grande isola, Isola Linton. Si rolla vistosamente, ma l'ancoraggio e' tranquillo.
Ieri abbiamo varato il nuovo gommone di alluminio, Barichello 2, si comporta bene ma e' pesantino. Dobbiamo ancora ben studiare come metterlo in acqua e come tirarlo su.
L'equipaggio ora si e' svegliato e cerca rinfresco in acqua. Domani 40 miglia contro mare e vento, speriamo non forte.


Cayos Chichimè, 9.35.21 N 78.52.93 O

2011-02-09

Entriamo nell'arcipelago della San Blas dopo una smotorata di 35 mg. Per fortuna niente vento, solo mare lungo.
Normalmente qui soffia e questo tratta di mare diventa una lavatrice. Avevo preso il GRIB per il vento e la previsione era molto favorevole e cosi' e' stato. I GRIB sono dei file che si ricevono via radio, ma che si trovano normalmente su internet, e riportano graficamente tutte le informazioni sul vento.
Il primo ancoraggio e' Cayos Chichime". Il colpo d'occhio e' superbo.
Si entra attraverso uno stretto canaletto tra due barriere coralline. A destra affiora dalla crocetta un albero di una barca a vela! Immagine, e' proprio il caso di dirlo, inquietante. Passiamo oltre molto lentamente, quasi fermi.
L'acqua sale , 10 mt, uff! molto meglio. Trovo un buco a poppa delle altre barche gia' alla fonda e giu' l'ancora. 50 mt di catena e siamo a posto.
Mi guardo in giro. A sinistra una spazzolina di palme, sotto alcune capanne. Di fronte il reef ci divide dall'onda spinta dall'aliseo. A destra un'altra isoletta, piu' lunga. Verdi palme si flettono appena. Tutto e' quasi immoto. Bene. Come inizio niente male, mancano solo le aragoste.
Non faccio in tempo a pensarlo che arrivano sotto bordo i kuna con una canoa scavata nel legno e sul fondo saltano le aragoste, appunto. Due finiscono rapidamente in pentola per cena. Passano pochi minuti e ci portano del pescado. Prendiamo un bel pargo rosso vivo, un kilotto buono. Andra' in forno domani.
La sera arriva tranquilla. Tra le nuvole ormai viola spunta un quarto di luna. Il riflesso si spegne sulla nostra fiancata.
Domani faremmo un giretto del cayo con Barichello.


Cayo Olandese, 9.35.11 N 78.40.90 O

2011-02-15

Le San Blas sono un arcipelago di isolette che si allunga da est a ovest per circa 90 miglia, schiacciato a poche miglia dalla costa nord panamense ad est di Colon.
Queste isolette, ovvero i cayos, sono ben protette da barriere coralline ed insieme creano una difesa contro le mareggiate che arrivano dal Caribbe e consentono al loro interno una navigazione abbastanza tranquilla... si fa per dire.
I pericoli non mancano. Bassi fondali e barriere coralline abbondano, navigare ed entrare negli ancoraggi richiede sempre attenzione, molta attenzione. Tanto per dire, in ciascuno dei due cayos sino ad ora visitati abbiamo visto due relitti di barche a vela.
Il paesaggio e' assolutamente orizzontale. Sul mare blu, la linea e' interrotta da piatte spazzole di verdeggianti palme. Sotto abbaglianti lidi di sabbia. Di solito, fissato un punto sulla carta per non perdere la rotta, ci si avvicina molto lentamente ed a vista si entra all'ancoraggio. Il gommone diventa a questo punto essenziale.
Serve per scendere sulla spiaggia a far due passi ed a far visita alle capanne dei Kuna, per andare a far qualche giretto tra i bassi fondi oppure per andare a pinneggiare tra i pesci dei reef.
Per ora, però, devo dire che la vita tra i reef è meno spettacolare di quella che trovammo alle Los Roques in Venezuela.
Gli ancoraggi non sono troppo affollati anche se siamo nel pieno della stagione. In questo periodo infatti si concentra l'arrivo delle barche. Gran parte è quasi stanziale per diletto o perchè charter, ma moltissime vi arrivano da est in transito verso Panama ed il Pacifico.
Domani si va a Cayo Coco Bandero, il luogo di ritrovo preferito dagli italiani. Chissà quante storie!


San Blas, Snug Harbour, 9.19.5 N 78.15.1 O

2011-02-20

I Kuna, gli indios che abitano queste isole, sono così orgogliosi della loro indipendenza che nel 1925 sfidarono a viso aperto il governo centrale panamense uccidendo i loro rappresentanti locali. Soltanto il pronto intervento della US Navy salvò i Kuna dalla rabbiosa reazione dei panamensi. Però da allora le acque si calmarono ed un tacito accordo consente ai Kuna di mantenere le loro tradizioni e modalità autonome di autogoverno.
Ogni villaggio è governato da tre Saila, uno di questi è però il vero capo. Le sue decisioni sono legge e tutti hanno del suo ruolo un grandissimo rispetto. Poi vengono le donne. Questa è un' organizzazione matriarcale, decidono e tengono il dinero.
Ieri siamo stati in visita al villaggio Playon Chico. C'era una certa strana animazione. Mentre i più giovani pensavano a divertirsi con il Carnevale, gli adulti erano impegnati nella ricostruzione di oltre 40 capanne dopo un devastante incendio di alcune settimane fa.
Cercavo, con poca speranza, un po' di benzina per il fuoribordo. Un vecchietto mi ha pazientemente guidato tra le capanne. Alla fine oltre alla benzina, ho trovato anche splendide aragoste. La trattativa si è prolungata con i maschietti che mi hanno travasato la benzina e preso le aragoste dalla nassa, ma alla fine è arrivata una donna kuna con bilancia e molto sbrigativamente ci ha presentato il conto. Ha incassato i dollari che poi ha diviso tra tutti.
Queste donne hanno un portamento davvero particolare che molto deriva dal loro abbigliamento, esclusivamente tradizionale.
Una semplice camicia è decorata fronte e retro dalle MOLAS. Al collo collane colorate e d'oro, come pure alle caviglie.
Le MOLAS sono riquadri di stoffa colorata trapuntata, più o meno densamente e da qui il loro valore, con forme geometriche o che raffigurano con richiami astratti animali, frutta od avvenimenti. I colori sono intensi. Prevalgono il rosso e l'arancione.
La manifattura spesso è riservata ai figli non primogeniti. Anzi questi fin da piccoli preferiscono assumere le sembianze di femmina e si trasformano con gli anni quasi in donne. Una di queste, Lisa, è considerata una vera artista ed il suo stato "particolare" è tenuto nella massima considerazione nel suo villaggio... probabilmente perchè vendendo le molas a noi turisti si è fatta il dinero.


Riflessioni filosofiche, e non solo, attorno ad un cuscinetto

2011-03-13

Panama, Colon – Shelter Bay Marina , 12 marzo 2011
Riflessioni filosofiche, e non solo, attorno ad un cuscinetto.
Fino all’altro giorno credevo che una barca a vela fosse fatta di pompe da riparare, di filtri e giranti da sostituire, di pesanti batterie da acquistare e di altre consimili varie amenita’ ed in fine… di vele.
Poi ho scoperto che esistono i cuscinetti a sfere . Molto prima di me li ha scoperti un certo gallese, Philip Vaughan, nel 1794. Una delle prime grandi e diffuse utilizzazioni fu per migliorare le prestazioni delle biciclette. Ora so che non mancano neppure nella mia barca e che si rompono.
Cos’e’ un cuscinetto ? E’ una specie di doppia ruota con in mezzo delle sfere che consentono ad un asse infilato al centro di girare liberamente senza frizioni importanti. In sostanza consente alla ruota della bicicletta di girare libera mentre il suo asse e’ bloccato.
Bene, a prua esiste una sorta di elica che, mossa da un motore elettrico, agevola le manovre in porto spostando, al mio comando, la prua ora a sinistra ora a destra. Particolare non di secondo momento, in porto e’ praticamente indispensabile per andare all’ormeggio. In navigazione non serve a nulla.
Arrivati a Colon ho attivato quest’ elica di prua, che gli inglesi chiamano bow thruster, ed ho sentito un rumore assolutamente inconsueto…SCREECH, SCREECH...provenire da sotto prua, dal bow thruster. Ai,ai ! Cosa succede ? Per fortuna con l’ormeggio nessun problema, ma era necessario un sopraluogo all’apparato. Il giorno dopo abbiamo scoperto il fattaccio.
Abbiamo scoperto cioe’ che esistono i cuscinetti a sfera e proprio in un punto molto, molto difficile da gestire.
Per farla breve, si fa per dire, abbiamo smontato il motore elettrico. E’una vera bestia da 24volt per 480 A, 15 kg di avvolgimenti di rame tra rotore e statore.
Il nostro mondo gira attorno al suo asse ed il suo asse e’ fissato con due cuscinetti a sfera . Uno in testa e uno in base. Quest’ultimo s’era rotto ed il motore girando ne ha fatto briciole. E cosi’ il mondo si e’ fermato…per una settimana.
E’ difficile trasferire le sensazioni che si provano quando si ha la precisa consapevolezza della propria inadeguatezza tecnica di fronte a certi problemi.
Allora si cerca di supplire con la prevenzione, la fantasia, la determinazione…la fortuna.
Quando poi incominci a smontare non sai mai dove vai a finire.
Di motori elettrici poi notte fonda, forse qualche stellina.
Prima cosa togliere i resti del vecchio cuscinetto. Di solito si usa un estrattore, che non abbiamo. Noi il martello ed il cacciavite. Sbang, dopo sbang tutto il giorno ed e’ venuto via tutto…compreso il rotore dallo statore. In pratica si e’ sfilato un pezzo che non avrebbe dovuto uscire. Secondo ai,ai !
Nel frattempo Luciano, mio fratello, da Mestre trova e mi manda il cuscinetto nuovo.
Pazientemente mi tranquillizza su alcuni aspetti elettrici.
Le notti passano insonni. Non vedo via d’uscita e siamo bloccati.
Riposizioniamo il rotore dentro lo statore spostando molle e spazzole con un’idea geniale di Marina. L’asse con in testa il primo cuscinetto entra, ma il cuscinetto non entra nella sua sede dentro il corpo motore ed e’ per noi non visibile. Poi pare che vada,ma poco. Gli do una martellatina. Pare che vada...dai che va. Altre martellate piu’ forti ed insistenti. Ci siamo quasi, mancano 3 millimetri. Lo vediamo appena con la torcetta sbirciando tra i cavetti delle spazzole.
Altre martellate, dai che ci siamo. No, non ci siamo proprio non va.
Se non va completamente, non possiamo poi infilare il cuscinetto di basse e chiudere definitivamente il motore, rendendo tutto il lavoro inutile.
Nel frattempo e’ passata quasi una settimana ed arriva il cuscinetto nuovo dall’Italia.
Il cuscinetto c’e’ si puo’ montare, ma per 3 millimetri non posso chiudere il motore.
L’alternativa e’ prendere tutto il malloppo, un taxi, fare 150 km per andare a Panama city e cercare un elettromeccanico competente …che non finisca di distruggermi il motore.
Nel frattempo chiedo ad Amel un preventivo per un motore nuovo, non si sa mai. Mi rispondono, 2.000 Eu piu’ tasse e spese di spedizione. Rinnovo le energie per risolvere il problema!
E’ l’una fa molto caldo, il sole imperversa. Esco . Trovo Hesus, un tale che lavora sotto e sopra le barche . E’simpatico ed affidabile, cosa rara da queste parti. Parliamo di alcune cosette che dovrebbe farmi a bordo. Poi inevitabilmente gli spiego che tiengo un problema mas importante e se conosce un bravo elettromeccanico…ma certo, e’ li’ proprio sotto la barca dove Hesus stava lavorando, di fronte a me.
La fortuna bisogna prenderla al volo. Concordiamo una sua visita. Dopo un’oretta arriva. E’ scurotto e simpatico. Guarda, soppesa, riguarda. Bisogna rismontare tutto. Gli do l’ok.
In due orette, superata un’incertezza iniziale dovuta forse alla fretta, fa scivolare fuori il cuscinetto di testa, libera le spazzole, pulisce il rotore, riassembla il tutto, infila il nuovo cuscinetto di base e chiude il motore. Resto stupefatto ! Quando la competenza e l’esperienza non sono acqua.
Lo ringrazio, pago i 75 dollari meglio spesi e gli chiedo la tarjeta, il suo biglietto da visita.
Si chiama Efrain CASANOVA !”…le gustaban mucho les mujeres” sorride sornione e se ne va soddisfatto, noi molto di piu’.


L'attesa

2011-03-19

Panama, Colon, Shelter Bay Marina- 20 marzo 2011
L’attesa.
Ieri notte la luna era alta, piena. Da 18 anni, dicono, non era mai stata cosi’ grande.
Eravamo in pozzetto dopo cena, illuminati a giorno. Le nuvole passavano veloci, svolazzanti grandi merletti contro il chiarore lunare. In mare , a vela, con l’aliseo di sud est sarebbe stato splendido, pensavo. E invece siamo qui , in attesa, legati al molo come ragni.
Per consolarmi ho cercato il calendario per vedere le prossime lune piene. Se partiamo dalle Galapagos ai primi di maggio, avremo luna crescente. Bene. Molto bene.
Per ora non resta che finire i lavori in corso. Mentre le giornate tutto sommato volano.
Di solito ci alziamo prestino, alle 7 ginnastica e colazione. Poi un bel giro su internet per la posta, chattare con amici e parenti, vicini e lontani. Sbirciare cosa succede nel mondo. Meglio non farlo !
Poi al lavoro. Alle 9 il sole gia’ scotta. Bisogna alternare lavori esposti ad altri sotto al tendalino.
Mentre Marina fa il pane, io cerco di capire come aprire il serbatoio della nafta e come pulirlo.
Poi arriva Hessus con due enormi bidoni e una pompa. Breve consulto ed infiliamo il tubo di aspirazione. La pompa parte. Niente da fare. Serbatoio troppo basso e pompa troppo alta. Muoviamo qualcosa e pare che la nafta salga. Alla fine si innesca, il tubo dalla pressione si appiattisce, ma la nafta riesce a passare. Sospiro di sollievo. Devono venir su 420 lt.
Dalla cucina Marina chiede se puo’ mettere in forno il pane. Perche’ no ? Poi viene a darci una mano, anzi due. Dopo pochi minuti abbiamo tutti e tre le mani ben unte dalla nafta.
Il lavoro di aspirazione e’ finito. Ora dobbiamo pulire dentro. Una lunga asta d’acciaio, con stracci fissati con sicurezza alla base, entra ed esce dal serbatoio. Hessus strizza ed io ricalo dentro l’asta e di nuovo fuori. E cosi’ via per un’oretta. Alla fine non so se mi gocciolano piu’ sudore o piu’ nafta.
Colpo finale. Hessus tira fuori un potente aspiratore. Lo infilo fino in fondo. Parte. E senti lo sporco semi solido salire. Finito il tutto. Guardo dentro il contenitore dell’aspiratore. Proprio un bel lavoretto ! Lo sporco catramoso non e’ molto. Con la torcia controllo dentro sino in fondo al serbatoio e mi par bene.
Ora si tratta di riempire il serbatoio da 600 lt con taniche da 20 lt, una dopo l’altra. Lunghetta ! Ma la nafta ora e’ limpida …come il vino !
Ormai la mattinata e’ passata. E’ l’ora degli arrivi e delle partenze, da e per il canale.
La sfilata e’ sempre la stessa. Grandi saluti, gli scurotti, di solito quattro, a bordo pronti ad afferrare le cime, equipaggi felici e tesi, proprietari al timone sorridenti ma perplessi. Come andra’ ?
Le barche hanno tutte i fianchi tapezzati da copertoni ben inguainati con fogli di plastica forniti dagli agenti. Noi ne avremo almeno 10 per fianco,oltre ai nostri parabordi. Non si sa mai.
Il nostro passaggio e’ previsto per il 24 giovedi’, dalle 15.30 in poi, ora locale. Prima serata in Italia. Da internet ci potrete vedere passare in diretta a Gatun Locks : http://www.pancanal.com/eng/photo/camera-java.html
Poi ci fermeremo per la notte ed il mattino successivo via di corsa verso Miraflores , la chiusa prima del Pacifico. Saremo li’ verso le 12 locali, in Italia le 18. http://www.pancanal.com/eng/photo/camera-java.html
Molto buona per una visione d’insieme con mappa : http://www.webcamgalore.com/IT/mappa-webcam/Panama/Canale-di-Panama/citta-1021.html
Finita la sfilata ci facciamo una bella passeggiata ai bordi della giungla in cerca di scimmie e bradipi sotto lo svolazzare alto dei falchi. E arriva presto il buio con nuvole dense cariche di pioggia.
Questa sera gnocchi al ragu’ !


Domani attraversiamo il canale di Panama

2011-03-23

Domani attraversiamo il canale di Panama. 23 marzo 2011
Finalmente schiodiamo. L’ufficio Transito del canale di Panama ci ha confermato che alle ore 16 locali dobbiamo trovarci al Flat, la zona dove le barche aspettano per imbarcare l’ Advisor, un addetto del canale con funzioni di aiuto , quasi un pilota. Poi il passaggio a Gatun dovrebbe esser dalle 17 alle 18.30 locali. Orario in Italia, piu’6 ore.
Prima, alle 12, imbarchiamo gli handliners, quelli che teseranno le cime di prua e di poppa per consentirci di stare in mezzo al bacino di ciascuna chiusa. Sono quattro ragazzotti piuttosto cari e forzuti, spero anche svegli, che staranno con noi per un giorno intero.
Passato Gatun ci fermiamo per la notte alla boa ed i quattro mangeranno e dormiranno con noi…in pozzetto.
Il mattino seguente via di corsa . Attraversiamo il lago artificiale ed attraverseremo le chiuse di Miraflores verso le 12. Poi finalmente si Dios quieres il Pacifico !


PACIFICO, 27 marzo 2011

2011-03-27

PACIFICO, Panama 27 marzo 2011
Lasciamo Shelter Bay Marina alle 15 e ci portiamo rapidamente ai Flat, l’area riservata per imbarcare l’Advisor. Appuntamento alle 16. Arriva alle 17,15 e ci dirigiamo subito all’entrata di Gatun, la prima chiusa. Mi dice di rallentare. Aspettiamo la nave che entrera’ prima di noi.
Arriviamo alla chiusa e sono costretto a manovrare su e giu’ prima del canale di entrata.
Come noi si muove anche Ivalu, la barca dei tedeschi di Kiel che passera’ legata a noi.
Ormai e’ scuro. Rasento le luci verdi per far passare il bestione che ci precedera’.
Finalmente entra, entra molto lentamente. E noi iniziamo la manovra per assicurarci a vicenda . Io a destra , lui a sinistra. L’Advisor, Francisco, un ragazzo scurotto , troppo vispo e sicuro di se’, incomincia a dare ordini ai miei quattro line handers. Come siamo legati realizzo che saro’ io a dar motore e che guidero’ l’entrata nella chiusa. Sono la barca piu’ grande e con il motore piu’ potente. L’altro assecondera’. Entro a mezza forza. Davanti a me la poppa del bestione. Ci fermeremo prima? Volano sulle nostre teste le palle messaggero, lanciate dai bordi della chiusa, per recuperare a terra le nostre lunghe cime di ormeggio. Le pareti sono alte una ventina di metri e le cime , dalle nostre due prue, una per parte, come a poppa, vengono rapidamente tesate. Mi dice di rallentare e poi di fermarmi. La gassa delle quattro cime viene ora assicurata su quattro bittoni sul bordo alto lassu’e tesate a ferro . Ci siamo . Gli enormi portali si chiudono alle nostre spalle. Ciao Atlantico !
Una massa enorme d’acqua irrompe nella vasca lunga circa 300 mt. Spinge lateralmente, da tutte le parti , mentre saliamo. Scattano i flash. Momenti memorabili per tutti. Mi volto e guardo negli occhi il ragazzo tedesco al timone. Mi sorride, incerto ma affascinato. Marina riprende la scena. Non si sa da che parte guardare. Le cime vengono continuamente recuperate. Arriviamo in alto.
Ora altro momento difficile. La nave si muove in avanti trainata da otto trattori. Le eliche si muovono appena. Il mio timone vibra. Le cime sono corde di violino. La nave si allontana. La prima e’ fatta. Un bel sospiro. Ho piu’o meno capito come funziona.
La scena si ripete per la seconda e per la terza chiusa. Alle 21 siamo fuori e ci leghiamo ad una boa per la notte. Francisco scende, lui ed il suo dannato telefonino. Noi eravamo tesi e lui a scherzare con la sua ragazza ogni cinque minuti tra messaggini e risatine. Serviamo la cena ai nostri quattro scurotti. Sono un po’ scimiotti, ma hanno fatto un buon lavoro. A letto alle 23.30.
Sveglia alle 5.30.
Alle 6 arriva il nuovo Advisor, Ivan, si presenta e mi par di capire con le idee molto chiare.
Ci mettiamo subito in moto. Mentre attraversiamo il lago artificiale di Gatun, lungo un canale ben segnato, le sponde selvagge e verdeggianti ci accompagnano sino alla chiusa Pedro Miguel.
Ivan, dopo aver comunicato con il Comando Transiti, mi borbotta qualcosa. Mi par di capire che passeremo in tre ! Mi ripete piu’ in chiaro che il Transito gli ha detto che un barcone locale per turisti dovra’ passare con noi. La cosa non mi piace per nulla. Meno spazio a disposizione.
Quando poi mi fa vedere il barcone ancora ormeggiato sulla riva la cosa mi piace ancora meno.
Ha i parabordi di copertone neri, neri. Mi fara’ sui fianchi timbri indelebili, nonostante io sia foderato di parabordi. Protesto, senza risultato. Mi consolo un po’ quando mi dice che prima entrera’ lui e si assicurera’al muro di destra, poi noi a lui, ed i tedeschi a noi. Scesi al livello inferiore prima partiranno i tedeschi, poi noi, alla fine lui. Quindi niente manovre legati insieme.
Sono passate quattro ore e ormai siamo ad un paio di miglia dall’entrata e Ivan parlotta con il Transito. Mi dice di accelerare, forse passiamo solo noi due. Il barcone per turisti e’ in ritardo. Accelera anche Ivalu. Manca davvero poco. Ivalu mi precede. Dallo scarico del motore vedo uscire fumo bianco. Deve avere problemi al circuito di raffreddamento. Forse gli porto jella, e Ivalu si ferma . Problemi al motore. Ha sforzato troppo per stare a 7 nodi. In effetti siamo stracarichi e navighiamo in acqua dolce. Ivan mi conferma di procedere full speed. Ormai siamo quasi dentro la chiusa di Pedro Miguel. Chiama il Transito. Ci dicono che entreremo con un altro barcone per turisti, di aspettare. Ivan , perentorio, sollecita l’ok per entrare. Ormai, dice, siamo dentro.
L’ok arriva, entriamo da soli ! Dietro di noi incalza un bestione , un dry bulk carrier, la “ Hot Star”.
Questa volta le sponde della vasca sono al nostro livello. Scenderemo. Il primo gradino verso il Pacifico. Ci assicuriamo con rapide manovre di lancio e di recupero cime alle sponde della vasca.
Ivan mi ordina “ SLOW AHEAD “ piano avanti. Arrivo a pochi metri dai portoni alla fine della vasca. Ordini secchi agli scurotti a prua e a poppa e la barca si ferma. Sono in folle. Siamo fermi.
Dietro il bestione si avvicina, ma si ferma ad una trentina di metri, che sembrano tre !
L’acqua scende ed in 15 minuti siamo fuori anche della quarta chiusa.
Ora a Miraflores. Ivan mi dice di accelerare, cerchiamo di passare subito e soli di nuovo.
C’e’ solo un miglio tra noi e la prima chiusa. Da ordini e parla al telefonino con qualcuno.
Da quel che capisco sta cercando un Mercedes a buon prezzo. Bah ! Noi siamo qui tesi, tesi e questi pensano agli affari loro ! Poi chiama il Transito. Ci danno l’OK. Entro senza fiatare.
La manovra si ripete. Lancio cime, corsa sino alla fine della vasca con gli aiutanti a terra che ci seguono svelti. Arrivo alla fine della vasca. Ferma. La barca e’ imprigionata da quattro tiranti.
“ Hot Star” ci insegue , ma si ferma al momento giusto. L’acqua e’ pompata fuori. Scendiamo come in ascensore per entrare nel Pacifico.
Ultimi momenti di tensione. Si aprono i portoni. Sbircio oltre la fessura : il Pacifico. Marina immortala la scena. Recuperiamo le cime. “ FULL AHEAD ! “
Passiamo sotto il Ponte delle Americhe , scende Ivan con una gran stretta di mano ‘ Thanks for your help !” e portiamo gli scurotti al Balboa Yacht Club.
Non poteva mancare l’ultimo colpo di scena. Tutt’ altro che piacevole.
Ci fermiamo alla boa in attesa del lancione per recuperare i parabordi ed il nostro equipaggio che molto ben ha operato. Anche per loro e’ stata una bella faticaccia.
Noto subito qualcosa che non va nella posizione della barca. E’ messa diversa dalle altre. Ci siamo incattivati nella cima della boa. Non so come. Vento da una parte e corrente dall’altra hanno fatto la frittata. Non ne veniamo fuori. Il lancione ci spinge ora di qua ora di la’. Niante da fare.
Eric, il piu’ sveglio degli scurotti, mi chiede una maschera e si butta in acqua.
“ Friaa’ Friaaa..! “ Non aveva fatto i conti con la corrente di Humbolt, il Pacifico qui e’ molto freddo. Lui era abituato al tepore del Caribbe ! E scopro che non e’ certamente un nuotatore provetto.
Comunque mi assicura che l’elica e’ libera. Non gli credo molto. Ma ormai non ho scelta .
Provo un colpetto di marcia indietro. Biiip ! Ed il motore si blocca ! Errore colossale da non fare MAI ! La stanchezza ha giocato il suo ruolo.
Vesto la tutina e mi butto in acqua. E’ davvero fredda. Vado all’elica. Resto esterefatto !
La boa era assicurata ad un grosso copertone nero. Incredibile, il copertone era ora tutto attorno alla mia elica, o meglio le tre pale perfettamente infilate nel copertone. Impossibile sfilarlo.
Ma la fortuna ha voluto che a venti metri di distanza da un motoscafone l’equipaggio di guardia avesse visto la scena. In cinque minuti sono arrivati e con un bombolone e 25 dollari ci hanno liberato.
Finalmente soli e felici siamo andati all’ancoraggio. Cena con prosecco ghiacciato .
Benvenuti in Pacifico !


PANAMA, EQUATORE,ISLA LA PLATA E PUERTO LA LIBERTAD 28 MARZO-5 APRILE 2011

2011-04-05

 Da Panama a Puerto La Libertad ( Club Puerto Lucia ) sono circa 700 miglia verso sud. Si va dall’altra parte del mondo. Per noi e’ un mondo un po’ alla rovescia. Non c’e piu’ la nostra Stella Polare, ma la Croce del Sud.
Guardi le stelle, e di notte in mare le guardi molto, e vedi un insieme di lucette inconsuete. Leo, Canis in aprile sono proprio sopra le nostre teste. Il gioco poi e’riconoscere la vera Croce del Sud. Ce ne sono due. Una piu’ grande, quella falsa, e l’altra piu’ bassa, quella vera.
Mentre passi quella linea immaginaria che e’ l’Equatore, ti accorgi che non lo e’ affatto.
Anche il mondo pare percepisca la diversita’, il mutamento. Non solo le stelle, ma anche il mare muta. La prua incontra correnti inconsuete. La superficie si contorce, correnti diverse si incontrano. Quella fredda da sud si incontra con le masse equatoriali. L’onda lunga da sud ovest e’ striata da particolari increspature. Corte e ripide ondicelle scorrono come fiumiciattoli sul liscio oceano, quasi senza vento. Non ci resta che giocare tra leggere brezze. Si avanza a fatica. Tanto motore.
Solo orizzonte.
Se poi guardi le nuvole devi fare i conti con l’ICTZ., ovvero con la zona di convergenza intertropicale. E’ un lungo serpentone di formazioni nuvolose, plumbee e non rassicuranti. Scorre per miglia e miglia verso il pieno Pacifico, da est ad ovest, di qualche grado a nord dell’equatore, normalmente. E tu devi passarci sotto. E allora iniziano gli zig, zag per evitare quelle piu’ minacciose. Comunque piovaschi garantiti, lampi squarciano l’oscurita’ della notte piu’scura senza luna. Poco vento, di solito. Ma sotto il nuvolone, le vele si gonfiano, tutto si tende, e la barca parte, finalmente. 8 nodi, 9. Un brivido inclinato, arrivano spruzzi da prua. Poi si spegne lentamente. Torna il venticello, naturalmente da prua. E gia’ da sud. Anche il vento nasce in modo diverso a sud. O meglio gira in modo diverso. Da noi l’aliseo soffia da nord est e da sempre ha spinto i naviganti verso le Americhe, verso ovest. Qui se vuoi andare a ovest devi passare per il sud Pacifico. L’aliseo soffia da sud est girando antiorario attorno all’area di alta pressione stazionaria e prospiciente le coste del tropico sud americano. Sara’ la nostra rotta. Ma ora dobbiamo fare i conti con questo sud quasi sul naso, per fortuna il respiro dell’oceano, l’onda lunga , viene dal lontano sud ovest dove soffiano i mitici 40 ruggenti.
Avevamo deciso di non andare diretti alle Galapagos, ma di passare prima per Puerto La Libertad che si trova praticamente sul loro stesso parallelo. Visitare Quito e Cuenca, e ripartire per ovest. Due cateti e non per ipotenusa. Piu’ lunga, ma spezzata e ricca di altre cose da vedere di un sud america che poco conosciamo.
Passata l’Isla Mal Pelo , di notte e non senza apprensioni per via di continui piovaschi, visibilita’ nulla e strani target proprio in prua, forse boe non segnate sulla carta, finalmente ritroviamo l’alba ed il cielo sereno. Speriamo che il meteo, cosi’ come lo vediamo sulle carte che ci arrivano a bordo via radio, sia davvero piu’ confortante e che l’ICTZ ci lasci in pace ora che siamo piu’ a sud.
Alle h 03.31’. 08 “ del 4 aprile attraversiamo l’Equatore. Di notte naturalmente, E cosi’ neppure vediamo la linea che separa il nord dal sud... Ma vediamo le stelle, finalmente libere di risplendere sulle nostre teste, attoniti.
A prua solo e sempre le nostre luci di via, rosso e verde. Pero’ in buona compagnia. Diversi gabbiani ci seguono svolazzando a pelo d’acqua giocando con gli spruzzi sollevati dal nostro tagliamare. Uno strano gioco. Poi realizzo. Si tuffano, beccano il calamaretto , si alzano, scalano verso poppa, se lo pappano e ritornano a prua. Uno dopo l’altro, per ore. Sono divertenti, ma alle volte riflettono le mie luci e rendono incerta la visibilta’. Spengo ed accendo le luci di via in testa d’albero ed il gioco finisce. Ciao ragazzi per questa sera avete pappato abbastanza.
Ora ci aspettano le ultime 140 mg. Decidiamo di fermarci per l’ultima notte a Isla Plata.
Da queste parti sotto costa c’e’ un via vai impressionante di pescherecci, grandi e piccolissimi.
Passiamo di fronte a Manta, uno dei porti pescherecci piu’ importanti di questa costa e del sud america. Dopo una notte con gli occhi di fuori e fissi sul radar per evitare puntini di qua e di la’, finalmente all’alba abbiamo tirato un sospiro di sollievo e …zag , siamo subito finiti in rete !
Un’ ingenua barchetta ci corre incontro, realizziamo assonnati che sono pescatori, fermiamo immediatamente il motore e subito un bel cavo azzurro si mette di traverso al nostro avanzare. Cavo davanti in tensione e chiglia dietro. Scende , scende lentamente. Quasi fermi. Trattengo il respiro. L’elica ? Il pescatore tira, vedo vibrare il cavo , ancora verso il basso, molto in basso. Forse liberi, si siamo liberi !
Passiamo una notte per evitarli e ci caschiamo di giorno ! Quando cala la tensione e la volta che si fanno le cappelle. Comunque ora si va . Nessun problema e tanti saluti.
Vista l’esperienza l’idea di fermarci per la notte e di muoverci solo di giorno e’ stata piu’ che mai azzeccata, anche perche’ci aspettava una bellissima sorpresa : Isla La plata.
Ci arriviamo alle 16, esattamente l’ora di appuntamento radio con Martino dal Lido. Ancoriamo di fronte ad una piccola casetta. Lo scenario e’ primordiale. L’isola , non piu’ lunga di un paio di miglia, e’ alta e scoscesa, verdeggiante con basssi arbusti aggrappati sulle creste. Alti nel cielo volano uccelli a centinaia. Sule intraprendenti vorrebbero posarsi sul mio albero, spero non si ingolosiscano del mio segnavento. Boobies dalle zampette azzurre svolazzano a pelo acqua. Spegniamo il motore. Solo silenzio. Marina mi chiama, eccitata, lo e’ cosi’ come quando vede le tartarughe, la sua passione. A decine passano indifferenti sotto lo scafo. Escono con il capino e giu’ di nuovo. Senti il loro respiro mentre ti scrutano, curiose. Non resistiamo alla tentazione di farci un bagnetto. E’ fria, fria ! La corrente di Humboldt passa di qui.
Scende il sole, cambiano i colori ora tenui e velati, arriva qualche barchetta di pescatori per lo notte.
Ora le stelle…dormo sei ore filate. Domani Puerto La Libertad, ma ne riparleremo.


Ecuador : Quito, Otavalo,Cuenca ed Ingapirga 6-17 aprile 2011

2011-04-17

Ecuador : Quito, Otavalo, Cuenca ed Ingapirga 6-17 aprile 2011
Lasciamo la barca al Club. E’ ormeggiata, o meglio avvinghiata a tre linee di prua e quattro cime di poppa. Ai fianchi, strati sovrapposti di parabordi. Speriamo che basti. L’onda lunga dell’oceano gira ed entra nel piccolo spazio acqueo, una marea di quasi tre metri completa lo scenario. Ai fianchi due motoscafi. Uno con i bottazzi in acciao tutti a bozze, l’altro per fortuna piccolo. L’onda ci prende , ci sposta e ci avvicina ritmicamente. I parabordi fanno il loro dovere senza sforzo, ma le cime cigolano e si tendono. Tubi di gomma ovunque sui passa cavi. Promessa propina ad un guardiano per dare un occhio e partiamo.
Di questo viaggio ricordero’ soprattutto tre cose : gli autobus, le chiese ed il cuy.
Gli autobus sono l’istituzione piu’ importane del Paese. I terminal terrestri sono il luogo principale di smistamento di persone e cose. Tutto l’Ecuador e’ fittamente collegato con autobus di linee diverse che ogni pochi minuti partono per ogni destinazione. Pochi dollari e via.
Cosi’ partiamo anche noi da Puerto La Libertad per Quito, via Guayaquil.
L’impatto non e’tra i migliori. L’autobus non e’male, pero’ dopo pochi minuti l’assistente accende la televisione e ci propina uno di quei film americani dove muoiono tutti tranne l’eroe. Il volume e’ altissimo e le sparatorie non si possono evitare. Giovani e vecchi del posto se la godono, noi un po’ meno. Due ore di tortura. Arrivati optiamo per l’aereo, non me la sento di gustarmi la videoteca di bordo per otto ore sino a Quito ! Avevamo pensato ai bus per vedere un po’ in giro e per vivere tra questa gente. In effetti l’esperienza si puo’ definire originale, anche dopo il rientro sempre in bus da Cuenca sino alla barca. Non sono molto affollati, i passeggeri sui comodi sedili si guardano il film, pochi giovani giocano con il telefonino. Ad una fermata salgono al volo dei venditori ambulanti.
Pollo fritto,tortine,bibite, dolcetti, finti orologi d’oro passano di mano in mano. Poi via di nuovo alla porta di discesa e scendono al volo, per rimontare sul pulman successivo. Sale una giovane coppia di indios. Lei rubiconda, occhioni e cappelli nerissimi a treccia, come tutti qui. Lui , impacciato, con un fagotto tra le braccia. Si siedono senza controllo mentre il bus riparte brusco. Dalla coperta sbuca una testina. E’ appena nato. Nel frattempo le sparatoie riprendono vigore ed il giovane appena seduto non ne perde una .
“ GRACIASSS…! “ e l’autobus si ferma subito. Scende un ragazzo che, unico,aveva sempre dormito. Non so come, apre gli occhi si alza di scatto, ringrazia il conducente, scende e sparisce nel nulla, nessuna casa, strada, solo il ciglio della strada ai bordi di alte verdeggianti colline.
Il paesaggio da Cuenca a Guayaquil e’ superbo. Attraversiamo un parco naturale ed un passo a circa 3 mila metri. Non ci sono gruppi montagnosi, ma alte ripide rupi, alla base boscaglia vergine, fitta. Si sale ed i pendii diventano aspri, rasi. Molti i torrenti che scendono in placidi laghetti. L’autobus sale e scende, sbanda tra i tornanti ed il panorama diventa da mozza fiato. Ora le pendici, colpite da fendenti raggi di sole, appaiono come smeraldi. Passiamo tra nuvole basse. Sotto e davanti a noi prima strette poi ampie vallate . La nostra strada, bianchissima dall’alto, scorre come uno stretto, argenteo fiume verso la foschia della pianura.
Le chiese. Vissute, vecchie e cariche di pietas religiosa. Tutte hanno una storia, sono il simbolo del potere della Chiesa, da sempre, dalla loro antica fondazione. A Cuenca , dove siamo capitati proprio mentre si festeggia la fondazione della citta’, facciamo visita al museo, appena inaugurato, della Vecchia Cattedrale ( 1557) , chiamata anche Del Sagrario. In una teca l’atto costitutivo della citta’.
Un gruppo di nobilotti, signori spagnoli prende una pergamena, traccia alcune quadre, come un castro romano. Al centro segnano un campus e lo spazio per una chiesa, attorno le loro proprieta’ a quadre ben ampie, tutte ben segnate con il loro nomi, i Romero, i Bolivar, i Fernandez e cosi’ via.Ecuado. Le quadre ci sono ancora, con negozi, vecchi palazzotti un po’ barocchi un po’ neo classici e moreschi, spagnoleggianti insomma. C’e’ancora la chiesa, anzi di fronte nell’1883 ne hanno fatta un’altra. Troppo grande per stare in piedi e cosi’ ne hanno segato i due campanili, a torre, laterali.
A Quito, invece, la Compagnia di Gesu’ ha fatto bene i suoi conti. La chiesa e’ piu’ bassa, di angolo, quasi non appare all’incrocio tra alti palazzi d’epoca. Entri e resti allibito. Mai visto un barocco cosi’ sfolgorante d’oro zecchino. Sembra di entrare in uno scrigno. Tutto brilla di strati e strati di foglie d’oro. Tutto, dal pavimento alle alte capriate, e’ oro.
Non sono d’oro, ma ovattate dal silenzio i piccoli chiostri di madera del Convento delle suore di clausura De las Conceptas., a Cuenca. Poche quadre dal centro e si entra in un altro mondo, quello della preghiera. Semplicita’, una storia ben raccontata ora da una Fondazione privata. Un raccolto museo riprende la storia e la vita di queste monache sin dai tempi della stessa fondazione della citta’. I nostri passi fanno scricchiolare il vecchio legno, tarlato e consunto, dei ballatoi. Nell’aria hanno ora messo un canto, melodie religiose, femminili note. Sembra quasi di vederle. Ma e’ solo un CD, pero’ loro ci sino ancora, sono in ventitre segregate volontariamente dietro un cartello “ Non oltrepassare “.
Per ultimo il cuy. Ovvero un modo tradizionale di arrostire il piccolo porcellino d’india.
Qui il maiale, il cerdo, e’ la comida base. Quelli piccoli, i cuy , da due porzioni, vengono preparati allo spiedo e serviti scotta dito, quelli grandi vengono arrostiti ed imbanditi su banchetti improvvisati alle fermate di montagna degli autobus o nei mercatini. Ad Otavalo, mercato indio tra i monti vicino a Quito, non ho resistito alla tentazione di gustarne una buona porzione ad un banchetto gomito a gomito con i locali e la loro variopinta mercanzia. Tappeti, poncho di alpaca, cappelli di lana, calde coperte variopinte, flauti, galline, ogni tipo di verzura e paccottiglia varia e molto altro ancora.
Stessa comida anche a Ingapirga, vicino a Cuenca. Tra alte montagne e paesaggi allungati tra morbide vallate vi sono ancora i resti di un insediamento inca del 1500. Lo scenario e’ vasto, i resti sono proprio resti, ma l’impressione e’ ancora di forte impatto. Un’alta muraglia di pietre perfettamente incastrate al millimetro senza malta sono cio’ che resta del castillo sul dorso di una collina piu’ elevata, attorno verdi prati tra muretti rasi e lama.
Qui finisce lo sguardo all’entroterra, ora verso l’oceano.


Da Puerto La Libertad alle Galapagos 18-22 aprile 2011

2011-04-24

Da Puerto La Libertad alle Galapagos, 18-22 aprile 2011
Lasciamo l’ormeggio con un bel sospiro di sollievo, solo qualche cima usurata, e prendiamo il mare verso le Galapagos. Unico problema saranno il vento, molto poco, ed i pescherecci.
In effetti e’ andata proprio cosi’. Dopo due giorni di appena 10 nodi, bonaccia assoluta. Le famose calme equatoriali. Si avanza a fatica ed alla fine accendiamo il motore e via per ore a 1650 giri.
Dovrei fare quasi 6 nodi, ma una fastidiosa corrente contraria ci ruba mezzo nodo. Avremmo forse dovuto godere della favorevole corrente di Humboldt ed invece ci becchiamo questa corrente da Panama che ci frena.
Resta il problema pescherecci. Di notte e’ un grosso problema. Dalla costa sino a 350 mg verso le Galapagos credo ci siano centinaia di pescherecci al lavoro , notte e giorno, finche’ non finiscono il ghiaccio. Al marina li avevo visti in fila ad imbarcare carburante, acqua e ghiaccio e poi riprendere il largo.
La situazione meteo sarebbe ideale per riposare con turni regolari, invece con questi target ballerini sul radar dobbiamo stare allerta per non finire nelle reti. La seconda notte appare un target molto incerto a prua via a sinistra. Luce bianca fissa che appare e scompare nel cavo dell’onda lunga oceanica. Non e’ certamente un peschereccio, target troppo debole. Dopo un po’ sparisce e me lo ritrovo dopo qualche minuto vicinissimo, spento. Accelero e spengo le luci per sicurezza. La luna piena ci illumina comunque ! Mi volto e vedo i baffi di un lancione di 7 metri circa ormai a pochi metri. Intravedo nel buio quattro ragazzotti infagottati, sul fondo della lancia quattro grossi squali. Sono pescatori meno male, quello al potente motore fuori bordo urla, agitandosi ed indicando con la mano una direzione, “ par a ia’, par a ia’ ” …per di la’ ! Vogliono darci una direzione per evitare le reti.
Vengono da Manta e sono collegati ad un peschereccio madre che fa da hub. Capisco a fatica, ma mi accerto che la rotta per le Galapagos sia libera. Il “per di la’” mi dice poco e loro dei miei gradi ancora meno. Comunque dopo vari zig, zag proseguiamo dritti. Ed ecco alla nostra destra ad un paio di miglia, qualche lucetta. Binocolo e le lucette diventano molte. E’ una rete,quella dei nostri ragazzotti. Per fortuna e’ ben segnata anche da strobo e sul radar appaiono i vertici. La evitiamo senza problemi, ma anche questa notte niente nanna.
Al mattino mettiamo la lenza ed a mezzogiorno il mulinello parte a razzo. Freniamo il motore, ma non basta il filo di 100 mt si tende e si spezza. Perdiamo tutto. Dopo pochi secondi un siluro blu argenteo sfreccia fuori dall’acqua con un gran balzo a pochi metri al nostro fianco. E’ un grande merlin. Uno spettacolo da brivido. La bestia e’ come impazzita, salta, spiattella e si contorce fendendo l’aria con la sua lunga spada. Indimenticabile.
Al pomeriggio una bella scenetta. Smotoriamo a zig zag per evitare grossi nubi nere cariche di pioggia. Al nostro fianco, 4 miglia circa, avanza un peschereccio. Andiamo per un po’ a seconda.
Lo seguo al radar e pare che punti dritto sotto uno di questi nuvoloni, anzi pare lo cerchi nel suo spostamento verso sud. Poi si ferma proprio sotto…fa la doccia ! Ora lo segue, resta sotto e cambia direzione insieme al nuvolone…sta facendo acqua! Al mattino un altro lancione ci aveva raggiunto per chiederci acqua !
Ma ormai siamo in vista delle Galapagos. Dalle brume della notte appare il profilo da San Cristobal.
Le isole incantate. “La capitale del Paradiso”, cosi’ recita un cartello appena metti piede a terra con il passo incerto e attento a non calpestare le foche sul pontile !


Muso a muso. Galapagos, San Cristobal 27 aprile 2011

2011-04-27

Muso a muso. Galapagos,San Cristobal 27 aprile 2011
Le vere stars del malecon sono le otarie. Come arrivi e scendi a terra , ti danno il benvenuto.
E se non scendi tu, ci pensano loro a salire di poppa sulla tua barca. Si sdraiano comodamente a prendere il sole e dormono placidamente.
In acqua sono incredibili. Ti vengono incontro, curiose. Giocano, ti sfiorano. Credi di toccarle e sfrecciano via. Ritornano e ti guardano muso a muso. Sembra vogliano farsi fotografare, vere esibizioniste.
A terra non sono molto agili, ma con estrema non curanza attraversano la via e si accomodano sul marciapiede, per sino nelle vetrine dei negozi, come i gatti da noi a Venezia.
Dopo il tramonto sotto la barca e’ tutto un brontolio. Inizia la pesca.
Branchi di pesciotti stazionano sotto lo scafo, appena attratti dalla fioca luce di fonda che posiziono per comodita’ sul mio fianco destro. La piccola otaria sbatte con le pinne l’acqua nel tentativo di rompere il branco. Appena cio’ accade con un guizzo si avventa sul pesciotto solitario piu’ vicino e ..gluk ! Pappato.
Dorme, nuota, pesca e pappa attorno alla nostra barca. Ormai ci ha adottato.


Un giretto per San Cristobal. 29 aprile 2011

2011-04-30

Un giretto per San Cristobal. 29 aprile 2011
L’isola non e’molto grande. Un fagiolone lungo poco meno di 50 km. La parte con strade e’ molto limitata , circa 10 km attorno a Puerto Barquerizzo Moreno.
Come tutte le altre isole e’ integralmente parco. Quando scendi a terra c’e’ un tappeto verde imbevuto con non so quale prodotto per pulire le suole.
Il paesotto e’ molto modesto con circa 8 mila anime, una chiesa,il mercato, un semaforo regola il sonnacchioso traffico, il malecon con i soliti negozietti per turisti. Tutto tranquillo e ben ordinato.
Quando esci dal centro e’ subito natura vera. Il primo incontro e’ quello con il fringuello di Charles Darwin. Non sai se e’ diventato lui famoso grazie a Darwin o se lo e’ diventato il biologo inglese grazie al piccolo pennuto. Sta di fatto che questo fringuello e’ alla base, per farla breve, della teoria illustrata nel libro”L’origine delle specie”(1859). La ragione e’ semplice. Darwin trovo’ alle Galapagos lo stesso fringuello con tredici becchi diversi. Ognuno adatto per cogliere il diverso cibo disponibile nelle isole dell’arcipelago. Il pennuto si era evoluto in relazione all’ambiente. Cosi’ l’uomo.
Ancora oggi la prima impressione e’ quella del primordiale. L’isola ha origini vulcaniche. Alte morbide colline si rivelano poi esser vulcani. La flora sulle pendici e’ bassa e rigogliosa, la terra nera e rossa. Piante endemiche che trovi solo qui sono ben segnalate. Colpiscono i cespugli fioriti di miconia e, a valle, la grande felce arborea . Soffici nuvoloni spinti dal vento salgono dal mare e si adagiano sul verde smeraldo della creste.
In cotale ambiente trovi quello che ti aspetti : la tartaruga gigante terrestre delle Galapagos.
Dopo i massacri dei secoli passati, ne sono rimaste undici specie con differenze per dimensione e forma del carapace. Ora stanno ripopolando le isole con centri di incubazione e valorizzando il loro ambiente con mini aree protette per turisti .
Da vicino , vicino sono proprio bruttine. Anche da piccole sembra abbiano cent’ anni. Vanno ghiotte di alcuni pometti verdi , che per noi sono quasi mortali e si trascinano lentamente cercando ombra e frescura nelle pozze d’acqua. Le salutiamo dopo le foto di rito e ci avviamo ad un altro incontro primordiale: le piccole iguane di San Cristobal.
Verso il piccolo aeroporto c’e’ una bellissima spiaggia bianca, incastonata da nerissime scogliere vulcaniche. Tra questi pietroni ardenti sotto il sole, immobili le iguane. Rischiando caviglie e cinepresa, ci avviciniamo lentamente. Si confondono con la roccia tanto sono nere. La pelle tutta sbertucciata , il dorso con una piccola cresta, le zampette artigliose aggrappate alla roccia. Occhietti, piccoli e fissi scrutano ogni tuo movimento. Giusto qualche secondo per la foto di rito e …zac, si sposta fuori tiro. Alzo lo sguardo. Il mare sale sulla scogliera con alte ripide onde da surf, il cielo azzurro del meriggio e’ appena macchiato da basse nuvole violacee. Il vento viene da sud est, quello buono.


Galapagos,Isabela, Puerto Villamil 4 aprile 2011

2011-05-08

Galapagos,Isabela, Puerto Villamil 4 aprile 2011
Isole di frontiera. Quello che colpisce subito e’ l’atmosfera, l’ambiente, la natura inconsueta.
Quello che poi ti fa pensare di piu’ e’ la gente. Non sono molti gli abitanti della Galapagos, circa 30 mila. La meta’ a Santa Cruz, solo millecinquecento a Isabela. Moltissimi sono stati solo a Quayquil o Quito, la capitale, per studiare. Pochissimi sono andati all’estero per lavorare, quasi tutti restano su queste isole di lava.
Sono molto orgogliosi, hanno la condivisa consapevolezza che il futuro dipendera’ solo da loro.
Il loro futuro, come il presente, si chiama Parco Nazionale Galapagos. Tutto gira attorno al Parco.
Il turismo e’ praticamente l’unica risorsa, ben sfruttata. I gruppi sono piccoli, ancora, e non portano un gran contributo. Tutto e’ ben filtrato con molta burocrazia per incassare e per limitare , controllare ogni movimento. E cosi’ anche noi per entrare e muoverci abbiamo dovuto sottostare a procedure noiose e costose. Per fortuna incontrando personaggi da vera frontiera.
L’avevo contattato via email sei mesi prima per avere informazioni sulle procedure di entrata e Bolivar Pesantes, mi aveva risposto subito, anche perche’ gli avevo scritto in spagnolo, molto gradito. Appena arrivati si e’ presentato a bordo con un codazzo di autorita’. Sono saliti con scarponi neri luccicanti e divise appena stirate e si sono piazzati in pozzetto. Bolivar occupava da solo quasi mezza panca, come dire, davvero Pesantes. Per fortuna gli ospiti , molto gentili, si sono rapidamente allontanati appena adempiute le formalita’ di rito. Bolivar, piu’ rilassato, ha incominciato a chiacchierare con noi. E’ un lavoro con il quale vive, sicuramente bene, ma che gli offre l’opportunita’ di evadere anche per pochi minuti. Nel 2010 e’ stato l’agente di 180 barche.
Potrei dire che e’ una via di mezzo tra trafficante e buon uomo. Ci ha sicuramente scippato qualche dollaro di troppo, ma e’ stato sempre di parola. Quando siamo partiti e’ venuto a salutarci con tutte le carte in regola. Quasi commosso, si e’ messo il pugno sul cuore e ci ha raccomandato di non dimenticare mai le Galapagos “ Suerte amigos ! ” …e chi le dimentichera’ !
Con la presentazione Bolivar ci siamo trasferiti di notte, in bianco per il traffico tra le isole, a Isabela. Avevamo appuntamento all’Hotel Costa Azul alle tres y media de la tarde con C. Soto, il corrispondente di Bolivar. Strada polverosa quanto il taxi che ci ha portato e scendiamo proprio di fronte all’hotel. Soto, non poteva esser che lui, ci aspettava all’ombra, seduto al tavolino del piccolo ristorante , solo.
Si e’ alzato lentamente ed ha chiesto il nome della barca. “ Eutikia ?” con forte accento americano. Si, eravamo proprio noi. Vero uomo di frontiera. Un panama non certo fine , ma di ottima fattura, impolverato con fascia nera, una camicia esotica un po’ sgualcita e sgargiante a fiori rossi e blu, pantaloni bianchi corti, due semplici sandali in pelle. Un sorriso aperto da signore, tra i 75 e gli ottanta ben portati e ben abbronzato.
Tranquillo, mentre ti parla sembra guardi oltre , occhi vivaci come le sue battute sempre pronte. Cerca di capire, parlando in americano perfetto, se sei gringo o che altro. No , io gli dico che me gusta ablar spagnolo e che siamo italiani. Beh, a quel punto ci siamo parlati diretti. Si capisce subito, dopo la visita in Capitania, che gli interessano ben poco i dollari, ma che forse il suo desiderio e’ proprio far due chiacchere .
Passano i giorni e Cesy, o meglio Julio Cesar, mi racconta qualcosa di piu’ dell’isola e di se’. Francamente ero un po’ curioso.
Ci era arrivato dall’Ecuador la prima volta piu’ di trenta anni fa’. Ed e’ stato un amore a prima vista. Poi se ne era andato in California per lavoro. Trent’anni di viaggi in macchina nel turbolento traffico degli affari. Ogni tanto tornava, comprava terra ed il suo futuro. Poi un bel giorno finalmente e’ tornato, per non muoversi piu’. Ora, quando se ne va lentamente per le vie polverose del pueblo ha sempre una parola ,una battuta per tutti. E tutti lo conoscono e ne apprezzano la semplice dignita’, quel rispetto per chi e’ venuto da lontano ed ha visto il resto del mondo. Per noi immaginare Villamil e Cesy sotto quel panama impolverato sara’ un gran ricordo.
Abbiamo invece perso quello che poteva esser un bel incontro. Quello con un veneziano che vive qui da oltre vent’ anni. Fuori del suo alberghetto c’e’ un bel leone di San Marco in bassorilievo.
Ma lui non c’era, torna a Venezia qualche volta…forse e’ tornato per il Papa.
E di veneziani comunque ne son passati da queste parti nei secoli scorsi.
Arrivando a Cristobal noto sulla carta il nome del capo piu’ a ovest, Malamocco ! E poco oltre Arecife , scogliera, Schiavoni !... e continuano a passarci.


SUD PACIFICO ”…per il grande mare aperto” 2.55 S – 99.05 W, 17 MAGGIO 2011

2011-05-17

 
In questo momento registro allo spidometro 8.3 nodi.
Ci sono 2 cose che davvero ci hanno sorpreso da quando siamo partiti…anzi ce ne sarebbe anche una terza,
La prima e’ la costante velocita’che la barca riesce a mantenere. Siamo molto carichi, partiti anche con 900 lt di acqua in serbatoio, eppure facciamo medie mai viste.
L’aliseo ci ha dato il benvenuto appena usciti da Puerto Villamil e continua a gonfiare le nostre vele. Soffia da SSE, a volte da SE. La differenza sembra minima ma nei fatti questo significa averlo a pruavia o a poppavia del traverso e mare di conseguenza, L’intensita’ e’ quella giusta tra i 12 e i 22 nodi di apparente. Vele sempre leggermente ridotte, soprattutto di notte. Il mare ha un’ onda appena segnata con crestine di superficie ed un’onda lunga circa da sud dalle grandi perturbazioni tra i 40 e i 50 di latitudine sud. In somma medie giornaliere da 180 mg ed e’ un bel navigare !
La seconda cosa e’ la luna. Fantastica. Piena. Argentea. Come il faral del codega appeso a poppa o a prua che ci illumina la rotta come fosse giorno. Le vele sono abbaglianti, per noi, e per i pesci che ne sono attratti e che volando finiscono sulla nostra tolda. Quando sale il sole a poppa lei e’ ancora li’, ora a prua , bassa sull’orizzonte, che non vuole lasciare la scena.
La terza e’ …un qualcosa che preferisco non  dire per scaramanzia, ma avrete sicuramente capito.
Alla prossima.


SUD - PACIFICO META' STRADA 22 MAGGIO 2011

2011-05-22

SUD PACIFICO 7.10 S – 113.06 O, h 17.06 UTC del 22 maggio 2011 Abbiamo superato di slancio la prima settimana di navigazione ed entro oggi dovremmo quasi esser a meta’ attraversata. Da Isabela, Galapagos, a Fatu Hiva sono 2902 mg e ora ne mancano 1531. In queste due righe sono racchiusi i due termini assoluti della questione : tempo e spazio. Tempo. Le giornate nel loro succedersi sono molte e lente, i giorni velocissimi. Per noi questa e’ la navigazione piu’ lunga e cio’ comporta indubbi disagi : turni, dormite brevi, ritmi molto particolari. La giornata invece vola via. Nel senso che dall’alba al tramonto, dodici ore di luce, ci sono mille incredibili incombenze piacevoli e meno piacevoli che ti accompagnano. Arrivi dopo l’appuntamento radio delle tre e mezzo del pomeriggio ed e’ gia’ si pensa alla cena. La giornata si chiude con la foto del tramonto. Li fotografo tutti. Spazio. Siamo un puntino rosso in mezzo al plotter. Dietro una scia rossa composta di tanti puntini, la strada percorsa. L’unico a sapere dove siamo e’ il nostro GPS. Ci da latitudine e longitudine, ora e distanza che manca. Quando ti fermi ad osservare l’onda che da prua scorre lungo la barca lasci un luogo, unico tra mille e mille uguali nella loro diversita’ e ritmo. Gia,’ tempo e spazio, la nostra , di tutti, dimensione di essere. Qui forse nella loro essenza, senza contaminazioni di luoghi e cadenze consueti. Il tempo scorre e lo spazio ne da la sua dimensione. La nostra tartarughina, quella del sito web, con la veletta spiegata sopra il carapace ne e’ un po’ una simpatica e suggestiva rappresentazione…”festina, lente”


SUD PACIFICO, 9.51 S 133.43 O. STORIE DI VENTO, DI MARE E ....DEL PENDOLO DEL NONNO - 30 MAGGIO 2011

2011-05-30

"Mai riuscito a dimenticare quei diciotto o venti giorni durante i quali il lieve soffio degli alisei ci condusse quasi insensibilmente verso  le isole (Marchesi). Inseguendo il capodoglio, eravamo giunti all' equatore, venti gradi ad ovest delle Galapagos circa; a questo punto, fissata la rotta, basto' che bracciassimo di tanto in tanto i pennoni per tenerci sottovento ed il nostro valoroso battello (la Dolly) e la costante spinta delle vele si incaricarono del resto...... Che deliziose, pigre e languide giornate passammo, mentre correvamo cosi' sul filo dell' onda " Herman Melvill in "Taipi"

Del resto anche  i velisti americani, scherzandoci sopra, hanno ribattezzato il passaggio del Sud Pacifico come un salto della pozzanghera, il "Puddle Jumping".

Se poi vai a leggere le bibbie, le cruising guide oceaniche, ti fai davvero un'idea benevola e confortante di quello che ti puoi aspettare, proprio una Milk course....latte e miele, come altrimenti' chiamata.

Per mare poi le cose vanno come devono andare. E sarebbe davvero troppo lungo e noioso farne la cronaca. Pero' due cosette vorrei dirle.

Il vento. Il dolce aliseo di sud est c'e' ma bisogna andarselo a cercare. Quasi mai puoi contare che ti porti diretto al punto. E questa e' la prima sorpresa, strano se pensi che andiamo per 260 gradi ovest circa e che lui soffia da sud est ,sempre. Quasi sempre. In pratica dalle Galapagos si prende un ascensore in discesa di 10 gradi  (600 mg), ed un po' in diagonale, e si scende al piano terra delle Marchesi. Ad ogni piano il lift boy ti annuncia il vento ed il mare previsti (ore passate alla radio, grib con le barbette del vento ecc.....) ebbene, il dolce aliseo fa il birichino. Prima ti illude ai piani alti, poi ti sferza tra il quinto ed il sesto, poi ti molla quando sei quasi al piano terra. Devi scendere e farti a piedi le ultime scale. Comunque quando c'e', e' generoso, ti avvolge, magnifico, con il suo soffio lieve. Indimenticabile.

Il  mare. Solamente seduto all' alba, sulla morbida cresta di una rossa duna di sabbia del Sahara nel bel mezzo del Tenere', il Nulla dei Tuareg, provai un' emozione simile.Primordiale. Sei davvero il Nulla.Circondato da migliaia di miglia di oceano, il pianeta mare.Andarci in barca, a vela, vuol dire misurarne le onde, alteza, direzione, frequenza, ritmo e conviverci. Tanto per dire, un bel giorno sulla cartina meteo, ricevuta dal servizio di previsione del governo USA, appare, fra i tanti simboli, un quadratino. Riporta, sorpresa e un po' di timore la cifra "14", in mezo a tanti 11 - 12 non quadrettati. Ebbene noi siamo proprio li' con un' onda di quasi 5 metri (14 piedi) da sud incrociata con quella del vento che ci spinge da sud est. Non e' frangente, ha solo una piccola crestina di schiuma, ma ci becca quasi di fianco. E' un vero tormento per la barca e per noi.

Quando al gran lasco la nostra onda ci passa sotto e restiamo con meno pressione e velocita' nel cavo, ecco che la sorellastra malefica, da sud ci becca indifesi. Saliamo  di nuovo, ma spinti lateralmente. In cima rolliamo e poi giu' dall' altra parte di fianco con alberi e vele a far da pendolo del nonno, appunto.

E poi via di nuovo per minuti, ore, giorni. Il maledetto swell da sud, ben noto ai marinai oceanici generato dalle grandi burrasche ruggenti dei 40 gradi sud.

Altro che Milk course, forse meglio.... Butter course !!


ISOLE MARCHESI, FATU HIVA,BAIA DI HANAVAVE, 1 GIUGNO 2011

2011-06-01

Arrivatiii ! Il diluvio ed il regalo piu’ bello.
Ieri 31 maggio alle 12,30, esattamente 17 giorni dalla partenza da Isabela, abbiamo dato fondo in questa insenatura sulla costa ovest di Fatu Hiva. Per la cronaca abbiamo percorso le 2.902 miglia con una media di circa 7.1 nodi. Un giorno in meno di quanti impiegati per attraversare l’Atlantico ( 2.822 mg).
Marina aveva, di buon mattino, visto per prima sorgere all’orizzonte il grigio profilo dell’isola tra basse nuvole cariche di pioggia. Eutikia aveva accelerato il passo spinta da un aliseo insistente sotto un cielo sempre piu’ scuro. Sotto costa, ripida e scoscesa, la visibilita’ ridotta dava sinistri scorci di natura. Rocce nere vulcaniche si tuffavano nel mare ribollente di schiuma. Sui costoni,alti e ripidi, di un’intenso verde smeraldo , alte sottili strisce bianche , cascate d’acqua spumeggiante .
La pioggia inizio’ battente appena ci trovammo sotto vento all’isola. Nuvoloni , densi, bassissimi oscuravano la costa e le sue alte cime, solo i costoni raso acqua indicavano la costa.
Peccato, speravamo di gustarci l’atterraggio percorrendo lentamente la costa che sapevo stupenda.
Niente di tutto cio’. Solo un vero diluvio. Dalle strette gole cascate da ogni dove e dalle piccole insenature acqua marrone di torrenti in piena trasportava ogni tipo di detrito, noci di cocco, palme, fogliame, acqua color cioccolata. Visibilita’ quasi nulla.
Sono costretto a fissare sul plotter un punto di arrivo di fronte alla baia e siamo a meno di 3 miglia !
Mi aiuto con il radar per misurare in certi momenti la nostra distanza dalla costa, a tratti invisibile.
Di fronte all’entrata, visibilita’ zero. Solo due alte ombre scure di rupi ne indicano ai due lati l’accesso. Non si puo’ entrare in queste condizioni. Dobbiamo aspettare 2 ore dopo 17 giorni di mare.
Finalmente una piccola tregua e ci infiliamo. Lo scenario e’ da stampa cinese. Solo pennellate svolazzanti di nera china e grigi sfumati tra bassi nembi. A tratti qualche costone verde scurissimo lascia intravedere palmeti aggrappati alle rocce, piegati dalla alte raffiche . Tutto irreale, eppur cosi’ vera natura. Altro che tropici incantati e baciati da caldo sole!
Lentamente procediamo e per fortuna le barche alla fonda sono solo sei. L’ancoraggio e’ tra i piu’ difficili, da quello che ho letto. Il fondo degrada molto rapidamente e lastre di roccia ne riducono a tratti la tenuta. Per giunta il nome stesso della baia significa in marchesano, baia delle raffiche.
Mi tengo al centro, come da manuale, ed in 15 metri calo l’ancora. Aspetto che la catena scenda, poi lentamente mi faccio trascinare in dietro da una specie di fiume in piena, carico di detriti, che arriva dal fondo baia a circa un miglio. Faccio scendere 60, poi 70 metri. Pare che tenga.
Sono in 25 metri. Do marcia indietro. Prendiamo un paio di allineamenti. Tiene. Siamo arrivati !
Ci guardiamo attorno, attoniti per qualche minuto poi a cuccia, stanchi ma finalmente fermi.
A fatica ci alziamo dopo due orette. Metto la testa fuori e resto senza fiato. Un arcobaleno mai visto corona la stretta valle tra gli alti picchi di roccia nerissima, ricoperti di brillante verde muschiato .
I colori sono perfetti, incisi tra nere nuvole. Che regalo !


FATU HIVA, 5 GIUGNO 2011

2011-06-05

Tamburi lontani
Sono seduto nel pozzetto, ormai e’ buio e le stelle fanno capolino brillanti tra i densi nuvoloni verso i picchi sovrastanti la baia. Marina mi chiede dalla cucina se ho acceso il lettore CD…no, rispondo, ma sento anch’io ora un rimbombo lontano. Ora piu’ nitido. In crescendo, un forte ritmo di strumenti a percussione giunge dal fondo riva e si espande nella baia. E una musica ancestrale, che viene da tempi remoti, sempre la stessa. Penso ai primi che arrivarono in queste isole e di notte udirono questo rimbombare forsennato, certo non amichevole.
Ora di nuovo silenzio, Ma ecco , di nuovo, secchi colpi di mazze di legno su tronchi cavi riprendono in crescendo, ora accompagnandosi a tamburi, ora roche voci si esaltano nel frastuono.
Non resta che ascoltare attoniti. Spesso di sera gli uomini del villaggio si ritrovano sulla battigia e si accompagnano con i loro strumenti a percussione e ballano danze tramandate dai padri dei padri.
Al mattino di fronte alla chiesetta giovinetti e giovinette, ben vestiti con i costumi tradizionali, si esercitano sotto la guida attenta delle maestre nelle movenze sinuose della danza. Si preparano per le feste del prossimo 14 luglio.
Ieri siamo stati alla cascata. Che camminata ! Lasciata la via del paesetto, l’unica, ci inoltriamo nel folto della vegetazione. Superato un torrentello dall’acqua fresca e limpida, sotto una volta di alte fronde di manghi, palme, felci giganti e non so quante altre rigogliose verzure, seguiamo quasi nel fango un sentiero piu’ aperto tra alti rossi ibiscus e croton smisurati in altezza. Ancora a guado un ruscello e poi il sentiero si stringe e sale . Pietre viscide di muschio non agevolano la ora ripida salita. Ci aiutiamo con lunghi bastoni trovati sul ciglio. Un verde denso ed ingarbugliato ci fa perdere la via appena segnata tra le pietre. Ci fermiamo ansanti e grondanti sudore. Incomincia a piovere. Dopo venti giorni di mare le gambe e tutto il resto fanno fatica ad ingranare. Torniamo in dietro. Per fortuna , alzando lo sguardo, intravedo appena fuori dal folto della vegetazione due piccoli chorten di pietre sovrapposte che ci indicano la giusta direzione di salita. Di nuovo pietre viscide e liane di traverso. Sotto nella valletta scorrono cascatelle di limpida acqua. Sicuramente dalla cascata. Proseguiamo. Fiori , larghi ed arancione chiaro, fanno capolino tra le umide felci ai lati. Piove e far foto e riprese diventa complicato. Ormai quasi ci siamo. Si sente il rombo della cascata. Usciamo dal folto e, tra il brillare della vegetazione grondante acqua , lo sguardo si perde verso l’alto, seghettate creste smeraldine. Di fronte a noi una spumeggiante stretta colonna d’acqua sbalza dall’alto pianoro sovrastante e precipita nella profonda gola . Continua a piovere. Siamo zuppi ma ci gustiamo lo spettacolo, in silenzio tra il gocciolare del fogliame illuminato da squarci di luce radente.


TAHUATA E HIVA OA - 7-16 GIUGNO 2011

2011-06-16

 Andando verso nord da Fatu Hiva si entra nel cuore del gruppo delle isole Marchesi.
A 35 mg verso ponente si staglia il profilo verdeggiante di Tahuata. Fu la prima isola ad esser scoperta nel 1595, si dice per caso, dallo spagnolo Alvaro Mendana che le dedico’ alla moglie del Vicere del Peru’, la Marchesa de Mendoza. Nel 1774 vi arrivo’ Cook e poco dopo nel 1791 gli americani e solo nel 1842 i francesi ne reclamarono il possesso. Per gli isolani fu un vero disastro. Fu una vera strage . Morirono come mosche per le malattie portate dai conquistatori, persero le loro piu’ radicate tradizioni e da cannibali divennero cattolici agnellini. Anzi proprio da Tahuata inizio’ la diffusione del cattolicesimo in tutto l’arcipelago.
Ora i piccoli villaggi lungo la costa ovest sonnecchiano nel relativo benessere che deriva loro dall’esser isole disagiate e quindi con qualche beneficio riconosciuto dal governo francese. Qui come a Hiva Oa ( 3 mila abitanti), belle scuole, assistenza sanitaria, ovunque campi sportivi da far invidia alla provincia veneta, banche, super mercati non proprio modesti, strade e non poche macchine che fanno persino la fila ai distributori e belle case in stile coloniale nascoste tra verde e fiori.
Dopo qualche giorno passato all’ancora di fronte alla bianca spiaggia di Hana Moe Noa a Tahuata , davvero rara da queste parti dove tutte le spiagge sono nere, affrontiamo il difficile ancoraggio di Hiva Oa. L’ insenatura e’ stretta e vi entra di rimbalzo l’onda lunga di risacca. Per giunta le barche possono ancorare solo dietro un allineamento che da spazio di manovra all’Aranui, mitico traghetto, per affiancarsi al molo, ma che riduce di molto la superficie acquea utile. Quindi tutti si mettono ancora principale alla risacca ed ancoretta di poppa verso l’interno baia…il vento, quando soffia, e’ pero’ di fianco !
Noi abbiamo aspettato qualche giorno di piu’ a Tahuata e siamo arrivati con calma di vento e poca onda e cosi’ ci e’ andata relativamente bene. Ma non sempre tutto fila liscio.
Metto giu’ l’ancora principale e marcia indietro, filo, filo catena quasi al massimo. Marina a poppa mette giu’ l’ancorotto. Recupero a prua e voila’ed il gioco e’ fatto…quasi !
Maliziosi refoli scendono dalle colline ci beccano di fianco ed inesorabilmente ci avviciniamo ad una barca sul fianco sinistro. Resisto, cerco di sistemare, niente da fare. Tutto di nuovo.
Spedare l’ancorotto e’ stata un’impresa. In soli 6 metri ma affondato in un fango micidiale.
Comunque ricominciamo. Giu’ ancora, catena, giu’ ancorotto piu’ al vento. Pare perfetto.
Vado a provare se l’ancorotto tiene. Tiene molto bene, mi sembra troppo bene. Quando tiro sento uno strano rumorino che per esperienza mi fa pensare ad un incaglio. Vado sulla verticale . Porto cima al winch e tiro. La poppa della barca scende, la cima si tende pericolosamente e scalfisco il gelcoat ! Cosa diavolo ha trovato l’ancorotto ? L’acqua e’ grigia, non si vede quasi ad un palmo.
Siamo prigionieri. Ma non tutto il male viene per nuocere. Con questi ancoraggi precarii avevamo rinunciato all’idea di un tour, uno dei top ten in tutta la Polinesia, all’interno per visitare il sito archeologico di Ipona. Ora , in 6 metri di fondale , con 65 metri di catena fuori ed un ancorotto tipo corpo morto, lasciar la barca per un giorno non e’un problema.
E cosi’partiamo con una simpatica ragazza, come driver e guida, ed un’altra coppia di amici viennesi incontrati ad Isabela.
Il giro e’ davvero fantastico. L’interno e’ un continuo saliscendi tra alti picchi scoscesi, slanciati e smeraldini, e vallate rigogliose di frutta e colorate da macchie di ibiscus e bouganville. Poi vedute orizzontali lungo costa con neri e rugosi promontorii protesi verso il riflesso argenteo del mare spumeggiante di aliseo. La strada serpeggia lungo costoni rossastri e si insinua in strette vallette e baie dove le onde si allargano turchesi a ventaglio.
Dopo un paio d’ore eccoci al villaggio di Puamao. Pochi metri ancora ed entriamo nel sito archeologico di Ipona. Lo scorcio dell’area sacra illuminata dal sole con i tiki, eretti su nere pietre ritagliate nel verde cupo della foresta pluviale, e’ superbo.
Uno di questi, Tiki Takai , e’ il piu’ alto della Polinesia con i suoi 2.67 mt e prende il nome da un capo tribu’ famoso per la sua forza, non solo fisica.
L’atmosfera e’davvero pregnante di mana. E’ questo un termine nella lingua marchesana per indicare carisma, spiritualita’, ma anche senso del potere riservato ai capi, necessario per guidare la propria tribu’.
Veramente una gita indimenticabile che si conclude degnamente attorno ad una tavola imbandita da succulenti piatti della cucina locale. Tra tutti il tonno crudo cucinato al lime e servito con latte di cocco fresco e verdurine varie.
Dimenticavo…l’ancorotto e’ stato poi liberato da un amico svizzero. Un ragazzotto pimpante e ottimo sub che dopo, qualche sbuffante immersione, ha liberato una marra perfettamente inserita nella maglia di una pesante rete metallica…meritandosi una bottiglia del miglior sparkling wine.


NUKU HIVA, Taiohae Bay, 26 giugno 2011

2011-06-26


Tiki e pompa
“ Buongiorno, signor Prato Piergianni ? “ Qui sono circa le 21 e a Torino le 8 del mattino. Mi risponde una voce ferma, da buon fumatore, e subito disponibile. E’ lui ! Sono proprio fortunato.
Piu’ di sette anni fa cercavo i pezzi di ricambio della pompa autoclave AMFA di Torino e molto gentilmente mi invio’ il tutto con relative istruzioni . Ora mi trovo con l’autoclave che non va , il serbatoio con 800 litri e solo una pompetta a pedale in cucina. Ho smontato tutto, ma c’e’ qualcosa che non va. Ora la ditta e’ stata acquistata dai francesi della Reya e cercare un tecnico in Italia neppure a pensarci. Pero’ ho internet a bordo, cerco a Torino via elenco on line il signor Prato, di cui mi ero annotato il nome e che immagino gia’ in pensione . Trovo il numero di casa e chiamo. Scopro che era proprio il titolare della ditta e che forse e’ uno dei massimi esperti di pompe in Italia.
Un po’ sorpreso di ricevere una chiamata dalle Marchesi , ma subito mi ha dato esattamente la soluzione al problema. Valvola di non ritorno bloccata e pompa che gira a secco, non e’ autoadescante e quindi non tira su acqua. Una persona cortese come poche.
E pensare che qui attorno l’acqua scende a cascate ! Per non dire della pioggia.
Nuku Hiva e’ una grande isola, verdissima. Alte montagne, sino a 1.200 mt, formano due mezzi anelli concentrici, il vecchio vulcano, ed al centro a sud si allarga la baia di Taiohae, come una caldera.
E qui la baleniera Acushnet getto’ l’ancora dopo 18 mesi di mare per la grande felicita’ di Herman Melville. Il grande novelliere americano non perse l’occasione e salto’ a terra con un amico dandosi alla fuga. Si perse e fu ospitato, o meglio tenuto praticamente prigioniero, dalla tribu’ dei feroci cannibali Taipi. Tutta la storia e’ stata poi raccontata e pubblicata alcuni anni dopo con il titolo, appunto, TAIPI.
Ieri , noleggiata una macchina, abbiamo girato l’isola . Naturalmente il villaggio di Taipi non e’ piu’ come quello descritto nel libro, pero’ e’ facile immaginare come fosse. Un bel fiumiciattolo scende dai monti dolcemente con laghetti verso una stretta spiaggia, rade casette, colorate e ben infiorate, si allineano lungo le sponde. Abbiamo scovato, non senza fatica, uno stretto e fangoso sentiero e ci siamo inerpicati verso la zona archeologica su una bassa collinetta. Mezz’ora di foresta pluviale e ci siamo trovati di fronte all’ area sacra…come non ricordare la prima emozione di Melville alla vista di questi tiki.
C’e’ da dire che quest’isola ha molte aree archeologiche davvero ambientate in zone molto suggestive. Dall’ancoraggio di Anhao Bay a nord est, un vero lago tra alte vette smeraldo, dopo una bella arrampicata e relativa discesa alla baia contigua abbiamo visitato un altro sito immerso nella foresta. Attorno nessuno, solo il canto alto di uccelli nascosti nelle alte fronde , basse felci di un morbido verde tra le nere pietre del tohua , il recinto sacro.
Ultima annotazione. Ci siamo inoltrati nel cuore dell’isola e dopo una bella salita lungo tornanti con aperture mozza fiato verso le baie sottostanti ci siamo trovati tra boschi di alti pini, in mezzo morbide verdi colline, pascolo per mucche pezzate e cavalli. Sembrava d’esser tra le nostre Dolomiti


NUKU IVA e UA POU - 4 LUGLIO 2011

2011-07-04

  
Partiam, partiam, partiam, pronti via !...anzi no !
E già non è facile lasciare queste isole. La finestra di bel tempo era perfetta ( ci ritorneremo su ) , dovevamo ancora vedere Daniel Bay con la sua cascata ed il giorno dopo partire per le Isole Tuamotu ( 530 mg ), forse meglio il pomeriggio stesso dopo la scarpinata.
Arrivati alla baia, poche miglia ad ovest di Taiohae, mettiamo in acqua il gommone e sbarchiamo sulla sponda di un torrente. Tiriamo ben in secco Barik, il nostro gommone, oltre la linea di alta marea e ci avviamo lungo un’incantevole vallata. Ci avevano detto che ci volevano quattro ore, andare e tornare, e quindi teniamo svelto il passo.
L’ inizio è assai facile tra casette circondate da fiori ed alberi da frutta. In mezzo scorre vivace il bel torrentello. Ma dopo pochi minuti inizia una densa foresta pluviale ed il sentiero diventa fangoso, molto fangoso, tra pozze acquitrinose. Scivolando e balzelloni su qualche sasso qua e là ci inoltriamo sempre di più. Il sentiero si snoda or sopra or di fianco ad un’antica via lastricata per volere dell’ultima regina prima dell’arrivo dei francesi. Forse voleva le sue comodità per andar tranquilla a farsi un bagnetto al laghetto sotto la cascata.
Ad uno slargo, tra il verde gocciolante della verzura , scorgiamo un torrente che interrompe il sentiero. E’ largo e vorticoso abbastanza per intimorirci non poco. Speriamo non sia anche profondo.
Con l’aiuto di un grosso bastone scendo la sponda scivolosa e ci entro titubante, L’acqua arriva sopra al ginocchio, poi alla coscia ma non va oltre. Meno male si può passare. Il fondo è abbastanza regolare, pur con molti sassi nascosti dall’acqua color capuccino. Passo io e subito dopo Marina che cerca invano di non bagnarsi le brache. Riprendiamo la via sempre più fangosa e… pietrosa, per fortuna.
Ci raggiunge una coppia di giovani francesi. Lui ha attraversato da solo con un vecchio Arpege in 27 giorni ! Quando gli dico che ho riconosciuto la barca il giorno prima a Taiohae e che ci avevo pure io navigato a lungo, mi ha chiesto se conoscevo il MITICO Arpege e la sua Associazione ! Hai capito Guido ? ( …per chi non lo sapesse Guido ne è stato l’armatore e fondatore della stessa Associazione). Dopo pochi minuti ripartono come caprioli e ci lasciano ad arrancare mentre il sentiero comincia a salire.
Piove a tratti mentre squarci tra l’alto fogliame ci lasciano intravedere le creste alte delle montagne che stringono la valletta. D’ un tratto ecco la cascata da lontano: una sottile lama argentea precipita tra verdi smeraldo cupi. La strada sembra ancora lunga.
Altro torrente. Questa volta sembra più dura ancora. Per fortuna hanno messo di traverso un tronchetto ed a questo ci si può appoggiare. Passiamo dopo un primo tentativo senza zaino e relative macchine fotografiche. Arrivano anche i due francesi, si erano persi. Lui non trova di meglio che passare camminando sopra il tronco in equilibrio molto, molto precario. E ce la fa ! Lei invece segue i nostri consigli e passa a guado.
Ancora poco e ci siamo. Incontriamo una guida con due clienti. Hanno il casco. Ci avverte di non procedere oltre la vista della cascata e di non andare sino al laghetto per pericolo caduta pietre dalle nere rupi incombenti.
Dopo qualche metro dietro ad una cengia ecco finalmente la cascata. E’ tutto contro luce, il sole sembra appoggiato proprio dove la cascata prende il volo. La valle è buia e stretta, raggi di luce penetrano ed illuminano il sinuoso avanzare del torrente. Non andiamo oltre , solo foto di rito.
Mi accorgo di averla fatta troppo lunga. Rientrati, abbiamo i piedi neri e segnati per esser stati a mollo, in acqua e fango, per tutto questo tempo e siamo stanchetti.
Rapida pensata. Avremmo dovuto tirar su motore e gommone e partire subito. E allora ? Si parte con la prossima finestra ! E così ci vediamo anche Ua Pou, a sud di Nuku Hiva.
Il giorno dopo stupenda bolina larga di 25 miglia e gettiamo l’ancora davanti ad una cattedrale gotica. L’isola è nota per il suo profilo davvero spettacolare. Peccato che i suoi pilars siano quasi sempre coperti dai nuvoloni grigi spinti dall’aliseo. Al tramonto spettacolo gratuito.
Giovani locali in slanciate e svelte canoe a bilanciere si allenano per le feste di luglio mentre grandi nuvoloni rossi e grigi portano una densa sottile pioggia scendendo dai pinnacoli che circondano la baia di Hakahetau. Si apre il sipario ed appare un doppio arcobaleno, luminosissimo. Si muove lentamente filtrando tra le goccioline che rifrangono e scompongono la calda luce del sole ormai basso. Ora si allarga ora si restringe, ora punta verso la barca. Incredibile! Al mio fianco la superficie increspata del mare si colora, sembra voglia salire a bordo !
Al mattino escursione a terra. Il villaggio è sonnolento, di una tranquillità irreale. Quasi nessuno.
Troviamo la zona del vecchio villaggio. Il sito è ben curato. Entriamo e vediamo subito uno scultore all’opera. Ci avviciniamo e facciamo conoscenza con Timona. E’anche custode del piccolo e grazioso museo. Ci accompagna in visita e da lui acquistiamo un piccolo amo, con nero laccio da collo, in pietra rosa vulcanica. Un bel ricordo di Ua Pou.
Rientrati, sempre di bolina a Taiohae, scendiamo a terra incuriositi ed attratti dal programma del sabato sera : danze tradizionali marchesane.
Prendiamo posto con buon anticipo e ci gustiamo in attesa una cenetta a base di pesce. Ben presto il salone all’aperto si anima, arrivano le famiglie dei locali e lo spettacolo ha inizio.
Dopo una rapida presentazione della giuria, perché di competizione si tratta per eleggere alla fine del mese il miglior gruppo dell’isola, entrano in scena i danzatori.
Il rullo dei tamburi è assordante, ritmico ed incalza le movenze delle ballerine. La scena è davvero genuina. Non ci sono turisti, solo noi delle barche, forse una decina di bianchi in tutto. I famigliari rincorrono con lo sguardo figlie e figli, tutti ben ornati di svolazzanti piumaggi e decori di fiori .
Si intonano nenie, voci femminili, le più acute danno il tempo alle altre. I maschi balzano senza tregua tra le schiere di giovini fanciulle. Le schiene, mani, braccia segnate da vistosi tatuaggi, si agitano e rispondono al ritmo crescente delle percussioni. I suonatori sono di una stazza impressionante. Percuotono con manone che sembrano magli, il ritmo cresce in perfetta sintonia con il fremito e l’emozione degli spettatori, attori essi stessi di questa frastornante scenografia.
Un urlo, un colpo secco ed è silenzio…e già si avanza il prossimo gruppo. E la festa continua.


ARRIVO ALLE TUAMOTU - 10 LUGLIO 2011

2011-07-10

 
Sono seduto in pozzetto, ormai è notte. Ma è notte chiara, chiarissima. Luna e stelle si specchiano sull’acqua , immobile. Così i ciuffi di palme del vicino motu. Siamo ancorati a sud est, all’interno dell’atollo di Kauehi, sperduto nell’ oceano.
Mi sembra di aver già vissuto una situazione così, eppure non è possibile.
I pensieri scorrono a ritroso. Ma sì, sicuro. Ora ricollego. Mi ricordano le Incoronate.
Tanto tempo fa, vi arrivammo per la prima volta con una barchetta a vela di sette metri ed un motore fuori bordo di 6 cavalli, La prima Eutikia. Ora siamo dall’altra parte del mondo, oltre metà giro. Ma perché questo ricordo ? Qui uno scenario da mari del sud, coralli sbiancati, spiagge sotto filari di palme. Le Incoronate , un lucente orizzonte di isolette aride e lunari. Una tiepida, leggera bava, un profumo di salvia selvatica dalle sponde. Non potrebbero esser più diverse.
…è un attimo. Certo, quello che le unisce è l’emozione dell’Arrivo.
Di lontano, oltre la barriera, appena giunge il rombo dell’onda che si schianta venendo da est sud est.
Da lì siamo arrivati oggi. Eravamo partiti da Nuku Hiva con un meteo non proprio positivo.
Vento sostenuto sui 20 nodi i primi due giorni, poi decisamente in calo per l’ultimo. Mare anche oltre i 3 metri al traverso, la cosa più seccante.
Quello che però i grib non mostrano bene sono le nuvole. Ed infatti , subito, cielo coperto e bolina larga sui 60 gradi, vele ridotte. Al tramonto arriva il primo groppo. Sul radar lo vedo crescere a vista d’occhio. Si estende e ci avvolge con un cordolo di 6 miglia. Evitarlo, impossibile. E’ così vasto e denso che il suo muro di pioggia frena l’aliseo.
Si tratta solo di capire quale sarà l’intensità del vento. Riduciamo ancora. Aspettiamo. Ormai è buio, la luna sopra le nubi a stento irradia luce e ci fa vedere il mare imbiancarsi dalla pioggia battente e dalle creste sollevate dalle raffiche di vento sul mare lungo da sud. Ormai ci siamo.
La lancetta sale. 25, 30,35 nodi. Qualcosa di più. Poggio e via . Bene, almeno ci laverà la barca !
Lo vedo superarci e perdersi. Riprendiamo la rotta, su le vele. Passa un’oretta, altro groppo in arrivo. Ormai ho capito : a due miglia bisogna ridurre, poi arriva sopra, venti minuti di pioggia e vento, e se ne va. E così tutta la notte. Dormire pochino, pochino ma facciamo in 24 ore 175 miglia.
Il giorno dopo cambia tutto. Fanno capolino le tipiche nuvolette dell’aliseo di bel tempo. Sole.
Da buono e sale più tela. Eutikia vola oltre gli 8 nodi. Sempre mare rollante al traverso, ma meno fastidioso. Al tramonto il bilancio è molto confortante, anzi rischiamo di arrivare troppo presto.
Dobbiamo trovarci di fronte alla pass di Kauehi alle 11 in attesa dell’ ultima entrante, il momento migliore. Vorrei avere luce in prossimità dell’atollo e non arrivare troppo presto di notte.
E’ l’ora del collegamento radio con Luigi che fa dalle San Blas da net controller con gli altri in giro da queste parti. Ma siamo davvero pochini. Due alle Gambier, Carlo a Mourea, Francesco a Bora Bora e noi. Ma sorpresa, si fa rivivo anche Marcello che avevamo visto l’ultima volta a Isabela.
Lo sento benissimo, sembra qui di poppa. Lo sento dare le sue coordinate e le riporto sul plotter.
Caspita ! E’a 12 miglia proprio di poppa, leggermente sopra vento e sta andando a Rangiroa. Incredibile dopo tanto tempo e tanto mare. .Dovrebbe passarmi di poppa . Era in anticipo pure lui e sta vistosamente frenando. Ma!?
Ci mancano ancora 250 mg, forse non è il caso. Resisto alla tentazione e scendo solo di un mezzo nodo per la notte. Un po’ di vela in meno, dopo la nottataccia di ieri, non fa male.
Morale della favola. Noi arriviamo a stento puntuali , ultime ore motore e vela. Lui il giorno dopo solo grazie ad una bella tirata a motore ed entra di notte, per fortuna con luna, nella larga pass . Non piacevole.
Ora passo alla griglia. Ieri avevamo preso un bel pesciotto. Un metro e mezzo d’argento lucente, una gran vela lungo tutta la schiena. Bellissimo. Per fortuna non un marlin, ma è stata davvero dura tirarlo su. Alle Marchesi un simpaticone del posto mi aveva preparato, come san fare loro, quattro polipetti decisamente tenaci. Dopo aver rotto e perso le ultime lenze ci voleva più esperienza !
Kao ha nui , Marchesi ! Ciao Marchesi, ciao Fatu Hiva, Tahuata, Hiva Oa, Ua Pou, Nuku Hiva grazie ancora !


Gli occhi di Nau Piti

2011-07-21


Uscì. Chiuse lentamente la porta dietro di sé. Rimase un leggero rimbombo di vuoto, di sala vuota alle sue spalle. Si voltò, alzò lo sguardo e sopra l’erta indugiò ancora una volta su quella scritta in rosso scuro”MARIA EGLISE NOTEHAU , TETAMANU, 1874” Quella data, 1874, così lontana gli dava un forte senso del passato, del tempo di quei luoghi , un atollo perduto nell’oceano, e se ne compiaceva
Il viottolo verso la sua capanna , stretto ed erboso tra basse sponde di corallo calcinato, era poco oltre e si avviò. Prima di volgere completamente le spalle alla chiesetta intravide ora, proprio di fronte al portale, Madame Bonnard che stava, china, a scopar via calcinacci e foglie secche.
“Buon giorno, Madame “ la chiamò”…troppo vento oggi, eh ?” Madame si fermò un attimo, borbottò qualcosa che non capì, e riprese a scopare. La salutò con la mano. Erano rimasti solo loro due, pensò. Solo qualche anno fa c’erano ancora sei famiglie. Ora se ne erano andati tutti. Chi per sempre, chi a Papeete , chi per sino a Parigi. Cara vecchia Madame Bonnard ora si occupava di quel poco che restava.
Raggiunse in fretta la soglia della capanna. Salì i bassi gradini ed il leggero pavimento, sollevato dal suolo, scricchiolò lievemente. Nell’ ombroso interno si avvicinò ad una bassa mensola di legno grezzo, appena lavorato. Una piccola scatola di foglia di palma finemente intrecciata. La prese con delicatezza ed uscì verso la luce della passe.
Forti folate di un’insistente aliseo gli vennero incontro. Di luglio e d’agosto, pensò,soffia spesso così forte. Si sedette sulla sponda, là dove le palme si piegano verso l’acqua. Guardò oltre, lontano, tra i marosi . Ora non ci andava più laggiù a pesca di tonni, da tanto tempo.
E sì, conosceva bene quel mare! Un giorno, con un amico,erano là fuori a pesca, Il tempo era buono e la pesca abbondante. Poi neri nuvoloni apparvero, bassi e rapidi, all’orizzonte. Solo allora si accorsero, distratti dal molto pesce, di aver ritardato il rientro nella passe. Il vento, ora forte,stava gonfiando il mare che, scontrandosi con la veloce corrente di marea calante, si alzava con rabbiosi pinnacoli d’onda., ben oltre i bassi bordi della loro canoa. Si guardarono negli occhi, smarriti.
Ma fu subito un’ intesa, forse più istinto. Era sempre stato così. Puntarono decisi verso il bordo destro della passe, quello sottovento. Riuscirono ad accostare, ma la corrente era fortissima anche lì.
Da riva qualcuno gridava. Ma loro non sentivano, non capivano, con il cuore ormai in gola.
Pagaiavano, pagaiavano ma la prua sembrava non guadagnasse nulla lungo il reef.
“ HAAA!...Oooo..E! …HAAA!...Oooo…E!...HAAA!...Oooo…E! “ Il grido, il richiamo era molto più forte . Erano in molti ad incitarli, ora. E tutti ““ HAAA!...Oooo..E! …HAAA!...Oooo…E!...HAAA!...Oooo…E! “
Il grido rimbombava nella loro testa. Le pagaie ora mulinavano con maggior vigore. Piegati in avanti vedevano solo il fondo di corallo oltre l’abbagliante riflesso di smeraldo. Ed il fondo avanzava, lentamente. Avanzavano. Avanzavano. Presero ancor maggior vigore e videro la piccola rientranza dietro allo sperone di corallo prima della laguna.
Il bilanciere sfiorava l’acqua, leggero. La canoa fece un ultimo balzo in avanti e fu un grido di gioia.
Poi cambiò tutto. Un bel giorno suo cugino prese la canoa e se ne andò verso Rotoava a nord dell’atollo, vicino alla grande passe di Garue.
Vide sparire il piccolo triangolo della vela là dove il sole stava velocemente tramontando.
Disse che sarebbe andato a prender l’Aranui, il vecchio vapore per Papeete, e che sarebbe presto tornato con una sorpresa.
E sorpresa fu. Ricordò che, appena la prua della canoa s’arenò, suo cugino balzò a terra. Alzò , più che poteva , con le braccia protese, quasi stesse ballando, una cosa mai vista. Tutti accorsero.
Ed il giorno dopo, in laguna, si vide la prima canoa con un motore fuori bordo. Poi ci fu chi pensò di cambiare la sua canoa con un barchino di plastica, e così fecero gli altri. Ora anche la sua ultima canoa se ne stava in secco sotto l’ombra di un palmeto.
Lasciò scorrer via questi pensieri. Sollevò la scatoletta. Con il palmo aperto verso la luce.
Guardò in cielo, tra il vibrare delle sottili foglie di palma. Il sole era velato da scuri nuvoloni. No, lo voleva, libero, nel cielo azzurro. Aspettò qualche istante e la luce diede di nuovo vita a tutti i colori della passe. Sollevò appena il leggero coperchio. Si fermò e con un soffio allontanò quel po’ di polvere che s’era raccolta sull’intreccio. Si spostò verso la piena luce ed aprì lentamente .
Era bellissima ! Era la perla nera più bella che avesse mai visto.
La mano era ancora ferma, ma le grosse dita quando la raccolsero tremarono un po’. Come era sempre accaduto, del resto. Sin da quel giorno che l’aveva trovata.
Erano usciti, come al solito di buon mattino, per la pesca. Ma i pesci sul fondo della canoa erano sempre pochi e così pensarono di cercar, laggiù sul fondo, qualche conchiglia di quelle buone. Se erano davvero fortunati potevano anche trovare qualche piccola perla nera.
Si immersero più volte. Il fondo della passe era brulicante di vita. Molti gli squali, ma ormai eran quasi di famiglia. Passavano le grandi mante volando sul bordo della corrente. Il corallo cambiava colore ad ogni nuvola ed il sole arrivava anche laggiù. Fu così che la vide. Era tonda, scura, la conchiglia. La afferrò, ma non venne. Prese il coltello dalla cinta e con calma tagliò il tenace filamento che la legava al corallo. E risalì verso la canoa.
Si sedette e rimase a guardarla nel rollio della leggera risacca. Con il coltello scostò le valve e lo infilò sino in fondo. Trovò il muscolo e lo recise. Aprire una di queste conchiglie era sempre una nuova meraviglia. La luce colpiva la madreperla e mille riflessi gli riempivano gli occhi.
Infilò le punte delle dita nella polpa e sentì appena una grossa protuberanza, insolita.
Spostò, rapido, tutta la polpa e rimase senza fiato. Attonito. Era lì, grande, tonda, perfetta, nera con tutti i riflessi della madreperla.
Rientrò subito al villaggio. Fece scivolare la sottile prua della canoa verso la spiaggia, proprio là dove lo stava aspettando, come sempre, la sua Nau Piti. La chiglia salì sulla sabbia e si fermò proprio ai suoi piedi. Scese , quasi inciampando sul bilanciere per la trattenuta emozione , ed avvicinò rapido le dita serrate sul suo petto, bruno e caldo. Appena sotto al mento. Nau Piti rabbrividì per un attimo a quel tocco bagnato ed abbassò fugace lo sguardo verso le dita.
Lui sentì il suo cuore quasi fermarsi. Fu un urlo di gioia. I suoi occhi, neri, e la perla, nera, avevano tutti i riflessi della passe. Lo smeraldo dei bassi fondi, il ceruleo del cielo, il viola delle ombrose nubi.
Quella sera fu festa grande al villaggio. Una perla così proprio non s’era mai vista.
Mentre le ragazze ballavano sullo spiazzo al palmeto, loro suonavano i tamburi e percuotevano quei tronchi cavi sempre con maggior allegria. Sapevano che se il ritmo cresceva le ragazze si sarebbero completamente liberate nella danza. Al centro la sua Nau Piti danzava e cantava, cantava e danzava.
Anche da lontano poteva vedere quella perla brillare sopra ai suoi seni ai raggi della luna.
Lentamente ripose la perla nella scatoletta di foglie di palma. Lasciò scorrere l’ultima marea lungo la passe e rientrò .
La sua Nau Piti se ne era andata per sempre, da tempo ormai. Molti se ne erano andati. Ora vedeva solo quei lancioni su quella passe . Erano i soliti turisti di passaggio. Si immergevano con la marea entrante e poi se ne andavano, anche loro.
Lasciò scivolare la scatoletta sulla mensola. Polverosa, notò appena. Domani avrebbe dovuto dar una bella pulita alla capanna. Arrivava tra pochi giorni la piccola Carolin da Parigi per le vacanze, come sempre . Aveva gli stessi occhi, bellissimi e neri della nonna. Quella perla sarà per lei.
Uscì e si avviò per riparare le nasse ormai logore, prima.


Dalle Tuamotu a Tahiti 26-28 luglio 2011

2011-08-07


Il vento appena increspa la superficie smeraldina dell’acqua sotto la prua. Mentre la recupero vedo scivolare nel blu la cima che ci legava alla bianca boa, che ci legava a questo atollo , a Toau. E sì, ce ne andiamo molto a malincuore.

Per gustare a pieno questo enorme arcipelago non basterebbero mesi e mesi, anni. Per molti sono un paradiso che dura senza date : Antoine, quello di “ se sei brutto ti tirano le pietre, se sei bello ti tirano le pietre…” e via così negli anni ’60, continua a navigare da queste parti da decenni con il suo catamarano giallo. Altri vi passano di corsa con la prua e la testa rivolte a ovest. Di certo non sono facili da navigare. Lo chiamano l’arcipelago pericoloso.
Ora lo è meno grazie al GPS , alle aggiornate carte elettroniche ed al radar, ma solo negli anni ’70 molti lo evitavano passando a nord. Moitessier invece entrava a vela ad Ahe.
Noi quando siamo arrivati dalle Marchesi abbiamo visto i primi atolli sul radar, poi abbiamo controllato la marea sul pc ed in fine siamo entrati a motore. E non è stato assolutamente semplice.
Ci sono alcune regole da seguire sempre. Navigando tra gli atolli , soprattutto di notte e sarebbe meglio evitarlo, bisogna tener conto delle correnti a volte molto sostenute. Naturalmente non si può ancorare fuori degli atolli, salvo rare e temporanee eccezioni. Quindi bisogna entrarci. Gli atolli hanno spesso una o due passe, diversamente orientate, di profondità variabile ( anche pochi metri) e di larghezza utile, a volte appena adeguata ,di qualche decina di metri.
Succede che, con l’alternarsi delle maree , alle passe si formino fiumi d’acqua, anche a più di sei nodi, che si scontrano con i venti di est sud est dominanti. Ed allora a seconda dell’orientamento delle bocche si formano frangenti e vortici molto pericolosi, assolutamente da evitare. Ed allora tutti fanno calcoli su calcoli per trovarsi alla passe nel momento di stanca. E’ comunque meglio arrivarci prima, aspettare, vedere la situazione con il binocolo, dentro e fuori, e poi passare a motore.
Una volta entrati è un sogno. L’onda del Pacifico implacabile da quando hai lasciato Panama resta fuori e finalmente la barca fila via liscia.
Ma i problemi non sono di certo finiti. Gli atolli hanno una laguna interna che spesso è un vero e proprio mare. Per esempio Rangiroa è più grande dell’Alto Adriatico. E quindi trovare un buon ancoraggio diventa non sempre facile. Di norma bisogna cercare una zona protetta dai venti dominanti, da est a sud. Poi raggiungerla sempre con il sole alto, meglio alle spalle, per individuare le teste di corallo . Per fortuna le mappe elettroniche sono abbastanza aggiornate e le carta francesi sono perfette e i pericoli di solito ben segnalati. In alcuni casi vi sono anche dei corridoi per agevolare la navigazione con verdi e rossi laterali. Comunque l’occhio e la prudenza non bastano mai.
L’ultimo problema è far scendere l’ancora nella sabbia tra le teste di corallo. La cosa è quasi impossibile. Bisogna individuare un’area con profondità limitata per vedere il fondo e per raggiungere, se del caso, l’ancora in apnea tra curiosi piccoli pescecani. Il vento può girare e la catena resta prigioniera tra le teste di corallo. Molti usano sollevarla con alcuni parabordi.
Il rischio maggiore è quello di non poter salpare nel caso le cose si mettessero male con il vento in rinforzo dal mare ed il reef sotto vento.
Di solito i venti da nord ovest , anche se forti, sono di breve durata. Allora bisogna lascare quasi tutta la catena rimasta dopo aver fissato una bella cima, grossa ed elastica, ad una distanza adeguata dal moscone di prua che faccia da elastico.

Nel caso nostro filo 40/50 metri di catena, posiziono il gancio sulla catena con altri 15/20 metri di cima. Se la catena si attorciglia e si accorcia resta la possibilità di un calumo libero, ancora regolabile, ed elastico. Molti , presi alla sprovvista, hanno rotto il musone di prua per gli strappi della catena nel mare corto e montante.
Naturalmente una buona previsione meteo è di grande aiuto. Se arriva una alta a sud sopra i 1030 allora è il momento di aspettarsi un buon rinforzo da sud est, se oltre i 1032 c’è in agguato il temibile maramu che può soffiare a 30, 35 nodi e allora un buon ancoraggio è molto importante.
Ma torniamo al sogno ! Noi siamo stati fortunati e ci siamo trovati ancoraggi tranquilli.
Ed allora lo scenario è davvero unico, fantastico. Esattamente l’opposto delle Marchesi.
Lì alti picchi di vulcani, qui lingue di sabbia bianca, rase rase, sotto filari di palmetti spettinati dall’aliseo. Lagunette nascoste, immersioni ai bordi delle passe in un acquario naturale popolato da infinite specie di pesci variopinti. Serate immobili sotto stelle luminosissime. Luoghi deserti, ma anche luoghi di incontri indimenticabili.
A Toau abbiamo fatto conoscenza con Valentine e Gaston. A nord dell’atollo ci si infila in una falsa passe, aperta verso il mare ma chiusa all’interno e quindi senza problemi di corrente per entrare ed uscire. In mezzo una piccola laguna dove è possibile ormeggiarsi a sicure boe.
A terra un accogliente piccolo gruppo di capanne sotto il palmeto ed un moletto. Valentine cucina il pesce pescato da Gaston. Così di solito si formano delle belle tavolate con gli equipaggi di passaggio, mai troppo numerosi, e le chiaccherate finiscono attorno a Valentine , Gaston ed alcuni loro amici che intonano canti polinesiani al suono dell’uculele, della chitarra e di un basso ricavato da un bastone ricurvo ed una corda in tensione che termina all’interno di un bidone . L’effetto complessivo è davvero sorprendente. I canti e le suonate finiscono solo quando il bottiglione di rum alla frutta è finito ed i nostri suonatori danno fondo all’ultima lucidità.
Al mattino tutto torna luminoso, la laguna risplende e si fanno i programmi per la giornata.
Snockerling sul reef tra non sempre piccoli pescecani e variopinti pesci pappagallo. E’ molto curioso far visita alle trappole a rete posate da Gaston. Nuotando in pochi metri d’acqua si sfila all’esterno della rete. Dentro pesci e pesci, intrappolati, vagano senza requie. E’il momento migliore per far conoscenza ravvicinata con i pescecani anche di grossa taglia, noi di qua loro al di là !
E ancora si può andar a pescare le aragoste con Gaston sul reef oppure visitare i filari delle coltivazioni delle perle nere.
Le giornate però passano inesorabili e Tahiti ci aspetta. Lascio un acquerello ai nostri amici , subito appuntato nella saletta da pranzo, e dopo baci ed abbracci facciamo vela verso ovest.
Alle Tuamotu ci siamo stati così già due volte, vedi mai che non c’è due senza…


Tahiti, 29 luglio-17 agosto 2011. Una dolce avventura

2011-08-18

 

Arriviamo a Tahiti all’alba. Nerissime nuvole coprono la costa, il sole non si fa vedere e noi dobbiamo trovare la passe. Aspettiamo che faccia un po’ di chiaro ed appena il rosso ed il verde sono ben visibili chiamo il Port Control per chiedere il permesso di entrata e di transito lungo il canale che fronteggia la pista dell’aeroporto. Mi danno l’ok ed entriamo tra le due sponde di corallo.
Abbiamo di poppa una scia di oltre 5.200 miglia da Panama.
Arrivare a Papeete è come tornare un po’ nella normalità ed un un po’ di “ lente” dopo il “festina”non guasta. Non faccio in tempo a pensare in un rapidissimo play back alle rotte passate che si solleva un velenoso vento in prua. I nuvoloni non promettono nulla di buono. Accelero lungo il canale facendo lo slalom tra verdi e rossi e dirigo all’ area d’ ancoraggio di fronte al Marina Taina.
Trovo un buco tra le decine di barche alla fonda e giù l’ancora. Giusto in tempo : 35 nodi fissi. Il benvenuto di Tahiti !
Lo spettacolo però è superbo . Siamo al sicuro dietro al reef sul quale l’alta onda montante si frange rimbombando, di fronte, a non più di dieci miglia, ben visibili i picchi di Moorea spazzati dalle nuvole .
I giorni passeranno poi veloci tra cammellate memorabili alla ricerca di pezzi di ricambio e scorazzate fameliche nei Super Market ricolmi di ogni leccornia della cucina francese.
Un po’ tutte le barche si impigriscono sedotte dalle nuove comodità e dal fascino dei luoghi.
Un po’ come capitò a Cook nel 1769. Allora da buon yacht man non perse l’occasione di farsi un bel giretto con la pinaccia tutto attorno all’isola. Ne osservò, curioso, la costa, incontrò i locali e ne descrisse costumi ed abitudini.
Ora di quei tempi è rimasto ben poco, ma quello che più conta ne è rimasto il fascino, la luce ed i colori così ben colti sulle tele da Gauguin. Non solo colori, ma anche musica e ancora musica e danza.
Come perdere l’occasione di assistere ad uno spettacolo di danza a Papeete ?
Siamo arrivati al tramonto con il gommone al moletto dell’ Hotel Beach Comber , in programma il meglio di Heiva 2011, la tradizionale festa del 14 luglio. Il contesto è quello classico : tutto per il turista , che diversità rispetto alle serate a Fatu Hiva ! Ma ci vuole anche questo per capire la Polinesia oggi.
Immaginavo uno spettacolino per i non molti ospiti dell’albergo ed invece grande palco all’aperto tra palme e stelle, grande distesa di tavoli, tutti riservati, ed un buffet smisurato davvero pantagruelico.
Sorvolerò sulle svariate portate di pesce , sulle specialità polinesiane e sulla tavolata dei dolci, sembrava di esser da un maxi Pettenò, con una fontanella di cioccolata fondente al centro, di contorno sfogliate e mousse di ogni foggia. Una vera avventura da Gran Gourmet !
Riempio, da buon goloso, l’ennesimo piatto, non li conto più, ed inizia lo spettacolo.
E che spettacolo ! Il nostro tavolino, al lume di candela e mazzo di fiori, è in posizione esclusiva, proprio di fronte al palco, in prima fila. Per l’occasione indosso la camicia nera e palmette verde oro acquistata all’arrivo a Santa Lucia.
Rullano i tamburi ed entrano sinuose le vahine lanciando smaglianti sorrisi alla platea.
Immense matrone sedute ai tavoli , sicuramente non turiste ma forse invitate speciali, immerse in eleganti bianche tuniche e variopinte corone di fiori tra i capelli, dimenticano l’etichetta e lanciano a loro volta gridolini di approvazione e di incitamento. Di certo per l’occasione non necessario.
E le vahine infatti in un attimo si schierano ed iniziano a vibrare nell’aria, con fianchi, piedi e braccia sedotte dal crescente rullare dei tamburi. Scattano i flash. Molti si precipitano sotto al palco.
La vasta platea è catturata, ipnotizzata dal roteare degli ombelichi nell’ondeggiare vertiginoso dei fianchi. Di fronte al gruppo delle percussioni e dei coristi il maestro ci da dentro. Imponente, pure lui, avvolto in una tunica sbracciata sgargiante di fiori e con al capo un’ improbabile paglietta , dirige rigoroso , come sa fare solo un “diverso” molto speciale, ma con grande sensibilità e ritmo tutto il corpo di ballo.
Cambiano costumi e ritmo e lo spettacolo cresce. Danza del fuoco, scenografie con grandi solisti, ed ondeggianti gruppi di vahine ripropongono canti e movenze che dai tempi di Wallis, Bouganville e Cook hanno sedotto tutti i naviganti passati per queste isole, ancor oggi così lontane.
Il giorno dopo giretto in centro ed acquisto di rito dei migliori cd e la musichetta ci accompagna anche a bordo. Anche se davvero non servirebbe. Basta accendere la radio in FM e via canzoni e cori. L’altro giorno eravamo ancorati di fronte al Giardino Botanico, sulla sponda tra lussureggiante verzura alcune casette fronte mare. A mezzogiorno deve esser arrivato un bel gruppetto di amici ed il fumo del barbecue si è subito alzato. Hanno fatto circolo attorno ad una bella tavolata e sono iniziati i canti con ukulele e chitarra. Si sono fermati solo a notte fonda e solo perché un nuvolone li ha innaffiati per bene.
Serata comunque davvero speciale quella, ma per un altro motivo… magico !
Luna piena, grossi nuvoloni passano grumosi scivolando dalle creste montuose per perdersi oltre la laguna, verso il mare aperto. Qua e là densi piovaschi impenetrabili ai raggi di luna.
L’aria è fresca ma ferma. La barca è immobile. L’acqua uno specchio. La luna, bassa, fatica ad uscire.
Ma è un attimo : tra la nera lingua di terra che si allunga verso il reef e l’orizzonte appare un ponte di luce bianca. Un arcobaleno di luna ! Mai visto. La cromia è violacea, verde smeraldino, azzurro cobalto chiaro , sembra proprio il riflesso di una perla…nera.


MOOREA 17-23 agosto 2011

2011-08-26

L’isola degli anans, dei parei e dei bonito.
E’ l’alba , randa e motore. Un primo raggio di sole illumina, raso e dorato, gli schermi della strumentazione. Il riflesso sul display del plotter mi impedisce di vedere bene la forma di Huahine che gia’vedo bluastra stendersi montagnosa alla mia destra. Il suo reef si protende di molto ad ovest verso il mare. Meglio stare alla larga.
Mi chino verso lo schermo e sposto lo sguardo, di lato quel tanto che basta, per evitare il riflesso.
E’un attimo ! Proprio ad un paio di metri dal fianco sinistro scorgo la superficie dell’acqua ribollire.
“ Che pescione ! “ Rivolto a Marina che proprio in quell’attimo fa capolino a fine turno, dalla scaletta .
“ NO, NO… e’ una balena ! “ Resto di ghiaccio. Il cuore mi si ferma in gola. Stiamo praticamente passando sopra ad una balena. Mi butto sulla leva del motore e la lancetta schizza a oltre tremila giri. La barca fa un balzo in avanti e resto in attesa nella speranza di evitare il botto.
Mi volto verso poppa . A poche decine di metri un codone enorme, alto e nero, verticale, quasi immobile. Poi lentamente si inabissa. “ Da che parte va ? …e’ sola ? ” Domande senza risposta. Marina, ancora assonnata, e’ ,direi, quasi tranquilla. Io per nulla. Sono incontri ravvicinati questi da evitare quando si va per mare.
Come un flash rivedo la scena tv di quella barca a vela ridotta ad una polpetta da un colpo di coda mentre navigava a motore fuori Cape Town, in Sud Africa.
Passano eterni secondi. Nulla. Sembra si sia allontanata lei da una parte. E noi dall’altra. Decelero, penso di non esser mai andato oltre i tre mila giri!
Eravamo partiti nel pomeriggio prima da Moorea. Cielo davvero grigio, densi nuvoloni e piovaschi tutto all’intorno.
Il meteo dava poco vento e qualche groppo. Ma dobbiamo andare : per i giorni prossimi i grib, e non il meteo francese che da solo una previsione a 24 ore e neppure la tendenza, annunciano un rinforzo sostenuto del vento sin quasi a fine mese. Classica situazione da maramu, il temuto vento da sud sud est.
Le novanta miglia passano cosi’ tranquille smotorando sotto le stelle che, ad un certo punto, hanno avuto per sino la meglio sui bassi nuvoloni.
Nella notte , lenta e noiosa, come tutte quelle a motore, ripenso ai nostri giorni a Moorea.
L’isola, a sole undici miglia, e’ di fatto un’appendice geografica e turistica di Thaiti. Veloci traghetti fanno la spola in continuazione. Venti anni fa vi arrivammo proprio con uno di questi ed in macchina facemmo il giro dell’ isola. Si tratta di un vero e proprio giro , ripetuto anche quest’anno, lungo un anello stradale di 60 km che la circonda.
Non ci sono villaggi, non c’e’ un centro. Solo localita’, case, negozi, qualche chiesa, e residence turistici sparsi lungo la via. Tutti ben rivolti verso il mare e la sua laguna turchese al di qua del reef, vera benedizione di queste isole.
Unica via verso l’interno , alto,montagnoso e verdeggiante, quella che conduce al belvedere sopra la baia di Cook. La veduta e’ davvero splendida. Un grosso montagnozzo, al centro, svetta alto con i suoi 800 metri. A destra si allunga la baia di Cook a sinistra quella di Opunohu. Tra noi e la costa un dolce declivio verdeggiante . Qua e la’ pascoli con vere mucche e coltivazioni di ananas. Nella folta foresta molti e sparsi marae, antichi siti abitativi, ci ricordano che queste isole erano densamente popolate sino all’arrivo degli europei. Gli studiosi hanno stimato solo qui una popolazione di 250 mila abitanti sino alla fine del ‘700. Poi un rapido declino e la drastica riduzione nel rapporto uno a dieci. E certamente i molti missionari non hanno contribuito a migliorare la situazione stravolgendo cultura e tradizioni.
Ma torniamo al nostro giro. Ci fermiamo lungo le pendici tra le piantagioni di ananas. C’e’ un istituto di agraria. Un complesso ben strutturato e soprattutto uno shop dove gustiamo un saporitissimo frullato, ovviamente d’ananas, ed acquistiamo una serie invitante di vasetti di diverse marmellate tropicali.
Rifocillati ritorniamo lungo la strada sui bordi della riva. Turisti pochini, pochini. Ne ricordavo molti di piu’.
Tanti negozietti hanno chiuso e molte sono le case offerte in affitto. Dal finestrino intravedo un insolito shop. Parei al vento, altri all’interno ben ordinati . Entriamo. Sono davvero stupendi. Completamente aperti ed appesi ad orizzontali stecche di legno fanno un figurone. Il disegno, i colori vivacissimi colpiscono l’occhio. Non saprei scegliere.
Si avvicina quella che sembra la titolare. Sente subito che siamo italiani. Già è italiana pure lei !
E così ci facciamo volentieri una chiccherata. Scopriamo due cose. I parei sono dipinti a mano, alcuni in Indonesia, altri a Tahiti. Tutti sono prima disegnati al pc da una sua amica, l’artista, e poi inviati via email ai laboratori di pittura. Devo dire che quelli indonesiani mi sembrano più curati e raffinati nelle pennellate. Il catalogo contiene più di 300 disegni, ma esposti sono solo un terzo.
Il discorso scivola poi dalla sua quasi decennale attività alla crisi delle presenze turistiche. Non va proprio bene. Il governo locale appare inadeguato al difficile momento economico. Ma lei spera in un rilancio entro i prossimi tre anni. Glielo auguro. Una cosa è sicura : il mito dei Mari del Sud è in crisi. E chi legge ancora Stevenson, Melville, Cook ? Il mondo della ex celluloide ha ora altri miti, anche se non sappiamo quali. Troppi giovani si accontentano del virtuale. Concordiamo su tutto. Lei resterà tra i suoi colori, noi proseguiamo.
Al rientro, dopo squarci turchesi ed orizzonti trasparenti sino alla costa di Tahiti, notiamo ai bordi della strada , appena illuminata dai raggi del tramonto, quella che sembra una rastrelliera. Appesi , bei pescioni fanno bella mostra di sé. Sono i gustosi bonitos , tonnetti da 3 kg circa. Qui le chiamano bonitos boats . Escono di buon mattino, di solito c’è un solo pescatore ma con numerose canne. Sono lancioni sui 7 metri, coloratissimi, e con la guida avanzata molto verso prua per meglio scorgere gli insidiosi reef e le zone migliori di pesca. Quelle dove gli uccelli svolazzano piombando poi sul pesce intravisto nell’acqua trasparentissima. E là ci sono anche i bonitos che guizzano tra i branchi di pesci volanti. Di solito usano dei polipetti di plastica colorata. Li usiamo anche noi. Per ora qui con scarsa fortuna. Bonitos zero, in compenso affamatissimi marlin ci portano via tutto con un colpo secco. Ma non è finita qui.


STREPITOSA NEW ENTRY SETTORE MY MOVIES...DA NON PERDERE!

2011-08-27


Altro che Mostra del Cinema !

2011-09-03

In esclusiva per i nostri fans nella sezione My Movies " BORA BORA in due minuti "

montato dopo un giretto in bici di 35 km. Na Naa...ciao ciao


Huahine, Raiatea-Tahaa, Bora Bora ovvero il mito dei Mari del Sud.

2011-09-11


Settembre 2011.
Ci eravamo lasciati mentre una bella balenottera ci dava il suo benvenuto a Huahine.
Passata l’inattesa emozione entriamo da una delle due passe a nord est. Il sole è raso proprio negli occhi. Per fortuna la Cmap ha dato sino ad ora ottima prova di sé. Mi porto sull’allineamento ed entro. In pochi minuti superiamo i margini corallini e ci ritroviamo protetti dall’onda lunga da sud ovest che frange rombando sul reef.
E sì, la cosa magnifica di queste isole di Sotto Vento è la loro laguna : una superficie immobile smeraldina turchese. La navigazione, praticamente sempre a motore, non è molto difficile ma richiede continua attenzione. Verso terra segnalazioni rosse e, verso il reef, verdi delimitano i canali navigabili. Il fondale varia da 30 metri, e più, a soli 3 metri. Ogni tanto bisogna evitare teste di corallo e quindi è molto importante muoversi solo con una bella luce , possibilmente alle spalle.
Ma non tutto fila sempre liscio. Vediamo perché.
Ci eravamo mossi da Moorea anticipando l’arrivo di un forte rinfresco da sud est ed un avviso di onda lunga di sud ovest di 4.5 mt. A Huahine non c’è molto da scegliere, come del resto in tutte queste isole. O verso il reef in bassi fondali di sabbia e corallo o nei profondi baioni con fondali elevati. Ci dirigiamo a sud ovest ed ancoriamo letteralmente in piscina. Stretta entrata e laghetto turchese tra reef ed i palmeti della costa. Ancoraggio in 10 mt e giù 60 mt di catena : alle 20.00 è previsto il rinforzo e puntualmente arriva. Subito 30 nodi, e più. Pioggia battente e scarsa visibilità.
Qualche preoccupazione per un barcone sopravento, ma la notte passa liscia.
Il giorno dopo il meteo da il ventaccio in calo, ma l’onda da sud ovest in aumento. E noi siamo a sud ovest dietro al reef, sicuri. Quasi sicuri !
Di buon mattino tre catamarani charter se ne vanno, quasi di corsa, seguiti da altre due barche.
Restiamo soli con un tedesco. La cosa mi puzza. Aggiorno il meteo : da Papeete avvisano che l’onda ha un’energia potenziale in grado di raggiungere il doppio in altezza e vietano la navigazione tra Tahiti e Moorea ed a tutte le imbarcazioni da diporto tra le isole !
Con gli attuali 3.5 mt c’è già un forte rimbombo ed incomincia a formarsi una leggera ondina.
Il reef , che ci dovrebbe proteggere da sud ovest, si imbianca di spuma. La scena è spettacolare, ma per nulla piacevole. Siamo quasi in trappola. Ancora su, senza pensarci due volte, e ci avviamo verso la strettoia d’uscita. Corrente in poppa già fortissima, ai lati bassi fondali di corallo. Passiamo facilmente grazie alla traccia lasciata sul plotter. Al primo baione ci infiliamo e giù catena per un fondale di 30 mt. Cala il buio e ci godiamo una stellata memorabile : lo scorpione, le corone australe e boreale, Altair, Deneb, Vega si fanno facilmente scoprire. Dal lontano reef cresce il rimbombo. Sogni d’oro.
Di buon mattino andiamo a vedere con il gommone cosa succede verso il reef. Sembra di esser a Piazza San Marco con l’acqua alta : le casette in costa fronte reef hanno l’acqua alle porte. Si salvano solo quelle con le palafitte molto alte. Il canale è un fiume di detriti, l’onda all’esterno è imponente. Il reef, vera fortuna di queste isole, tiene.
Ma Raiatea ci aspetta. Siamo molto curiosi di vedere il cantiere dove lasceremo la barca.
30 miglia e ci siamo. La passe è comoda e ci ancoriamo di fronte al Marina. All’orizzonte, verso il sole che tramonta, il profilo rosato di Bora Bora.
Il cantiere è quello che è. E’ davvero incredibile, in tutta la Polinesia francese non c’è un Marina con cantiere di buon livello. Comunque chi ci ha preceduto sembra soddisfatto. Vedremo.
Prendiamo i necessari accordi e ripartiamo. Torniamo a Bora Bora dopo vent’ anni e siamo molto curiosi.
L’avvicinamento a queste isole è sempre superbo, ma quello a Bora Bora credo non abbia eguali.
Più ci si avvicina e più cresce lo spettacolo : una piramide verde smeraldo appare incastonata in una conchiglia dai riflessi turchesi, la sua laguna. Le basse e rase nuvole ne rispecchiano le sfumature madreperlacee. Entriamo nella passe e cerco di ricordare i luoghi di allora. Non ricordo nulla di quello che vedo, ad eccezione dell’immagine d’insieme. Meglio così ! Arrivarci con la propria barca è decisamente diverso.
Tiriamo su una boa allo storico Yacht Club dove Carlo ci aspetta. Non conosco Carlo, nel senso che non l’ho mai visto, ma ci siamo sentiti in radio moltissime volte sin dalla partenza da Panama.
Lui è sempre stato più avanti di noi e ora alla fine riusciamo a raggiungerlo. Starà ancora qualche giorno a Bora Bora poi farà vela verso la Nuova Zelanda, via Tonga, da solo.
Questi incontri sono sempre davvero particolari. Basti dire che Carlo ha fatto trentasette volte l’Atlantico , di cui sette da solo ! Passiamo così piacevolissime serate da noi in pozzetto a raccontarci un po’ di tutto e naturalmente tanta, tanta vela.
Ma i giorni passano. Facciamo il giro dell’isola in bici, ancoriamo dietro al reef tra le razze, e diamo il benvenuto a bordo, si fa per dire, agli agenti della Dogana che per poche bottiglie di vino e rum per poco non ci rifilano una bella sanzione. Per fortuna non hanno aperto la cantinetta !
Salutiamo Carlo, ma lo seguiremo in radio, e ritorniamo a Raiatea , o meglio verso la sua sorella minore Tahaa.
E qui succede una cosa da non credere. Dopo una bella smotorata contro vento ci avviciniamo da ovest alla passe di entrata. Siamo inseguiti a poche miglia da un bel carghetto locale, tutto rosso, il Taporo VII, che alza dei bei baffi. L’allineamento di entrata è per nord est, noi veniamo da nord ovest e proseguo così verso est per portarmi sulla linea nera ben segnata sulla Cmap.
Taporo incalza ed è ormai a poche lunghezze a destra della mia poppa. La corrente in uscita è molto forte e mi rallenta. Accelero e continuo la mia rotta verso est per incrociare la linea nera, poi girerò a sinistra verso nord est. Taporo non sa che girerò a sinistra e teme di infilarsi tra me ed il reef di destra. Ormai è vicinissimo, ne sento benissimo le macchine. Sono entrato prima nella passe, lui è sopraggiungente e non ha alcun diritto nei miei confronti, in più ha il reef sempre più vicino alla sua destra. Lo spazio , pochissimo. Accosto leggermente a sinistra, anche se non sono ancora sull’allineamento, per dargli un po’ d’acqua. Non serve! Lui accosta vistosamente a destra verso il reef, piroetta completamente, ora ha la poppa alla passe e verso la mia, e torna in dietro ! Ha compiuto un perfetto circling da partenza Coppa America e mi fa passare con più di dieci lunghezze di vantaggio. Ma non è finita qui.
Il giorno dopo siamo alla fonda, con altre barche, in una comoda insenatura. Alla destra, distante, un bel molo per l’attracco , carico e scarico, dei traghetti locali. Notte splendida ed immota. All’alba, mentre Ipnos da il meglio di sé, ci svegliamo di soprasalto. Tre fischi poderosi di sirena entrano in cabina.
Marina salta fuori. Chi è ? E’ Taporo VII …pare che dica “ così imparate a non lasciarmi passare ! “
Alla prossima dal cantiere.


Raiatea, Chantier Naval des Iles 26 settembre Polinesia

2011-09-26

 
Oggi siamo entrati nel piccolo marina del cantiere. Da quando siamo partiti da Panama sono oltre 5.700 miglia, como dios quieres .
Sono già iniziati i lavori di rimessaggio e la conta alla rovescia dei giorni alla partenza verso casa. Però, però prima vorrei dir qualcosa di questa Polinesia, fuori dagli schemi.
Stiamo camminando lungo il bordo verdeggiante di una tranquilla stradina a Tahaa.
L’aria è quella tersa e luminosa del primo mattino. Ai lati rade e basse casette circondate da rigogliosi giardini. Non una carta per terra. Tra un filare e l’altro di alti croton, variegati bouganville, ibiscus ed azzurre campanule si scorge appena l’insenatura Tapuamau dove Eutikia se ne sta immobile all’ancora. Una vera camminatina , lontani dalle zone più turistiche. La ragazzina che incontri ti saluta subito con un largo sorriso “ ia ora na” e noi “ na , naa “. Poco più in là un bel patio ombreggiato, un lungo tavolo con una bella presentazione di artigianato. Entriamo, nessuno.
Sul tavolo collanine di conchiglie, braccialetti, corone, fermagli il tutto ben disposto su tovaglie variopinte, qua e là cuscini patch-work coloratissimi. Fa capolino un bambino frignando, smette appena ci vede, sorpreso. Ecco la mamma. Dopo pochi istanti riesco a capire, con il mio davvero scarsissimo francese, che il tutto è opera della nonna e va a chiamarla.
Sono quei momenti in cui di più rimpiangi di non aver portato la macchina fotografica. Forse una delle ultime vere polinesiane: la nonna ci accoglie con un gran sorriso. Da giovane era sicuramente molto bella e lo è ancora. Curatissima, pareo ai fianchi e camicetta a fiori. Non parla francese. La nipote ci dice che ha ottantadue anni e ci fa da interprete. Pensate la scena, preferisco parlarle a gesti e ci capiamo subito. Le indico i cuscini, ne vorrei prendere un paio. E lei mi porta verso lo spazioso interno della casetta . Sembra un giardino fiorito di stoffa. Tende, tovaglie, copriletto, cuscini, tutto è opera sua. Fiori cuciti, ritagliati sempre accostati con buon gusto su tessuti polinesiani che di per sé sono già spesso troppo chiassosi. Ma l’insieme non stona affatto.
E non ho la macchina ! E vorrei proprio saper il polinesiano. Vorrei chiederle tante cose, ma non mi resta che scegliere i due cuscini ed accettare in omaggio una collana di madreperla per Marina, una di conchiglie, che mi mette al collo, ed un bel cesto di banane “ ma ru ru , na naa “… che bella gente!
Tahaa non ha di fatto un vero villaggio, le case si susseguono tra giardini fioriti lungo le stradine che la cingono. Gente tranquilla seduta all’ombra dei patii . Tra la soglia di casa e la via un tripudio di fiori. Molti fiori sulle tombe proprio di fronte alla porta di casa. Qui la famiglia è sempre allargata e “ viva”. C’è questa consuetudine di convivenza con i propri cari, anzi ex , e si fanno delle belle chiacchierate con piccoli ed amici all’ombra dell’albero del pane seduti sui gradinetti dell’eterno riposo.
I giorni passano e le camminate verso l’interno ci appassionano sempre di più. Ora siamo alla caccia, molto interessata, delle piantagioni di vaniglia. Sto pensando alle marmellate ed ai dolci di quest’inverno.
La stradina sale sinuosa. Ai bordi l’erba è rasa, tagliata di fresco. I soliti croton, alti e rossi, si mescolano con differenti qualità di ibiscus . Ancora variopinte bouganville ovunque. Nell’aria si sente appena un aroma, un profumo, noa noa. Ora capisco perché Gaughin ha dato questo titolo al suo Epistolario, ai suoi brevi racconti sulle emozioni vissute tra queste isole.
Si ferma un pick up, ci chiede dove andiamo e ci tira su. Ancora qualche tornante e scendiamo.
Di fronte a noi un bel cartello dipinto a mano “ La Meson de la Vanille”.
Due passi è siamo accolti su un bel prato verde dal padrone della piantagione. E’polinesiano, capisce che il nostro francese è misero, e fa di tutto per spiegarci la storia della vaniglia, della sua vaniglia. Ci racconta di quando ragazzo incominciò sotto padrone in quella piantagione ora sua.
C’è crisi nel turismo ? Poco male, lui lavora la terra ed esporta vaniglia, 14 tonnellate anno, quasi la metà di tutta l’isola. Tahaa, il più grosso produttore al mondo, ai tempi d’oro esportava 150 tonnellate in Europa e negli USA.
Ci fa vedere tutta la catena della produzione. Da come le verdi pianticelle vengono manualmente fecondate, ad una ad una, come vengono raccolti ed essiccati i baccelli. La loro suddivisione per lunghezza, al millimetro ! I più piccoli sono richiesti dal mercato americano, i più grandi vengono da noi. Naturalmente finisce che acquistiamo baccelli in quantità per amici e per noi.
Il nostro polinesiano ci accompagna al cancello soddisfatto e ci stringe la mano con un largo sorriso…e ci resta tra le dita il noa noa, denso e dolciastro, della sua vaniglia.
The last, but not the least. Mentre sto lucidando in cantiere l’ennesimo candeliere, cotto da un sole implacabile, mi cade l’occhio poco più in là. C’è uno scafo rosso che mi ricorda qualcosa.
Sui 10 metri, spartano, piccolo bompresso,la ruggine che cola qua e là. A poppa una volta c’era un timone a vento, ora ne resta un perno. Sembra desolatamente abbandonato. Scendo e mi avvicino, incuriosito. Lo riguardo da vicino…ma certo è lei TAMATA ! Un vero mito, quello di Bernard Moitessier, ancora lui. La sua ultima barca. Ora fa ancora vela, ma di rado, da queste parti con al timone, ho saputo poi, la sua ultima moglie, Veronique. Quanti libri letti, tutti azzurri di copertina ! Tra tutti “ La lunga rotta “. Forse, forse da quel lontano ’68 è iniziato il primo miglio di Eutikia.
E così ce ne torniamo a Venezia, nella mente e nel cuore anche per noi la rotta che dovevamo fare.
Un carissimo ringraziamento a tutti quelli che ci hanno seguito ed aiutato, non solo da qua giù, con un omaggio floreale in “My photos”.
Buon vento a tutti ed alla prossima avventura con le albe a poppa e tramonti a prua.


Grande incontro

2012-01-24

Grande incontro in trattoria a Mestre di un bel gruppetto di velisti e veliste...un pò speciali. E sì, di solito ci si incontra, quasi sempre, solo per radio grazie alla paziente costanza di Daniele .

Tutti i giorni, durante la stagione propizia, dal silenzio dell'etere una voce ci chiama a raccolta mentre navighiamo sparsi per i mari del mondo.

Siamo proprio dei microscopici puntini, identificati sulla mappa solo da freddi dati di Longitudine e Latitudine. Ma subito l'ambiente si scalda.Prima spunta uno, poi l'altro o l'altra e così via. Dove sei ? quanto ti manca ? a bordo tutto bene ? e poi consigli, meteo, ricette, immancabili battute ...insomma quello che oggi potremmo chiamare, visto che va tanto di moda, un Sailing Social Network .

E allora perchè non incontarci davvero quando ciò è possibile per la rara , contemporanea presenza di alcuni di noi a terra ? E così Daniele e Gabriella, Carlo e Daniela, Alessandro e Lilli, Eugenio e Paola, Luca e Manuela, Andrea e Isa, Leopoldo e noi due, Gianni e Marina, abbiamo bordato le vele sul wpt della trattoria per una splendida, allegra tavolata. Alla prossima !


Nuova diavoleria elettronica a bordo

2012-01-25

Con la prossima stagione EUTIKIA avra' a bordo l' AIS, acronimo per Automatic Identification System.

Di che si tratta. E' un sistema automatico per identificare la posizione di navi in movimento o ferme. In sintesi rende disponibili i dati NEMEA di bordo ( posizione, velocita', direzione ecc) uniti a quelli contenuti nel MMSI, altro acronimo per Maritime Mobile Service Identity ( serie di informazioni digitali inviate in radio frequenza per identificare in modo inequivocabile una stazione marittima, navi, yachts, ecc)

Queste stesse informazioni, quali la nazionalita', il nome, il tipo di vascello ecc sono pure utilizzate per il servizio EPIRB , Emergency Position-Indicating Radio Beacons, e pure con il DSC , Digital Selective Calling.

Allora riepilogando, i dati NEMEA piu' quelli MMSI vengono compattati, spediti, e ricevuti, in tempo reale dallo strumento AIS su dedicate frequenze VHFcon un'antenna di bordo.

In navigazione, sul display dell'apparato o del PC , e' cosi' possibile rilevare altre navi nei paraggi dotate, esse pure, di AIS . Tutte le navi superiori alle 300 tonnellate, le navi passeggeri anche di stazza inferiore e le piattaforme hanno l'obbligo di trasmettere i dati AIS.

Va da se' che questo diventa un utile strumento per aumentare la sicurezza in mari trafficati e si integra con il RADAR. Non identifica infatti in gran parte i pescherecci o altro naviglio minore non obbligato ad adottarlo. In compenso e' crescente il numero delle barche da diporto con a bordo l'AIS.

Corollario essenziale. Grazie all'elaborazione di questi dati e' possibile vedere se siamo in rotta di collisione o quanto tempo ci vorra' per raggiungere un approccio pericoloso.

Ognuno di noi ,anche da casa, puo' farsi un' idea di come funziona il sistema andando su http://www.marinetraffic.com/ais/it/default.aspx . In tutto il mondo diverse stazioni sparse a terra raccolgono i dati AIS emessi dalle navi e li ripropongono in mappa.

In altre parole collegandosi al sito e' possibile controllare tutte le navi che entrano ed escono da Venezia con relativi dati NEMEA e MMSI. Ad esempio e' possibile veder i nostri ferry far la spola tra il Lido e Tronchetto.

In navigazione , soprattutto di notte, il radar a bordo di EUTIKIA fa sempre il suo dovere. Ora sara' in buona compagnia...e noi anche... con un bel binocolo verso l'orizzonte.


Le valige sono pronte...quasi !

2012-03-23

Le valige sono pronte…quasi !
Preparare le valige per noi è un vero tormentone.
Iniziamo praticamente un mese prima. Ma abbiamo incominciato a raccogliere quanto riportato nelle liste, redatte già a Raiatea prima di tornare a casa, praticamente dal giorno dopo il nostro rientro.
E già ! Chi ha tempo non aspetti tempo. Tanto per dirne una : ho ordinato a fine ottobre un pezzo di ricambio per una pompa che è appena arrivato ed andrò a ritirare in negozio nei prossimi giorni!
Quello dei pezzi di ricambio immagino sia un argomento di scarse emozioni, ma può suscitare qualche curiosità in alcuno.
Ve ne faccio una breve sintesi.
Le pompe dominano la scena. La gestione delle acque sanitarie e grigie è a bordo un vero problema.
Ho fatto riparare una Jabsco per la toilette ed ordinato due kit di riparazione. Altri due kit per sostituire le membrane delle pompe di sentina, acque grigie. Ed in fine kit per pompa acqua mare pulizia catena e kit per autoclave. Piccolo particolare. Il produttore italiano di queste pompe ha chiuso e venduto alla Reya francese che a magazzino non ha più quasi nulla. Per fortuna dopo innumerevoli telefonate ed e-mail ho recuperato proprio in questi giorni l’essenziale.
Motore Yanmar e generatore Onan. A bordo credo di aver già nel caveau un piccolo tesoro di pezzi di ricambio. Di solito per la manutenzione ordinaria è solo un problema di quantità ( giranti, filtri,ecc) per tutto il resto conta solo, quasi, la fortuna. C’è sempre il rischio di aver una lista nutrita di codici di pezzi di ricambio e poi non c’è quello che serve. Ultima preziosa chincaglieria, una chiave dinamometrica che dovrebbe servire per un’eventuale manutenzione delle pale dell’elica.
La cosa comica è che quando incontriamo una barca come la nostra, e succede abbastanza spesso in giro per il mondo, appena facciamo amicizia, ancor prima di ogni piacevole chiacchera, il discorso scivola reciprocamente e rapidamente sugli eventuali accidenti di bordo e sulle esperienze vissute nelle riparazioni e nel recupero dei pezzi di ricambio.
Nel terzo mondo e nel Pacifico trovare un pezzo di ricambio al primo colpo è come fare Bingo, anzi di più. Non resta che ordinare, avendo il codice giusto, ed aspettare. Arrivato il pezzo, prevale il fai da te e lo stress sale. Gli inglesi lo chiamano autolearning , noi chi fa da sè fa per tre, anzi nel nostro caso per due. Naturalmente trovi sempre, quasi sempre, qualcuno con esperienze e suggerimenti diversi in grado di rovesciare le tue poche e povere certezze.
Poi ci sono i giocattoli di bordo ovvero le diavolerie elettroniche.
Due novità. Dell’AIS ho già parlato nel precedente post. L’altra è il nuovo IPAD.
Se non avessi la barca forse non l’avrei acquistato. Ma questi gioielli della Apple hanno, per me, un’attrattiva quasi irresistibile, in generale e nel particolare.
In generale sono, sempre per me, un esempio di sintesi perfetta tra passato , presente e futuro. I contenuti come sempre dipendono da te, ma la variegata possibilità di gestione dell’informazione , specifica e tecnica, è per me una sfida. Una sfida alla comprensione logica ed alla creatività. Insomma una buona scusa per esercitare la mente di un over 60.
Nel particolare l’IPAD offre la possibilità , davvero incredibile, di implementare numerose applicazioni, utili ed altre assolutamente inutili ( tra queste ultime i giochi ). Come sempre è una questione di interessi e di gusti.
In barca può diventare strumento di navigazione e quindi un ottimo back up degli strumenti base già esistenti.
E’ sufficiente installare un’applicazione gratuita di navigazione ed acquistare una carta digitale dell’area di interesse ad un prezzo assolutamente conveniente, un quinto circa di costo rispetto a quelle usate per il plotter, ed il gioco è fatto. Di fronte alla ruota del timone uno schermo in più non guasta, tra l’altro con ottima visibiltà anche con piena luce.
Poi , dimenticavo, ci sarebbe anche l’economico Kindle con una bella biblioteca di e-book, molti gratuiti.
E per finire non mancano lampadine led,giuntielastici,o.ring,cortechi,colle,estrattore,ingranaggi,guarnizioni,attrezzi vari,pitture,filtri,medicine,lievito per il pane,cavi,cavetti di ogni tipo , libri, musica, colori, carta per acquerelli ecc ecc
…e naturalmente dimenticheremo sicuramente qualcosa !


Festina Lente...?

2012-03-30

Festina Lente…?
Festina Lente è il motto, l’impresa (vedi sotto), che abbiamo accostato a EUTIKIA nella home page del sito e nelle diverse circostanze di comunicazione sul nostro navigare.
Spesso , soprattutto all’estero, ci è stato chiesto “ si intuisce, ma non è ben chiaro,… cosa vuol dire ? “
Ebbene eccone una brevissima, ma molto sorprendente, storia.
Si dice che Augusto avesse per primo adottato questo dire dallo storico Svetonio che a sua volta lo tradusse dal greco. Come ci riferisce il filosofo Macrobio: “soleva usare sia nella conversazione, che nella corrispondenza epistolare (tale) frase e con ciò intendeva esortare ad usare contemporaneamente nell’agire sia la rapidità dello zelo operoso, sia la lentezza della diligente precisione; da questi due elementi contrari è costituita la maturità come tempestività nell’azione”.
Una moneta romana emessa da Vespasiano riporta tale scritta a didascalia di un guizzante delfino avvolto ad un’ancora.
Il motto fu poi ripreso anche dai papi. Nel ‘500 anche da Cosimo I de’ Medici (1519-1574)
Questa volta però la raffigurazione fu una tartaruga spinta da vele gonfiate dal vento. A Firenze, a Palazzo Vecchio, vi sono più di cento di queste raffigurazioni ed una di queste è quella che appare nella nostra home page. Le tartarughe con la vela ribadiscono gli stessi concetti. La tartaruga – universalmente conosciuta per la lentezza – è, nel medesimo tempo, metafora di Prudenza, Pazienza e Vigilanza, come la vela gonfiata dal vento – motore della velocità delle navi – lo è della forza, della velocità… quasi Futurista.
Cosimo I ne fece l’emblema della sua flotta come monito alla ponderazione affinchè l’ impresa avesse successo.
Poi fu la volta del contemporaneo veneziano Aldo Manuzio, primo tipografo ed edititore della modernità ( 1449-1515)
Erasmo da Rotterdam ( 1469-1536) , grande pensatore ed autore Dell’elogio alla Follia ,ricorda un'antica moneta d'argento che gli era stata mostrata da Aldo Manuzio. Proprio quella emessa da Vespasiano e donata al tipografo da Pietro Bembo:
[...] su una faccia era il profilo di Tito Vespasiano con un'iscrizione, sull'altra un'ancora, alla cui asta si avvolgeva un delfino.
Per comprendere il simbolo bisognerà rifarsi, dice, alla sapienza figurata degli antichi egizi: i geroglifici. La moneta è rotonda e l'immagine si iscrive quindi in un cerchio, che rappresenta l'eternità, senza inizio e senza fine. L'ancora, che lega e trattiene le navi, indica la lentezza. Il delfino, più veloce e più agile di ogni altro animale, indica la velocità.
Dopo i filosofi antichi , gli imperatori romani e Cosimo I, Aldo riprende l'antico adagio, tradotto nell'immagine che è divenuta, meritatamente, la sua insegna.
Motto e immagine, dice ancora Erasmo, possono essere applicati in tre diversi modi:
[...] il primo quando vogliamo indicare che bisogna riflettere a lungo prima di iniziare un lavoro, ma, una volta presa una decisione, si deve portarlo a termine in fretta: e così l'ancora significa il tempo richiesto dalla riflessione, il delfino la rapidità dell'esecuzione. [...] Un altro uso si ha quando vogliamo dire che le emozioni devono essere frenate dalla ragione. [...]Un terzo quando vogliamo ammonire affinché nelle azioni intraprese si eviti una fretta sconsiderata, difetto connaturato in certe persone a cui ogni indugio, per quanto breve, sembra sempre inutile.

Insomma tartaruga o ancora, delfino o vele al vento, comunque sia raffigurata in metafora, credo che mai come oggi nell’era di internet e del tutto e subito, Festina Lente sia un bel monito per tutti.

Impresa dalla Treccani “…Dicesi anche l’Unione di un corpo figurato e d’un motto, che in origine dovè significare l’intento che si proponeva, il concetto che inspirava il cavaliere, il quale assumeva quel segno come propria bandiera. “


LAVORI IN CORSO

2012-04-30


LAVORI IN CORSO e filmato del varo in “My Movies” - Raiatea, 29 aprile 2012

Dal finestrino dell’ATR Papeete-Raiatea appena si scorgono le alte montagne smeraldo scuro di Moorea. Tra i bassi nuvoloni del primo mattino il reef fa da merletto alla turchese laguna.
Un quartino di arcobaleno ci da il benvenuto. E già , non c’è due senza tre. Così era stato al nostro arrivo a Fatu Hiva e poi a Thaiti.
Il tempo ora è piuttosto uggioso e piovoso, troppo. Siamo stati a terra per una decina di giorni : la barca dietro ad un capannone e noi in bungolow con vista su Bora Bora da cartolina e via su e giù in bici. Per fortuna l’antivegetativa è stata data con tempo soleggiato ed il varo è filato liscio.
Non senza patemi, però. Ho preparato un piccolo filmato sul varo per la sezione “ My Movies”.
Ogni giorno qualcosa da far ripartire. Dopo sei mesi di fermo sotto un sole tropicale e tanta umidità, i problemi non mancano.
La lista dei lavori in corso è quasi senza fine. Avviate le tredici batterie. Sostituita piattina di rame per la terra dell’impianto elettrico. Sostituita membrana pompa sentina. Girante e o-ring air cooler dello Yanmar. Pulizia filtro Raccor. Rimozione e pulizia elica, tre mani di antivegetativa…ecc ecc
Ora siamo quasi bloccati. Fuori un muro di pioggia. Dovrei rimontare drizze, bozzelli , rinvii e quant’altro in coperta, ma diluvia . Un secchio da dieci litri si colma in pochi minuti sotto lo scolo del tendalino.
Ho fatto appena in tempo ad issare le bandiere. Sullo strallo di poppa il nuovo Leone di San Marco ha il pelo inzuppato per bene. Mi sono accorto, fissandolo, che per errore la dimensione è di una taglia più piccola della precedente. Sembra piuttosto, come direbbero i veneziani, “ el gato de Ciosa “…sono sicuro però che sarà baruffante !


BREVI da RAIATEA

2012-05-07

BREVI da RAIATEA, 7 maggio 2012
con filmatino in "My Movies"


Domani finalmente schiodiamo. Qui sono stufi di vederci e si domandano che ci stiamo ancora a fare …ce lo domandiamo anche noi. Ecco comunque le ultime.

Lavori …finiti, forse
Oltre alle consuete operazioni di riavvio , il generatore pare abbia messo la testa a posto: parte ad ogni colpo con il nuovo start relais . Ci sono due new entry : nuova e prima cappotta per Barik, il nostro tender by Leo, un ragazzo di Frascati che ha messo radici da queste parti, e nuovo nome a poppa. Il plastichino del vecchio era ormai molto logoro e faceva veramente brutto da vedere. Ho incontrato un improbabile pubblicitario che in quattro e quattr’otto ha staccato il vecchio e messo il nuovo. Da non credere. Basta poco e la barca sembra nuova.

I vasetti di Marina
Come da tradizione due giorni interi di cucina per Marina. In cabina caldo infernale. Fuochi dentro e piastra fuori con pignatte e sughi variopinti. Ricette da gran gourmet : pollo alla salsa curry by Cipriani , ragù di tonno bianco, ragù di beaf neozelandese e gulasch. E voilà 23 vasetti.
Per fortuna, durante questi due giorni di cucina, abbiamo scoperto al Market dei vassoi già preparati in varie fogge di pesce crudo. Eccellenti. I polinesiani mangiano di preferenza pesce crudo e quindi è sempre molto fresco. Per la pausa alle 12, per esempio, li vedo sostare e chiacchierare con un bel vassoio di tartare di tonno , verdurine incluse, una croccante baguette ed, a rovinare l’eco spuntino, l’immancabile Coca.

Gita a TAPUTAPUAPEA
Noleggiamo una panda e con musichetta polinesiana anni ’50 partiamo per i 100 km del tour.
L’isola a sud, lontano dal centro villaggio di Uturoa, è selvaggia, verdissima. Scoscese rupi smeraldo si infilano tra passe e minacciose nubi. E di fatti poco dopo inizia a piovere, proprio nel momento in cui scendiamo dalla macchina per visitare l’area storica di Taputapuapea.
Ci eravamo già stati circa vent’anni fa. Avevamo un ricordo del tutto diverso. Ci appare come un sito del tutto nuovo. Allora palme altissime si affollavano ombreggiando la grande piattaforma di corallo nero, oggi invece le fa da cornice un gran prato verde. E le palme ? Forse l’ultimo uragano se le è portate via.
Il sito ha un fascino particolare. Qui arrivarono i primi arii da ovest e si insediarono dominanti su tutto il vasto sud Pacifico, dalle Marchesi alle Samoa, alle Tonga. Gli archeologi hanno datato questo sito al XVII sec., ma i primissimi insediamenti arii nel Pacifico potrebbero risalire al IV-VI sec. Di certo Cook, quando ancorò proprio qui di fronte nel 1773-1775, ne rimase molto impressionato e cercò per primo , non senza difficoltà, di risalire alla loro organizzazione sociale ed alla loro storia. Alla fine si accontentò di far un’ottima acquata e di portar in coperta un nutrito numero di gustosi maialini.

TAPUTU
Sento battere sullo scafo sollevato sull’ invasatura dietro al capannone. Mi sporgo e vedo Taputu che mi chiama.
Davvero simpatico e soprattutto bravo, il tuttofare polinesiano del cantiere.
Ha preparato il fondo, ha dato due mani di antivegetativa e la terza alla linea , ha lucidato lo scafo. Tutto con molta attenzione anche ai dettagli. Poi ha riparato due graffiature sul bottazzo. Un bel lavoretto delicato. Ci parliamo un po’ in inglese, un po’ in francese e un po’ in spagnolo.
Anzi, tra le prime cose, mi dice di aver imparato lo spagnolo da una suora spagnola a scuola a Tahuata, alle Marchesi, da dove viene. Non senza una punta di orgoglio, tanto forse per distinguersi un po’, mi precisa che di famiglia fa Romero, suo papà Antonio, insomma ha sangue spagnolo nelle venne.
Alle Marchesi ci sono ancora molti Santos, Gonzales e Mendana, proprio dal primo scopritore che le avvistò per caso nel 1595.
Dopo tre settimane di libero interscambio linguistico il mio scarsissimo francese non è certamente migliorato, in compenso credo che Taputu abbia imparato anche un po’ di veneziano.


Le ragazze di TAPUAMU con filmato in"My Movies"

2012-05-10

Le ragazze di TAPUAMU, Tahaa 8 maggio 2012
Ci eravamo stati anche l’anno scorso nel baione di Tapuamu. A Tahaa , proprio di fronte a Bora Bora, c’è la passe per entrare nella laguna e nei pressi una bella insenatura penetra nella smeraldo delle alte colline. Sembra di esser in un lago.
Nel tardo meriggio dalle poche case lungo le sponde sale un rullare insistente di tamburi.
Ormai lo sapiamo, è il gruppo del villaggio, come in ogni isola , che si prepara per le feste di Luglio.
Decidiamo di andar a curiosare e voilà il filmatino in “ My movies “.


Huahine, Fare 21 maggio 2012

2012-05-22

Siamo all’ancora proprio appena dentro alla passe piu’ a nord.
Sono solo le 18 ma è ormai buio pesto. Marina prepara il desinare, spaghetti all’aragosta dopo un piglio davvero fortunato al mercatino sul molo.
Siamo piazzati proprio di fronte alla torre con il wi fi quindi ne approfitto per aggiornare il sito con un breve filmatino, montato davvero di corsa “ Gli ozi di Huahine “ sez. “ My Movies”
Domani torniamo a Raiatea.


I GIORNI DI MAE'

2012-05-30

TAHAA, 28 maggio 2012
Siamo ancorati di nuovo nella baia di Tapuamu a Tahaa, piove a dirotto e da tre giorni il cielo è coperto. Siamo bloccati. E così perché non scrivere due righe sulla vita di qui ? O meglio su quella dei nativi dell’isola di Raiatea, ma forse di qualsiasi di queste isole di sottovento ?
Non sarà brevissima ed è quindi dedicata con affetto a coloro che avranno la pazienza ed il tempo per leggerla. Il formato dei caratteri, densi e piccoli, del sito poi non aiuta certo i ben intenzionati. Allora coraggio e ...pazienza, molta !

I GIORNI DI MAE’
Prese quello più affilato e con un taglio netto divise in due la papaia, come due coppe allungate.
Poi con un cucchiaio, con cura, tolse tutti i piccoli semi neri. Prese due banane, gialle e piccole, le affettò e le rondelle caddero con ordine a colmare le due metà. Poi vi spremette un bel lime.
Ripose le due metà, ciascuna con un cucchiaio , sui due vassoi di legno già pronti sul tavolo.
Nella stanza ancor buia, su quel tavolo, con quella tovaglia vivacemente fiorita, quelle papaie gialle, le apparvero brillanti, appena illuminate dal sole che già incominciava ad affacciarsi entrando dall’ampia finestra con i richiami dei galli.
Era una mattina come tutte le altre per Maè.
La colazione era pronta ed i ragazzi già vestiti. Guardò Moana, ormai cresciutello, di fronte allo specchio pettinarsi tra le dita i rasi capelli nerissimi. Allo specchio, troppo alto per lui, appariva solo il volto un po’ paffutello. Di spalle, però, Maè s’avvide che stava venendo su ben dritto ed asciutto. Meno male , ebbe a pensare, molti suoi compagni erano proprio goffi, così troppo grassi.
Con quella maglietta rossa, rossa e con il disegno giallo, giallo del windsurf sulla schiena, certo non sarebbe passato inosservato tra le ragazzine a scuola.
Alla porta della sua stanzetta apparve contro luce, la più piccola, Noemi. Si accomodò al tavolo, lentamente.
Non aveva mai avuto fretta Noemi. Anche durante le ore passate con le amichette alla danza non
amava il ritmo veloce dei tamburi, preferiva la voce al ballo, la melodia dell’uculele alle percussioni. Maè le si avvicinò, prima con lo sguardo, poi tra le dita prese i lunghi capelli, lucidi e neri.
Noemi adorava farsi pettinare . Sentiva roteare e scivolare le chiome, delicatamente avvolte dalle dita della mamma. Nessuna come lei , conosceva i suoi gusti. Maè, con un gesto consueto , agile , finì di raccoglierli e li fermò con una spilla di madreperla.
Di là, Taputu rimase immobile , appena alzato, con lo sguardo fisso verso le luci ancora violacee della passe.
Ogni mattino, di buon’ora, usciva da quella veranda sul giardino, verde ben rasato, mentre i ragazzi finivano di far colazione. Uno sguardo di ricordi alle bianche tombe dei suoi sul fianco del giardino, basse a chiesuola tra le piante di ibiscus , poi voltò verso la tettoia.
Quei primi passi a piedi nudi sul verde soffice ed ancora umido di rugiada erano una vera delizia. Ci pensò con soddisfazione. Aveva fatto un buon lavoro con la nuova falciatrice appena arrivata al Magazine e che aveva trovato non troppo cara. Tutti i vicini avevano l’erba ben rasata, ora non era da meno.
Dalla curva sentì , ancora lontano, l’avvicinarsi del track della scuola, sempre lo stesso, vecchio e di legno. Ne intravide tra la verzura la sagoma aperta e gialla, il tetto ben dipinto di rosso risaltava tra la verde oscurità degli arbusti lungo la via. Atiki, come al solito, era davvero puntuale. Tutte la mattine alle 7 passava. Da anni, anche quando lui andava ancora a scuola . Si fermava ad ogni cottage, raccoglieva chi trovava e via, ripartiva con la musica al massimo tra le grida ciarliere e gioiose di ragazzini e ragazzine. Davvero uno spettacolo, pensò.
Vide allora Maè, Moana e Noemi affrettarsi verso il ciglio della strada. Noemi si voltò e con una manina, mentre con l’altra si stringeva alla mamma, lo salutò “ Na , naaa papaaa ..” Maè lo salutò “ Non dimenticarti di passare dalla mamma a portarle il tonno che ho preparato – gli gridò per farsi sentire tanto il vecchio track rombava- e aggiunse - “ …come al solito ! …ricordati anche di dirle che passerò da lei al ritorno, nel primo pomeriggio… na naaa..“
Li vide salire con un balzo . Il track seguì la prima curva e sparì alla sua vista verso il fondo della baia.
Moana s’era già perso tra gli amici e Noemi s’era accomodata accanto alla sua miglior amichetta che le aveva tenuto il posto, come ogni mattina.
Era davvero carina Noemi, ora che Maè la osservava tra le compagne. Più alta per la sua età, snella, aveva già un certo estro malizioso nel muoversi, nel salutare aveva sempre un sorriso per tutti.
Taputu ritornò alla tettoia. Sollevò la stuoia di palma intrecciata ed allungò, appoggiandosi, entrambe le mani sulla canoa. Non era certo nuovissima, ma era migliore di quelle nuove, pensò.
Leggerissima . La sollevava con due dita, in acqua poi scivolava a meraviglia anche contro la maretta della laguna.
Era riuscito a bilanciarla così bene che solo i più giovani e forti riuscivano a tenergli testa nelle uscite quotidiane del tardo pomeriggio. Allora passava, rasente, sotto bordo tra le barche alla fonda di fronte al cantiere. Le conosceva tutte, o meglio su quasi tutte ci aveva lavorato.
Levigatura, pittura al fondo, qualche ritocco qua e là. I clienti, gente competente di passaggio da tutte le parti del mondo, erano sempre contenti e Richard, il boss, gli riferiva sempre dei complimenti ricevuti. Quello era il suo lavoro e lui ci teneva al suo lavoro.
Ad ogni uscita si attardava sino al veloce tramonto del sole dietro a Bora. Era l’ora migliore della giornata. Quando le pagaiate uscivano senza sforzo ed il cielo infuocato non bruciava più.
Il track sobbalzò e ripartì.
Maè , alla prima curva dopo i grossi pandani, rivide l’insegna “ MARINA POOITI “ un po’ controluce. Dietro, le sottili alberature dei catamarani alla fonda ed all’ormeggio svettavano tra le seghettate fronde dei palmizi.
E sì, conosceva bene quel Marina. Ci era arrivata quasi per caso, la prima volta, ch’eran forse una decina d’anni.
Un’amica le aveva riferito che cercavano ragazze come aiuto agli skippers. Si era presentata e le diedero subito del lavoro. Sapeva bene l’inglese, studiato dalle suore anglicane, ed i clienti americani erano i più numerosi. E poi aveva imparato dalla mamma i piatti tradizionali più gustosi. Insomma divenne subito la più richiesta,…ma anche la più corteggiata. Era molto carina e certo non guastava.
Da qualche tempo faceva coppia fissa con David. Veniva da San Diego, rossiccio, pelle chiara e occhi azzurri come la laguna. Un ragazzotto davvero simpatico, battuta sempre pronta e sapeva farsi rispettare. Un bel giorno, ricordò con ancora un attimo di turbamento, la fissò dritta negli occhi.
Non una parola. E lei non seppe dirgli di no.
Passarono settimane, i mesi della bella stagione. Più giorni passavano, e meno capiva David.
Diceva sempre che non c’erano locali per passar serate con gli amici, il villaggio troppo piccolo,
non c’era mai nulla da fare per divertirsi. Rimpiangeva sempre più quei giorni a San Diego. Quello sì che era un gran bel posto. Non c’era che l’imbarazzo della scelta, e poi tutti quegli amici, che nostalgia!
Finì la stagione e David se ne andò. Ricordò quel giorno come fosse solo ieri. Aveva deciso di non accompagnarlo all’aeroporto con la scusa che doveva finire di sistemare il catamarano .
Gli aveva raccolto un mazzetto di tiarè. Poi lo pose sui gradini del suo cottage. Pensò, che fosse meglio di ogni addio. Lui non l’aveva più cercata.
Per fortuna quel lavoro sul catamarano l’aveva distratta. Ne sentiva proprio il bisogno.
“ Eii, Eiiii ,Maè mi puoi dare una mano….non ce la faccio con questo coso ! “
Si voltò e vide Taputu. Che ricordo ! Era in bilico sulla poppa del catamarano, due posti più in là, con un fuoribordo tra le braccia. Troppo discosto dal pontile per scendere e sembrava lì per lì di perder l’equilibrio e di finir in acqua. Non perse un attimo. Scese, corse e tirò a sé la prima linea d’ormeggio a poppa. Giusto in tempo ! E Taputu la raggiunse con un saltino, “ maururuu,…”- un gran sorriso- “Maè, se non c’eri tu ….”
E già, se c’ero ! Conosceva Taputu da sempre. Erano alla stessa scuola e gli amici, i soliti, erano anche loro sempre gli stessi. Ora lo guardò come se fosse la prima volta, come se fosse un perfetto sconosciuto.
Quella voce, il sorriso l’avevan improvvisamente colpita, come risvegliata, in quella grigia giornata.
Seguì con lo sguardo Taputu allontanarsi verso l’officina. Gli occhi fissi sulle sue larghe spalle. Poi lui si voltò di scatto.
“ Eii, Maè , questo pomeriggio provo la nuova canoa,- aveva davvero un bel sorriso Taputu, s’accorse che non lo aveva mai notato sino ad allora -…se non hai nulla da fare, vieni anche tu ? “
Gli disse di sì. Per la prima volta. Poi vennero Moana e la piccola Noemi.
Tutto le era ora passato davanti agli occhi come in sogno. Le immagini erano nitide, ma la loro sequenza come sfumata. Tutto era successo così in fretta. E ora…il track ebbe un sobbalzo e ripartì.
Di nuovo la musica, di nuovo le grida dei ragazzini, di nuovo la fresca aria del mattino. Si ravvivò i capelli e seguì con lo sguardo la baia allargarsi ed aprirsi verso Tahaa.
Il sole era già salito dietro alla collina ed illuminava radente la laguna, ora verde smeraldo sotto riva e cerulea verso il reef. Che giornata ! Pensò, davvero bellissima.


BORA BORA mante e mantina con videoclip in My Movies

2012-06-07

Bora Bora mante e mantina. 7 giugno 2012

In attesa di dar vela verso ovest, prima tappa Maupiti , domenica prossima onda permettendo,
proseguono gli ozi anche a Bora Bora.
Lo spettacolo non manca mai. La laguna sotto la montagna è un vero acquario.
E non perdiamo l'occasione di far conoscenza con le padrone di casa : le mante.
Ho preparato un videoclip in My Movies.
Buon divertimento…io vado a cambiare filtri, stringere le cinghie agli alternatori ecc ecc e a far cambusa.


MAUPITI

2012-06-16

MAUPITI 13 giugno 2012 : Tra un maramu e l’altro.


MARAMU e MISS BORA BORA
Sulla fiancata di poppa , lungo il rosso bottazzo, c’è una scritta in metallo “ Super Maramu 2000 “.
E già il Capitano Amel diede il nome di “ Maramu” ad una serie di barche progettate dal cantiere di La Rochelle. E’ come se noi chiamassimo con il nome di Bora, il nostro temuto vento di nord est, una barca in Adriatico. Qui invece il Maramu soffia fisso da sud est, girando in senso anti orario attorno ad una bella alta che scorre sotto i 30 gradi sud.
Normalmente questo sud est è generoso e ci spinge verso ovest. A volte è rabbioso ed è meglio lasciarlo perdere. Ed è quello che abbiamo fatto.
Dovevamo partire per Suvarov dopo una breve sosta a Maupiti ed invece siamo andati e tornati ed ora siamo di nuovo alla boa dello Yachting Club di Bora…ormai casa nostra.
A Bora comunque non mancano le curiosità. L’altra sera abbiamo assistito, con altri italiani trovati su una barca a noleggio, alla elezione di Miss Bora Bora.
Devo dire che, a parte la giovanile bellezza delle ragazze che sfilavano in passerella , lo spettacolo è stato davvero deludente. Questi polinesiani sembra facciano di tutto per tagliare con le loro radici.
La regia , la coreografia, i costumi e la musica erano una pallida copia del nostro peggiore manierismo sanremese. Folla in delirio sotto al palco e sopra sgambate ragazze avvolte in svolazzanti finti e plasticosi costumi ….invece a Nuku Hiva, Marchesi, fiori , gonnelline intrecciate e percussioni primitive. Comunque anche questa è la Polinesia, oggi.
MAUPITI
La visita a Maupiti è stata breve ma intensa. Breve perché tutto dipende dall’onda alla passe.
Si può entrare ed uscire solo se l’onda non supera i 2 metri, meglio se 1,5 metri. Il rischio è di tornare a Bora, solo 25 miglia ma controvento, oppure di restare prigionieri finchè non cala, anche una settimana. E così, anche con una bella finestra di bel tempo per partire, si costretti alla fonda all’interno della laguna.
Noi, come detto, non convinti delle previsioni e per non restare chiusi dentro, ce ne siamo tornati a Bora Bora e per fortuna con poco vento contro.
L’isola è proprio una piccola Bora. Una scintillante laguna ed al centro una rocca montagnosa.
Poco più di 4 km di circonferenza e diverse cosette da vedere. Due biciclette e via.
Qui si trovano gli unici petroglifi di tutta la Polinesia : quattro misere tartarughine incise su alcuni massi lungo un torrente in secca. Fantasia poca. Ci sono anche i marae, come ovunque, piuttosto piccoli e mal tenuti. Voglia di curare il passato, molto poca.
Più oltre la strada diventa bianca e finisce dritta dritta verso una spiaggia mozza fiato.
Bianchissima si allunga tra alte palme. A piedi si potrebbe attraversare la non larga, in quel punto, lagunetta e giungere sul motu di fronte. Fuori dal mondo.
Noi invece ritorniamo sulla strada e via su in salita verso un bel punto panoramico. Non c’è nessuno, il sole alto brucia e vinco il premio della montagna. Dalla sella, tra due cucuzzoli di roccia, la vista spazia ad est e ad ovest : siamo circondati dallo specchio turchese della laguna. In fondo, la temuta passe tra due bassi motu. Foto ricordo e via in discesa. Di fatto non c’è un centro. Le casette, con le loro piccole tombette di famiglia accanto, sono tutte allineate ed infiorate lungo la via solo dalla parte est sotto la rocca.
Al tramonto i ragazzotti, sempre assonnati, si attardano in chiacchere sul ciglio della via. Si mettono in mostra, mentre ragazzette spigliate sfrecciano occhieggiando in bici, molte con la radiolina al massimo volume. Più in là una mamma giovanissima fa comarò con le amiche mentre curiose ci salutano. Tutto molto sereno e tranquillo mentre si allungano le ombre morbide della sera.
TONNO AL COCCO
Per imbandire una cenetta con i fiocchi basta davvero poco.
Puntatina al supermercato per due acquisti speciali : un filetto di tonno bianco da trequarti ed una bella bottiglia color latte . Il tonno è quello bianco freschissimo con tanto di data sulla confezione, il giorno stesso; dentro alla bottiglia una cremosa salsa di polpa di cocco. Il tonno non assomiglia minimamente al nostro e neppure il cocco.
Dopo il tramonto il tonno finisce sulla griglia, rosolatina di due minuti per parte.
Appena croccante fuori, ancora rosato e morbidissimo dentro.
Può esser servito anche al crudo a fettine sottili sottili con erbette, come in foto.
A questo punto fa la sua comparsa trionfale la salsa di cocco. Abbondante, di contorno.
Vi assicuro che la miglior grigliata di branzino regge a stento il confronto.
Dimenticavo, un sauvignon ghiacciato dalla cantina di bordo e croccanti baguette di pane.
Na , naaa…


SUWARROW

2012-07-05

SUWARROW, 22 giugno 2012 - Primo report
L’arrivo.
Immaginatevi una scena anni ’50. Una vela scura spinta dall’aliseo di sud est entra lentamente nella passe a nord est dell’atollo. A destra una folta spazzolata di palme , sotto una bianca spiaggia. A sinistra, al vento, una bassa riviera di coralli e sabbie, sopra uno svolazzare denso e basso di uccelli.
Velenose crestine d’onda increspano l’entrata smeraldina tra i turbinii delle correnti.
Al timone uno solo manovra per bordare le vele e doppiare il basso e sabbioso capo a sud.
Il vento è sostenuto e la manovra riesce al meglio. Strambata e via verso nord sotto vento all’isola delle palme. La laguna è piatta, fuori onde di tre metri.
Scende il fiocco, con la randa raggiunge un moletto. Senti il tonfo dell’ancora. Scorre la catena e scende la randa.
Al moletto un uomo, immobile e bruciato dal sole, osserva . Ora alza le braccia in un ampio gesto di saluto. Dalla barca un gran saluto alla voce. Due miti dei mari del sud si incontrano : Bernard Moitessiere Tom Neal a Suwarrow.
Ho immaginato così una delle poche visite ricevute da Neal durante il suo solitario soggiorno negli anni ’50 in questo atollo sperduto nel Pacifico.
Per noi l’entrata non è stata meno emozionante. Dopo tante letture e tante miglia ci siamo trovati di fronte alla stessa passe. Certo, con il gps ed il timone automatico, sempre comunque 690 mg da Bora Bora di vero e tutt’altro che… Pacifico !
Ci arriviamo dopo 4 notti soltanto, ma con mare incrociato sui 3 mt e vento in fil di ruota sui 25 nodi. Per fortuna l’onda è poi girata di poppa e siamo filati più velocemente per arrivare con la luce, altrimenti avremmo dovuto stare alla cappa fuori sino al giorno dopo.
L’entrata non è difficile, ma il rischio c’è sempre . La carta elettronica è esatta, per fortuna. Ma non c’è alcun segnale di allineamento, nessuna boa. Gli atolli nella Polinesia francese erano perfettamente segnati. Qui, come ai tempi di Tom Neal .
Il cielo e lo specchio d’acqua all’entrata sono brillanti . La prua trova la via tra i reef e siamo di fronte al moletto di Anchorage Island. Ondina, poco ridosso ed un americano che mi abbaia di star lontano. Non vuole , a ragione, che mi ancori davanti a lui. Ma non ho scelta.
A sinistra verso riva ho poco spazio, alla sua destra ho 30 mt. Davanti a lui, 100 mt, solo 20.
Il fondale è di sabbia con teste di corallo che non vediamo causa ondina ed il cielo è ora coperto.
Gira e rigira e do fondo troppo davanti a lui. Niente da fare. Tiriamo su. Non viene. Siamo bloccati. Sono quei momenti in cui non vedi una soluzione. Rifilo catena e aspetto per pensare.
Il vento soffia ed ogni manovra di disincaglio diventa molto complicata e pericolosa per il mio Lofran.
Ci riprovo. Dritto verso il vento. Su, su, su pare che venga . Sento che il corallo perde la morsa. Un ultimo strattone e siamo liberi. Finalmente. Torniamo a girare. Non c’è soluzione : più esterni e 30 mt. Filo 65 mt di catena e la barca si inchioda. Pochini , ma se ne metto di più mi va tra le teste di corallo. Per ora siamo a posto. Domani si vedrà. (segue)


SUVAROV, da non perdere !

2012-07-06

SUVAROV : Harry , Antony ed altre storie dai Mari del Sud da NON perdere !
Passiamo la notte abbastanza tranquilli, anche se mi rendo subito conto che l’ancoraggio è completamente esposto all’aliseo di sud est ed il reef più vicino sopra vento è ad oltre 4 miglia. Quindi onda garantita.
Di buon mattino arrivano sottobordo i due rangers per le pratiche d’entrata.
L’atollo, parco naturale, è della Nuova Zelanda anche se ad oltre due mila miglia di distanza.
L’esiguo presidio vi soggiorna da giugno a dicembre. Poi arriva la stagione degli uragani e li vengono a riprendere. Lo scorso anno vi sono passate 135 barche sperando di trovar ridosso proprio dove siamo noi, di fronte ad Anchorage Island : l’isoletta di Tom Neal.
La storia di quest’uomo è davvero curiosa ed avvincente. Visse qui, da solo, a lungo negli anni ’50.
Il suo diario è davvero incredibile ed offre una gustosa lettura (ed. Incontri Nautici, Bolina ).
Harry viene da Manihi, un atollo da queste parti, Antony dalla west coast della Nuova Zelanda.
Sono entrambi dei nativi, ma è la prima volta che vengono lasciati a Suvarov e dell’atollo conoscono molto poco. Comunque ci accolgono con grande cortesia e disponibilità.
Faccio loro capire che vorrei assaggiare il tanto decantato granchio delle palme e subito ce ne portano uno a bordo , bello e già cotto. Davvero impressionante.
Le giornate volano. Non le notti ! Il vento soffia fisso ed Eutikia salta sulle onde e strappa. Sembra di esser in bolina. Cerchiamo di dormire in centro barca. Metto l’allarme sul GPS . A poppa abbiamo un reef a 50 mt. Lo regolo sui 20 mt, ma suona in continuazione per gli spostamenti laterali. E’ come se fossimo in navigazione. Facciamo i turni.
Sotto la luna crescente osservo le palme piegarsi e le crestine passarci veloci ai fianchi…sto pensando ad una seconda ancora. Ma se dovessi muovermi, diventerebbe poi un vero casino.
Meglio confidare nella principale, come sempre.
Sotto questa luna ho il tempo per ricordare e ricordarvi un’altra storia ancora più incredibile.
A non molte miglia da Suvarov, a Puka Puka ( isola pericolosa in polinesiano), un americano della west coast aveva messo su un magazzino. Era uno degli ultimi South Pacific Trader con un pensiero fisso : lavorar poco , ma guadagnar molto per poi ritornare ed aprire un pub.
Si chiamava Robert Dean Frisbie. Il piccolo villaggio offriva poco, ma le bellezze locali non mancavano. Incontrò Desire, una nativa di quelle che vedi dipinte sui quadri di Gauguin. Si innamorarono, vi fu anche un matrimonio e subito dopo anche quattro piccole creature.
Vivevano in un mondo primitivo ed incantato. Ma una tragedia ruppe il sogno. Desire si ammalò di tubercolosi e morì. Robert cercò di resistere, ma quei colori non avevano più senso per lui e decise di ritornare con i ragazzi dallo zio Sam.
Erano i primi mesi del 1945. Trovò un imbarco su una goletta che trafficava da quelle parti con l’accordo di rimanere a Suvarov in attesa che il giro di traffici programmato finisse. Sarebbe poi passata a riprenderli destinazione west coast.
E così fu…quasi.
Robert e i piccoli,quattro la più piccina e otto il primo nato, vissero giorni, settimane senza tempo.
Pesca , cocco per bere, granchi, veleggiate con una stretta canoa a bilanciere su e giù per l’atollo.
Una bella micro capanna arrangiata tra i rami di un grosso albero di pandano. Una vista splendida oltre al reef, verso l’immenso oceano tra l’ombroso frastuono delle palme agitate dall’aliseo.
Un bel giorno…segue.


SUVAROV, l'uragano.

2012-07-09

SUVAROV, l’uragano
…un bel giorno videro l’orizzonte, verso nord ovest, nero di basse nubi.
A questo punto però vorrei invitare il lettore interessato a liberarsi dal mio un po’ noioso riassunto e ed a leggere direttamente il racconto autobiografico di Frisbie su htt://gutemberg.net.au
dopo aver cercato “ The Island of Desire” ( The story of a south sea trader ) , download libero solo in inglese.
Per chi volesse invece seguirmi, ecco che Frisbie ed i piccoli si ritrovano sulla spiaggia ad osservare enormi frangenti rompere sul reef e superarlo di slancio riversandosi nella laguna.
Restano però stupefatti nello scorgere tra le onde un due alberi che sta tentando la passe.
Corrono tra le palme verso il lato est di Anchorage Island proprio dove la vista spazia lungo la passe.
La forte corrente calante si scontra contro le violente raffiche da nord sollevando onde che fanno sparire a tratti persino gli alberi della barca. Un’ora, due e sembra che non riesca a superare quei muri d’acqua. Va a motore ed infila ora la prua, ora la poppa. Passa un’eternità ma finalmente qualche progresso è fatto. A terra esultano e corrono a ricevere gli ospiti dall’altra parte dell’isola.
A bordo sono in due, un capitano di Palmestron ed il proprietario californiano. Vivranno con loro ore terribili.
La tempesta , ormai è chiaro, si trasforma in uragano. Frisbie , i piccoli e i due appena arrivati si rifugiano sotto la loro capanna tra le palme. La natura si scatena in un inferno. Le palme si piegano orizzontali, prima perdono di schianto la chioma, poi si spezzano. Fanno fatica a parlare, manca l’aria nell’urlo assordante.
La notte passa, ma la barca, su due ancore, non c’è più. Per ora hanno salvato la vita.
Ormai le onde spazzano Anchorage Island. Tra le ultime palme solo sabbia ed uccelli morti.
Frisbie raccoglie i piccoli e li porta alti su di un grande pandano dalle ramificate e forti radici.
Alla fine tutti riescono a legarsi ai suoi rami. Sotto le onde non hanno più ostacoli.
Anchorage Island non esiste più. Enormi cavalloni si schiantano oltre la barriera e schiumano sotto i loro piedi. Fuori solo l’urlo del vento, dentro solo attesa silente dell’ultimo frangente.
Forse percepiscono che il frastuono non cresce più, forse l’ultima onda è meno rabbiosa, forse la marea non sale più.
E’ tutto finito. Il veliero tornerà a prenderli, ma li credevano morti.
La storia è davvero avvincente e poco nota, ecco perché Suvarov fa parte dei miti del Sud Pacifico e quando ci arrivi e osservi sotto la luna le palme di Anchorage Island puoi sentirti meno di nulla.


PAGO PAGO, 13 luglio 2012

2012-07-14

PAGO PAGO, 13 luglio 2012

Ormai siamo da un paio di settimane ancorati a Pago Pago. Per la verità qui la chiamano Pango Pango, noi invece Fango Fango oppure Piango Piango.
Che dire ? Il paesaggio è proprio da Sud Pacifico : una bella e profonda baia immersa nel verde di alte ed incombenti colline con una lussureggiante foresta pluviale. E’ il porto più sicuro da sempre anche in caso di uragano.
Il contesto invece è piuttosto deludente. L’ancoraggio è assolutamente inaffidabile : il fondo è di fango tipo nutella e l’acqua color cioccolata. Alla prima raffica sui 30 nodi, alle due di notte con piovasco, siamo letteralmente scivolati di una decina di metri anche con 60 mt di catena su 10 metri.
Al mattino altro ancoraggio con tutta la catena fuori e gps in allarme. E già anche perché da quando siamo arrivati la convergenza del Sud Pacifico ci ha regalato cielo plumbeo, piovaschi e ventaccio che va e che viene, di solito in piena notte !
Ma non è tutto qui. Il porto è il più grosso centro di raccolta del pescato di questa vastissima area.
Sulla sponda sinistra alti si alzano i fumi e gli olezzi di una fabbrica di tonno in scatola, mentre poco più in là il più grosso generatore mai visto compete con l’ululare del vento.
Poi c’è la beffa. Niente pesce fresco ! Di più, i mercatini sono gestiti solo da cinesi insulsi con cibarie insulse mentre l’unico Super Market, tipo Metro, propone il peggio del mercato USA.
I samoani devono così essersi adattati ad un’alimentazione del tutto squilibrata : sono di stazza incredibile, xxxlarge!
I moli poi sono alti ed inavvicinabili e quindi per la nafta bisogna far la spola a terra con le taniche e così pure per l’acqua. Di usare il dissalatore neppure a parlarne.
E che ci stiamo a fare qui ? Qualcuno giustamente potrebbe porsi questa domanda.
La ragione c’è ed è la cosa più “bella”, si fa per dire, che ci sia capitata da diverso tempo.
Partiti da Bora Bora il generatore ha smesso di partire, definitivamente. Negli ultimi tre anni aveva sempre dato dei problemi, ma a Raiatea sembrava tutto ok. La speranza era di trovare qui un qualche supporto tecnico. Ma questa è una storiella che merita davvero un raccontino a parte.
Alla prossima.


PAGO PAGO , CRAZY BUS in “My Movies “ 14 luglio 2012

2012-07-15

La cosa più divertente, anzi forse l’unica, sono i bus coloratissimi che scorazzano con la musica reggae a tutto volume sulle strade litoranee dell’isola. Quando passano sentiamo il rombo dei bassi sino in barca.
Sono un vero spaccato della società samoana. Ho tentato di farvi montare a bordo con uno shortissimo in “ My Movies “.
Alla prossima. Vi racconterò di Hariel e di David.


PAGO PAGO, David ed Hariel

2012-07-22


David ci aveva invitati per pranzo, appuntamento alle 12 davanti al Dasie Thompson Inn.
Non avevo fatto caso più di tanto a questo ristorante albergo , oltre la strada, quasi di fronte al moletto dei gommoni. Rivestito di legno, di un azzurrino slavato dalla tanta pioggia, old fashion non mi aveva fatto una gran impressione, anzi mi era parso decisamente delabrè.
Eppure la circostanza era di quelle che meno te l’aspetti.
Stavo proprio finendo di leggere “ Rain”, un racconto di W.Somerset Maugham. Lo scrittore inglese, che aveva così ben tratteggiato, a cavallo tra ‘800 e ‘900, il vissuto dei bianchi nel sudest asiatico, non perse l’occasione di passare di qui . Soggiornò proprio in quest’ albergo che ora prende il nome dall’interprete di “ Rain”, quella Mrs Dasie Thompson, signorina piuttosto disinvolta, che era riuscita a tener testa, tragicamente, ad uno di quei missionari che da queste parti contavano le anime conquistate con il pallottoliere e che sradicarono, senza scrupolo alcuno, la cultura dei nativi . E Maugham non era certo stato tenero con questi “ palangi”, come sono chiamati i bianchi, da queste parti.
C’è da dire poi che lo stesso David sembrava uscito d’incanto dalla penna di Maugham.
Inglese, vero British, era nato sulle bianche scogliere di Dover, di fronte la Manica e l’Atlantico. Primo impiego in una società di trade a Singapore. Poi Indonesia, Nuova Guinea, Nuova Zelanda ed Australia : nuove società , ma stessi affari. Insomma uno degli ultimi South Pacific Trader all’ombra della Union Jack .
Poi venne il giorno di ritirarsi , ma il non far nulla a Sidney gli stava stretto. Fu proprio allora che un amico lo chiamò dalla Nuova Zelanda “ Hi David c’è un business ,da non perdere, per te a Pago Pago ! “ “ A Pago Pago !?...ma è un buco, perso nel Sud Pacifico !” rispose, a dir poco, perplesso. E quello , non ci pensò su, David era assolutamente l’uomo giusto. Prese l’aereo e venne a Sidney. Ne discussero a lungo, poi l’amico estrasse dalla tasca un biglietto per Pago Pago e gli disse “ ..vai almeno a vedere, se non ti va, amici come prima”
Ci andò ed ora era diventato Presidente od Amministratore di sei società, ma soprattutto , si vedeva e ci teneva, uno che contava nell’ambiente e da queste parti vuol dire tutto.
David è uno di quelli che non passano inosservati, sia perché ben piantato e di curata ben solida presenza sia perché , a girarsi attorno, il contesto locale appare piuttosto dimesso.
Quando ti parla, occhi azzurri e vivaci, si gonfia un po’ e…” Hem… Hem..! “ da enfasi, compiaciuto, al suo dire.
L’ho trovato divertente e francamente m’ ha ricordato un pò Paperon de Paperoni .
“ Hem, Hem…G i o v a n i “ con le lettere ben scandite “ So, do you need a technician for your generator ? “ E già avevo il generatore che non voleva assolutamente più partire e glielo avevo scritto con una mail all’indirizzo che avevo trovato cercando informazioni sul progettato Marina di cui lui era naturalmente il promotore.
Il giorno dopo, appuntamento sul molo , mi avrebbe portato il suo capo tecnico.
Passa l’ennesima notte di pioggia battente. Le alte montagne, 1.600 mt, che circondano la baia, come un lago di montagna, trattengono le nuvole e giù pioggia e vento.
Di buon mattino vado al molo. E’ già lì. Mi stringe calorosamente la mano sfoggiando una bianchissima t-shirt con lo stemma della Rugby Union Samoa. Dentro al vicino Toyota intravedo che ci aspettano però ben due tecnici. Ci avviciniamo e …sorpresa stanno tranquillamente dormendo !
Con questa premessa, sto già pensando che avrebbero definitivamente messo ko il generatore e pure il frigo . E già avevo anche il frigo che dava i numeri.
David, un po’ in imbarazzo “ HEM, HEM !! “ e i due schizzano fuori dalla macchina sull’attenti “ YES , SIR ! “. Ringrazio David ed imbarco i due sul gommone. Scopro che sono filippini. Uno, Hariel, mi pare molto vispetto e sfoggia alla cinta un bel tester digitale, molto usato, vedi mai che…
Scendiamo nel vano motore. Hariel ascolta paziente e silente le mie supposizioni. Buon segno.
Si infila poi agilmente dove io mai potrei, dietro al generatore tra dissalatore e carica batterie.
Usa il tester con disinvoltura. Mi chiede di dar di Starter, ma niente. Si concentra sul solenoide di terra sul quale avevo più di qualche dubbio. Riproviamo, niente. Misura ancora e riesce a far partire il motorino di avviamento. Fin qui c’ero arrivato anch’io, ma il gen poi comunque non ne voleva sapere di partire.
Gli propongo lo schema elettrico del generatore. Una cosa per me assolutamente incomprensibile.
Lo guarda e lo legge come se fosse un quotidiano, con estrema disinvoltura. Però !
Hariel torna sotto. Ora si ferma, mi guarda , occhi scuri e lucidi brillanti, un sorriso aperto di soddisfazione “ Negativ solenoid defective , Sir ! “ Non posso crederci : ha trovato la soluzione !
Io avevo verificato la continuità allo start, ma il problema era , non saprei dir meglio, che non passava lo spunto all’accensione...e quindi io sentivo sempre quel maledetto click, a nausea tanto era cinico nel darmi a volte l’avvio ed ultimamente lo zero assoluto.
Fa un bel ponte tra i due capi negativi e …” Start, please, Sir ! “
Pigio deciso lo Start e ..BRRRUUMMMM ! Lo avrei abbracciato !
AH ! Quasi dimenticavo: Hariel era uno specialista di frigo e infatti dopo pochi minuti anche il frigo magicamente riparte.
Beh di Pago Pago , credo, di aver rimosso quasi tutto. Ma tre cose le ricorderò davvero : David,Hariel e la… PIOGGIA !


WEST SAMOA, UPOLU, Apia 27 luglio 2012 In visita a " Tusitala"

2012-08-06

WEST SAMOA, UPOLU, Apia 27 luglio 2012 

Il pendio sale ripido tra serrate quinte di foresta verdeggiante. Stiamo inerpicandoci lungo un ben segnalato ma scivoloso sentiero per raggiungere la tomba di R. Louis Stevenson.
Lo scrittore scozzese ( 1850-1895), ben noto per “ L’isola del tesoro” , visse qui gli ultimi cinque anni sperando di migliorare la salute mal ferma e scrivendo molti dei suoi racconti sui Mari del Sud.
Vi era giunto dopo esser salpato con uno scooner dalla costa americana e dopo aver toccato le Hawai, le Marchesi, le Tuoamotu e la Polinesia francese. Credo che in allora abbia davvero visto tutto, e anche di più, per trarre spunto per i suoi racconti.
Alla fine decise di fermarsi qui. Si fece costruire una villa su in collina, ai margini della foresta, dalla quale poteva scorgere il vasto orizzonte del Pacifico.
Molte storie raccontano della vita di allora nelle isole . Ebbe sempre un gran rispetto dei nativi e ne apprezzò la semplice genuinità. E per questo fu sempre molto ben voluto, nonostante fosse un bianco. Anzi gli diedero l’affettuoso nomignolo di “Tusitala”, raccontatore di storie.
Quando morì , accogliendo un suo desiderio, aprirono in un giorno un varco nella foresta proprio lungo questo sentiero e posero la sua tomba sulla collina di fronte al mare verso la nativa Scozia.
Appena arriviamo inizia a piovere e del resto questa è, o non è, una foresta pluviale?
Basse e grigie nuvole ci impediscono la vista verso la sottostante baia. In compenso l’atmosfera è davvero suggestiva, direi proprio ossianica. La bianca tomba, solitaria, risplende tra il cupo verdeggiare della foresta , sottile scende la pioggia vaporosa.
Ci godiamo invece con il sole, quasi, la sua splendida villa “ Vailima” ai margini di un vasto verde giardino, rasato a prato, e circondato da alti alberi fioriti. Un ragazzo da potenti calci ad un pallone da rugby e lo rincorre a perdifiato. Dopo tanti anni, non resisto alla tentazione di riprendere in mano un pallone da rugby. Me lo faccio lanciare e riesco a prenderlo quasi al volo, poi lo calcio…da dimenticare !
Dalla corta e bianca scalinata che porta sulla veranda della villa fanno eco risatine miste a qualche battuta in inglese che non capisco e non raccolgo. Mi avvicino, spiego loro i precedenti e scopro che sono neozelandesi, proprio loro dal Paese più forte al mondo nel rugby ! …beh, grandi chiacchierate e complimenti, alla fine ci hanno dato anche un comodo passaggio sino in città.
Alla prossima con un bel giro per l’isola.
.


WEST SAMOA, UPOLU 30 luglio 2012. In giro per l’isola.

2012-08-07

Entriamo che i posti a sedere sono in gran parte già occupati. Troviamo però qualcosa a metà verso il palco. Tra un’oretta inizierà il fiafia, spettacolo di danze e canti samoani, il più famoso qui ad Apia. Ogni mercoledì pomeriggio l’Aggie Grey’s Hotel organizza questa esibizione cui segue un suntuoso bouffet allestito nei locali davvero unici stile coloniale. Alle pareti fotografie d’epoca, tra un tripudio di decorazioni floreali, ripercorrono la storia dell’isola da fine ‘800.
Le immagini , sbiadite ma davvero affascinanti, vogliono ricordare con orgoglio il buon lavoro di Mrs Aggie Grey che fondò l’albergo, ora gestito dal nipote che dirigerà la danza.
Le immagini di quei tempi, almeno per quanto riguarda i paesaggi, devo dire sono ancora di assoluta attualità.
L’isola ha un perimetro di circa 170 km, al centro altopiani e maestose vette vulcaniche, il tutto ben coperto da una foresta pluviale quasi impenetrabile. Lungo la costa, ampie insenature purtroppo non idonee ad ancoraggi, bianche spiagge deserte e verso l’interno appartati villaggi lungo la via.
In due giorni, con calma anche perché non abituato alla guida a sinistra con cambio automatico, seguiamo quello che la mappa ci propone.
Il centro , Apia, è una sonnolenta cittadina affacciata sul porto e rinfrescata dal benedetto aliseo di sud est. La vita scorre in un misto tra tradizione e modernità, internet e pescatori che allontanano le mosche dal pescato con foglie di palma, uomini in lava lava, una sorta di gonnellino imposto dai missionari, e potenti lussuose Toyota accanto a bus stracarichi multicolore. Al variopinto mercatino all’aperto i soliti colori e profumi che trovi ovunque nei Mari del Sud.
La costa sud si allunga in parte protetta da bassi reef. Questa barriera non è però bastevole a garantire adeguati fondali protetti dal mare sotto costa. Non c’è insomma una laguna interna ed abbastanza profonda come nella Polinesia francese e questo limita di molto il potenziale turistico delle Samoa. Neppure fu sufficiente a proteggere la costa sud ovest quando fu spazzata dallo tsunami del 2009.
Dai monti scendono molti corsi d’acqua limpida e fresca, vero ristoro. Quando arrivarono i primissimi polinesiani dal sud est asiatico, a metà del primo millenio, credettero di certo di aver trovato la terra promessa. Le Samoa da allora divennero il centro di partenza delle migrazioni verso le altre isole del Sud Pacifico.
Poi furono scoperte da J.Roggeveen nel 1722, non vi arrivò stranamente Cook, e successivamente tra alterne fortune e forti resistenze arrivarono a frotte i missionari. Subirono l’occupazione tedesca che finì con la prima guerra mondiale. In fine arrivarono i neozelandesi che diedero loro l’indipendenza nel 1962.
Nonostante tutti questi cambiamenti la popolazione ha mantenuto le propria antica struttura sociale che è ancor oggi la vera caratteristica di queste isole, uniche davvero ancora polinesiane.
Ma lo vedremo con il giro della vicina Savaii.


Nuovo short in "My Movie "

2012-08-10

Salutiamo le Samoa : domenica rotta verso sud, verso le Vavau, Tonga.

In arrivo reportino sulla visita a SAVAII , isola gemella di Upolu.


SAVAII, 4/6 agosto . L'isola delle origini

2012-08-19

SAVAII, 4/6 agosto 2012

L’isola delle origini
Il traghetto parte puntuale. Lasciamo Upolu con l’idea di farci un bel giretto di Savaii in macchina piuttosto che in barca. Del resto Eutikia sta benissimo in Marina ad Apia, mentre a Savaii non ci sono ancoraggi confortanti ed, in più, lasciando Samoa, da Savaii ,che è più a ovest, verso le Vavau, avremmo perso una decina di gradi in bolina verso sud. E con l’aliseo di sud est ogni grado al vento è benvenuto.
Scruto con attenzione il passaggio tra le due isole. Di qui dovremo comunque passare per scendere verso le Vavau, Tonga. Onda lunga da destra e da sinistra, l’oceano gira attorno a Upolu e si ricongiunge nel canale. Il traghetto rolla vistosamente ed i passeggeri, tutti del posto, non hanno una buona cera , anche se sono scurotti. Per quanto ci riguarda, se non ci sarà troppo vento, non dovrebbero esserci problemi . Vedremo.
Sbarchiamo e via subito verso nord, lungo la costa est. Quello che subito colpisce è lo spropositato numero di chiese. Anche Upolo non scherzava, ma qui davvero sembrano troppe.
Lungo la via, a destra il mare a sinistra i margini della foresta, lindi villaggi si susseguono ben ordinati. Siepi di fiori variopinti, ben curate ed allineate, circondano verdeggianti giardini.
Le casette sono basse e ben curate. Non una carta a terra. Ciascuna ha di fronte la propria “fale”: una sorta di vasto capanno colonnato, a forma ellittica. È il luogo dedicato alle riunioni della famiglia “ allargata”.
I primissimi missionari della London Missionary Society , arrivati nel 1830, hanno fatto di tutto per cambiare i costumi del posto e ci sono riusciti molto bene, si fa per dire, tranne che per quanto riguarda l’organizzazione sociale.
A Savaii infatti sopravvive ancora la primordiale struttura sociale delle autentiche origini polinesiane. In breve è la collettività allargata delle famiglie più importanti che decide il da farsi nei villaggi, o in più villaggi. Il singolo conta solo in funzione del suo ruolo gerarchico e più la famiglia è grande ed importante, più il singolo avrà vantaggi. L’appartenenza è tutto, il singolo non può esser in disaccordo, altrimenti resterà isolato senza benefici. Ergo , premesso l’accordo tra la missione ed i trader bianchi , una volta conquistata l’adesione dei capi famiglia, tutti gli appartenenti si ritrovavano la domenica a cantare vestiti di bianco, come oggi .
E così si spiegano le molte chiese, anche due o tre per villaggio. Abbiamo notato per sino che un’ organizzazione missionaria ha progettato un complesso architettonico modulare , ripetuto in decine di villaggi : tutto bianco, compreso lo smilzo campanile, struttura essenziale e moderna, campo da basket ( dove non abbiamo visto giocare mai nessuno), luogo di ritrovo, muretto di cinta ecc. Tutto perfettamente ripetuto.
Tutti vivacchiano senza stress alcuno tra casa e chiesa ed i giovani, tantissimi, frequentano, con i loro vestitini tutti uguali divisi per college, prima le scuole e poi , se maschietti, cercano il lavoro procurato dalla famiglia allargata, chi in dogana, chi in banca ecc, oppure “ over seas” da dove arrivano laute rimesse in valuta. Se femminucce , sperano nel lavoro turistico e comunque anche al lavoro, portano con sè la prole: i giochi non mancano ed il cibo neppure.
Dall’espressione dei loro volti sembra che il lavoro sia di una noia mortale.
L’isola, abitata a tratti solo lungo costa, all’interno è selvaggia ed impraticabile. Alte montagne e vulcani dormienti s’alzano sino a circa 1.700 metri. Dalle falde, molti torrenti spesso si trasformano in spettacolari cascate per scendere poi dolcemente verso il mare, aprendosi la via tra la nera lava o tra la fitta boscaglia della foresta pluviale.
Completiamo il periplo dell’isola, circa 170 km di strada perfetta, e ci fermiamo a dormire proprio in una delle tante “fale” lungo la spiaggia, ben più piccola però di quella per le riunioni.
Queste sono normalmente usate per prendere il fresco aliseo e per star il più possibile lontani dai fastidiosi attacchi delle zanzare.
Il contesto è davvero splendido. Il “fale” variopinto , appena sopraelevato su palafitte, è completamente aperto, vista mare. Le pareti , tipo “veneziane”, sono di foglia di palma intrecciata e vengono abbassate alla bisogna, se c’è vento o pioggia, o per la privacy. Un verde praticello si allunga, tra ombrose palme, verso il bianchissimo arenile.
E dopo una giornata di macchina e di scarpinate, cosa c’è di meglio di uno sguazzo ?
La prossima dalle Vavau…grandissima e spettacolare SORPRESA in vista nella sezione “ My Movies” !


BALENE ! Trova nuovo filmato in 2 parti in MY MOVIES

2012-08-28

VAVAU, Isole TONGA agosto 2012

Fiordi e balene

Dalle Samoa filiamo verso sud per oltre 300 miglia. Il Pacifico , benevolo, ci lascia passare quasi senz’onda. Vento di bolina larga sui 15, 20 nodi. EUTIKIA fila ad oltre 7 nodi anche se sotto invelata. Correndo di più arriveremmo di notte, meglio l’alba. Anche per via delle balene !
E già da queste parti , e proprio in questo periodo, abbondano. Risalgono dai più freddi mari del sud per partorire e svezzare qui i piccoli in acque più tranquille. Meglio vederle e girarci al largo.
L’entrata è davvero stupenda e niente balene C’è da dire anche che quando si arriva un po’ tutte le entrate sono stupende dopo tanto mare. Qui, due alti panettoni verdeggianti segnano l’entrata di un lungo fiordo. Sembra di esser in Dalmazia se non ci fossero le palme.
Alla fine si entra in un lago : il porto più sicuro di tutto il Sud Pacifico.
Proprio di fronte alla nostra boa di ormeggio, in fondale sui 30 metri, c’è la sede del Beluga Diving.
Propongono immersioni e soprattutto la vista alle balene. E’ la prima cosa che facciamo.
Appuntamento alle 7.30 sul pontile. Tra un via vai di bombole e di inglese concitato ci indicano la nostra lancia. Saliamo con un gruppetto di giovani australiane eccitatissime, pezzi di ragazze. L’aria è frizzante, il cielo grigio. Non sappiamo esattamente come si svolgerà la cosa , né se sarà facile vederle.
Ci hanno detto di portare pinne e maschera perché poi ci fermeremo anche sui reef di corallo per una nuotata. Usciti dal fiordo per fortuna non ci sono tanto vento né onde. La superficie piatta del mare agevola gli avvistamenti. Dopo pochi minuti gli occhi avvezzi degli accompagnatori, due ragazzotti locali davvero svegli, individuano qualcosa verso l’orizzonte.
Partiamo come schegge. Il catamarano di alluminio spinto da due potenti motori raggiunge in pochi minuti, tra le strilla delle australiane, il luogo dell’avvistamento. Troppo tardi, le balene sono sparite.
Passano pochi minuti e dalla parte opposta, sotto costa uno sfiato potente rivela la loro presenza.
Altra corsa, altre strilla . Una delle più agitate mi avvicina e mi dice di prepararci…a far che ?
Solo in quell’istante focalizzo che ci avvicineremo a tal punto che sarà possibile lanciarci in acqua e raggiungere il più velocemente possibile le balene in movimento ! Resto come paralizzato : in acqua a nuotare tra le balene ! Indossiamo la tuta veloci, ma perplessi. Non eravamo assolutamente preparati ad una cosa del genere. Prendo la macchina fotografica e la inserisco nel box ermetico.
Mi incasino per l’emozione e la fretta. Non funziona, cribbio. Riapro, riprovo ma nel frattempo un gruppo di ragazze è già tra i flutti e stanno nuotando come delfini verso le balene.
Un’altra mi dice che partirò con il secondo gruppo. Meno male. Riprendo la macchina, tocco qualcosa e funziona, finalmente. Marina nicchia, vacci tu mi dice e io ci vado.
Come rientra il gruppetto di 5, il motoscafo continua l’accosto. Sono una balenottera ed il suo piccolo. E’ una fortuna che vadano abbastanza lenti. Ci avviciniamo di fianco e …via la guida si lancia. Mi lancio per primo. Non voglio perdere l’occasione di filmare. Siamo davvero vicini, molto vicini. Il primo gruppo è risalito, ma ha visto qualcosa troppo da lontano.
Come mi immergo sento l’acqua molto fresca entrare nella muta. Attorno solo blu, profondo.
Allungo le braccia stringendo la macchina e pedalo verso qualcosa che si muove tra un ribollio d’acqua. E’lei con il piccolo ! Riesco ad inquadrala, d’istinto. Tra il freddo, il blu e l’emozione non capisco se la macchina è partita. Vedo un puntino rosso lampeggiare. Bene gira !
Inquadro ma non vedo. Mi rilasso, ormai capisco la situazione. La seguo con un’occhio, l’altro sul display. E’davvero maestosa. Tranquilla porta a spasso il suo piccolo, quasi a lei avvinghiato.
Lei da lenti colpi di coda, lui cerca di star al passo muovendo più rapidamente il codino.
Mi godo lo spettacolo. Che fortuna, al primo colpo ! Mi sfila di fianco, mi fermo. Quasi non respiro, anzi ansimo. Poi gira lentamente, gira, gira e mi viene proprio incontro. Continuo a filmare.
Nel display la vedo sempre più vicina. Non mi resta che pinneggiare con forza all’indietro. Mi inquadro le pinne. Lei sta dietro. Gli altri fuggono da tutte le parti.
Continuo a riprendere. Lentamente continua a girare. Il piccolo le sta sopra, quasi a cavalcioni.
Che scena ! Indimenticabile. Sfila via lentamente, quasi consapevole di averci fatto davvero un bel regalo.
Torno su e mi rivedo tutta la scena. Questa volta Marina non resiste alla tentazione e lascia a bordo tutte le titubanze. Salta in acqua con il primo gruppo già pronto.
La seguo pinneggiare verso la balena. Dovrebbe esser abbastanza vicina per vederla. Così pare.
Ed infatti tutti ritornano a bordo schiamazzando, gli uaoo ! si sprecano e già il motoscafo punta verso il largo. Altre balene in vista. E così per sette volte. Sette lanci, nuotate velocissime a perdifiato, ma mai come la prima volta.
A cena ,con dolcetto e prosecco, abbiamo brindato. Lunga vita al balenottero !


VAVA'U, Porto di Neiafu 18 settembre 2012

2012-09-17

Dalla penombra della mia postazione, al tavolino del bar caffè “Aquarium”, resto attonito, abbagliato dalla luce fendente che penetra nella veranda dal blu della baia.
Laggiù gli alberi delle barche , immobili, prese al naso alle boe, sembrano tanti bianchi stuzzicadenti infilati nell’acqua.
Il display del pc cerca invano di scaricare qualcosa. Anche lui immobile. Passo da un tentativo, all’altro. Invano. Torno scoraggiato verso il forte contrasto luminoso. Ora avanzano le solite basse nubi spinte dall’aliseo. Forse pioverà, ancora.
Con il solito , radioso ed abbondante, sorriso mi sfiora la cameriera, più scurotta del solito. Mi scruta di sottecchi, ormai ci conosciamo, e sembra intuire la mia crescente seccatura. “ It works ?” funziona ? alludendo ad internet.
La mia smorfia le risulta inequivocabile. “ Yo, qui a Tonga, nulla funziona la domenica, neppure internet ! “ sorride e se ne va, spostando l’aria ancheggiando morbida. Mi lascia sul tavolino un cappuccino, fumante, per altro ottimo…qualcosa almeno funziona.
E già oggi è domenica. A bordo stavamo scendendo nel gommone ed ecco che alle 10 in punto i primi cori incominciavano proprio ad allargarsi per la baia, prima silente.
Ci avevano detto di non perdere la messa della domenica : bei cori e grande tradizione, come ai vecchi tempi, nulla era cambiato.
Di buon passo saliamo il poggio verso la chiesona. Ci eravamo stati in settimana. Allora ci aveva fatto una triste impressione. Di un bianco slavato, in stile tra il gotico e lo spagnolo, svetta alta di fronte alla baia. Un’alta scalinata conduce ai portali. Porte chiuse . I grandi finestroni lasciavano intravedere un gran disordine. Sembrava tutto abbandonato. I banchi non allineati alla bisogna, sedie qua e là, squinternate e spagliate. Insomma una chiesa in disuso.
Ora , appena superato il muretto di cinta, resto stupefatto. La chiesa è stracolma di fedeli. Molti, rimasti fuori, trovano riparo dal sole all’ombra delle arcate.
Mi avvicino con discrezione, mentre i canti salgono alti. Non è un coro a cappella, è tutta la chiesa che canta. Cantano tutti e gli inni, sembra proprio, siano portati via dal vento che passa lieve tra le vetrate. Ove prima c’era il disordine, ora solo un’assorta moltitudine.
Pensavo di poter fare qualche ripresa, ma resto bloccato. Mi ero vestito tutto di bianco, camicia e pantaloni lunghi, e macchina fotografica piccola. Per non apparire.
In tutta la Polinesia, già vista, il vestito della domenica è di norma di un bianco candido. Qui, resto di stucco, sono tutti vestiti di nero ! Scurotti e vestiti di nero, con ai fianchi una stuoia, finemente lavorata, tipo gonnellina.
Io “ palanghi”, come ci chiamano qui sin dai tempi di Cook, pelle bianca, vestito di bianco. Come sto per entrare mi sembra di aver addosso gli occhi di tutti. Meglio lasciare perdere.
Esco e mi affaccio dai finestroni verso l’interno. La messa prosegue solenne. Di fronte all’altare un diacono, stentoreo, alza le braccia e dirige a bacchetta la folla di fedeli. Naturalmente cantano in tongano , assolutamente incomprensibili. Ma l’effetto è davvero stupefacente.
Non resisto e spingo la macchina un po’ verso l’interno per una furtiva ripresa. Dopo qualche secondo mi ritrovo nell’obiettivo due scuri occhioni. E’ un bambinetto che, sporgendo dalle generose braccia della madre, mi lancia un gran sorriso e lei non è da meno.
Beh, allora qualcosa si può fare. Riesco a riprendere qualche inquadratura, ma l’insieme del vasto interno, purtroppo, esce dal mio punto di visuale. Alcune scenette all’esterno, renderanno comunque l’idea.
Un tocco di campana giunge a proposito. Mi volgo in quella direzione e colgo al volo un diacono, tutto nero con la sua bella stuoietta in vita, intento a far suonare la campana. E’ immobile. Teso all’ascolto di cosa succede all’interno. Ed ecco il momento giusto. Tira la corda e la campana da un tocco, uno solo, essenziale. L’immagine è un bianco nero perfetto. Lo sfondo, vecchie mura bianche ed un grande crocifisso da processione tutto nero, tranne la scritta INRI bianca, lasciato in obliquo accanto alla parete ingrigita dall’ombra, lui nero, a sbalzo.
Sento vagire, forse piagnucolare. Vicino al portale laterale una mamma, giovane e florida, regge una piccola creatura. Accanto il marito, imponente, tutto nero ed assorto. Occhiali neri, orecchino e codino si compiace osservando la piccola, fasciata in un abitino lucente, rosa confetto. La mamma, di un nero abbondante, sembra capire e mette quasi in posa se stessa e la piccola, stranamente di pelle assai chiara.
I cori continuano possenti, quanto i silenzi. Nessuno fiata. In tutta la chiesa rimbomba solo la voce solenne del salmodiante. Tranne che fuori del portale d’entrata: un gruppetto di giovani leggiadre sembra piuttosto distratto. Sono eleganti nel loro nero assoluto, reso più nero da alcuni vezzosi colpi di colore negli accessori. La più giovane porta, alti tacchi a spillo, rossi. Quando si alza per qualche risolino confidente all’orecchio dell’amica, vacilla e sembra piombare a terra. Tutti i giorni vanno a piedi nudi, ma la domenica si sfoggia.
Più in là, sul muretto che cinge il piazzale d’entrata, nonna, mamma e piccole si stringono sotto un ombrellone. La ragazzina coglie al volo l’obiettivo e mi sorride, compiaciuta.
Mentre una bambinetta, vestita a fiori e con ai piedi delle scarpine con i tacchi di misura doppia, raggiunge il gruppetto sempre più distratto delle giovani, ecco che la messa finisce. Tutti escono sul piazzale ed è una vera festa. Le famiglie si incontrano ciarliere. Indossano i loro costumi tradizionali. Tutti in nero con il loro bel gonnellino di fibra. Alcune signore in età , lo avvolgono sino al collo. Sembrano improbabili involtini alla liquirizia.
Poi scendono lentamente, molto lentamente, lo scalone e noi da giù a fotografare. La scena sa del comico, tanta è la compiacenza nel farsi notare e riprendere. Gente davvero simpatica, questi tongani. Ora salgono a gruppi sui Toiota. Davanti nei posti a sedere le matrone. Molte guidano perché i mariti sono all’estero. Dietro, sul pianale, giovani e giovinette ci salutano allegramente “ Heloooo! “ mentre i motori rombano lungo la via, verso la baia. La messa è davvero finita,…ed anche lo spettacolo.
Ritorno al mio PC ed ad internet che non decolla. Faccio un ultimo tentativo. Spengo e riaccendo.
Inserisco di nuovo la password di accesso al wifi dell”Aquarium” . La cambiano ogni giorno. Oggi è “ A GREAT DAY”
Un Grande Giorno, e già !


Haapai, Tonga . Meteo e barriere coralline, 30 settembre 2012.

2012-09-30

Sono le 7 del mattino : guardo fuori, cielo grigio e basso. Guardo il display del PC, l’immagine appena ricevuta via radio evidenzia una striscia nuvolosa immensa.
Dalle Fiji ,alla latitudine 18° Sud, sino a sud della Nuova Zelanda, latitudine 40° Sud, un fronte nuvoloso, largo circa 500 km e lungo 2.500 km, si allunga in diagonale da NW a SE.
Noi siamo ancorati a ovest di Lifuka, circa 19° Sud: impossibile evitarlo. Non ho ancora capito come interpretare il tempo da queste parti. Mi domando spesso come facesse Cook a destreggiarsi tra questi arcipelaghi corallini senza motore e senza alcun supporto meteo, se non con la sua infinita grandissima esperienza. Quella che manca a me.
Sino a Tahiti l’aliseo di sud est è la norma. Soffia quasi costante e bisogna solo evitarne le sfuriate con buoni ridossi da est sud est. Oltre, verso ovest, bisogna fare i conti con la SPCZ ( South Pacific Convergence Zone), brutta bestia. Aligna a nord ovest delle Fiji verso l’Equatore, poi si allunga periodicamente verso est, sud est portando temporali, pioggia e vento. Alle volte si aggancia alle perturbazioni che passano più a sud ed ecco ben formato il fronte allungato che sta arrivando sopra le nostre teste.
Per gestire queste situazioni non resta che studiarne i tempi e l’intensità. In mare sotto vela te li becchi, ma è meglio evitarli non partendo. All’ancora, non sai mai dove aspettarli.
Alle Vava‘U c’era Neiafu, un magnifico porto naturale. Alle Haapai solo ridossi da NES, ma aperti sul terzo e quarto quadrante. Alle volte da questa direzione qualche barriera semi emersa offre un precario ridosso ma solo con bassa marea.
Sono ora le 19.00. Il cielo è stato molto coperto tutto il giorno. Ormai ci è completamente sopra.
Immaginavo colpi e salti di vento. Niente, solo una leggera , umida bavetta da nord. Come da noi sarebbe un po’ di scirocchetto. Neppure una goccia. Il barometro sale un pochino. Bene, pare tutto ok e vado in radio per il consueto appuntamento con gli altri italiani del Sud Pacifico. Rapida rassegna. Alle Fiji piove da due giorni, a Tahiti, ventaccio e pioggia, alle Tuamotu pure, qui sopra alle Vava’U coperto e niente pioggia. Anzi qualcuno si lamenta perché ha i serbatoi d’acqua quasi in secco. Pare che il fronte se ne stia andando tranquillamente. Domani faremo vela con il sole e con il SE verso un’isoletta deliziosa a sole 20 miglia.
E’ mezza notte esatta. Da alcuni minuti, dopo una bella lettura, dormiamo con appena un lieve chik chiok di risacca. Dall’osteriggio di prua entra uno spiffero più fresco da SE. Bene sta girando per il verso giusto. Sta proprio prendendo forza, penso. Le drizze sbattono e la barca incomincia a muoversi.
Saranno 15 nodi. Ho l’ancora e 60 mt di catena a Nord . Fondale sabbia e poco corallo, 6 metri.
No problem. Quasi ! Il vento insiste , 25 nodi. Esco. Ci siamo invertiti e stesi completamente da sud verso nord. Incomincia a piovere di brutto.
Nel buio vedo subito che siamo ora troppo vicini ad una barca americana. Hanno ancorato dopo di noi mentre eravamo a terra. Ad un’altra barca in precedenza avevo indicato la posizione della mia ancora. Rientrato avevo notato che forse eran troppo vicini. Li avevamo visti altre volte ed anche a Pago Pago si erano ancorati troppo vicini ad un’altra barca. Comunque hanno un’ottima ancora. Ora siamo pericolosamente quasi accostati tra insistenti raffiche di vento. Sempre così, di giorno piatta, vai a dormire ed ecco il pandemonio !
Li illumino a giorno “ Hiiii, we have 60 mt of chain, too close !!! “ pare capiscano. Sono giovani e forti. Accende il motore e parte sparato in direzione della sua catena,…se la vede. Lei a prua , ala, ala svelta. Peccato che ora stiano puntando di traverso alla mia linea di catena. Se la beccano son dolori. Attimi di tensione al buio. Tra uno scroscio battente e l’altro mi par di veder brillare il loro ferro qualche metro prima della nostra catena. Passati per un pelo !
C’è più di qualcosa che devo ancora capire !
PS Il giorno dopo, altro che sole ! pioggia tutto il giorno e così ho scritto queste righe in diretta.


Nukualofa, Tongatapu 13 ottobre 2012

2012-10-14

Verso la Nuova Zelanda.
Da quando siamo arrivati all’ancoraggio della spiaggia di Pangaimotu, ad un miglio di fronte alla cittadina di Nukualofa, splende il sole, finalmente.
Il posto è davvero accogliente : mare piatto sotto vento, palmette e spiaggia bianca. Alle volte c’è anche internet, per il meteo.
E’ una di quelle baie del sud Pacifico che è difficile lasciare. A terra c’è quasi tutto, ottima verdura ed abbondanza di pesce ai banchetti del fish market. In somma buon ancoraggio, provviste abbondanti. La cosa non passò inosservata neppure a Cook.
Infatti gettò l’ancora in questa baia per ben tre volte : nel 1773, nel 1774 e nel 1777.
Prima di lui c’era stato solo l’olandese Tasman nel 1643 ma i locali se lo ricordavano ancora.
Nukualofa allora si chiamava per l’appunto Amsterdam per la quantità di approvvigionamenti.
Anche gli indigeni sembravano molto accoglienti e disponibili agli scambi e soprattutto consentivano agli uomini di Cook di far l’acquata.
Cook era diventato per sino “amico” del re. Grandi serate a terra e grandi festeggiamenti a bordo.
Tanto che Cook chiamò queste isole Friendly Islands, Isole dell’Amicizia.
Ironia della sorte, solo diversi anni dopo si seppe che il re stava per tendere un fatale tranello a Cook ed ai suoi uomini. Lo raccontò William Mariner, un giovanissimo mozzo sopravissuto ad una strage avvenuta a bordo di un vascello che, solo pochi anni dopo Cook, ancorò proprio di fronte a Lifuka alle Haapai. Il ragazzo era stato graziato dal re che però se lo era tenuto in adozione , praticamente in schiavitù. Quando il re morì, il figlio permise al giovane Mariner di ripartire e così venne fuori la vera storia delle Friendly Island.
Cook così continuò a bordeggiare in lungo ed in largo coprendo miglia di miglia alla ricerca, mai avvenuta, di un nuovo fantomatico continente che molti ritenevano doversi trovare nel sud Pacifico.
Noi invece ci accontenteremmo di far vela , con buon vento e mare benevolo, verso Opua, nella parte nord della Nuova Zelanda.
Partenza prevista per il 15 ottobre. Dovrebbe esserci una discreta finestra meteo per i primi 5 giorni, poi sotto i 30° sud le cose saranno più complicate . Confidiamo nell’esperienza di Bob Mcdavitt, uno degli uomini più famosi del Sud Pacifico. Da quarant’anni dal MetService neozelandese fornisce ai naviganti suggerimenti ed indicazioni personalizzate su quale rotta seguire ed in che tempi. Anche se, come egli stesso dice ,” Weather is a mix of pattern and chaos” … vedremo !
Appuntamento su : http://www.winlink.org/userPositions clickare su “IZ3KND”


Nuova Zelanda, Opua, 22 ottobre 2012

2012-10-22

Nuova Zelanda, Opua, 22 ottobre 2012
Sto camminando, meglio sarebbe dire barcollando, sul pontile degli arrivi che qui chiamano “ Q dock”.
Guardo EUTIKIA saldamente ormeggiata. Finalmente immobile. Ormai è scesa l’oscurità, ma l’ultimo crepuscolo mi accompagna, rilassato, mentre osservo la spettacolare natura che mi circonda : dolci collinette raccolgono uno specchio d’acqua fermo al bagliore del primo quarto di luna. Ovunque barche a vela alla boa, altre ordinate in marina. Niente male. Nessuno in giro e silenzio assoluto.
Eravamo entrati nella Bay of Islands alle 18 esatte , 8 nodi a vele piene. Le ultime 50 miglia erano state davvero fantastiche : mare in calo e vento di bolina larga , poi al traverso. Quello giusto, era ora !
Non potevo immaginare un arrivo più superbo. La costa smeraldo scuro reggeva un cielo violaceo, carico di nuvole incombenti. La foschia lasciava intravedere i picchi di Capo Brett a sinistra, sopravento morbidi profili si allungavano verso l’interno della baia.
Non avevamo previsto un arrivo con la luce, ma l’ultima giornata era stata una di quelle da incorniciare. E per di più sul pulpito di poppa pendeva un bel tonnetto, colto a poche miglia dall’arrivo.
Eravamo partiti il 15 ottobre alle 10.00 da Nukualofa, Tonga.
Premetto che non sarò brevissimo. Ma ci sono due attenuanti. La prima è che dopo tutto sono 1.000 miglia, non senza sorprese. La seconda è che questo report chiude la stagione.
Gli ultimi giorni erano stati dedicati, con molta incertezza e tensione, alla previsione meteo. Ad attenuare in parte questa incertezza, che precede ogni solitaria decisione, era stata la compagnia di una coppia davvero simpatica di olandesi. Avevano i nostri stessi tempi e pure loro avevano contattato il guru meteo neozelandese Bob Mcdavitt .
Potevamo così incrociare le informazioni.
Questo è un passaggio davvero particolare che molti evitano scegliendo la rotta più a nord , verso l’Australia.
La difficoltà sta essenzialmente nel fatto che si abbandonano le condizioni ormai ben note , con aliseo di SE prevalente, tra i 12° ed i 15 ° di latitudine Sud, per scendere ai 35 ° della Nuova Zelanda. Perderemo l’aliseo e ci infileremo nella incessante processione di Alte e Basse con relativi fronti freddi e caldi, e quindi grande variabilità.
L’obiettivo numero uno, e qui il ruolo di Bob diventa determinante, è quello di evitare di arrivare sotto i 30° Sud con una profonda Bassa in arrivo. Non basta. Una volta in zona, a circa 300 miglia, bisogna fare i conti con tutta una serie di relativamente piccoli fronti che spazzolano la costa Nord.
Vorrei dire che è come entrare in una porta a bussola di un Gran Albergo, dal caldo al freddo, roteando senza pestarsi i piedi o fare qualche smusata sui vetri .
Finalmente arriva il segnale verde e partiamo con una previsione decente per i primi tre giorni ed una altina che si dovrebbe installare a Nord della Nuova Zelanda al nostro arrivo.
Il sole caldo ci accompagna in bolina larga e ci godiamo un Pacifico insolitamente tranquillo.
All’alba sfiliamo a poche miglia da Ata. Stavo ballando al suono dell’IPOD per tenermi sveglio, quando vedo un’ombra scura leggermente a prua. L’avevo vista sul radar, ma non la immaginavo così grande e vicina. E’ proprio sulla nostra rotta. Accosto di 10° e via sino al sorgere del sole.
Il giorno dopo inizia lo swell da prua. Una sorta di onda alta, ma lunga che sale a nord spinta dai fronti che passano a sud. Come se non bastasse ecco che arriva un fronte collegato a nord alla zona di convergenza quasi stazionaria sulle Fiji. Bob dice che sarà debole. Lo vediamo sulla foto che riceviamo sul WeatherFax. In effetti non sembra denso. Passa in 24 ore con pioggia ed un po’ di vento. Torna il sole e cala il vento, sempre da Sud Est. Avvio il motore sui 1.500 giri , ma non basta, salgo a 1.800 e …non ci va ! Riprovo, do manetta, ma niente da fare. Il motore non va su di giri. Un brivido gelato mi lascia ammutolito. In mezzo al Pacifico e con la necessità comunque di arrivare prima della prossima Bassa.
Scendo nel vano motore : il filtro Racor è nuovo, il motore non va neppure in folle, quindi elica libera. Il cavetto dell’acceleratore sembra ok. E allora ? Di solito è un problema di alimentazione.
Ricambio il filtro Racor e li metto tutti e due in parallelo . Riaccendo e …niente da fare. Se si sono intasati tubi e raccordi sarebbe un vero disastro, da dove incominciare ? e poi la stanchezza incomincia a farsi sentire.
Riguardo con intensità il motore. Provo a dare una pompatina sopra al filtro principale del motore ed il motore ruggisce ! hurra !...ma poi si riferma. Comunque ora è certo : è un problema di alimentazione.
Cambio anche il filtro principale ed…incrociamo le dita. Sale, sale, SALE non si ferma ! Ringrazio il cielo e torno a veder il sole…faremo 21 ore consecutive di motore.
Ormai siamo oltre Minerva Reef. Questo grande atollo era l’ultima possibilità per fermarci in caso di peggioramento. Bob continua a darci via libera, dobbiamo però fare in fretta, nessun ritardo. La bassa sta minacciosamente approfondendosi nel Mar di Tasmania ed accelera verso la Nuova Zelanda.
Guardo i grib : se ci fermiamo al reef non vedo finestre per molti giorni e per giunta è previsto uno swell di oltre 3 metri. Il reef ha una barriera larga ma sempre immersa e con l’ alta marea dentro si salta. Meglio evitare.
L’ultimo aggiornamento inviato da Bob con l’email via radio tiene conto di un fronte caldo in arrivo sui 28° Sud con Nord Ovest e poi Sud Ovest, proprio sul naso.
Il piano di navigazione, sin dalla partenza, è incredibilmente dettagliato e tiene conto di una velocità media di 6.5 nodi. Più veloci si va e meglio è. Ma non sempre la rotta più corta è anche la più breve. Ed infatti devo ora fare i conti con questo Sud Ovest e Bob mi manda a Sud Est. ( vedi dettaglio piano e mappa tra le foto )
La rotta da seguire è un elenco di punti con data, ora, coordinate, velocità, vela o vela /motore, rotta da seguire, velocità, altezza onde e pressione. Detta così sembra un gioco da ragazzi, in realtà le condizioni di contorno sono talmente mutevoli che la mappa diventa ben presto un semplice riferimento. Ma la cosa più importante resta ben chiara : bisogna evitare una Bassa in approfondimento a Nord della Nuova Zelanda.
Siamo al quarto giorno di navigazione e mancano circa 500 miglia ad Opua. Francamente non mi va di scendere verso Sud Est con un bordo decisamente a perdere. Resisto sui 180°, vela ma anche tanto motore.
Per fortuna, come tutti, siamo partiti con serbatoio e taniche piene : autonomia quasi 700 miglia.
Al mattino la superficie del mare appare con vistose chiazze di bianco polistirolo, che strano ! Un onda ci porta a bordo una manciata di granellini. E no ! è pomice ! Con la email successiva Bob ci avvisa che al largo delle Isole Kermadek troveremo vaste chiazze di pomice. E infatti ! Bella rogna , dobbiamo stare anche attenti al filtro del motore. Se si intasa sono guai. Spengo e cerco di scendere in bolina.
La notte passa sperando che il vento sui 20 nodi da Sud Ovest cali un po’, come previsto, e che l’onda , ora sui 3 metri , si attenui. Più vado a Sud e più miglia dovrò farci contro per tornare in rotta su Opua. A mezzanotte non resisto e taglio l’angolo sulla mappa fornita da Bob. Proviamo con mezza randa e motore. La prua sale vistosamente , ma per fortuna riusciamo a cavalcare lo swell non rabbioso. Per la prima volta, sia pur contro vento e onda, abbiamo la prua su Opua. Rispetto al piano risparmio un centinaio di miglia, ma in termini di tempo poco meno di 8 ore, ma soprattutto una cinquantina di miglia di smusate contro questo mare.
L’alba arriva con il vento in calo ed in rotazione a Sud. Felicità !
Grande smotorata, ma anche un po’ di riposo senza dover sempre pensare alle vele. La barca va da sola in un mare maneggevole e poco vento, ora da Sud Est.
Bob ci avvisa che è in arrivo un fronte caldo, il che vuol dire vento da Nord Ovest. Niente male. Dovrebbe venire da mezza nave. Confido non con troppa onda. Al traverso, oltre alle lavate, si rolla molto.
La goduria dura poco. Il Nord Ovest gira in prua e siamo subito in bolina larga con rinforzi sino ai 30 nodi.
Riduciamo per la notte e la barca picchia un po’, ma tiene molto bene. Buio pesto, anche se il chiarore lunare oltre le basse nubi lascia intravedere un maraccio notevole. L’onda sale vistosamente oltre i 3 metri, ma Eutikia la cavalca tranquilla sul moscone di dritta. In pozzetto fa quasi freddo, anche se ad ogni miglio benediciamo la copertura completa. Senza, sarebbe davvero dura. Spesso mi domando come facciano gli altri in simili circostanze. Poi la risposta viene da sé quando li vedo scendere al molo dopo un passaggio di questo tipo.
Ormai siamo a circa 200 miglia ed è meglio sorvegliare per bene il traffico marittimo. Il porto di Auckland è vicino. Alle 02.00 mi siedo al radar. Nulla, e del resto con questo mare un obbiettivo è di difficile identificazione, salvo non sia di notevoli dimensioni. Un piccolo cargo potrebbe sfuggire.
Do un’occhiata anche all’AIS. Niente. Anzi , qualcosa proprio ai bordi delle 24 miglia, c’è !
Dopo qualche minuto so di che si tratta . E’ il Southern Lilly, un cargo che fa rotta verso le Fiji.
Peccato che sia esattamente in contro rotta. Se le cose non cambiano dovrebbe passarmi a mezzo miglio. Troppo poco. Sul radar ora c’è, ma è appena visibile perché viene di prua. A 10 miglia la situazione non cambia.
Prendo il VHF e lo chiamo per nome. Risponde subito, sorpreso. Gli chiedo se mi vede e gli spiego che passeremo troppo vicini. Dopo qualche istante mi dice che non vede le mie luci di via ! Ha messo la testa fuori e contava di vederci ! Incredibile, con quel tempaccio ! Lo invito a guardare sull’AIS e finalmente , ancora più sorpreso, mi conferma che passeremo troppo vicini. Marina ora lo vede chiaramente tra un turbine d’onda e l’altro. E’ proprio di fronte a noi. Gli chiedo di lasciar libero il mio lato sinistro, così posso poggiare in velocità, e di accostare sulla sua sinistra , port side. Ci ripetiamo le indicazioni e finalmente lo vedo sfilarmi lentamente a destra della prua, sopra vento. Ad ogni buon conto ora poggio di brutto per togliergli ogni dubbio.
Se non altro ci siamo passati un’oretta di questa lunga, ultima notte.
Al mattino il fronte caldo si stempera. Più ci avviciniamo e più il mare cala.
Diamo tutta vela, genoa, randa e mezzana. Voliamo a oltre 8 nodi.
La Nuova Zelanda è là sotto le nuvole. Ricordo solo il candore delle vele e l’indaco tra cielo e terra.
Un grazie di cuore a tutti quelli che ci hanno seguito. Eutikia vi aspetta a bordo per la prossima avventura.
Gianni & Marina


AUGURONI

2012-12-14

CASA DOLCE CASA
Tra le confortevoli pareti domestiche è molto più semplice confezionare gli aggiornamenti per il sito. C'è più tempo, nessun WIFI di mezzo, di solito pessimo, ed anche un sottile piacere nello scorrere e ritrovare filmati e foto altrimenti dispersi tra le molte cartelle del PC.

Ho così preparato 3 nuovi short che vanno virtualmente a colmare lacune lungo la rotta 2012 : " Da Maupiti a Suwarrow ", " Dalle Samoa alle Tonga" e " Dalle Tonga alla Nuova Zelanda". Sono, visti i limiti ammessi dal sito, necessariamente brevi e di qualità modesta.

Ho anche aggiunto una foto , che vorrei definire come la foto simbolo di quest' anno, che mi sembra ideale per gli Auguri ai molti Amici, noti e non, che ci seguono a migliaia di miglia di distanza e che ci danno molto speso la piacevolissima sensazione di non esser soli in mezzo all'oceano.

Auguroni ed un grazie grande grande a tutti.

Gianni & Marina


Incontro al Diporto Velico Veneziano _ sabato 23 febbraio ore 18.30 _ Sant'Elena

2013-02-19

Carissimi,

Il Consiglio Direttivo del Diporto Velico Veneziano ci ha gentilmente invitato, anche quest'anno, ad un incontro con i soci.

Parleremo della rotta seguita nel Sud Pacifico nel corso del 2012 :  Isole della Società, Suwarrow, Samoa, Tonga e Nuova Zelanda. Verrà presentato un breve filamato, di circa 30 minuti, cui seguirà una chiaccherata.

Il DVV offrirà anche un piccolo buffet.

Naturalmente siete tutti invitati...sperando che non nevichi come l'anno scorso!


Le ultime sulla Tékne a bordo, 13 marzo 2013

2013-03-13



Le ultime sulla Tékne a bordo, 13 marzo 2013

Dirò subito che per indole e formazione non sono incline alla tecnica, alla Tékne.
Mi è sempre risultata piuttosto ostica. Però andando in barca e per necessità, anche di lavoro, ho cercato di farmene una ragione e di interpretarla per migliorare la fruizione di ciò che di positivo offrono le tecnologie.
L’arte del saper fare, la tékne appunto, è essenziale soprattutto a bordo di una barca a vela in giro per i mari del mondo ed è davvero sorprendente osservare come, in particolare, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione possano interagire con mare e vento.
Vorrei così proporvi al riguardo due o tre cosette davvero interessanti, divertenti anche per i non addetti ai lavori.
Navigazione con i tablets
Noi tutti , chi più chi meno, abbiamo confidenza con i nuovi telefonini o con i tablets.
Ebbene ora sono disponibili delle funzioni, chiamate Applicazioni, per navigare sui tutti i mari del mondo. Quelle che ho installato sul mio tablet IPAD sono gratuite e si interfacciano perfettamente con il GPS. In pratica lo schermo del tablet offre informazioni analoghe al plotter di bordo.
Le App. sono gratuite, non la cartografia. Il costo, per altro, di porzione di mare, quello che più ci interessa, è ridotto di molto rispetto alla stessa porzione per plotter. Con qualche decina di euro ho acquistato l’intera Oceania !
I vantaggi per l’adozione di questo nuovo sistema di navigazione sono molteplici.
Se non ho un plotter, posso usare il mio tablet di casa anche a bordo per navigare.
Se ho il plotter posso usare il tablet in alternativa come riserva. E ancora, usando una diversa cartografia sui due sistemi avrò la possibilità di confrontare le informazioni cartografiche oppure avere il plotter o il PC all’interno ed il tablet, protetto, all’esterno.
Sui siti internet tutte le opzioni sono naturalmente ben illustrate con relativi vantaggi e svantaggi.
Sul mio tablet ho installato tre diverse App.:
Jeppesen Marine Plan2Nav che è di fatto quello della C-MAP
Navionics, con una grafica eccellente.
Transas iSailors forse la migliore per la visualizzazione delle funzioni offerte. Le prime due infatti sono condizionate dal mercato dei produttori/distributori dei plotter ed hanno una voluta limitata visibilità dei dati essenziali quali posizione, rotta e velocità. Quest’ultima invece, credo di origine russa, non opera nel mercato di massa e quindi si pone meno problemi. Io schermo ha così riquadri dedicati a questi dati essenziali. La cartografia è comunque all’altezza.
Sarà interessante vedere il loro funzionamento in pratica, comunque da subito il confronto cartografico evidenzia qualche diversità. Vedremo.
Guida elettronica per le Vanuatu e Nuova Caledonia
Da anni siamo usi consultare le più diverse guide nautiche. Il mercato dell’editoria specializzata ne sforna di continuo per tutte le parti del mondo. Quella di cui vorrei parlarvi è reperibile, però in forma esclusivamente digitale ed a pagamento, al sito http://www.cruising-vanuatu.com/.
Scorrendo le pagine di presentazione si capisce subito che si tratta di un prodotto eccezionale. Il punto di forza è la completa integrazione ed accessibilità, a portata di click,
di tutte le informazioni : testo, cartografia, rotte, wpt, ancoraggi, foto da satellite e da terra info turistiche, ecc.
Il sistema non è usabile come programma di navigazione perché non è interfacciato al GPS, ma si integra perfettamente con la navigazione in corso offrendo un supporto visivo ed informativo dello scenario attorno alla barca che i plotter non hanno.
Per valorizzare la Guida , ed arrivo al punto vero della tèkne, l’editore suggerisce di installare sul PC, dove gira la Guida, un programma, http://www.connectify.me, per realizzare un punto originario WiFi ( hot spot ) in grado di colloquiare direttamente con il WiFi dell’IPAD. Poi bisogna installare http://www.splashtop.com/streamer sul PC e una simile App. sull’IPAD, Splashtop Tablet app . Il tutto è gratuito.
E voilà ! Sarà possibile governare il PC dall’IPAD. In pratica, per intenderci, sullo schermo dell’IPAD apparirà esattamente la stessa schermata del PC , pure nella sua dinamica nel cambiamento. Potrò così vedere sull’IPAD un programma, in questo caso la Guida, che posso installare solo su PC. Ancora, per esempio, potrò tenere il PC all’interno sul tavolo da carteggio e l’IPAD in pozzetto con la Guida aperta, oppure visualizzare e gestire lo stesso programma di navigazione residente nel PC, o cercarmi un documento qualunque sul PC manovrando lo schermo dell’IPAD. Il tutto naturalmente funziona senza la necessità di collegarsi ad internet per lo scambio dati.
Per finire un’ultima piccola, grande sorpresa, con ancora di mezzo la tecnica.
Jimmy Cornell, il fondatore dell’ARC, Atlantic Rally for Cruisers e di http://www.noonsite.com/ , il più noto data base informativo per i velisti di tutto il mondo,
ha lanciato un nuovo evento Il Blue Planet Odyssey http://www.blueplanetodyssey.com/ .
Per informare club ed organizzazioni di tutto il mondo sul contenuto del tutto speciale del progetto, Jimmy sta girando da mesi tra nord America ed Europa.
L’iniziativa ha l’obiettivo, in estrema sintesi, di coinvolgere i velisti in un rally nelle zone più sperdute degli oceani per monitorare lo stato di salute del pianeta mare, portare assistenza formativa nelle scuole degli atolli più sperduti, assistenza medica, studiare l’innalzamento del mare ecc.
Ebbene l’altra sera, alle 20.00, ho assistito in diretta ad una di queste conferenze grazie ad internet ed all’ospitalità ed al supporto tecnico di un’ Associazione velica americana.
L’incontro virtuale si teneva presso l’Associazione, Jimmy era in Francia e 60 velisti , e tra questi pure io, erano collegati da tutte le parti del mondo con la possibilità di porre domande alle quali Jimmy rispondeva in diretta.
Chi l’avrebbe mai detto che, per andare semplicemente a vela, sarei prima approdato sulle sponde del WEB navigando con una flotta virtuale ?
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Ka Tiri Tiri o Te Moana

2013-04-07




Ka Tiri Tiri o Te Moana, 7 aprile 2012
Sulla sinistra si apre uno sterrato, accosto, qui si guida a sinistra, ed esco dal nastro d’asfalto. Spengo il motore. Nessuno, solo il silenzio del vento che appena piega il giallo della sterpaglia. Su questa, la linea dell’orizzonte si allarga nitida. Ai lati, lontano cornici di rase alte colline violacee, sullo sfondo s’alzano picchi montagnosi pennellati di bianco. Ghiacciai perenni. Sopra l’azzurro spazioso del cielo.
I Maori vedevano tra quelle vette il riflesso del mare, quello di Tasmania : Ka TiriTiri o Te Moana. E’ li che stiamo andando.
Come primo impatto , proprio niente male. Eravamo partiti da Christchurch, costa est, presto in mattinata ed ora breve sosta per goderci lo spettacolo sull’ Arthur Pass, prima di scendere verso la costa est. I primi 450 km di un lungo anello che dovrebbe portarci alla scoperta della South Island, il meglio della Nuova Zelanda, almeno così tutti ci hanno detto. Vedremo.
I ghiacciai.
L’idea è quella di arrivare subito alle falde delle grandi montagne che si affacciano sull’oceano, imponenti resti della glaciazione. Arriviamo nel tardo pomeriggio nei pressi di un paesetto che prende il nome dal ghiacciaio che lo sovrasta, Franz Josef Glacier. E’ proprio un paesetto: sulla strada che lo attraversa solo motel e negozietti per turisti. Tutto perfettamente in ordine. Non ti puoi sbagliare. Qui l’agenzia turistica con ogni informazione su dove dormire, come salire al ghiacciaio, dove prendere l’elicottero per una sorvolata mozzafiato, più in là un piccolo super market, accanto un negozietto con tutto il vendibile in lana merino. Qualche pub, caffè e la pizzeria che non manca mai, ed è tutto qui.
Noi ci accomodiamo, stanchi ma già molto soddisfatti per la splendida giornata, al Motel TOP 10, una catena con sedi ovunque, davvero comoda ed al giusto prezzo. Ci danno una Unit, cioè un bel locale assai spazioso, con doppia e bagno, soggiorno con annesso cucinotto. Grandi vetrate sul parco che circonda il paese.
Dopo una giornata di macchina ed una pesante dormita con il fuso ancora da smaltire, una bella camminata è proprio benvenuta. E via verso il ghiacciaio.
La situazione ambientale è davvero inconsueta per noi. Le montagne, ora a poca distanza dal mare, nel periodo della glaciazione, da ventimila a quindicimila anni fa, vi si infilavano e le onde ne lambivano i ghiacciai.
Ora hanno calcolato che ogni dieci anni , da queste parti, i ghiacciaci si ritirano, con qualche eccezione inversa, di oltre 250 metri. Ed infatti ci facciamo una bella, ma non impegnativa, camminatina per arrivare ai piedi del Franz Josef. Il sentiero percorre una vasta vallata e risale brevemente alla base del ghiaccio. Tra le basse nuvole un elicottero porta i primi turisti. C’è più gente in cielo che a terra. In lontananza ci raggiunge il frastuono delle molte cascatelle, mentre in centro valle scorre rapido un lattiginoso torrente. Del ghiacciaio, anche da sotto sotto, non si vede moltissimo. Le nuvole incombono grigie e la morena terminale si ingrigisce verso il verde marcio dei licheni tra le rocce. Quello che impressiona, e sarà una costante in questo viaggio, è la vastità dello scenario, assolutamente primordiale.
Nel pomeriggio altra sgambata con veloce escursione al contiguo Fox Glacier.
Il meteo tiene ed è meglio accorciare i tempi. Qui troviamo qualche gruppetto di turisti, ma come formiche spariscono tra gli scorci in lontananza. Il sentiero è ben segnato e molto facile. Quando già pregustiamo di scarpinare sulle nevi perenni un bel segnale antropomorfo ci invita a desistere...ALT ! Da qui in avanti si può accedere solo con le guide. Non ci resta che fotografare con il tele e riprendere alcuni video.
Verso valle , oltre alcuni laghetti color ametista, pesanti nuvole incombono spinte con insistenza da un vento teso che sale dal mare ora lontano, oltre verdeggianti e boscose colline, aguzze di pini.
Allunghiamo il passo e rientriamo per evitare la pioggia che si avvicina.
La luce del tramonto però non si fa intimorire e già torna a filtrare e qualche raggio ravviva le nevi. Da queste parti il tempo è davvero capriccioso, per usare un eufemismo.
Domani riprenderemo la via. Parleremo di strade e di laghi.


Verso i laghi, Wanaka 10 aprile 2013

2013-04-10 to 2013-04-26




Verso i laghi, Wanaka 10 aprile 2013

Parliamo subito delle strade, anche perché di strada ne stiamo facendo parecchia.
Come ti inserisci, guardando prima a destra, sembra una strada normale.
Poi come passano i chilometri ti accorgi che è una strada perfetta , ideale.
Segnalazione puntuale, ad ogni curva ti indicano la velocità con cui devi prenderla e se ce ne sono troppe di curve ed insicure, ti avvisano che il rischio di far crasch , ovvero un incidente, è elevato. Amico avvisato, amico mezzo….. Ogni senso di marcia ha di norma una sola corsia, comoda. Mai più di 100 km/ora, tanto non serve. Asfalto come il velluto e traffico zero, da annoiarsi. Sembra che abbiano saputo dei tuoi piani, you are welcome ecco una strada tutta per Lei ! Ma il bello deve ancora venire.
Lungo la via vi sono numerose possibilità di sosta, ma vi consigliamo - pare che dicano - di uscire a 300 mt : ottimo punto panoramico. E c’è da crederci. Se poi ti serve una vera fermata per parcheggiare il caravan o ti servono i servizi, allora le occasioni non mancano davvero. Loro le chiamano flat , di fatto sono delle aree destinate al pernottamento od alla permanenza di più giorni. Di solito sono scelte in zone di particolare bellezza e tranquillità : sulla sponda di un lago, in una profumata pineta o con vista panoramica lungo costa. Insomma a pochi metri dalla strada ti ritrovi in mezzo alla natura più inaspettata e seducente. Naturalmente non c’è alcun gestore in loco e tutto è lasciato alla cura degli ospiti : servizi impeccabili, acqua, chiosco con informazioni storiche, sulla flora e fauna, e sulle possibili escursioni. Tanto per dire : lascio la macchina al parcheggio e ci infiliamo lungo un sentiero per raggiungere una cascatella, ebbene un cartello in rosso mi ricorda di non dimenticare i fari accesi !
Guidando sembra di essere al cinemascope. Zero pubblicità, zero capannoni, nessuna presenza umana, solo natura allargata lungo spazi da cartolina formato maxi.
Se poi ti viene una punta di solitudine, bene allora non manca la numerosissima compagnia del marchio più famoso della Nuova Zelanda, le pecore merino oppure delle innumerevoli pezzate da latte.
Ultima annotazione: ci sono anche piccolissimi villaggi, tipo Far West. Villaggio comunque è una parola grossa. Pochissime case, una taverna, forse un Motel, forse uno shop con le specialità locali. Miele squisito. Cosa particolare, c’è spesso un chiosco che di fatto è il piccolo museo della collettività. E allora capisci molte cose : alle lignee pareti hanno appeso, per immagini con riproduzioni di foto d’epoca, la loro breve storia a cui tengono però moltissimo. Ne ricordo una davvero unica. Eravamo sulla West Coast, strada panoramica alta, tra fitte pinete, sul mar di Tasmania. Una strada non proprio
facile, da farsi intendo. Ebbene all’interno del chiosco, da cui spaziava un orizzonte mozza fiato, mi colpisce la copia di una vecchia foto ingiallita : un tale, con baffoni e cappellaccio da pioniere autentico , seduto su un carro trainato da una coppia di buoi tipo maremmano stava doppiando, tra le onde, proprio il capo dal quale stavo osservando il mare ! Allora non c’era altra via che passare con la bassa marea tra sponda e scogli. La riva fittamente boscosa era assolutamente impenetrabile.
Tra luoghi e gente c’è sempre stata identità. Quando li vedi lavorare su questi campi non capisci da dove siano arrivati, forse da una fattoria laggiù tra alti pioppi, solitaria come la loro vita. In origine i primi ad arrivare si devono esser divisi la terra, le colline, i torrenti.
E allora ecco Fargusson Hill, la collina dei Fargusson con tanto di casetta e ranch per le pecore, oppure MacKenzie creek, il ruscello degli scozzesi oppure George Bridge, il ponte che evidentemente fece Giorgio, che porta ad un delizioso viale alberato di meli.
Devo averla fatta lunghetta, alla prossima con i laghi.


I laghi del sud, Te Anau 11 aprile 2013

2013-04-11


Quando rimetto in moto, il piccolo villaggio di Haast è ancora assonnato e l’erba bagnata di rugiada. La strada sale subito verso l’interno , verso est: i raggi radenti del sole, che fa capolino tra le alte colline che chiudono la vallata, mi arrivano obliqui, giusto negli occhi. La luce, perfetta, fa brillare argenteo il fiumiciattolo che ci scorre a fianco contromano.
Più di cento chilometri e contiamo due o tre macchine. Ormai abbiamo la vallata, bassa, alle spalle. Ora un cartello ci avvisa che tra duecento metri c’è un punto panoramico. Sicuramente il Wanaka Lake, il primo. Dimenticavo, questa è segnata come Scenic Route ovvero strada panoramica, francamente a noi sembrano tutte Scenic , tanto sono indifferentemente spettacolari.
Ed infatti la vista che ci si presenta dal poggio è davvero Scenic. Una collana di alti montagnozzi, aranciati e verdastri, violacei nei costoni ombrosi, abbracciano una superficie immota. Il cielo è azzurro manganese, leggermente striato. Il lago del medesimo colore: sembra che qualcuno abbia ritagliato il cielo e l’abbia portato a fondo valle. E lì che andiamo. Qualche tornante in discesa ed usciamo tra i pini di un flat.
Raggiungiamo la sponda, candida di ciottoli. Sbiancati arbusti. Non siamo soli.
Sul green del vicino prato una coppia, giovanissimi, sta oliando le bici. Hanno dormito in una canadese tra i pini. Mentre sale una leggera bava che si stende con leggere increspature, riprendiamo la via.
Pochi chilometri, piccola sella ed ecco il secondo lago, Hawea Lake. Altra meraviglia.
Mi sto godendo con l’obiettivo controluci impossibili, cerco con la videocamera di rubarne i contorni, ma con scarso successo. C’è troppo spazio, solo l’occhio riesce a fissarlo nella mente. Sono quei momenti in cui , se parli, parli sottovoce. Spazio e silenzio.
Dura poco. Si ferma una monovolume. Scendono tanti giapponesini, non finiscono più, da non credere quanti. C’è ne sempre uno che sembra l’ultimo…forse rientrano dall’altra parte. Hanno tutti tra le mani un gingillo video. Nikon con tele maxi, microcamere, smartphone, spariscono dietro ai tablet. Sembra di essere nel duty free di Electronics a Dubai. Sono colti da un fremito collettivo: farsi fotografare con dietro il lago. Il grand’angolo non basta mai e continuano a spostarsi, prima a coppie poi in gruppo. Il cicaleggio cresce, per fortuna non capisco. Ne abbiamo abbastanza, alziamo i tacchi e via.
Alla fine la via ci riporta a Wanaka paese, proprio sul lato sud est del lago.
In realtà più che un paese, è un centro turistico proteso sulla sponda del lago.
Troviamo un tavolino al sole e scopriamo il mocaccino, una specie di capuccino alla cioccolata. Delizioso con il muffin al mirtillo, appena tiepido.
C’è tutto il tempo per osservare le micro scenette che compongono l’insieme incorniciato della sponda. Piccoli biondissimi ruzzolano sull’erba tra papere in fila scodinzolanti, nel gazebo un gruppetto si crogiola al sole, più in là, immobile, una coppia semplicemente osserva qualcosa verso il centro lago. Altri sdraiati leggono. La luce è difficile. Sembra che ci sia foschia, ma non è così. I raggi riverberano da più direzioni, scompongono le tinte ed i contorni…già, ecco cosa mi ricorda: di Seurat la Grande Jatte, il lungo Senna in quella tranquilla domenica d’altri tempi e c’era pure il cagnolino. Nel baluginare una piccola vela.
Da non credere. Sui prati del lungo lago alcuni giovani sono intenti ad imbiancare grandi tavolate distese sull’erba. Sembrano grandi tele pronte per essere dipinte. Guardo e non ne capisco l’uso. Sembrano imbianchini, più che pittori. Quello più vicino a me sta semplicemente completando il suo riquadro, semplicemente bianco. E così via anche gli altri, uno accanto all’altro. Per seguirli alzo appena lo sguardo: sui lampioni lungo la via pendono al vento vessilli colorati. Domenica ci sarà la Festa dei Colori. Sarà un caso…


Opua, 30 aprile 2013

2013-04-30 to 2013-05-04

Finalmente di nuovo in acqua.
Interrompo il racconto del giro nella South Island : oggi finalmente siamo tornati in acqua, non senza patemi.
Mentre il travel-lift spostava Eutikia allo scalo, siamo rimasti a bordo.
Il driver prendeva le curve che sembrava Alonso e noi sopra a dondolare tra il sinistro cigolare delle fasce. Arriviamo e ci calano subito in acqua. Altre barche stanno aspettando, la marea è alta, ideale per i vari. Ormai so che il momento cruciale è il primo start del motore. E infatti, giro la chiavetta ed il motorino di avviamento non da praticamente segni di vita.
Avevo lasciato l’incarico a Rob, l’elettricista locale, di controllare e caricare tutte le batterie durante la nostra assenza. E così sembrava avesse fatto, pure con soddisfazione reciproca. E invece , nonostante glielo avessi ricordato, aveva tralasciato involontariamente proprio la batteria dello start che nella mia barca è separata dalle altre e che richiede quindi una ricarica separata. Era convinto che con il carica batteria si caricassero tutte insieme.
Mai fidarsi e ripetere sempre almeno tre volte, …soprattutto se non in italiano.
Vado a cercarlo di corsa, mentre gli altri sbuffano. Passa mezz’ora ed arriva con una batteria nuova. Pochi minuti e lo Yanmar parte gagliardo. Fiuuuu !
Sono caldamente invitato ad accelerare. Peccato che la marea abbia vistosamente incominciato a calare e la corrente prende, come un fiume, di traverso lo scafo prigioniero nello scalo strettissimo, con la sponda di cemento all’altezza dei candelieri. Spingi di qua e tira di là, la Marina zompa e spinge con tutto la forza che in queste situazioni viene fuori, e riusciamo a far scapolare i candelieri. Un ultimo colpo di bow thruster e con un’accelerata, molto rischiata, siamo fuori. Ora inizia un’altra storia.


I fiordi di sud ovest, 12 aprile 2013

2013-05-08

I fiordi del sud ovest , 12 aprile 2013

Da Te Anau alla radice del fiordo Milford Sound ci sono 120 chilometri. Tra i più spettacolari. Partiamo di buon mattino, dobbiamo essere al terminal 20 minuti prima della partenza prevista per le 10.30.
La strada fila liscia lungo una vallata tutta ocra immersa in basse nuvole, poi si infila in una densa foresta costeggiando argentei laghetti. Abbiamo tempo e ci fermiamo per riprendere questa natura che non smette di sorprenderci. A pochi chilometri dal fiordo si apre uno squarcio tra il folto verde: da uno slargo si apre una panoramica sulle montagne che si raccolgono attorno alla gola del fiordo. Per fortuna c’è sole e le cime scintillano bianche di neve. Altre foto. Mi viene così per la mente un pensiero… forse scontato ? Di fronte a tale rappresentazione di questa natura, ormai da giorni, così di selvaggia e primordiale bellezza, mi riesce di attribuirle solo e semplicemente una serie di aggettivi. Insomma
l’elogio del colpo d’occhio. E’ come quando da bambini si sfogliavano i giornaletti, guardando le figure. Con il mare è diverso : l’esperienza, l’occhio interpretano i singoli fattori, nuvole, vento, le onde. Il mare-natura si scompone e mi diventa comprensibile, …abbastanza.
Qui le cose si complicano. Mi mancano troppi pezzi per ricomporre il mio puzzle.
Che tipo di albero è quello laggiù , tutto rosso ? Come si chiama quella cima ? In maori hanno significati mitici. E quell’uccello che fa sentire il richiamo tra le felci ? Ogni collina, ogni ruscello, ogni pezzo di natura ha un nome di qualche famiglia, di qualcuno, quali le storie ?
Faccio l’ultima foto e via e…tra una sosta e l’altra, arriviamo giusto in tempo.
Ci imbarchiamo al volo e ci piazziamo sull’ultimo ponte del bel battello.
Fa freddo e tira vento, ma il sole tiene. La prua supera strettoie tra alte quinte di rupi fradice e muschiose. Cascatelle ovunque. Quando raggiungiamo l’apertura al mare, l’onda lunga si fa sentire e soprattutto la sentono i soliti giapponesini. Ampia virata e rientro in acque più tranquille. Qualche fochetta sbircia annoiata e seccata questo ripetersi di foto turistiche. Il comandante ci mette del suo: porta la prua a farsi la doccia proprio sotto ad una bella cascata. Belle foto ed anche una bella spruzzata per tutti.
La gita finisce in gloria con l’alto profilo dei picchi ritagliato nel blu del cielo.
Il giorno dopo. Doubt Sound si trova qualche miglio a sud. E’ forse più imponente, e meno racchiuso. La giornata decisamente uggiosa, ma non piove. La natura, violacea, plumbea offre scorci sinistri, oggi si direbbe, inquietanti. Il comandante, con il quale riesco a scambiare qualche informazione sulla navigazione, segue, immagino, il solito programma.
Con un po’ di fortuna azzecca un branco, vivacissimo, di delfini. I giapponesini impazziscono. Poi succede una cosa inaspettata.
Entra in un ramo raccolto, un piccolo specchio immobile di fiordo. Accosta alla riva scoscesa di immoti alberi autunnali e spegne i motori. Invita tutti a qualche minuto di assoluto silenzio. Da noi sarebbe impossibile


Aoraki , 16 aprile 2013

2013-05-15



Aoraki , 16 aprile 2013

Ampie, nere volute di fumo tingono il cielo. Dalla plancia il capitano da tre colpi di sirena ed un trillo continuo arriva in sala macchine. Laggiù nel buio rossastro di fiamma, il fuochista lancia palate di carbone all’interno dello sportello delle caldaie. Il volto, due occhi cerulei cerchiati di nera polvere, due baffetti a manubrio con pizzetto, sembra uscire da un dipinto di Manet. E sì, sono proprio immagini d’altri tempi.
Siamo a bordo dello steamer, piroscafo a vapore, TSS Earnslaw. Un vero pezzo di storia qui a Queenstown. Ci siamo saliti al volo per una breve crociera sul Wakatipu Lake.
Il paesaggio è quello di sempre, ormai l’avrete capito che siamo rimasti molto colpiti da questi spazi, ma il vero personaggio è questo vapore. Come giri sui ponti, oppure ti affacci alle caldaie, o ti soffermi alla grande cabina ristoro, ti sembra di far la comparsa in un film di Luchino Visconti.
Il tramonto si tinge di rosa e sulle sponde gli aceri s’infiammano tra i gialli dell’autunno avanzato. Il villaggio, dedicato alla regina Vittoria, offre il meglio di sé. Nei pub lungo il molo il buon vino non manca, mentre si allungano le ombre della sera.
Fondata dai cercatori d’oro, trova ora la sua fortuna nel turismo, soprattutto invernale, circondata da alti rilievi e da importanti catene montuose.
La vicina Wizel è la base di partenza per l’ultima escursione in programma.
Andremo sotto al monte Auraki, il perforatore del cielo dei Maori, ovvero il monte Cook, questa volta dalla parte est.
La strada scivola via deserta, come al solito, lungo le sponde del Pukaki Lake, anzi sembra quasi ritagliare un’ immensa fusione di vitrea opalina azzurro lattice. Il colore dei laghi qui è spesso inconsueto. Più che riflettere il colore del cielo, tradiscono la composizione dell’impasto del fondo: detriti sabbiosi e biancastri, impronta dei vecchi ghiacciai.
Il lago, in fondo verso ovest, si restringe prima dell’ultimo slargo della vallata sovrastata dal biancore della cima del monte Cook. Per fortuna il tempo tiene: c’è sole e ci aspetta una bella camminata. Speriamo.
La strada finisce al piccolo parcheggio del centro turistico. Tutti i residence sono tinti in grigio, nero come le rocce che li sovrastano. Quasi invisibili. Tra tutti, solo uno a più piani l’Heremitage, spicca per le sue dimensioni. E’ modernissimo, terzo di due spazzati via dalle valanghe. Ora ospita anche un museo in ricordo di Hedmund Hillary, il primo a salire sulla vetta dell’Everest nel 1953, dopo aver scalato il monte Cook nel 1948. Ora l’uomo più famoso della Nuova Zelanda non c’è più, ne restano solo una statua ed il suo nome sui gadget dello shop.
Il sentiero parte subito in discesa, verso un turbinoso torrente. Sulla collinetta che domina il bivio tra due vallate una piccola lapidea piramide, nera. Un memorial per i duecento scalatori che l’Auraki si è portato via da fine ‘800. Questa montagna ha troppo da farsi perdonare.
Naturalmente non guadiamo il torrente ma passeggiamo comodamente attraversando un superbo ponte sospeso nel vuoto. E’ nuovo, legno e acciaio, un vero spettacolo.
Il sentiero prosegue insinuandosi tra alti costoni, e costeggiando il torrente incontriamo un secondo ponte, uguale al primo. Altre foto. Poi, senza grandi dislivelli, il sentiero si trasforma in una passerella a travetti lunga qualche centinaio di metri. Evitiamo così di finire nel fango. Non sappiamo esattamente dove ci porterà, la guida parla di una breve escursione e ci siamo fidati. Il cielo si sta coprendo rapidamente, ma dovrebbe tenere sino al tramonto.

C’è solo silenzio e qualche lontano rimbombo, eco di slavine lontane sotto ai ghiacciai.
La sagoma piramidale dell’Auraki è ora lì, sembra quasi di esser ad un campo base, ed invece ecco improvvisamente apparire un laghetto lattiginoso. La superficie immobile riflette il ghiacciaio da dove nasce, mentre piccoli vitrei iceberg, sculture galleggianti di Henry Moore, derivano verso le morbide rapide del torrente.
Il sentiero finisce qui ed anche questo nostro troppo breve viaggio nella South Island.


Suva, Isole Fiji , 1 giugno 2013

2013-06-01

Situazione miserevole
Siamo arrivati da Opua, Nuova Zelanda, il 27 maggio all’alba. Da allora non ha praticamente smesso mai di piovere. Altro che Pago Pago e la sua “Rain” alla Maugham !
Comunque ora siamo qui in boa tranquilli di fronte al Royal Yacht Club che di Royal non ha proprio nulla, tranne il diluvio.
Ma andiamo con ordine. Avrei pensato di suddividere in tre parti il racconto di quest’ ultimo passaggio di 1.200 miglia. E’ stato piuttosto intrigante e potrà coinvolgere anche i meno interessati a cose nautiche.
La risalita dai 35° Sud di Opua alle isole dei tropici dicono sia più semplice che non la discesa…sino a prova contraria.
Il problema numero uno è quello di evitare le depressioni in arrivo dal Mar di Tasmania, spinte dall’incipiente inverno australe. Prendiamo tutte le previsioni possibili, ma i giorni passano senza finestre decenti. In più abbiamo a bordo l’amico Gianni che verrà con noi sino alle Fiji ma con un biglietto aereo di ritorno per il 6 giugno. I tempi non sono proprio laschi.
Intravedo una finestrina per il 19 o 20 maggio e decido di avvalermi, come per l’arrivo , dei suggerimenti di Bob Mcdavitt, il guru del tempo da queste parti. Mi risponde subito e mi conferma per il 20. Discreta possibilità, poi nulla per diversi giorni. Si parte !
Salutiamo questa Nuova Zelanda davvero unica con una natura splendida ed usciamo da Bay of Islands. Ed è subito randa e motore, poi bolina e maretta che sale.
Pensiamo di raggiungere le Fiji a Savu Savu, un bel fiordino a Est. Poggio un po’, ma non troppo perché devo raggiungere i 30° Sud al più presto: sta arrivando una nuova depressione con rinforzi da Nord Ovest, meglio evitarla e farla passare di poppa. Se poggio può raggiungermi. Se salgo aumenta la bolina e la vita a bordo si complica. Cerco un compromesso: 20° per Nord Nord Est e 300 miglia da fare di corsa.
Alla fine ci becchiamo la codata della Bassa : groppi a non finire e acqua torrenziale, se non altro ci puliamo la barca.
All’ultima accensione del generatore c’è qualcosa che non va. Come temevo esce poca acqua. Si blocca con allarme circuito di raffreddamento acqua di mare.
Per ora non posso fare nulla troppe onde, ma domani dovrebbe calare. Entreremo in una alta che si sta formando: forse qualche ora per vedere cosa è successo.
Ma lo vedremo al prossimo report. Ah! Dimenticavo : l’ultima notte tra un piovasco e l’altro è apparso un arcobaleno di luna, immenso, da una parte all’altra dell’orizzonte… ti domandi chi sei.


Suva, 2 giugno 2013

2013-06-02

 


Da quando siamo tornati a bordo ad Opua il generatore non mi convince : l’acqua che esce sembra troppo poca. Però dai controlli fatti sembrava tutto ok. Ora si è bloccato
tutto !
Il mare si è calmato e filiamo a vela. Scendo a trovare i miei amici in sala motori.
Apro la piastrina che copre la girante e resto stupefatto: la girante è in bricciole. Mai vista così. Pulisco per bene il tutto e rimetto una girante nuova. Ma non entra completamente.
Provo e riprovo, niente da fare. Prendo una torcia ed illumino per bene l’asse di inserimento: la chiavetta è deformata ! Bel problema. Per fortuna ho a bordo una pompa completa nuova. In una mezz’oretta la sostituisco. E riavvio. Tutto ok, nessun allarme, per ora, ma l’acqua che esce è sempre troppo poca. Meglio non usare il generatore. Caricheremo le batterie con il motore principale. Però bella seccatura !
Meglio dedicarsi al meteo. Un’alta pressione a Est prende forza, noi siamo tangenti al suo lato a ponente: brutto affare! Nell’emisfero Sud le alte girano in senso anti-orario e quindi vento contrario garantito intorno ai 20 nodi con relativa onda.
Aggiorno i GRIB per veder l’evoluzione e vedo che anche Bob mi manda un aggiornamento. Mi dice di andare più a Est con il vento da Nord Ovest e poi di virare con l’arrivo del Nord Est. Nuova rotta sui 350°e percorso più lungo.
Ci sono però due componenti negative. Se va tutto bene dovremmo arrivare al tramonto, ma l’entrata è tra la barriera corallina, serve la luce, altrimenti restiamo fuori sino al giorno dopo. E qui si presenta una nuova rogna : una bella Bassa si sta formando rapidamente a Nord Ovest delle Fiji ed arriverà presto su di noi con 35 nodi garantiti , forse più.
Dobbiamo correre ed evitarla, lasciandola scorrere di poppa : noi verso Nord, lei verso Sud Est.
Abbiamo ancora un giorno per decidere se proseguire su Savu Savu oppure accorciare e poggiare su Suva.
Il giorno dopo il contesto peggiora e Bob ci manda un aggiornamento che non mi piace per nulla. Rischiamo di arrivare, dopo una dura bolina, troppo tardi con lo scuro e la zona è disseminata di scogli.
Al tramonto, breve consulto, e puntiamo su Suva di bolina larga. Molto meglio e dovremmo anche evitare con una certa tranquillità la Bassa in arrivo.
Ma ai noi ! Le sorprese negative non sono finite !
Alla prossima .


Vuda Point Marina, 5 giugno 2013

2013-06-05

Nel frattempo Gianni 2 è sbarcato e per fortuna dopo tanta pioggia il sole alieterà almeno le sue ultime due giornate prima del rientro ed anche le nostre. Non perdiamo l'occasione infatti di trasferirci nottetempo al Marina di Vuda Point per alcune riparazioni. Ma ne riparleremo.

Ma torniamo a dove ci eravamo lasciati : alla decisone di poggiare su Suva.
Al tramonto la cena è pronta e ci gustiamo un’ottima pasta al ragù by Marina.
Subito dopo esco a controllare le vele per il vento in leggero calo.
Bisogna lascare ed aprire un po’ il genoa. Detto, fatto. Peccato che il genoa si srotoli completamente e non il minimo voluto. Sfrappp…e tutto fuori !
Pessima notizia. Proviamo ad avvolgerlo, niente da fare. Si riapre. Se il vento aumentasse sarebbe un grossissimo problema. Mi metto la cintura di sicurezza e vado a prua per vedere da vicino.
Probabilmente il perno che rende solidali le due parti del rulla fiocco slitta e libera la parte superiore che si srotola. Cerco di pressare verso il basso il perno con un cavetto e torno in pozzetto E’ un vecchio problema di alcune barche come la mia ed io l’avevo risolto bloccando il perno. Forse non basta più.
Riproviamo a svolgere il genoa. Pare che tenga, ma alla prima raffica parte tutto.
Punto e a capo. Torno a prua, ormai fa buio. Il genoa deve esser arrotolato, non possiamo rischiare un rinforzo di vento con tutta la tela fuori non riducibile. Riprovo a serrare e torno in pozzetto. Niente da fare. Ora il problema è avvolgerlo comunque, ne faremo senza.
In un buco di vento tento di riavvolgerlo. Al primo tentativo non va. Poi colpo di fortuna ! La cosa riesce e lo avvolgiamo per bene come un salame con le scotte.
Scampata bella. Non resta che accendere il motore e via con randa e mezzana con 60° di bolina larga. Ci aspettano 200 miglia e speriamo che il vento non giri in prua.
Non posso poggiare perché sottovento ci sono le barriere coralline dell’isola di Kandavu.
Il tempo tiene e noi pure. Arriviamo di notte di fronte all’entrata del porto di Suva, aspettiamo l’alba ed entriamo. Siamo arrivati, finalmente orizzontali ed immobili, ancoriamo di fronte allo Royal Yacht Club.
Scendo in cabina e passando nel corridoio verso poppa sento un bel calore : le batterie !
Stanno bollendo, acqua ovunque e gas. Per fortuna prima di partire avevo aggiunto acqua, ora sono cotte. Il giorno dopo abbiamo aggiunto circa 6 litri su un totale di 12 batterie
…e noi ci siamo goduti un Souvignon gelato dalle colline neozelandesi.


Vuda Point Marina, 10 giugno 2013

2013-06-10

Dalla Wunderkammer a Google .
Gli illuministi tedeschi la chiamavano “ la camera delle meraviglie” e vi raccoglievano oggetti meravigliosi, inconsueti, sconosciuti. Ebbene anche in barca potrei raccogliere innumerevoli cosette e proporre un quesito sul loro utilizzo che di meraviglioso ha ben poco, ma che spesso può cambiarti la qualità della vita a bordo.
Vediamo un po’. Nella foto vi sono quattro oggetti, ciascuno con una piccola storiella.
Cosa sono ? Un milione di dollari a chi azzecca la risposta !
Incomincio dalla più piccola. Si chiama chiavetta e serve a render solidale un asse di una pompa alla sua elichetta o girante. Se si rompe, si usura o va smarrita l’acqua non gira ed il motore si brucia, oppure l’autoclave non aspira l’acqua dai serbatoi. Insomma dove c’è una pompa c’è una chiavetta. Quella in foto è della pompa del generatore, pompa che ho
dovuto sostituire in navigazione perché la chiavetta si era rotta.
Il cerchietto nero è un o-ring dello Yanmar. C’era una leggera formazione di sali bianchi ed ossido, segno evidente di non tenuta. Meglio dare un’occhiata: chiamato il meccanico ad Opua, aperti i pezzi e scoperto o-ring spezzato. L’ultima volta l’avevo sostituito io in modo sbagliato. Sbagliando s’impara.
A destra le spazzole dell’alternatore 175 A dello Yanmar. Un vero mulo che andando a motore carica a dovere, alle volte anche troppo, le 12 batterie dei servizi. Ad Opua ho trovato Rob, un simpaticone sudafricano, esperto in alternatori con un efficiente laboratorio. Meglio darci un’occhiata dopo 3.500 ore di lavoro oscuro nel calore del vano motori. Le spazzole erano in avanzato stato di usura. Meglio sostituirle: detto, fatto.
Piccolo esempio di manutenzione preventiva. Molti non la pensano così, preferiscono riparare il danno, tanto una soluzione si trova sempre. Non sono fatto di questa pasta.
Per ultimo un piccolo prodotto dell’ingegno. A Bonaire, Caraibi, avevo rotto la leva del cambio del fuoribordo Yamaha contro il bordo di legno del moletto dei gommoni.
Niente leva, niente cambio e quindi niente motorino. Cerco ovunque il ricambio, niente da fare. Mi mandano però un improbabile meccanico. Sparisce per due giorni con il motorino.
Incomincio ad agitarmi, ma ecco che arriva, trionfante : ha trovato la soluzione.
Un pezzo di manico da scopa, un ferro mezzo arrugginito piegato a 90° ed una chiavetta da ¾, il tutto ben assemblato all’asse del cambio con colla epossidica. Ha funzionato sino a Suva, quando il tutto mi è rimasto in mano ! Qui ho trovato un meccanico indiano che mi ha installato la nuova leva portata da casa in mezza giornata…Bula Vinaka, grazie mille.
E per ultimo Google. Altro colpo di ingenio.
Normalmente navighiamo seguendo il simbolo delle nostre barchette su carte digitali.
Le carte digitali non sempre sono perfette e spesso, soprattutto nel Pacifico, non sono affatto dettagliate. Per meglio interpretare coste e fondali sino a ieri mi ero servito anche delle immagini offerte da Google Earth. Qui alle Fiji la navigazione è particolarmente difficile, direi sin dai tempi di Bligh e del suo Bounty, anzi c’è ancora una vasta superficie di mare che porta il suo nome ed è ancora molto insicura.
Ma c’è una novità: le immagini di Google si possono ora sovrapporre alle carte digitali ed in pratica vedi la barchetta solcare i mari digitali di Google !
Per informazioni : http://www.svsoggypaws.com/ è il sito di una coppia davvero altruista che propone suggerimenti e guide da loro aggiornate sui mari che hanno esplorato.
Alla prossima…working in progress …rulla fiocco, generatore ed altre amenità.


BENVENUTI alle FIJI

2013-06-12

Primo filmatino dalle Fiji in Our Movies. Il formato è ancora da registrare. Vedremo.


Vuda Marina, 16 giugno 2013

2013-06-17

Tre barche , tre storie…e che storie !
In questo immenso Pacifico alle volte il caso ti porta ad incontri davvero inaspettati.
Già l’anno scorso ebbi l’avventura di imbattermi in due nomi famosi : il rosso “Tamata” di Moitessier ed il catamarano giallo, “Banana Split”, di Antoine, proprio lui quello “…se sei brutto ti tirano le pietre, sei sei bello ecc..”.
Ora a Vuda Point altri tre incontri del tutto speciali.
Incominciamo da quello forse più romantico. “ Moana” ed il nome dice già tutto : l’azzurro più profondo della luce polinesiana. E’ la barca, il 39 piedi, dei Malingri. Una famiglia di veri marinai, direi meglio una tribù, tanti sono amici e famigli che hanno vissuto storie di migliaia di miglia per gli oceani. Doi, che ora non c’è più, Franco, Vittorio suo figlio, Giovanni Soldini e chi non li conosce ? Franco, da buon ingegnere, ha progettato barca, tender, ancora e timone a vento, il solido Mustafà. Ora barca ed armatore, dopo tanti anni e tanto mare, sono appena fanè, ma a vederli da vicino ritrovi sempre quello spirito forte, quell’attrazione di riprendere il mare. Franco , quasi ottantenne, è ripartito ieri verso Du Bai. Buon Vento !
Durante la stagione dei cicloni molti lasciano la barca qui a Vuda Marina. Non perché qui non passino, ma perché il sistema adottato per proteggerle è davvero curioso. Fanno un buco nella terra e le calano con la chiglia completamente infilata e l’opera viva adagiata su numerosi copertoni. Così impiantate hanno retto venti a oltre 150 km/ora. Ed è esattamente quello che è successo quest’anno a “ Barca Pulita” di Carlo Auriemma e di Lizzi Eordegh. Li incontro proprio accanto alla loro barca comodamente adagiata a terra.
Credo che molti velisti abbiano in libreria almeno uno dei loro libri : racconti avvincenti di avventure africane, di oceani, di genti sperdute su granelli di sabbia. Un libro da non perdere è “ Partire” : vero manuale per lasciare a terra il vecchio di noi e riprenderci l’orizzonte. www.barcapulita.eu
Ed ora un pizzico di anti-vela. Superata la passe verso Vuda Point , non senza timori con la luce bassa del sole esattamente negli occhi, intravedo una sagoma grigia superarmi, veloce, a dritta. Ancora assonnato, non realizzo subito . E’ un motor-yacht grigio, ma lo scafo è quello elegante e filante di una barca a vela. Ma sì, è l’ ”FPB” dei Dashew.
Coppia davvero particolare. Hanno girato ovunque con ketch splendidi e scritto molte pubblicazioni. A bordo conservo l’ormai datato, ma sempre attuale, “Practical Seamanship”: una piccola Bibbia per il velista d’altura. Da alcuni anni e con l’età , e visto che i quattrini certo loro non mancano, hanno deciso di cambiare sistema per girare gli oceani. Hanno progettato e realizzato con un cantiere inglese questa barca ibrido, davvero interessante. La rivista Yachting World le ha dedicato diversi articoli seguendo le varie fasi di costruzione. Per i più curiosi suggerisco www.setsail.com .


Nanuya-Sewa Anchorage, ovvero laguna Blu, 24 giugno 2013

2013-06-24

Bligh e ancora Google Earth

Stiamo navigando con un bel venticello da sud lasciando di poppa i lavorotti di Vuda Marina. Il tramonto si avvicina e siamo un po’ in ritardo. Dobbiamo prendere ancora il giusto ritmo. Puntiamo alla baia nord di Waya, ridossata dal montante vento da sud e dalla relativa onda lunga. Ci avviciniamo ed il vento invece cala. Si fa tardi, meglio accendere il motore.
Via il genoa , un colpo di chiavetta e …click, il motore non parte ! Riprovo, forse…no,no silenzio totale. In frazioni di secondo rivedo la carta nautica, dove andare a vela bordeggiando in uno dei mari più pericolosi del mondo di notte ? Per fortuna c’è la luna , ma basterà ? Riprovo, niente da fare. Un’idea ce l’ho: il solenoide di terra bloccato.
Scendo nel vano motore cerco di sbloccarlo. Niente. Controllo la batteria, è ok.
Torno nel vano motore con il W 40 , anni fa alle Lipari funzionò. L’adrenalina è un ottimo lubrificante. Ci riprovo. Niente. Ancora W 40. E vai con la chiavetta ! Ultimo tentativo. Poi bisognerà pensare diverso. Giro e BRUMMMM ! Che dolce musica !
Il giorno dopo sfiliamo a ovest delle Yasawa risalendo l’arcipelago che già visitammo nel 1999. Queste isolette sono davvero molto attraenti, ma un po’ troppo difficili da navigare.
Si allungano per 50 miglia da sud ovest verso nord est prendendo in diagonale il Mare di Bligh. Ancora lui, quello dell’ammutinamento del Bounty. Fu autore di un’impresa memorabile. Siamo nel 1789, abbandonato con 18 marinai rimastigli fedeli su una scialuppa di 7 metri, larga 3, riuscì ad attraversare Il Pacifico dalle Tonga, Isole Hapai, le Fiji, questo mare appunto, lo stretto di Torres ed arrivare in Indonesia, dopo esser sfuggito per giunta all’inseguimento da parte dei cannibali proprio tra queste isole Yasawa.
Da allora credo che la cartografia di quest’area di mare non sia cambiata di molto.
Ho di fronte 4 cartografie digitali. Ognuna con una descrizione diversa di quello che ho a prua. Per fortuna c’è Marina con binocolo ed occhi ben aperti, piazzata in buona posizione. Mentre in Polinesia francese la cartografia era perfetta e la segnalazione marittima eccellente, qui se sei fortunato trovi qualche boetta nei pressi dei Resorts o qualche stecco appena visibile nelle passe. Obbligatorio, quindi, muoversi con il sole alto e senza nuvole e possibilmente con bassa marea con le secche semi emerse e i contorni più definiti.
E qui arriva il paradosso. Con il turismo è arrivata pure internet. Tra le palme spuntano torri ponti radio e sull’IPAD il segnale è abbastanza forte. Navighi ed hai internet a bordo.
Ebbene basta far partire l’applicazione Google Earth ed il GPS incorporato evidenzia immediatamente, con un puntino blu, la tua posizione dinamica tra isole e reef ed in fine con l’indicazione dei fondali per il miglior ancoraggio su sabbia.
Comunque l’esperienza e l’occhio di Bligh sono sempre la migliore risorsa !


Natura immota, Yasawa, Fiji 5 luglio 2013

2013-07-05

Natura immota. Sawa I Lau. 30 giugno 2013. A queste latitudini fa buio presto. Da un paio di giorni morbidi colori del tramonto avvolgono la baia, poi fanno capolino, rapide, le prime stelle. L’acqua è uno specchio violaceo. La barca immobile, i leggeri segnavento pendono senza alcuna vibrazione. Nel Pacifico è la prima volta che ci capita, per più giorni, una tale pace. Ceniamo in pozzetto sotto un cielo stellato. Partendo dalla Croce del Sud non è difficile riconoscere le altre costellazioni. Eutikia, immobile, galleggia tra le luci riflesse delle stelle. Le colline ci circondano, cornice d’indaco. Sembra d’esser ancorati tra le stelle. Stelle, stelle ovunque. Poi con un leggero chiarore, diafano tra liquide nubi basse, fa capolino la luna, non più piena. Mentre sale s’appoggia sulle creste, ora nitide, delle nubi. Vetroso merletto d’opalina. Il riflesso ora si allunga verso di noi e passa oltre. Noi restiamo qui, immobili, la voce quasi non c’è. Solo silenzio. Non un brusio lontano o luci d’uomini, il piccolo villaggio buio, s’è addormentato. La piccola laguna brilla e si schiara, da non dimenticare. …Naviti, Soso Bay, 3 luglio 2013. Eutikia è avvolta da turbini, raffiche violente scendono dai montagnozzi e spazzano l’ancoraggio. Per fortuna siamo aperti solo a Sud, la previsione da 25, 30 nodi di aliseo da Est Sud Est. La risacca è debole, ma le raffiche saltano da prua a poppa, l’acqua attorno sembra bollire. Le raffiche fanno fumo. Notte scura, senza stelle e sonno. Anche questo è Pacifico.


VANUATU, Aneityum - 14 luglio 2013

2013-07-14

Fiji - Vanuatu passage. Dall'auricolare una dolce, rilassante melodia di flauto. E' notte fonda, al buio del pozzetto ho trovato questo Minuetto di Gluck sul display troppo luminoso dell'IPOD. Fuori, oltre la cappotta, cerco di capire cosa succede : ventaccio e onde spazzano la coperta, i vetri sono incrostati di sale. Una misera lunetta si fa forza tra le nubi. Sembra voler dire: " …ci sono anch'io, forza ! Un po' di luce tra questi nuvolacci riesco a darvela ! " Non si può dire che sia una notte di quelle facili. Questo tempo in effetti non me lo aspettavo. E' vero che per noi questi mari sono sempre una prima volta, ma un certo occhio sul meteo ormai me lo sono fatto. Per andare ad Ovest serve un buon aliseo sui 20 nodi da Sud Est, niente Basse in arrivo e che la zona di convergenza, ovvero pioggia e temporali, stia a Nord verso l'Equatore. Tutto ciò muta però rapidamente e la previsione regge per i primi 4, 5 giorni. Sono quelli buoni per noi per un passaggio di 450 miglia. Così, in realtà, l'attraversata inizia diversi giorni prima navigando sui dati meteo che arrivano copiosi a bordo grazie alla formidabile copertura 3G internet .
Vedo una buona finestra con partenza per giovedì 11 luglio, poi è previsto ventaccio per almeno una settimana e le Vanuatu ci aspettano. Meglio partire. La notte prima di ogni partenza passa quasi insonne, come sempre, per l'inevitabile tensione, nonostante la camomilla. Per giunta il trenino della canna da zucchero che passa vicino al marina ha fischiato due volte in piena notte. Tutti i cani della zona si sono messi ad abbaiare e non meno hanno urlato improperi gli abitanti del misero villaggio lungo i binari..
Al mattino sorpresa bellissima : gli addetti del marina si sono raccolti davanti alla nostra prua e ci hanno salutato con canti di buon augurio per la nostra navigazione. Lo fanno sempre, ma lo spirito è sempre quello vero, genuino. Ti salutano e sperano di rivederti ancora . Ciao, ciao, vinaka, davvero grazie, e baci a tutti…e le cime sono a bordo. Si va, non senza commozione.
Passiamo tutta la mattinata nel vicino porto di Lautoka per le pratiche di uscita. Ma sottovaluto la distanza tra il porto e la passe di uscita. Vento e corrente contraria ci frenano. Arriviamo tra i reef che è buio. Brutto affare. Per fortuna conosciamo il canale che è del resto ben segnato sulla carta del plotter. Passare tra la barriera corallina è comunque stressante senza vedere il colore dell'acqua. Finalmente siamo fuori, già stanchi per la piena giornata e ci aspetta la prima notte. Mi rilasso, diamo vela e la barca va. Il mare monta subito appena fuori di qualche miglio ed inizia la danza.
La prima notte dovrebbe esser buona con venti a poppa via, non sostenuti. E così sarà.
Ma l'onda da Sud monta subito vistosamente, ci prende di fianco e si rolla non allegramente. Noi poi dobbiamo riprendere il piede e la notte passa lunga, quasi insonni. E sono due notti che non dormiamo. Il giorno dopo dense nuvole in arrivo. Le avevo viste sulle mappe meteo di previsione, ma non sembravano così dense. Il peggio è che sui rinforzi, quando ci passiamo sotto, il vento gira in prua e ci ritroviamo in bolina larga.
Dobbiamo continuamente ridurre e poggiare quando sale a 30 nodi e poi tornare in rotta .
Con il vento da poppa le variazioni di direzione e di intensità nel vento non ti costringono , di norma, a lavorare sulle vele, ma da mezza nave verso prua l'attenzione sulle vele è continua. In più non dobbiamo scadere sotto vento, dove vorrebbero cacciarci onde e corrente. L'aliseo maneggevole della previsione diventa così vento di bolina larga dai 20 ai 25 nodi. Filiamo a 8 nodi ma le creste spazzano la coperta che è un piacere…si fa per dire. Alle volte solo 10 gradi fanno la differenza. Al tramonto onde al traverso oltre i 3 metri, non cattive ma il vento ci spara sul fianco le creste capricciose. Arriva la notte e la situazione non muta. Facciamo turni brevi e dormiamo qualche ora di schianto. Il giorno dopo stessa storia. Prendo via radio un nuovo GRIB con la previsione del vento. Calerà, meno male. A metà strada continuiamo ancora in bolina larga, ma il mare appare in calo.
Ora si tratta di centrare l'atterraggio. Non vorrei scadere, trovarmi sotto rotta e mancare Aneityum. Mi tengo di riserva quei pochi gradi che mi ero messo da parte il primo giorno. E infatti mi tornano tutti buoni. Durante l'ultima notte vedo l'isola apparire sul radar , mancano 36 miglia. Ormai ci siamo. Vulcanica, verde cupo appare smeraldina nei contorni appena rischiarati dall'aurora. Accostiamo, giriamo alla larga da un' enorme barriera corallina che protegge la baia e filiamo dritti verso il ridosso di un palmeto. Giu' l'ancora, finalmente immobili, mentre il vento fischia forte tra le sartie
Si avvicina una barchetta. Salutiamo e lo invitiamo ad accostare. Lui, con un faccione davvero simpatico, ed un riccioluto bambinetto, scuro scuro. Ci da subito il benvenuto mentre allunghiamo un pacchetto di caramelle per il piccolo. Per noi invece arriva del tutto inaspettato un pesciazzo memorabile ! Era un pescatore, da domani sempre pesce fresco ed… altre storie.


VANUATU - Aneityum - 17 luglio 2013

2013-07-17

Tra passato e futuro. Il sentiero, terra rossa tra verdi praticelli, segue un filare di palme proteso verso il blu della baia. Raggi di luce penetrano tra fronde, mosse da un vento rafficoso che scende dalle colline, ed illuminano in chiaro scuro le casette sparse lungo la via.
La cromia dei panni al sole compete con le corolle dei fiori, qua e là ordinati nelle misere corticelle. Incontriamo volti di donne che sorridenti ci danno il benvenuto. Altri lavorano attorno ad una nuova casetta. Ragazzetti ruzzolano qua e là e si avvicinano incuriositi, smorfiosi. Sono i nostri primi passi nel villaggio di Anelghowhat , l’unico dell’isola.
Passiamo all’ombra bluastra di un’enorme bananio, sorta di ficus con una ricca chioma ad ombrello. Sotto, scavi in corso fanno intravedere il tracciato di primordiali pietre di insediamenti lontani nel tempo. Poco discosto un rudere calcinato: grige, squadrate pareti sono quel che resta della prima Missione. All’intorno prati verdeggianti e due macchie di pietra scurita dai licheni. Sono le lapidi del reverendo Sweet W. Willie e della sua piccolissima figliola, 1892. Saranno state vite durissime , ma non saprei se questa dedizione abbia giovato per certo alle conquistate anime.
Lasciamo questi spiriti per un abbaglio di sole sulla spiaggia che si allarga circondando l’ancoraggio. Scorci davvero superbi. Qualche foto e ci inoltriamo ancora tra i viottoli sbirciando qua e là. Tra il folto della verzura un piccolo chiosco di travi con un piccolo balcone. E’ il Micro Market del villaggio. Una leggera pergola di fronde lo circonda. A terra due bimbette giocano. Mi avvicino e resto stupefatto. Sono rapite, estasiate da un lab-top con tanto di tastiera, suoni e colori. Per fortuna è solo un giocattolo. Ma ?! Il sentiero ci riporta verso l’arenile. E ritroviamo il nostro pescatore, Joel. Davvero simpatico, come sempre, circondato felice da numerosi bimbetti. Ce li presenta ad uno ad uno, una foto con tanti sorrisi. Torniamo lungo la spiaggia raccogliendo piccoli lucenti ricordi


Vanuatu, Aneithyum e Tanna, Acqua e Fuoco, 21-25 luglio 2013

2013-07-31


Acqua : abbiamo appuntamento alle 8 sulla spiaggia del villaggio di Aneithyum con una coppia, Tim ed Anne, sono venuti dall’Australia con un bel catamarano. Li abbiamo conosciuti l’altro giorno passeggiando lungo la riva e ci hanno invitato ad andar con loro alla scoperta di una cascata all’interno della foresta pluviale. Ottima occasione per fare una bella camminata, a bordo ci si muove troppo poco. Incontriamo subito la nostra guida. Qui è davvero sconsigliabile muoversi da soli, ci si perderebbe subito come ci capitò alle Marchesi. Dovrebbero essere circa due orette, così almeno recita anche la Lonely Planet. E’ un ragazzotto timido, scurotto ed un po’ rasta. Un bel sorriso ed un bel macete tra le mani. Suo padre, capo del piccolo villaggio, ci assicura che Alisha conosce la foresta palmo a palmo. Bene, partiamo di buon passo lungo un sentiero sempre più stretto e fangoso. Il verde è impenetrabile e sale sino al cielo. Piccole macchioline lilla qua e là, sono orchidee che sembrano nostri ciclamini di montagna. Chiudo la fila, Alisha in testa si muove agile, sposta fronde, taglia cespugli, avanza leggero a piedi nudi. Sembra cammini lento, eppure dopo un’oretta sentiamo già un po’ di fatica. Fa caldo, si suda e si scivola. Ora c’è un torrente da passare. Qualche balzo tra le pietre e siamo di là. Ancora foresta. Ogni tanto piove, altrimenti non si chiamerebbe foresta pluviale. Ma la pioggia non è pioggia : il vento spazza le alte fronte ricche d’acqua e dense goccioline volteggiano sulle nostre teste tra piccoli arcobaleni. Altro torrente. Questa volta la cosa è più seria : è fondo e largo, niente sassi su cui balzare. Alisha incomincia a spostare massi per fare una dighetta. Entra nell’acqua, si da un gran da fare ma l’acqua è sempre tanta. Gli dico che non c’è niente da fare. Dobbiamo andar con le scarpe in acqua per passare. E così facciamo. Altra foresta, altro torrente e così via. Ormai sono già tre ore: nessuna cascata in vista. Chiedo lumi, mi dice che non manca molto, quanto ? Chiedo. Realizzo che non ha la nostra stessa cognizione del tempo, né dello spazio. Andiamo avanti, fradici d’acqua e di sudore. Risaliamo un torrente, passando da una parte all’altra non ricordo quante volte.
Scivoliamo continuamente e ci aggrappiamo a massi ed arbusti. Alisha ci dice che l’ultima volta l’ha fatta di notte con alcuni amici con una bellissima luna piena. Non oso pensare a noi nella stessa situazione. Poi ci racconta quando sorprese suo nonno per aver ucciso il suo primo cinghiale nella foresta. Arrivò al villaggio trionfante , quasi non ci credevano, era davvero piccolo, ma da allora Alisha non fu più un ragazzino. Ancora foresta: il cielo è sempre verde. Siamo a pezzi, dolori alla schiena ed alle gambe e meno male che dovevan esser solo due orette.
Ormai non ci credo più ed arranco. Sono ormai quattro ore e se penso al ritorno… Sento un rumor d’acqua ! Alzo lo sguardo e tra lo smeraldo oscuro intravedo una lama d’argento precipitare dal cielo. E’ lei. Che spettacolo !
Il tetto della foresta si apre a cerchio. La luce penetra finalmente profonda. Un anello verde si chiude là dove, con un balzo, l’acqua, quale brillante, si raccoglie e precipita verticale lungo un’alta, nera parete di roccia sino ad un placido laghetto. Restiamo attoniti, in silenzio, con il fiatone sospeso. Guardo Alisha. Sorride soddisfatto, noi più di lui.
Alla prossima…con il fuoco, assolutamente imperdibile !


Tanna, l’isola del fuoco, 25 luglio 2013.

2013-08-03

FUOCO. Immaginate un bel vascello d’altri tempi mentre, a vele ben bordate, sfila per entrare in una stretta insenatura. Superata la barriera corallina, ora lascia a destra alti roccioni, neri e rossastri propilei, a sinistra una lingua bassa, di palmeto.
Il bacino interno, appena adeguato per manovrare, brilla turchese al sole.
Pochi ordini, precisi. Serrate le vele, giù le ancore, manovra verso il vento di Sud Est.
Rallenta, trattenuto, sino a fermarsi. Poi lentamente scade sotto vento e si ferma.
Allo specchio d’acqua fa corona una fitta foresta smeraldina. Qua e là, fili di fumo salgono al cielo.
Qualche indigeno già appare sulle sponde, stupìto. Curiose canoe a bilanciere si muovono dalla spiaggia, nera. Sul ponte, pure lui stupìto ma di tanta bellezza, il Capitano James Cook, siamo nel 1774. Bordeggiando tra queste isole, che chiamò Nuove Ebridi, scorse verso Sud un profilo d’isola montagnosa ed al centro un’alta colonna di fumo. Sicuramente un vulcano e decise di darci un’occhiata, del resto era lì per questo: scoprire nuove terre era il suo mestiere.
Il ridosso sembrava eccellente: aperto verso Nord, Nord Est, buono per entrare ed uscire con l’aliseo dominante di Sud Est. Lo tracciò sulla mappa e tanto gli piacque che gli diede il nome del suo veliero: Port Resolution. Da allora Tanna e questa insenatura sono una delle mete più frequentate ed ammirate da chi attraversa il Sud Pacifico. Ma soprattutto perché lassù c’è il mitico Yasur, il suo vulcano sempre in attività.
Ci eravamo mossi da Aneithyum di buon mattino e già nel primo pomeriggio stavamo sfilando la costa Sud di Tanna. L’immagine era quella: scurissime montagne e le fumate, già visibili, del vulcano. Nonostante la sua notorietà, questa insenatura è tracciata malissimo sulle carte elettroniche, tanto da credere che non sia cambiato nulla dalla prima mappa di Cook.
Abbiamo però un ottimo wait point e vi entriamo senza problemi. Ora, dicono, il fondale si è ridotto di molto, 4, 5 metri, ma ottimo tenitore. La nostra permanenza sarà breve. Qualche giorno per visitare il villaggio e salire al vulcano che dalla barca non vediamo, ma che brontola sopra le nostre teste. Per giunta l’apertura della baia è una porta aperta alla risacca e se gira il vento l’ancoraggio diventa rapidamente non tenibile. Dovremmo comunque avere una buona finestra meteo e ci organizziamo per l’escursione.
Stanley, il piccolo boss del villaggio, ci procura, puntuale, il fuori strada che ci porterà al vulcano. Partiamo nel primo pomeriggio, l’ora migliore, ci suggerisce, per il tramonto e per godere dello spettacolo notturno offerto dal nostro Yasur. Il tracciato, assai scosceso, si inerpica fendendo la fitta foresta. Incontriamo sparuti gruppetti di locali che, in fila indiana, ritornano dai campi. Il raccolto sembra davvero misero, puoi leggere la fame nei loro occhi.
Proseguiamo a balzelloni. Con noi c’è pure una coppia di giovani russi venuti da Mosca con una barchetta, direi, di una decina di metri. Ora il viottolo si allarga, ma fuma. Spuntano fumarole ovunque. Alzo lo sguardo e lui è lì, oltre la cresta mossa della foresta: un cono, brullo e raso, di grigia lava. Arriviamo al piccolo parcheggio, preceduti dai soliti giapponesi. Saliamo subito, lungo un erto sentiero, verso il bordo del cratere. Mi volto e lo spettacolo è già iniziato. L’immenso Pacifico si dilata verso un orizzonte dove piccole nuvole corrono a tuffarsi: Aneityum a sud,Erromango a Nord, la piccola Futuna ad Est. Le Vanuatu per noi iniziano da qui. Mentre gli ultimi passi ci portano sul ciglio un forte brontolio, un boato poi, ci colpiscono e ci arrestano. E’ come una scossa di terremoto. Ti entra dentro. Proseguiamo. Ora siamo a pochi metri. Altri sono immobili, in posizione per meglio fotografare. Due, tre passi avanti ed il cono sprofonda in una voragine fumante. Non vediamo la bocca. Al tuono è seguita, sprigionandosi in ampie volute, un’alta colonna di fumo. Il nero sale, sale, si espande e colma prima il cratere e poi il cielo sopra le nostre teste. Mi ritraggo e ci abbassiamo d’istinto. Ma è l’aliseo di Sud Est, che soffia dalle nostre spalle, a garantire una certa sicurezza. Non sempre però. La visita è possibile solo al livello 2 , su 5, di attività, come oggi. Mentre segui il cangiante moto dell’enorme fumata, un sibilo dal profondo annuncia l’esplosione: una fusione di lava incandescente sale fiammeggiando, brandelli di lava incandescente proiettati in cielo ci superano per poi ricadere nel cono, roteando all’interno tracciando sentieri di fuoco sul nero basalto.
Marina si china e raccoglie, tra i tanti, un grumo nero e lucente, come di plastica bruciata: lava rappresa, forse di qualche più recente e forte esplosione. Ma ?!
Seguo il russo, decisamente avventuroso, verso l’anello più a Est del bordo. Un centinaio di metri appena, ma da lì scorgi che le bocche sono due. La più piccola, forse una decina di metri al diametro, vomita fuoco fuso. La posizione non mi convince e ritorno rapido sui miei passi. Un ragazzo del posto mi viene incontro : non avrei dovuto allontanarmi...ma per una ripresa in più! Oramai è buio, le ultime luci del tramonto sono oscurate da nero fumo. Yasur da il meglio di sé. Ogni boato, ogni esplosione illumina rossastra la notte.
OOOoooo, guarda questo !” “ AAAaaa… questo se el più beo ! “ come ai foghi !


Port Vila, 11 agosto 2013. Prima parte.

2013-08-17

Port Vila è uno di quei posti del Sud Pacifico forse non facili da raggiungere, di sicuro difficili da lasciare. Ben protetto in fondo ad una profonda baia, lo specchio d’acqua più interno è davvero molto confortevole e per di più ci sono le boe oppure anche la banchina al rustico Yachting World. La cittadina, capitale delle Vanuatu, al primo colpo d’occhio ha un aspetto caraibico. Un bel fronte mare, palme, sponde fiorite, ville niente male e quando scendi, bus improbabili che avanzano a suon di reggae. E poi si trova di tutto, o quasi, noi quattro batterie nuove in sostituzione di vecchie decotte da un tale Nick, ovvero Nikolas Retsinatis da Kalamata. Il mondo è davvero piccolo.

Il luogo più fascinoso è sicuramente il mercato. Ampie tese, allungate verso il  riverbero della baia, danno ombra ad una distesa di banchi. Ovunque verdure freschissime, ortaggi di ogni tipo e frutta tropicale. Ti immagineresti confusione, calca, urla dei venditori: niente di tutto ciò. Anzi, la merce appare esposta ben ordinata in mucchietti, ciascuno con il suo prezzo : una retina di pomodori da 1 kg, 500 vatu, circa 4 Eu, bella lattuga a 100 vatu a cespo e così via. Quando paghi ecco apparire una mano protesa dal basso, oltre il banco.

E’ una mano femminile, tra i banchi disposti a quadrato le donne, in abiti infiorati di buon gusto, chiaccherano sdraiate, accudiscono i piccoli, quasi sempre mangiano qualcosa.

Tra un quadrato e l’altro, occhio a dove metti i piedi : a terra in bel ordine ceste di cocchi, tuberi e radici di taro.  Nell’aria senti aromi speziati ed il fiuto ti porta in cicchetteria.

E già proprio così. Su due lunghi banconi, separati da uno stretto corridoio, si servono pietanze al salto. Leggiadre e variopinte scurotte servono involtini di verdura, pollo fritto o al curry, polipo su fette di quella che sembra polentina, insomma di tutto di più e tutto molto invitante…ma non per il mio sto invitante…ma non per il mio stomaco, troppo a rischio.  Appena esci dal corridoio verso la via trafficata, ecco la fioreria. Un tripudio di colori. Fiori enormi, carnosi, brillano al sole dei tropici e le matrone ben si mescolano con loro. Fatta la spesa, abbiamo le braccia allungate con le borse piene, buone per i prossimi isolati ancoraggi. Saltiamo sul primo piccolo e sgangherato bus, dopo pochi minuti eccoci a bordo con il reggae ancora nelle orecchie. Domani visita al Centro Culturale ed altre storie, et


Port Vila, 12 agosto 2013. Seconda parte.

2013-08-18

 

 

Roi Mata, la vera storia di un re cannibale.

Appena sopra allo Yachting World , dopo una breve salitina sotto una luce limpida solare, raggiungiamo il Centro Culturale. La costruzione è moderna, ma la foggia è quella di una capanna. All’interno, nell’unico salone, è raccolta la storia delle Vanuatu. Maschere, sculture in legno, conchiglie e persino archi e frecce usati nella più recente guerra di indipendenza, anni ’70, contro inglesi e francesi che curiosamente cogestivano l’arcipelago. La visita è davvero breve, non c’è davvero molto. Tranne due cose.

La guida del museo, accovacciata di fronte ad un pannello di sabbia, traccia con un dito, senza esitazione, un labirintico disegno. Dalle geometrie esatte prendono forma prima un pesce, poi una tartaruga. Avevo letto di questa abilità tipica di queste isole e vorrei sapere da dove nasce. Forse tratti di magia, forse semplici decori o passatempi ? Mi risponde che sono la loro storia. Suo padre gli raccontò così la storia del villaggio e così fu per suo nonno e così via. La storia di queste isole è tramandata da queste scritture e dalla tradizione orale. Ed arrivo alla seconda. In fondo alla sala è raccolta la documentazione di una ricerca archeologica, intrapresa proprio sulla scorta di una  tradizione orale. A nord di Efate, nel ‘ 600 circa, c’era il regno di Roi Mata. Era riuscito a pacificare tutta la zona di Port Havanah dopo innumerevoli stragi tra tribù rivali. Naturalmente ogni attacco si concludeva con ricchi banchetti a scapito dei poveri rivali. Ma anche Roi Mata lasciò il segno. Quando morì, i funerali durarono cento giorni, e ben cinquanta dei suoi fedelissimi preferirono morire dopo una potente ubriacatura di kava, non però la moglie che fu sacrificata, vittima involontaria. Il tutto è stato documentato, durante gli scavi in una vasta area, portando alla luce i resti di questi disgraziati e le loro misere acconciature.

Sull’isola di Lalepa è tuttora visitabile la grotta dove la tradizione vuole sia morto Roi Mata.

Andiamo a visitarla. Lasciamo Eutikia all’ancora ben ridossata dall’aliseo e sbarchiamo con il dingy sulla spiaggia di fronte, a Lalepa. Troviamo subito uno del posto, o meglio è lui che trova noi, che ci guiderà verso la grotta. Attraversiamo il piccolo villaggio. Povere capanne, una chiesa chiusa e tanti frugoletti che ruzzolano tra chiocce madri all’ombra di giganteschi pandani. Il sentiero serpeggia ora nella fitta vegetazione. In uno squarcio intravedo Eutikia, immobile. La guida si ferma e borbotta qualcosa. Qui parlano tutti inglese e francese, ma entrambe storpiate. Capisco che quel muretto di pietre indica il posto da cui i guerrieri partivano dopo abbondanti libagioni di kava. Finalmente sbuchiamo al bordo di una raccolta, dorata spiaggetta. L’acqua è cristallina. Verso terra, al di là di tronchi enormi, una parete di grigia roccia vulcanica. Una ripida, per fortuna breve, scalinata ci porta di fronte all’entrata della grotta. Entriamo, ed il buio è totale, dopo la luce abbagliante. La guida percuote la terra tre volte, non so il perché. Un po’ alla volta le pupille si dilatano e scorgiamo i contorni della caverna. La volta è alta ed incombente. Mi dice che una parte è recentemente crollata dopo una scossa di terremoto ed indica i massi a terra davanti a noi …e meglio pensare alle foto. Con le mani ci indica, or qui or lì, segni, grafie, incisioni. Una lunga fila di punti bianchi si allunga nella semi oscurità. Mi sta rivelando qualcosa. Con voce bassa, una leggera smorfia, ci racconta che ogni punto è un nemico mangiato…però che appetito ! E’ ora di tornare. Alla prossima.


Efate, Port Havannah 25 agosto 2013

2013-08-25

 

E’ la volta della consueta storiella tra fantasia e molta realtà. L’ho fatta un po’ lunghetta, ma c’è un finale a sorpresa.

“Quella mattina David si svegliò intontito. Non si stupì. La sera aveva bevuto con gli amici kava in abbondanza e poi , come sempre, il giorno dopo restava con la testa pesante.

Ma quella era stata una serata speciale: aveva messo gli amici a parte della sua decisione di andarsene dal villaggio con la sua famiglia. Sarebbe andato però non molto lontano, un giorno di canoa, sull’isola di fronte non ancora abitata. Così del resto avevano fatto da sempre i loro padri ed un po’ alla volta avevano abitato tutto l’arcipelago.

Si recò alla spiaggia, spinse in acqua la canoa, nuova appena incavata in un solido tronco scelto però tra i più leggeri, e si diresse verso l’isola. Voleva dar un’ ultima occhiata prima di trasferirsi. Il vento, appena steso nell’ampia laguna, era favorevole ed arrivò ben presto sul nero arenile della sua isola. E già poteva proprio dire che fosse sua, i suoi vecchi  infatti c’erano stati molto tempo addietro e vi avevano piantato un gran bel palmeto. Ora tornava sicuramente di gran utilità. Trascinò la canoa in secca e si fermò a contemplare dalla riva la lussureggiante vegetazione. C’era di tutto. Banani, grossi pompelmi, un bel albero del pane. Il palmeto era ancora in ottime condizioni. Poteva ricavarne molta copra da vendere bene e ricavare così tutti quei quattrini per mantenere  Sara ed i due più piccoli, ed anche il più grandicello, Rock, che stava al college a Lungaville.

Al villaggio c’erano stati dissapori con i vicini, ora invece vedeva tutto più sereno. Mentre pensava, indifferente, alle inevitabili critiche, si avviò al ruscello. Era appena nascosto alla vista dalla spiaggia. Tra il verde della foresta un’erta collinetta era cinta da nera roccia e da lì l’acqua aveva trovato il suo corso e si riversava a cascatella in un calmo trasparente laghetto. L’acqua era fresca e deliziosa, non verdastra come quella del villaggio. E per giunta c’erano quei deliziosi gamberetti neri che piacevano tanto a Sara. Accanto uno slargo tra la boscaglia sembrava fatto apposta per la capanna e per sistemare il recinto del bestiame. Si guardò attorno soddisfatto: non mancava proprio nulla. Forse era proprio un piccolo Paradiso terrestre, come quello che il Reverendo Alexander gli aveva descritto durante le lezioni alla chiesa. Non sarebbero neppure mancate le barche di passaggio, l’ancoraggio era ottimo, dicevano, e così si poteva scambiare di tutto. La laguna poi era ricca di pesce. Non poteva proprio desiderare altro.

Al tramonto fu di nuovo al villaggio. Sistemò la canoa e…” Ciao David, allora hai proprio deciso ? “ Era Moses, il suo miglior amico, forse davvero l’unico. “ Sì, sì staremo benissimo, c’è proprio di tutto ! “ Moses, si avvicinò ed appena sussurrò “… e se venissimo anche noi ? ti dispiacerebbe ? “ David, davvero , non se l’aspettava. Ma ne fu subito felicissimo. “ Sai “ aggiunse Moses “ la mia Eleonor, credo, si sia già intesa con Sara. Loro due sono come sorelle” Si abbracciarono, David non era più solo a prender quella difficile decisione. Ora erano due belle famiglie ed il duro lavoro certo non sarebbe mancato all’isola.

Venne il giorno della partenza. Raccolsero ogni avere sulla spiaggia e stiparono le canoe, all’ultimo momento saltò su di nascosto anche il cucciolo Soxy, il cagnetto compagno di giochi dei piccoli. Sotto l’ombrosa alta chioma dei baniani, la gente del villaggio si raccolse curiosa e stupita. Prima arrivarono i più giovani, poi anche i più anziani. Incominciarono a cantare, prima sotto voce come un lamento, poi sempre più forte, mentre i tam tam echeggiavano tra le capanne. David e Moses ne rimasero colpiti e salutarono emozionati alzando festanti le pagaie. Soxy, naturalmente, non fu da meno e si mise ad abbaiare come non mai mentre le canoe prendevano il largo.

Arrivarono quando il sole stava nascondendosi oltre i vulcani. Subito ci fu un gran da fare e la prima cena fu subito pronta: una zuppa calda e pesci alla griglia. La serata era splendida. Sorse la luna quasi piena, le stelle smarrite le facevano corona. All’orizzonte i due vulcani fiammeggiavano arrossando il buio della notte. Erano proprio felici : non mancava proprio nulla, anche la natura faceva la sua parte.

David in quel momento pensò al suo vecchio padre. Perché non chiamarlo e condividere quei momenti così emozionanti ? Allungò la mano ed estrasse dalla sacca di banano il vecchio Nokia che gli aveva regalato suo fratello ancora ai tempi delle prime antenne.

Era stato sempre utilissimo per concordare il carico della copra, per ordinare i rifornimenti da Port Vila, per chiamare Rock a scuola e la sorella che, sposata, aveva trovato lavoro in Australia. Insomma non ne poteva far più a meno.

Nel buio il piccolo display si illuminò, David aspettò che si configurasse e fu un attimo …fu preso dal panico. Aveva pensato a tutto, ma a quello proprio no ! Non c’era campo ! “

…alla prossima tra danze vere, spero !

 

 


Isola di Ambrym, 23 agosto 2013

2013-09-07

Danza Magica

Prima Parte.

Mentre l’osservo nello stretto scorcio che mi offre l’obiettivo, nel tentativo di rubargli un ritratto fuori del tempo, penso che quel sorriso un po’ enigmatico mi ricorda qualcosa.

In barca poi, rivedendo con calma le foto della giornata, ecco che quel volto del danzatore di Ambrym vagheggia, mi par di rivedere, il  Kouros arcaico, non certo nella plasticità delle forme, ma certo nel sorriso, forse i profili nei dipinti murali di Knosso, forse ancora la serena espressività degli ellenistici Boddisatva sparsi lungo la via della seta. Forse, è solo il mio desiderio di ricollegare miti arcaici di un mondo ormai estinto.

Siamo giunti ad Ambrym, isola dai due vulcani, ad un centinaio di miglia a nord di Efate dopo una meravigliosa sosta all’ancoraggio di Sandwich Bay, nella parte sud della grande Malecula. Quando ti metti a programmare gli spostamenti sulla mappa digitale del plotter, questo arcipelago delle Vanuatu appare compatto, gestibile in navigazioni giornaliere. Quando poi ci navighi scopri che queste isole sono davvero grandi e spazzate dall’aliseo di sud est: se vai a nord, tornare a sud diventa un vero problema.

Se poi ci si mette il meteo, le cose si complicano davvero. Per fortuna una Bassa, prevista proprio nei giorni della grande Danza Magica, annuale ricorrenza nel piccolo villaggio di Olal, passa più a est. L’ancoraggio, completamente aperto al primo ed al quarto quadrante, sarebbe rimasto non tenibile con la rotazione dei venti a nord ovest. I GRIB invece danno ancora sud est, e Danza sia, allora ! Saremo protetti a sud dalla grande massa dell’isola di Ambrym e dai suoi vulcani, alti nel cielo tra nuvole e vapori.

Di buon mattino ci avviamo lungo una stradina serpeggiante tra casette e alti pandani, ai margini della foresta, tra svolazzi guizzanti di rondini piccolissime. Siamo in compagnia di Yoshi e Mayumi, un’incredibile coppia giapponese conosciuta alle Samoa l’anno prima. Ci scambiamo i raccontisquo;anno prima. Ci scambiamo i racconti delle ultime esperienze. Loro restano sempre più stupefatti delle nostre attraversate. Gli “Oooooo..ooo…uuu! “ non si contano. Poi gli chiedo quando torneranno in Giappone. Mi risponde che sarà lunghetta, ma arriveranno in novembre da dove erano partiti per il Canada. Gli chiedo com’è stata l’attraversata del nord Pacifico. “ Nessun problema, tranne la prima settimana, poi i cinquanta giorni sono passati con un mare fantastico…” “ scusa, cinquanta giorni ?....” Mi rispondono con un gran sorriso. Un gran “ OOOOOOOOOoooo….” Mi esce proprio spontaneo. E giù a ridere tutti ! ( Noi dalle Galapagos alle Marchesi impiegammo 17 giorni e non finivano mai !)

Passiamo svelti sotto un palmeto altissimo, la traccia ci porta ad evitarne le chiome appena mosse dal levante ed i suoi incombenti grappoli di cocchi. Dovrebbero scrivere “ Attenzione caduta cocchi ! “ …come abbiamo visto alle Fiji.

Rientriamo nella foresta e nel folto, intricato della vegetazione si apre uno spiazzo in terra battuta. All’intorno, ieratici, totem, sculture lignee, volti ora stinti di maschere. E’ il luogo del rito.


Isola Ambrym, 23 agosto 2013

2013-09-08

Danza Magica

Seconda Parte.

Alla spicciolata arrivano quelli del posto, compaiono emergendo da sentieri persi nel folto del verde. Qualche “ madama” ha organizzato rustici banchetti : succo di cocco, torta di banane, pollo al curry, polentina e polipetti ! C’è già la fila. Giovani mamme si raccolgono sedute con frugoletti, scuri scuri, appesi ovunque. Ci sono anche i giovanissimi con l’immancabile cellulare, anche qui. Più nel folto, una capanna è il punto di raccolta dei danzatori. Arrivano vestiti con short color terra e magliette stinte, dopo pochi attimi già li intravedi nudi. Astuccio penico, zanne di cinghiale al collo , vezzose piume al capo e ciuffi di verzura, appena colti, all’esile cinta. Quando si raccolgono al centro del piazzale, richiamati dalle percussioni ritmiche inferte su due tam tam lignei infissi a terra al centro, ha inizio la cerimonia. Uno alto, robusto, ma con fare e mani da gentleman si stacca dal gruppo e ci spiega in perfetto inglese cosa vedremo : la danza magica di iniziazione del o dei due, non ho ben capito, capi del villaggio per il nuovo anno . Poi ci saranno preparate alcune vere leccornie , specialità del posto.

Il gruppo di una ventina di danzatori piuttosto in età si compatta in circolo chiuso attorno ai tam tam. Ruotano e percuotono la terra con un calpestio ritmico. Tutto vibra e la foresta rimbomba delle loro litanie. Devo dire, con una certa insistente mono tonia. La cosa stupefacente è che, già dopo poche movenze, i singoli nel gruppo non recitano, ma sono.

Hanno ritrovato lo spirito della tribù, sono assolutamente rientrati nella loro vera identità, nei loro archetipi primordiali. I volti ispidi, le schiene sudate, il groviglio dei piedi, queste mani roteanti, hanno ora dato forma ad un tutto, all’unione vitale del villaggio, come per magia. La danza diventa tellurica, è un vero ritorno alla nascita della terra , alle radici della loro storia e della nostra.

Bella differenza con le gioiose danze polinesiane o anche samoane. Lì il vivace ritmo delle percussioni stesse, l’ancheggiare sensuale e l’allegria dei cori riverberano la luce della laguna, il blu del cielo, tutto è moana. Qui senti l’ancestrale, latente forza della terra, dei vulcani , il mistero dell’impenetrabile foresta.

Alla fine partecipa alla danza, con discrezione, anche il gruppetto delle donne, piuttosto in età ed, ai noi, in topless .Non molto dissimili dall’arcaica Dea Madre cicladica. Non è un bel vedere, ma la partecipazione è davvero autentica.

Anzi, una di queste si allontana per un attimo dal gruppo, raggiunge una ben più giovane astante, forse sua figlia, e la conduce con sé a danzare. Imparerà e la vita continua.

La cerimonia finisce com’ era incominciata: i tam tam risuonano solitari nella foresta, i danzatori svanisco. Rimangono in due, sradicano dal terreno i due totem al centro del piazzale e li ripongono tra gli altri a corona sul bordo della parete di verde incombente, sino all’anno prossimo.

Dopo un breve intervallo, i danzatori, ora nudi uomini in perfetto, ritrovato equilibrio con la loro natura, preparano una specie di “ gnoccolata”. Se qualcuno fosse interessato, ecco la ricetta. Li ho visti salire, di ramo in ramo, sul frondoso albero del pane…non ho più assolutamente alcun dubbio sulla nostra origine scimmiesca. Hanno lasciato cadere a terra una decina di frutti. Sono piccoli meloncini, verdi e rugosetti. Hanno poi raccolto dei cocchi freschi da terra, cadono da soli, per loro fortuna, vista l’altezza delle palme.

Mentre alcuni facevano ben rosolare sulle braci i frutti, altri spolpavano i cocchi.

Poi, a giusta cottura, con abili colpi di lama li sbucciavano estraendone la polpa pastosa.

A questo punto, preparata una tavola ben lisciata, hanno incominciato a lavorala servendosi, a guisa di mattarello, di un bel cocco verde. Un po’ alla volta, aggiungendo frutto dopo frutto, la pasta e diventata un bel pastone, morbido e plastico come quello per gli gnocchi, con l’aggiunta di un po’ di acqua di cocco. Non è certo mancato il colpo scenografico : in un guscio di cocco, perfettamente tagliato a metà, è stato riposto il nocciolo rovente di un frutto del pane e su questo versata, lentamente la liquida crema di cocco. Il tutto ha provocato, naturalmente, una fumatina densa e coreografica tra le mani del nostro cuoco che abilmente ha più volte ripetuto la scena per i nostri obiettivi.

La cremina così ottenuta è stata poi spalmata sulla “gnoccolata”, stesa a crostata e tagliata a losanghe sulla tavola. E voilà, mani fameliche si sono rapidamente allungate, compresa la mia per un pezzettino, ino,ino nonostante i timori del mio stomaco.

Alla prossima, parleremo di mare verso la Nuova Caledonia.


Noumea, Nuova Caledonia 15 settembre 2013 ( prima parte )

2013-09-15

Un vero thrilling !

Partenza prevista per lunedì 9 mattina. Non abbiamo deciso noi, ma il meteo, naturalmente. Da 10 giorni aspettiamo alla boa a Porto Vila questa finestrina, ina, ina per per poter far vela verso la Nuova Caledonia dalle Vanuatu.

Sono circa 300 miglia complessive, ma ben 280 proprio per 180°. L’Alta in transito più a Sud , da Ovest verso Est, ha spinto verso Nord un bel flusso d’aria di 20, 25 nodi da 140°, 150°, con relativa onda da 3 metri. Impossibile scendere in bolina a queste condizioni e tutti così aspettano. Purtroppo il tempo varia molto rapidamente e bisogna esser pronti almeno una settimana prima per cogliere al volo la prima occasione.

Ora l’ Alta se ne sta andando e noi dovremmo scendere lungo il suo lato ad Ovest- nell’emisfero Sud nelle alte pressioni il vento gira in senso antiorario- con venti in rotazione verso Est ed in leggero calo sui 20 nodi, quindi più maneggevoli. Il mare dovrebbe calare sui 2 metri. L’attraversata, a complicare le cose, dovrebbe durare esattamente 3 giorni per arrivare all’alba del terzo giorno alla Havana Passage, obbligatorio varco nella barriera corallina che circonda la parte Sud della Nuova Caledonia. Il flusso di marea sarà entrante, consigliano assolutamente di evitare la calante con venti sostenuti da Est.

Usciamo dalla ben ridossata entrata di Vila e subito ci investe un gagliardo 25 nodi con un maraccio ancora molto alto. Poggio con un angolo al vento di almeno 70° e filo via a 7, 8 nodi. Poi comunque dovrebbe dare buono. Passa la giornata sempre a queste condizioni e siamo fuori rotta di circa 10 gradi. C’è sempre il piano B: potremmo fermarci alle Loyality Islands , come le chiamò Cook, a circa 200 miglia però più a Ovest.

Eutikia ora fila davvero molto veloce, anche a 9 nodi, su un mare appena meno arruffato.

Dovrei far generatore prima che faccia buio per ricaricare per bene le batterie.

Accendo e dopo pochi secondi si spegne. Vado a vedere e sento con le dita che la piastrina della girante è rovente: c’è qualcosa che non va nel circuito di raffreddamento.

C’è sempre però il motore con il suo bel alternatore. Accendo, parte, ma mi accorgo subito che la piastrina della girante si sta surriscaldando. Spegniamo appena in tempo.

Pessima notizia: niente motore e niente generatore, ovvero niente energia e niente governabilità in caso di necessità. Non resta che tornare a Vila. Conosciamo l’entrata e si può tentare di ancorare a vela…come gli antichi !

Mi infilo nel vano motore e cerco di capire cosa sia successo, mentre Marina sta al timone praticamente senza strumentazione nel buio pesto.

Potrei cambiare le giranti, ma se la presa a mare è ostruita le brucerei di nuovo. Devo in qualche modo controllare. Chiudo la saracinesca ed apro il bussolotto del filtro. Perfettamente pulito. Altra brutta notizia: il blocco potrebbe dunque essere a valle della saracinesca. Come fare ? Non mi resta che aprire lentamente, molto lentamente la saracinesca e vedere se entra acqua liberamente in barca. Marina mi urla, anzi mi prega, di non farlo, ma non ho alternative. Apro, apro lentissimamente : l’acqua non sale !!! Che sia otturato ?!?

Prendo uno stecco e lo infilo oltre la valvola. Lo sento vibrare perfettamente libero al di là dello scafo ! E’ un attimo, realizzo che sono un perfetto idiota : ho acceso ad una velocità eccessiva, l’acqua, invece che entrare, è risucchiata all’esterno ! Le giranti dei motori andavano così a vuoto. Non si finisce mai di imparare : avevo in precedenza acceso entrambi anche ad una bella velocità, anche 8 nodi, ma mai a 9 nodi e sbandati in bolina dopo una giornata di rollate e saliscendi.

Dopo 5 ore di lavoro il generatore riparte ed anche il motore: piastre giranti gelate !

Ti senti davvero svuotato di ogni energia, ma finalmente di nuovo sereno e fiducioso,

Inversione di rotta e via di nuovo verso Sud.

Ma non è finita, alla prossima !


Noumea, Nuova Caledonia 15 settembre 2013. ( seconda parte)

2013-09-16

Un arrivo indimenticabile.

Risolto il problema motori si tratta di capire se riusciremo comunque ad arrivare alla Passe in tempo. Abbiamo di fatto percorso 50 miglia in più tornando in dietro e poi riprendendo la rotta. A conti fatti, ma le combinazioni erano davvero molte ( ore di marea, rotazione vento che non arriva, maraccio che non cala), anzi troppe per la mia residua lucidità, appare opportuno passare al piano B. Poggiamo e via filati e tranquilli verso il baione ridossato di Lifu, isola centrale delle Loyality. Al tramonto del secondo giorno, ben cotti ed insonni, ci godiamo un bel tramonto. Nel controluce del sole che sta appoggiandosi sull’orizzonte Marina scorge, non so come abbia fatto, una veletta. Dopo pochi minuti il VHF gracchia qualcosa. Ci chiamano, rispondo e mi chiedono se andiamo a Lifu. Vorrebbero sapere se abbiamo un wait point dove ancorare visto che arriveremo di notte tra  alcuni reef , per altro ben segnati. Ovviamente sì, facevano parte del piano B e così faccio felice Nikolas che mi ringrazia…ci vedremo e conosceremo a Lifu.

Alle 21 finalmente entriamo all’ancoraggio. Di poppa Nikolas si fa sotto e mi segue. Trovo altre lucette alla fonda, ben confuse con altre da terra. Normale, meno normale è che come si tratta di metter giù l’ancora incomincia a piovere. Con gli occhiali bagnati vedo poco e seguo le indicazioni di Marina da prua con molta fatica. Gironzolo un po’ tra le barche all’ancora già in allarme e finalmente vedo sull’IPAD i 10 metri di fondale su sabbia che mi servivano. Giù ancora, spaghettata e a nanna. Domani è un altro giorno.

Nikolas però continua a girare pericolosamente nel buio. Sento scendere l’ancora e si piazza a non più di 15 metri da noi. Se gira il vento potrebbe venirci addosso. Eutikia è diventata il suo wait point ! Ma il tempo dovrebbe star così tutta la notte e non ho fiato per litigare.

Dopo una dormita colossale di 6 ore filate do un’occhiata fuori. Grigio e pioggia in arrivo, mentre il vento gira a Nord Est, come previsto, entrando libero nel nostro precario ancoraggio. Dalla barca accanto spunta finalmente Nikolas. Resto di stucco ! Ci aveva fermati qualche giorno prima al mercato per chiederci alcune informazioni burocratiche sulle tasse di ancoraggio da pagare a Vila. Pensava fosse tutto gratuito, non ci conosceva ma avendoci visto agli uffici, voleva la conferma se anche noi avevamo pagato. Temeva di esser stato turlipinato. E così si era presentato. Veniva da Reunion e ci aveva raccontato del Madacascar e dell’Indiano. Naturalmente dopo pochi minuti dall’incontro avevamo dimenticato lui ed il suo nome. Ed ora me lo ritrovo di fronte, anche lui incredulo.

Decidiamo di ripartire subito: il vento da Nord Est è un dono del Signore !

Dobbiamo però non correre troppo per centrare l’entrante ad Havanna. Vento bellissimo, mare quasi calmo e noi con il freno tirato. Che rabbia! Arriva la notte con una bella lunetta. Ma dura troppo poco. Il cielo diventa opaco, l’oscurità più cupa. Sul radar vedo alla mia destra, verso la vicinissima costa della Nuova Caledonia a circa 20 miglia, un fronte di nuvole basse e cariche di pioggia piombarci contro. Ci allontaniamo per sicurezza, ma in breve incomincia a piovere fisso, fisso. Dritto di poppa sopraggiunge un target, grande da farsi notare sullo schermo nonostante l’effetto pioggia. Vedo sull’ AIS che è una nave crociera diretta dove andiamo noi. Intanto sul radar vedo di poppa anche Nikolas. E’ proprio tra noi e la nave crociera. Intanto la pioggia aumenta, per fortuna senza molto vento, anzi cala quasi completamente, ma è meglio non dar vela in queste condizioni. Il cielo è squarciato dai lampi. Marina fuori lancia OOOOHooo di sorpresa ! Io dentro ho gli occhi incollati sul radar.

La nave in velocità gira al largo ed evita il peggio. Noi ci restiamo dentro per 5 ore.

Un vero diluvio tra lampi e tuoni. Alle 6 esausti, con i primi chiari, arriviamo alla passe .

Cerchiamo fari ed allineamenti e lentamente entriamo. Nikolas mi sta dietro, come al solito.

La corrente alla fine ci aiuta e la ruvida, rossa costa Sud ci da il benvenuto, mentre piccoli delfini guizzano sotto la nostra prua. Per i greci portavano fortuna…


Noumea 21 settembre 2013

2013-09-21

E ora spazio all’arte.

Aloi Pilioko, chi è costui ? Le sue opere sono sparse un po’ in tutte le pinacoteche che si affacciano sull’oceano Pacifico. E’ forse tra i più noti artisti, per me incognito sino a pochi giorni fa, espressione della luce e dei colori, della gente di queste isole.

Lo incontriamo, si può dire per caso, perché Carlo e Luisa già lo conoscevano e noi non ci siamo fatti scappare l’occasione di una nuova visita al suo atelier. Eravamo ancora alle Vanuatu, a Port Vila, ed il giorno prima della partenza per la Nuova Caledonia  è l’ultima opportunità. Lo studio si espande tra la luce della baia e l’ombroso verdeggiare e le variopinte  bouganville del giardino. E’ una vecchia abitazione, tutta in legno, senz’ordine nei volumi ma inondata dai colori. Troviamo Aloi mentre sta finendo di getto un ritratto a tinte forti, puri gialli rossi neri, su tapa. Giallo ora è sicuramente il suo colore.

Una vita lunga di convivenza con un altro pittore del Pacifico, il russo Nicolai Michoutouchkine, suo compagno e sostenitore sin dagli anni ’50. Aloi veniva dalla piccola Futuna, Nicolai era già ben conosciuto, anche per le sue relazioni politiche. Insieme hanno dato vita ad una serie senza fine di mostre per il mondo, anche a Portogruaro.

Ora Nicolai non c’è più ed Aloi, solo, ha forse perso in quella spinta vitale, ma non in creatività. Lavora moltissimo e molti richiedono opere venendo a trovarlo. Noi siamo stati molto fortunati. Cercavo nel disordine colorato delle stanze variopinte dal pavimento al soffitto qualcosa che mi ricordasse l’incontro, la luce , il Pacifico. Ho sfogliato decine di cartoni, aperto pile di tapa, mi ha squadernato tessuti dipinti d’ogni foggia. Tutto pieno di colore e di segni primitivi, non però quello che cercavo. Ormai la visita stava finendo davanti a forti bicchierini di vodka, quando m’è venuta di getto la voglia di ridare un ultimo sguardo a questo bazar di colori. Entro nella penombra del salottino d’entrata e su un divano scorgo il BLU che cercavo. E’ un cuscinone ricoperto di mare e pesci della barriera corallina. E’abbandonato là, forse da anni, piuttosto impolverato ma sempre lucente. E’ un attimo, sfilo il cuscino e porto la tela-federa, che l’avvolge come un acquario, ad Aloi. Mi guarda davvero sorpreso, ma capisce al volo, con gli occhi tristi ma lucenti, gli diamo insieme un titolo : MOANA. Ora è con noi a bordo ed Eutikia è più bella.

La storia continua a Noumea con la visita al Tjibaou Cultural Center , progettato da Renzo Piano ed inaugurato nel’98. Davvero splendido. Perfettamente inserito nel profilo verdeggiante della costa, ospita collezioni permanenti e temporanee d’arte dell’Oceania. E chi ti ritrovo ? Il nostro Aloi Pilioko con una grafica dal tratto forte, profili d’intaglio, ricordo di maschere.

L’architettura ti avvolge e ti senti in pace con la natura: dono solo di grandi progettisti.

Cammini dentro e fuori, ma non c’è differenza. Sale ariose, sfuggenti corridoi che si perdono in pareti d’alberi, vetrate aprono scorci verso un cielo da bianco-nero.

Dentro volti kanak  ti ricordano le origini di questa terra, aspra e rugosa. Più in là i primitivi d’Australia ed ancora legni scolpiti, espressioni incavate di queste isole perdute nel mare. Piano li ha sicuramente rigirati tra le mani, forse da lì l’idea di questa struttura, grafia primitiva incisa nel cielo di questa grigia giornata


Noumea 12 ottobre 2013. Tra Grib e brioche.

2013-10-11

Tra grib e brioche in attesa dell’Australia.

Ritornati a Noumea, prima cosa recupero una card per l’accesso a internet, indispensabile per una buona previsione meteo. Strada facendo ritrovo una patisserie, ben nota, “ La Vieielle France “ ed il nome dice tutto, e porto così a bordo due brioche ancora calde.

Il pc da parte sua mi sforna subito l’atteso grib*, del tutto sconfortante, e ci consoliamo con le due brioche, supér !

I giorni passano e conosciamo un pò meglio questa Nuova Caledonia.

In effetti non è facile da leggere. L’isola è davvero grande, lunga circa 600 km compresa la grande laguna Sud. Terra assai diversa dalle altre isole del Sud Pacifico: aspra, montagnosa, verde e rossa, circondata da blu intenso. Abbiamo girato in macchina, ed un parco in bici, un po’ il Sud, circa 250 km di strade impossibili tutto buche. Altro che Nuova Zelanda, un sogno al confronto. L’hanno scavata ovunque. Ferite di terra rossa la lacerano, miniere e complessi industriali la deturpano : il nichel è l’oro di quest’isola e soprattutto dei francesi che ci vivono.  A giudicare dalle ville e dalle macchine non se la passano niente male. I kanaki in compenso sembrano fuori dal gioco, se va bene raccolgono le bricciole. Noumea e dintorni, lungo la laguna Ovest, sembrano un pezzo di Costa Azzurra. Lo stile di vita vorrebbe assomigliarli molto. Trovi di tutto, dal pesce freschissimo, alla Apple, dal Briko alla baguette tradizionnel . Ma il pezzo forte sono le pasticcerie : ottimo motivo per interpretare alla rovescia il grib più favorevole.

Vista dal mare le opportunità certo non mancano e la laguna Sud è il polo di attrazione.

Di certo non è facile da navigare: per fortuna una cartografia elettronica perfetta ti guida verso l’ancoraggio più improbabile. Però, però tutto va bene con tempo stabile e sereno. Se il vento incomincia a girare ed il cielo ingrigisce la laguna, riducendo la visibilità delle infinite secche, sei fritto. Bisogna trovar nuovo ridosso ed i reef non si vedono più, e son dolori. E allora il meteo diventa il tuo pane quotidiano, o meglio… la tua baquette. Se poi gira a Sud Est e pensavi di andar all’Isola dei Pini, vera perla della laguna, allora è meglio cambiar programma. Le 25 miglia di bolina contro 20 nodi montanti diventano davvero noiose, magari con sotto una bella onda lunga da Sud.

Noi siamo stati abbastanza fortunati, almeno per questa volta. Abbiamo però dovuto abbandonare in anticipo un ancoraggio da poster davanti ad una spiaggia avorio per portarci a Nord ed il giorno seguente di bordata, con un bel Est, siamo scesi verso l’isola. Davvero splendida. La baia di Kouto, dove tutti ancorano, non delude le attese: uno specchio turchese, un anello di sabbia accecante ed una corona di pini. Il solito J.Cook non perse l’occasione di visitarla nel 1774 e la battezzò subito, senza molta fantasia devo dire, con l’attuale nome. E di pini ve ne sono davvero di diversi tipi :alti e schietti, a candelabro da sembrar di plastica, finti alberi di Natale, a chioma come i nostri ed alcuni anche con cicale. Dopo un accurato giro dell’isola…in macchina ed una salitina a gambe sul cucuzzolo che la domina con vista splendida, ce ne siamo tornati verso Noumea passando in rassegna le profonde insenature che circondano l’isola a Sud Ovest. I molti velisti locali non hanno certo di che lamentarsi. Per dar un’idea, sembra, in piccolo, di passar tra le acque ridossate della nostra Dalmazia. Ovunque piccole insenature, ancoraggi tra pinete e colline, ottimi fondali.

A proposito di Dalmazia, non passa giorno che qualcuno non ci chieda che bandiera abbiamo di poppa. E giù a raccontargli la storiella di San Marco e loro “ OOhoooo ! “

Molto divertente e così le amicizie aumentano. Da Ovest verso Est ritrovi , prima o poi, sempre le stesse barche ed i più curiosi ci invitano poi a bordo per il più classico dei drink al tramonto.

Ora è proprio arrivato un rosso e calmo tramonto sia pur in marina, l’aragosta pescata viva al mercato è già sul tavolo con un perlato rosè.

Alla prossima, sicuramente con più grib : ci aspettano 780 miglia sino a Bundaberg, Australia.

* Ricordo che i GRIB sono  files che raccolgono tutti i dati meteo più importanti: direzione, intensità del vento, isobare, mare ecc


ARRIVATI IN AUSTRALIA

2013-10-25

Arrivati in Australia.

Sono le 19 e 30 del 21 ottobre, abbiamo appena ancorato in un' ansa all'entrata del Burnett River, a Bundaberg, Australia. Eutikia ha lasciato di poppa l' oceano Pacifico.

Noi ci porteremo dentro per sempre un'esperienza che ci ha arricchito la vita per le forti emozioni, per quelle sensazioni di pura libertà che solo i grandi spazi danno e per la consapevolezza di aver vissuto, ancora una volta, l'avventura della scoperta.

E come dimenticare quei tantissimi volti incontrati incrociando rotte ed esperienze? Oppure circondati da solo oceano, miglio dopo miglio, come non ricordare la sensazione di una solitudine assoluta? Questo oceano, immenso, riassume tutto nel blu di cielo e mare. Ai polinesiani basta una parola,  moana,  e danno questo nome ai loro figli.

Ora si tratta di rimettere ordine nelle pagine di questo viaggio, forse, speriamo presto, con un libro, perchè no? "Pacifico x Due", magari anche in formato e.book. Vedremo, di sicuro da domani, oggi siamo troppo cotti, penseremo alla prossima rotta.

Eravamo partiti da Noumea dopo una sosta forse un po' troppo prolungata, perchè molto piacevole, davvero troppe le tentazioni culinarie: pesce ed aragoste a non finire, mousse al cioccolato Royal, meringate al limone...tanto per dire. Poi il tempo, sempre tiranno, ci ha dato segnale verde: si parte! Nel giro di due, tre giorni molte barche hanno lasciato gli ormeggi. Un vero porto di mare. Neozelandesi di nuovo verso casa, australiani, tedeschi, americani, francesi, spagnoli, più lingue ma tutte che si intendono almeno su una parola: meteo ! Salutiamo i nostri vicini e via, dalla laguna al mare aperto.

Come mettiamo il naso fuori ci becchiamo subito un forte Sud Est sino a 30 nodi che a noi, diretti a Ovest, andrebbe benissimo. Peccato però che ci schiantiamo contro un imprevisto correntone con punte di 3 nodi. Lo speedometro impazzisce. La barca, letteralmente sollevata tra picchi ruggenti, procede a stento in un groviglio d'onde. Era previsto un bel vento, non un tuffo in lavatrice. La giornata passa  così imprecando e la notte non ci porta certo il sonno. Poi lentamente tutto passa...anche il vento. Penso ai neozelandesi diretti a Sud, staranno esultando in bolina larga. Noi invece a penzolare con poco vento.

Nei due giorni seguenti battiamo di seguito ogni record negativo di miglia percorse in una giornata, appena 130. Per giunta registro una forte e continua corrente contraria: alla fine sarà  come se avessimo percorso oltre 100 miglia in più, oltre alle 800 previste.

Per fortuna passiamo notti indimenticabili sotto una luna piena d'incanto. Poi torna anche il vento e le miglia si accorciano, nonostante la contraria. Con l'ultima notte, anche l'ultimo thrilling. Come in un gioco da playstation l' AIS mi segnala nel raggio di poche miglia un grumo di navi. Situazione inconsueta, preventivata, ma non di queste dimensioni.

Stiamo atterrando ortogonali alla costa venendo da Est mentre, lungo l'asse Nord Sud, passano le navi in transito tra i porti australiani e quelli dell'estremo oriente. Non basta. La nostra rotta incrocia esattamente l'entrata di un canale virtuale, rilevato in mappa, che indica a tutte le navi la via sicura da seguire per attraversare indenni i mille pericoli della più grande barriera corallina del mondo, vero incubo sin dai tempi di J.Cook. Il navigatore inglese nel 1770 ci entrò senza accorgersene e spinto dal forte vento di Sud Est tentò invano di uscirne. Finì per cozzare contro un basso fondale e, solo grazie alla sua grande esperienza ed alla forza della disperazione di tutti, riuscì a salvare la nave. Alla fine trovò, all'estremo Nord, il passaggio che porta il suo nome. Osservando la cartografia digitale, non oso neppure immaginare a quali situazioni abbia dovuto far fronte e con quale tensione.

Torniamo alle mie navi. Sono le 2 di notte, mentre procedo - come detto - verso Ovest, ne rilevo diverse anche sul radar, a sinistra, più o meno distanti, mentre l' AIS mi informa progressivamente anche sui loro nomi. Sono cinesi, coreane, bandiere ombra: meglio rinunciare da subito a qualsiasi contatto radio, visti anche alcuni inutili tentativi precedenti. Come in un gioco, sono in formazione d'attacco disposte a ventaglio. Tutte dirette a Nord verso l'imbuto del canale, proprio dove sto transitando tagliando loro la rotta. Che fare? Per fortuna il mare non è molto formato ed il vento da poppa, non forte. Di solito le lascio passare puntando alla loro poppa, ma ora sono troppe. Sarà difficile evitarle tutte. Non mi resta che svegliare Marina e controllare a vista la situazione. Meglio in due, lei fuori ed io agli schermi. Il vento ci da una mano: rinforza decisamente e ripartiamo in velocità. Forse riesco a passare sfilandole tutte lungo il mio fianco sinistro. Sfilo così la più vicina, poi la seconda senza problemi, la terza sembra molto veloce ed ha un punto d' incrocio molto prossimo, meno di mezzo miglio. Marina ne vede il verde, poi lentamente, anche il rosso. Bene, stiamo passando anche a questa. Ormai è fatta, siamo oltre il canale e le altre navi ci passano di poppa e Marina torna a nanna.

Ultimissima peripezia. Arriviamo all'entrata del porto canale che è buio. Per radio il servizio di Guardia costiero ci invita ad ancorare fuori del marina: gli uffici doganali sono chiusi.

Ci danno le coordinate e ci dicono di richiamare l'indomani alle 8. Guardo sulla carta e scopro che dovrei ancorarmi dentro il fiume ma fuori del canale navigabile, tra i fanali rossi alla mia sinistra ed i bassi fondi circostanti. Un' area di qualche decina di metri ! Demenziale. Questi australiani ! Ma non abbiamo alternative.

C'è un forte flusso di marea entrante e venti nodi di vento dalla stessa direzione, per fortuna.Esco di poco dal canale e mi giro in velocità contro corrente e vento. Giù ancora! ...E la catena si inceppa ! Ormai la corrente ed il vento mi abbattono. Non governo. Al buio intravedo la secca a pochi metri, a destra.

Do motore al massimo, Eutikia vibra e gira lentissimamente verso sinistra, verso il canale più fondo. Di norma viro a dritta con l’elica destrossa, ovvero che mi tira a destra, ma ora sarei sicuramente finito in secca. Adrenalina e fortuna. Mi rigiro e torno in posizione. Finalmente l' ancora scende libera.

 Siamo arrivati in Australia, abbiamo attraversato il Pacifico.

Davvero un grazie grande, grande a tutti. Al prossimo miglio.


INCONTRO AL DIPORTO VELICO, sabato 15 Febbraio ore 18

2014-02-11

L'inverno è lungo da passare tra piogge e acque alte, però uno sguardo agli aperti spazi del Sud Pacifico e quattro chiacchere tra amici ed appasionati possono aprire squarci di brillante azzurro...e qualche frittola non guasta. Siete tutti invitati.

Cari Soci

In allegato Vi inviamo la locandina dell’incontro con Giovanni Testa presso la nostra sede il 15 febbraio prossimo alle ore 18,00.

Con questo incontro, dopo quelli del 2012 e 2013 il socio Giovanni Testa e la moglie Marina ci porteranno alla scoperta degli immensi spazi naturali della Nuova Zelanda, delle turchesi acque fijiane, delle cascate, dei vulcani, delle danze magiche delle Vanuatu, della più grande laguna corallina del mondo a sud della Nuova Caledonia e, per finire, dell’affascinante modernità di Sydney:

Sarà presentato un filmato cui seguirà una chiacchierata aperta a domande e curiosità, ma soprattutto per condividere l’emozione del viaggiare per mare.

Come sempre vi aspettiamo numerosi.

Alberto Righi


In barca a vela dal Lido all'Australia

2014-03-24

La Munincipalità del Lido e Pellestrina in collaborazione con il Lions Club Venezia Lido organizza una conferenza sul tema " In barca a vela dal Lido all'Australia"

verranno proiettati film sulla Nuova Zelanda, Isole Fiji, Vanuatu, Nuova Caledonia ed Australia.

Relatori :  ( sic! ) pensate un pò, ....

25 Marzo 2014, ore 17.00

Sala Consigliare della Municipalità Via Sandro Gallo 32/a,  Lido Venezia

...al PROSSIMO MIGLIO.


A GRANDE RICHIESTA su YOUTUBE ...!

2014-03-26

Dopo alcune presentazioni mi è stato suggerito di mettere su YOUTUBE i filmati a documentazione dell'attraversata del Sud Pacifico.

Con il link qui sotto c'è la prima parte del passaggio 2013 dalla Nuova Zelanda all' Australia con la visita alla South Island e la cronaca delle 1200 miglia verso le Fiji

La seconda (Vanuatu) e la terza parte (Nuova Caledonia e Australia) saranno  on air al più presto.

Fatemi sapere se ci sono problemi di visualizzazione: gtesta23@tin.it

http://youtu.be/njwAg8Nwp4Q   


ALTRI DUE VIDEO SU YOUTUBE: Vanuatu, Nuova Caledonia, Australia

2014-03-29

Il passaggio 2013 dalla Nuova Zelanda all'Australia si completa con l'upload su YouTube dei filmati della seconda ( Vanuatu) e terza parte (Nuova Caledonia, arrivo in Australia).

In realtà il filmato originale è unico ed è stato suddiviso, perchè troppo lungo, in due parti per comodità nel upload e per non annoiare nella visulizzazione...oggi siamo troppo abituati dalla comunicazione spot.

Seconda Parte: Vanuatu

http://youtu.be/NRNyIIhnrSU

Terza Parte: Nuova Caledonia ed arrivo in Australia, Bundaberg e Sydney.

http://youtu.be/_mq8NBCCIBo

Vorrei sapere cosa ne pensate: gtesta23@tin.it


Bundaberg, 3 maggio 2014

2014-05-05

Bundaberg, 3 maggio 2014

Finalmente ritornati in acqua !

Se vi dicessero che oggi dovreste spostare settecento cinquanta chilogrammi, ovvero tre quarti di tonnellata, cosa ne pensereste ? Ebbene noi l’abbiamo fatto: dodici vecchie batterie fuori dalla barca e altre dodici nuove da rimettere al loro posto, una ad una con tutta la cablatura da sistemare. Ora facciamo concorrenza all’ENEL.

Era da tempo che non andavamo in acqua così tranquillamente: travel lift da 50 ton, personale attento e competente, niente vento e bella giornata di sole.

Appena in acqua il motore e poi il generatore, sono partiti d’incanto. Dopo sei mesi di fermo, da stropicciarsi gli occhi!

I lavori a terra sono durati qualche giorno di troppo. E poi dicono che gli italiani fanno troppe feste, qui sono dei veri professionisti del tempo libero. A Pasqua hanno aggiunto qualche ricorrenza tutta loro ed il cantiere si è quasi bloccato e noi lassù sui trespoli, impazienti. Per non parlare di un vecchio peschereccio al nostro fianco sopravento.

Stavano adattandolo a motor yacht ed i proprietari, tipici australiani di frontiera tutto fare,

ci davano sotto con saldatori e flash dall’alba al tramonto. Un rumore infernale.

Per non parlare della polvere: aspettando che si dessero da fare con i lavori, abbiamo deciso di dare una bella passata alla coperta con acqua e sapone. Il giorno dopo si sono alzati quasi 40 nodi al traverso, un vero ghibli di sabbia e polvere ci ha fatto neri.

Australiani, strana gente. I personaggi qui davvero non mancano. Garry, uno per tutti:

è il nostro meccanico di fiducia. Qualsiasi cosa gli chiedi, risponde Yeee ! …per fortuna, perché qui tutti parlano una specie d’inglese quasi impossibile. Lui però, con un po’ di attenzione, riesce a capirmi. Mi guarda fisso, come se parlassi marziano, poi gli occhi azzurri s’illuminano d’acchito e… Yeeee! no worry!  Meno male è fatta e risolve rapidamente ogni grattacapo, tipo la sostituzione della pompa acqua di mare dello Yanmar, un lavoretto non tra i più facili.

Poi ci sono altri personaggi davvero un po’ speciali e…molto saporiti: i gamberoni King Royal ed il nome dice tutto. Dove siamo, a parte le barche in acqua ed a terra, in cantiere, con davvero pochissimi che ci saltano sopra, c’è il deserto che vive. Tranne una sorprendente eccezione: un negozio di pesce sempre aperto. In fondo siamo sempre a Port Bundaberg ed i pescherecci non mancano.

La cosa però è molto curiosa. Immaginate una vastissima distesa di prati rasi, sino alle sponde del porto. Solo le casette del marina: gli uffici, un negozio, il bar ed le lavatrici.

La distesa verdeggiante è tagliata da una nera strada che parte da non si sa dove e punta verso l’entrata del porto. Sul ciglio un bel cartello, rosso e nero, annuncia a tutti la presenza “Open” del pescivendolo. La cosa curiosa è che non passa nessuno. Solo noi.

Non sappiamo più che pesci mangiare, ormai gli abbiamo provati tutti.

Ormai i lavori e gli acquisti sono agli spiccioli, si fa per dire, non resta che aspettare una buona finestra di tempo e partiamo. Per ora fa davvero freddino. Questa mattina cielo terso e 14 gradi in cabina!


Bundaberg, 9 maggio 2014. Domani si parte.

2014-05-09

Bundaberg,9 maggio 2014.

Se ti lasci portare dai tuoi passi lungo il sentiero, che si snoda seguendo la sponda sud del Burnett River, e lasci alle spalle il sole che scende rosseggiando l’ondeggiare delle canne da zucchero, lo sguardo andrà verso l’orizzonte dell’oceano. Qui, se parli con loro, non usano dire mare, in inglese sea, bensì ocean. Per noi il mare è quello nostrum, l’Adriatico, il Mediterraneo. Ocean è un’altra cosa e la differenza non è sottile. Oltre quella linea il continente più vicino a est è a 8 mila miglia.

Lo scorcio è da vedutista primo ‘800 alla maniera di E.Boudin. L’arenile, qualche viandante, sparse macchiette appena mosse dal vento, e laggiù pennellate di bianche vele. Potresti immaginare l’Endeavour, il brigantino a palo del capitano James Cook, sfilare lungo costa, verso nord.

Domani si parte e seguiremo la stessa rotta negli stessi mesi, ma duecento e quarantaquattro anni dopo. Dicono però che la Grande Barriera, la più estesa del mondo, non sia cambiata di molto. Vedremo.


Pancake Point 10 maggio 2014

2014-05-10

A poche miglia a sud di questo ancoraggio un piccolo villaggio, abbarbicato sulla cresta di una collinetta, ricorda con il suo nome, tanto per cominciare, lo sbarco di Cook : non poteva che chiamarsi Seventeen Seventy ,1770. 

Oggi veleggiata in poppa piena a farfalla per 65 miglia, pesantine per l'onda lunga. Arrivati appena in tempo all'ancoraggio con il sole , ormai spento oltre le basse e grigge nuvole.

Ma c'è una bella storiella da raccontare sulle correnti da queste parti appena trovo un posto decente per fermarci. Alla prossima.


Great Keppel Island 12 maggio 2014

2014-05-12

Great Keppel Island, 12 maggio 2014

La storiella della corrente.

Usciti da Bundaberg ci siamo messi il vento in poppa e via verso nord ovest con un occhio particolare alla direzione ed all’intensità della corrente. Guardo la strumentazione e realizzo subito quasi un nodo di contraria: avanzamento sulla terra (SOG, speed over ground) 6.5 nodi e velocità sull’acqua 7.3. L’avanzamento reale è il primo, la differenza è l’intensità della corrente contraria. Per noi velisti è piuttosto frustrante e, per giunta, dopo dieci ore di navigazione vuol dire arrivare alla meta un’ora dopo, alle ultime luci del giorno con l’ancora appesa a prua e non capir bene dove ancorare.

Ecco perché da queste parti, la prima cosa che vedi sui banchi dei negozi di nautica è il libro delle maree, un po’ come da noi del resto che abbiamo confidenza con le nostre lagune. C’è però una bella differenza: l’escursione di marea qui è davvero cospicua, anche tre, quattro metri. E quindi l’intensità della corrente può esser molto rilevante.

Ma da quale direzione? Il libro da semplicemente i tempi delle escursioni per ciascuna località lungo la costa. Entrando dai bacini e dai fiumi la cosa è abbastanza prevedibile, ma navigando a qualche miglio all’esterno come funziona? Andrà a nord, oppure a sud, quando ?

Ho trovato la risposta in un piccolo fascicolo East Coast Passage Planning .

Ebbene la storiella è questa. Lungo le mille e duecento miglia che dovremo risalire verso nord c’è una zona, cento miglia appena più a nord da dove ci troviamo ora, che si chiama Broad Sound, nome naturalmente dato da Cook. Proprio qui s’incontrano e si spartiscono i flussi di marea. A sud di questo punto con il crescente (flood), la corrente sale verso nord e con la calante (ebb) scende verso sud. A nord, naturalmente, accade viceversa. Immaginate cosa succede a Broad Sound quando i due flussi di marea in crescente s’incontrano. Questo è il punto con maggior escursione di marea.

In questi primi due giorni verso nord, però, non ho registrato il cambiamento atteso di direzione all’orario previsto, ogni sei ore circa, ma una continua corrente contraria, più o meno forte. Perché? La risposta questa volta me l’hanno data le Pilot Charts del Pacifico.

C’è una discreta corrente oceanica che scende da nord est proprio verso questa prima parte del percorso. Risalendo dovremmo rapidamente tirarci fuori dal suo influsso malefico.

Già ieri pomeriggio, per fortuna, la contraria si è attenuata, con anche qualche punto a favore, proprio quando ne avevamo più bisogno. Dopo aver scartato il piano A

 (Cape Capricorn) ed il piano B (Hummocky Isl) in rapida successione per ancoraggio impraticabile ( bassi fondali e risacca) e senza più piani di riserva, ci siamo fiondati qui, a Great Keppel Isl. Ma era già molto tardi e quel pelo in più di corrente a favore (con l’aiuto di vento di ferro, il nostro Yanmar) ci ha consentito di ancorare alle ultimissime luci e di prepararci una meritata scorpacciata di king prown, i superbi e saporitissimi gamberoni locali. Alla prossima…oggi fermi con pioggia.


Scawfell Island 14 maggio 2014

2014-05-16

Scawfell Island 14 maggio 2014

Great Keppel Island sarebbe stata davvero una gran bell’isola se ci fosse stato il sole, se non ci fosse stata una fastidiosa risacca, se la riva fosse stata accessibile marea permettendo, se il fondale non fosse stato così basso, se….ho l’impressione che da queste parti di se ce ne siano un po’ troppi.

Con tutti questi se decidiamo di salpare nonostante il meteo non sia l’ideale: per i prossimi tre giorni sud est sino a 30 nodi e onda di due metri. Ma non possiamo indugiare oltre, tanto a breve le condizioni non cambieranno.

Il piano prevede una navigazione liscia di 40 miglia sino a Port Clinton, con un’entrata però tutta da decifrare per una barra di sabbia di 2.70 mt, e noi abbiamo 2.15 mt in chiglia. Differenza minima.  L’ancoraggio del resto mi è stato indicato da un australiano con una barca identica a Eutikia.

A mano a mano che ci avviciniamo al capo dietro al quale si nasconde il nostro Port Clinton il tempo peggiora di brutto, ventaccio e pioggia torrenziale, visibilità scarsa.

A due miglia realizziamo che l’onda lunga arriva gagliarda sulla barra, per giunta e per sfortuna, l’ora è quella del massimo della bassa. Qui l’escursione è di 4 metri. Bastava arrivare due ore dopo e sarebbe stato tutto più semplice, peccato che sarebbe stato anche ormai buio. Con il binocolo tento di forare il muro di pioggia. Da quel poco che vedo, riesco ad intuire che la situazione sulla barra è sconfortante, solo ondacci. Se mi impianto sono dolori. Sono quelle situazioni da evitare assolutamente. E infatti accosto deciso e mi allontano verso il largo. Nel contempo vedo anche sfumare, per l’ennesima volta, anche il piano B. C’era nei pressi una baiuzza, Pearl Bay, ma il riparo è apparso subito illusorio per la violenta mareggiata.

Che fare? Ci inventiamo il Piano x .

A circa cento dieci miglia un’isola sembra offrire la giusta soluzione. Si chiama Scawfell Island, e l’ancoraggio Refuge Bay, meglio di così!

La notte passa con gli occhi fissi sul radar e plotter per schivare rocce affioranti e gruppi di isole proprio sulla rotta e noi con ventaccio in fil di ruota. Sul lato destro, verso la barriera, vedo transitare sull’AIS il traffico commerciale, meglio la rotta interna che stiamo seguendo.

Una pallida luna piena riesce a far capolino tra la nuvolaglia bassissima. Almeno vediamo qualcosa. Il mare monta che è una meraviglia e meno male che ormai siamo dentro la barriera corallina. L’imprevista nottolata è rallegrata da una superba pasta al ragù by Marina. Ci voleva.

La notte è davvero lunga, dodici ore di buio ed un vettore fluorescente che avanza lentamente sulla mappa: Eutikia trova la sua giusta rotta.

Al primo mattino, dopo aver schivato una petroliera, entriamo da sotto vento a Refuge Bay. Violente raffiche catabatiche spazzano lo specchio d’acqua, sembra d’ esser in una baia greca con il meltemi. Per fortuna  c’è poca risacca, sembra, ed il fondale è quello giusto.

Mi piazzo al centro, giù sessanta metri e nanna…la prossima volta nessun piano !


Scawfell Island, 15 maggio 2014 / Brampton Island, 16 maggio 2014

2014-05-17

Scawfell Island, 15 maggio 2014 / Brampton Island, 16 maggio 2014

Il baione di Refuge Bay è decisamente comodo, quello che piace a noi. Anche se violente raffiche lo spazzano da mane a sera, per non parlare dei forti piovaschi di questa notte. Oggi ha fatto capolino il sole, giornata tranquilla con un tramonto speranzoso verso ovest, verso la terra australis incognita.

E già per primo ci aveva pensato, oltre a tante altre cosette, Aristotele. Da buon filosofo cercava la ragione, l’equilibrio del creato e si era convinto che il mondo cognito dovesse avere, per simmetria, una corrispondente massa a sud della terra.

Pare che il navigatore Van Diemen si sia ispirato proprio ad Aristotele quando, a inizio ‘600, si avventurò a sud delle allora colonie olandesi (Indonesia) per dare una risposta a tale ipotesi. Una prima mappa portava già la data 1618. Lo stesso fece il suo connazionale Able Tasman (dal quale prende nome appunto l’isola di Tasmania a sud est dell’Australia) tanto che queste terre presero il nome di Nuova Olanda ed è così che ne aveva sentito parlare Cook quando partì da Londra circa cento e quaranta anni dopo.

Gli erano stati affidati due incarichi. La Royal Society, istituto di tipica impostazione empirico illuminista, sperava di portar a buon fine l’osservazione del passaggio di Venere sul Sole dall’emisfero sud per correlarvi i dati già acquisiti per l’emisfero nord e poter così calcolare la distanza tra la Terra ed il Sole e gli altri pianeti. Per giunta il Capitano Wallis era appena tornato dal suo giro ed aveva indicato Tahiti, l’allora Matavay Bay, come posto ideale. La data per l’osservazione del passaggio era stata fissata per il 3 giugno 1770.

Cook, non dopo poche polemiche, fu ritenuto la persona adatta per comandare la spedizione e per eseguire anche i rilevamenti. Aveva già fama di eccellente cartografo.

Il nostro non perse tempo e sul più bello di alzare le vele e scendere il Tamigi, gli arrivò a bordo un plico top secret. Doveva anche, per conto di His Majesty, Giorgio III, trovare la terra australis e prenderne possesso.

Lasciamo per ora Cook e torniamo a noi.

Qui il tempo è pessimo. Da giorni ormai soffia tra i 25 e i 30, mare con ondacci e correnti sostenute che lo alzano a frangente se contrarie. Piove a groppi violenti, notte e giorno.

All’ancora sotto vento alle isole, non si dorme per il sibilo e gli strattoni sulla catena, per non parlare della risacca.

Il bello è che tutto ciò dipende da una Alta ben rafforzata e stabile, sui 1033, verso sud. Questa è il motore del tempo. L’aria vi gira attorno in senso antiorario (da noi gira orario) e spinge violentemente verso nord aria fresca che trova aria più tiepida ed umida, e voilà la frittata è servita.

Siamo poi venuti, solo venti miglia, a questo nuovo ridosso, a Brampton, sperando di scendere a terra e fare una bella camminata. Avevamo letto e visto dalle foto che un bel molo portava a terra oltre gli aguzzi coralli. Bastava raggiungerlo con il gommone e poi via per il parco. Arrivati, abbiamo scoperto che al molo mancava la parte terminale. Qualcuno l’aveva tirata a terra, come ponte levatoio. Siamo rimasti di stucco !


Shaw Island, ancoraggio a Burning Point, 18 maggio 2014

2014-05-19

Shaw Island, ancoraggio a Burning Point, 18 maggio 2014

Il mal tempo continua. Per fortuna le isole sono abbastanza vicine e ora l’onda lunga dell’oceano è attenuata dalla barriera corallina, a 30 miglia, e dal ridosso delle isole.

Ora siamo all’ancora in un baione di per sé splendido, tappa assai gettonata e molto frequentata. Non c’è nessuno! Ieri notte si vedeva solo il nostro lumino in testa d’albero, mentre violente raffiche sferzavano la baia. Poi la luna ha fatto capolino tra un merletto di bassissimi nuvolacci ed è stato di nuovo il diluvio.

Non mi resta che tornare al nostro Cook.

Dopo aver superato indenne Capo Horn e le pericolosissime Tuamotu, ancorò tra il giubilo dell’equipaggio a Thaiti, mentre giungevano canoe di giovinette da ogni dove con offerte di frutta e…non solo.

Il 3 giugno si presentò puntuale per registrare il passaggio di Venere.

Il luogo si chiama ancor oggi Venus Point e ne serbiamo un ricordo splendido.

Era il ’92 ed eravamo in vacanza, salimmo sulla ripida collinetta che sovrasta la baia per goderci il tramonto. Il braccio di mare tra Thaiti e Moorea era rame fuso, veloci canoe a bilanciere ne rigavano l’immota luminescenza. Moorea impediva al sole di scendere trattenendolo sulle sue colline violacee in contro luce. Poi l’ultima luce smeraldina svanì e fu solo un flash, un disco rosso nella memoria. Mai e poi mai avrei, allora, pensato che sarei tornato con la mia barca.

Cook e i suoi si misero in posa. Aria cristallina e tersa, quella che immagò Paul Gauguin, già si fregava le mani per la fortuna, quando un leggero velo di nubi sparse sbiadì la visibilità. Fece il possibile, ma di certo a Londra poi non ne rimasero entusiasti.

Ripartì subito dopo, anche perché le cose si stavano complicando per via delle vahine, che perfettamente interpretavano l’idea, non proprio alla maniera illuministica, del buon selvaggio, primitiva libertà da ogni falsa consuetudine.

L’intenzione era di scendere in diagonale verso i 40° sud per intercettare eventuali terre sotto la latitudine cognita della Nuova Olanda.

Trovò così, prima le Tonga e poi la Nuova Zelanda. Dopo aver mappato per bene le sue coste, lasciando ovunque toponimi di sua invenzione tuttora orgogliosamente esibiti dai contemporanei, ripartì verso ovest senza aver trovato nulla che potesse assomigliare ad un atteso nuovo continente. Intercettò così, e finalmente, il sud est della Nuova Olanda, dell’Australia. Diede ancora in quella che chiamò Botany Bay, poco a sud dell’attuale Sidney, tanto era verdeggiante e ricca di piante mai viste.

Risalì poi la costa e si infilò senza accorgersi in una bella trappola ad imbuto: vento sempre in poppa, a sinistra il continente e a destra l’impenetrabile barriera corallina. Come uscirne ?


Whitsundays Islands, Marina Hamilton 19 maggio 2014

2014-05-20

Whitsundays Islands, Marina Hamilton 19 maggio 2014

Tra tanga e Passage Peak.

Questa mattina lasciando l’ancoraggio avevamo qualche preoccupazione. Non per il vento o per i groppi sempre in agguato, ma, udite, per come vestirci per l’arrivo nel Marina Hamilton. Avevamo proprio il desiderio di fare una bella camminata dopo una settimana senza metter piede a terra ed il Marina faceva il caso nostro. La Guida “100 Magic Miles of the great barrier reef”, provvida di ogni più minuta istruzione su dove, come, quando ancorare, a prova del più sprovveduto skipper ( dovrebbero farne una di uguale per i charteristi tedeschi in Dalmazia), dava anche raccomandazioni su cosa indossare una volta a terra, in società. Il perfetto galateo per un “expected  good Queensland casual” prevede: per lui, sports shirt , una camicetta, a bordo ne ho di tropicali a fiori splendide, no problem, trousers pantaloni lunghi, i miei di lino bianco non temono la concorrenza, no problem, per finire  shoes, scarpe ! Qui qualche problema c’è: i miei piedi non sono più abituati alle calzature normali, però a Bundaberg ho acquistato delle comode scarpette da barca, color bordeaux, cinesi per 8 dollari. No problem. Per lei: un  dress, un abitino insomma, no problem, oppure long pants , anche qui in armadietto ce ne sono anche troppi, no problem, e naturalmente shoes!. In effetti non c’è da stupirsi, al supermercato di Bundaberg una splendida mammina, a piedi nudi, trascinava due pargoli, a piedi nudi, tra uno scaffale e l’altro. Come se a Panorama andassimo noi a piedi nudi. Per finire, e qui Marina stava per commettere un grave errore: per il pomeriggio, per le happy hours potremmo dire, due capi non sarebbero considerati good: la  T-shirt e il thong, ovvero quello che noi chiamiamo tanga. Marina ne aveva provato uno di strepitoso, comprato negli anni ’70, ma per fortuna , per l’ennesima volta, vi aveva rinunciato…strana gente questi australiani!

PS. Per il tanga Marina dice che non è vero… per lei, ma qui, comunque, è assolutamente not considered good.

Finito l’ormeggio,siamo immediatamente partiti per una bella scarpinata: 6 chilometri di sali scendi sino ad un picco all’estremo sud dell’isola. Grande scenario a perdita d’occhio, all’orizzonte tra la foschia la baia di Shaw Island, da dove eravamo partiti la mattina.

Il giorno dopo salita al picco a nord con qualche lamentela da parte delle nostre gambette,

ma felicità per i nostri occhi.


Hook Island, Stonehaven Anchorage 23 maggio 2014

2014-05-23

Hook Island, Stonehaven Anchorage 23 maggio 2014Pittogrammi e pappagallo.Da un paio di giorni il vento è calato anche se la pioggia non desiste. Solo a tratti fa capolino il sole e, l’ultima volta, quel tanto da consentirci un primo rapido bagnetto.Qui dicono che un maggio così non si vedeva da anni. Soliti discorsi. In compenso poche barche in giro e massima tranquillità in baie dove normalmente i charters abbondano.Quei pochi, come arrivano, si calano in acqua con la muta completa e nuotano sino alla spiaggetta più vicina. L’acqua è torbida per la corrente ed il vento, e senza vedere meglio non allontanarsi. Da queste parti gli squali martello non mancano e neppure alcune micidiali medusette, anche mortali. Uno fa il bagno e l’altro controlla dall’alto. Meglio che niente.In compenso le scarpinate non mancano. L’ultima, molto breve, per visitare una caverna con pittogrammi opera dei primi abitanti di queste allora non-isole perché parte integrante della piattaforma continentale. Il sito, ben curato, annota che le prime tracce degli aborigeni Ngaro risalgono a 9 mila anni fa. Quando vi arrivò Cook, 4 giugno 1770, trovò ancora numerosi nativi che abitavano queste isole e la costa sino a Cairns. La vegetazione con tutta questa pioggia è rigogliosa ma bassa, a tratti macchie verde scuro di alti pini. Ieri al tramonto, ancorati nello stretto fiordo di Nara, stavamo cercando di connetterci a internet quando abbiamo sentito un petulante, forte, gracchiare dall’intorno.Pensavamo ai soliti corvacci. E ancora più forte il gracchiare. Usciti, nulla in vista. E ancora insistente. Da dove? Dalle sartie! Guardiamo in alto e scorgiamo un grosso pappagallo appeso e fisso verso di noi. Bianco candido con una bella penna gialla per cresta. Non ha smesso di schiamazzare fino a quando non gli abbiamo offerto, avvisano che non si potrebbe, un bel biscotto. Al che se ne è sceso piano piano sino alla battagliola e si è tranquillamente pappato tutto il biscotto. Finito, tra foto e riprese ravvicinate, ne ha chiesto un secondo e poi un terzo. Quando gli ho detto che erano finiti, si è sporto in avanti ed ha voluto guardare verso l’interno della barca se Marina ne usciva con uno di nuovoAlla fine è svolazzato via GRA… GRA… GRA  assai soddisfatto mentre noi ci chiudevamo per l’arrivo dell’ennesimo acquazzone.Domani lasceremo le Witsunday Island verso la costa più a nord. A proposito il nome di queste isole è stato ovviamente dato da Cook, come molti cippi ricordano, in omaggio della Domenica di Pentecoste, giorno dell’avvistamento.


Great Palm Island, 28 maggio 2014

2014-05-28

Great Palm Island, 28 maggio 2014

Come funziona qui.

Da quando abbiamo lasciato le Whitsunday Islands il tempo si è messo al meglio.

Negli ultimi giorni il sole si è presentato per bene ed il vento è rimasto tra i 10 ed i 20 nodi da sud est. La direzione è sempre quella giusta, anche se in poppa, spesso piena.

C’è sempre e comunque una fastidiosa onda lunga da est che la barriera non riesce ad eliminare completamente. Con il sole e questo venticello è proprio un’altra vita.

Però le miglia da percorrere verso Capo York, la punta nord dell’Australia, restano ancora assai,  circa 700. Apparentemente sembrano non proprio molte: in mare aperto potrebbero essere 5,6 giorni di navigazione continua. Qui non funziona così.

La scelta di base è quella, se possibile, di non navigare di notte. Le ragioni sono molte: scogli ed isole richiedono una continua ed attenta vigilanza, non mancano le navi e neppure i pescherecci, con i piovaschi la visibilità si riduce. Insomma, tutt’altro che piacevole.

 Le ore di luce disponibili si riducono così a 10, 11: dalle 6 del mattino al tramonto, verso le 17. E poi c’è la corrente, sempre contraria, in realtà. Hai voglia di leggere il libro delle maree. Con il calante, dalle Whitsunday, dovremmo avere una bella favorevole ed invece, al massimo, andiamo in pari. Ho l’impressione, leggendo le Pilot Charts, che la corrente scenda costantemente lungo costa entrando dai varchi della barriera. Solo sotto, sotto sono avvertibili i benefici del cambio di marea. E così le ore si allungano. Pratica conseguenza è che per fare 60 miglia bisogna alzarsi alle 5, come ogni buon sundawner*

da queste parti. A Bundaberg c’era una barca, 9 metri vela e motore fuori bordo, della Tasmania con questo nome, ora mi è tutto più chiaro…dopo un buon caffè!

*  dawn, aurora 


Cairns, 4 giugno 2014 Tempo di prime impressioni sulla nostra Australia

2014-06-05

Tempo di prime impressioni sulla nostra Australia

Siamo in marina da qualche giorno e dopo aver risolto una davvero inconsueta avaria all’elica di prua, molto importante per le manovre in acque ristrette, ci siamo dedicati ad esplorare la terra australis che sta oltre la linea costiera.

Del resto è anche il tempo per un primo bilancio dopo aver percorso oltre metà strada verso Capo York, punta estrema a nord del continente. Ma non di mare e di ancoraggi parlerò, ma della gente.

Devo anche dire che queste prime impressioni sono un po’ condizionate dal cattivo tempo incontrato sino ad ora. Alle volte il sole aiuta a veder il bicchiere mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto.

Direi che dopo le prime difficoltà linguistiche, qui parlano un inglese tutto loro, emerge una certa mentalità poco duttile che sorprende, anche perché il mix etnico c’è e si vede.

Dalla madre patria hanno sicuramente ereditato quell’ abitudine a mantenere ciascuno il proprio ruolo. Non a caso  le funzioni, e quindi le responsabilità, sono sempre facilmente identificabili da un uso accorto delle divise, sin da scuola. Naturalmente tutto ciò torna utile nei servizi organizzati e nel sociale. L’altro giorno, per esempio, durante la visita al giardino botanico un bel gruppetto di anziani, donne comprese, si davano molto da fare con carriole, vanghe e rastrelli per bonificare una zona tra alte palme. Tutti, naturalmente volontari, avevano una bella tutina, guanti, cappello e sbuffavano ben coordinati sotto il sole. E ancora, nel weekend ci sarà una maratona. Stanno mettendo su un vero nuovo villaggio, ovunque informazioni su dove e come muoversi, ora per ora. Il tutto in pieno centro tra il marina ed i grandi alberghi ingolfati di turisti. Gli operativi hanno tutti una propria divisa a seconda delle attività.

Nell’organizzazione di qualsiasi cosa, poi, dall’accesso ai Super Market alle scale per salire agli uffici del marina in un moderno palazzo, la sicurezza e l’attenzione alle persone in difficoltà è una priorità assoluta. Cartelli, avvisi, gradini a tutta prova, rampe, ecc.

Quest’ approccio sistemico te lo ritrovi però anche nella gestione del turista, considerato assolutamente pollo da spennare sin dal primo contatto. Sono rimasto sbalordito dallo sfruttamento della Barriera Corallina…a Venezia francamente sembrano dilettanti.

Qui, in confronto, hanno nulla, ma lo vendono benissimo. Ad esempio, si sono inventati un Terminal dove le molte agenzie che organizzano la giornata alla barriera hanno ciascuna un proprio desk. Sembra di esser al check in all’aeroporto con tanto di corridoi assegnati per compagnia. Ovunque display con immagini video da sogno: tartarughe, mante, coralli e pescetti colorati e soprattutto…grandi buffet e sparkling wine, un pessimo surrogato del nostro prosecco. Nulla sulla vera vita della natura che andranno a vedere, i più lo faranno attraverso  grandi pareti di cristallo, comodamente seduti al ristorante di bordo. Sul turismo di massa e non, e sul rapporto con la natura ci saranno altre occasioni per riparlarne.

Vorrei chiudere su queste prime impressioni, anche troppo presuntuose forse, con una annotazione osservando come facilmente una tale organizzazione possa entrare in crisi di fronte all’imprevisto. Premetto, ancora, che qui tutto è invece previsto nei dettegli a prova di stupido assoluto. Chiunque sa cosa deve fare o non fare in qualsiasi situazione, a cominciare da un avviso di ciclone, ovviamente.

Bene, devo risolvere un problemino sul mio VISA (mi scade dieci giorni prima della partenza da Darwin del Rally a cui siamo iscritti). Naturalmente seguo la vicenda da mesi e mi sono letto su internet pagine su pagine di info ufficiali al riguardo. Senza entrare nel merito, dico solo che mi sono rivolto, prima, al helpdesk on line con risposta burocratica non risolutiva e poi ad un ufficio a Bundaberg. Mi chiedono di inviare una mail e poi mi rispondono di leggermi il loro sito, cosa che avevo detto di aver già fatto. Nulla di più.

A Cairns torno all’attacco e vado all’ufficio competente. Finalmente ho davanti una simpatica e premurosa bionda. Rispiego il tutto con tanto di documentazione, capisce il problema e condivide la necessità di risolverlo. Finalmente, penso io. Deve però sentire il suo capo. Si allontana per lunghi minuti. Forse un buon segnale. Ritorna, sorry, mi dice, sfortunatamente non se ne occupano loro. Questa attività è delegata ad un’agenzia esterna e mi rifila l’indirizzo internet ! Se esci dal percorso, dalla norma…lità, il sistema, l’interlocutore fa quit e sei fregato. Italia Bel Paese, anche se...

Ma c’è anche molta natura, arte, storia e qualche sorpresa divertente, alla prossima.


Cairns, 6 giugno 2014. Oggi un po’ d’arte aborigena e non solo.

2014-06-07

 Oggi un po’ d’arte aborigena e non solo.

Avevo visto per la prima volta qualche cosa allo stand australiano della Biennale 1982.

La prima impressione fu molto forte. C’era una gran luce nello stand open space, alle pareti grandi superfici graffiate di terra: ocra rossa, caolino, carboncino. Sembrava che la terra parlasse. Ora ho trovato molto di più e qualcuno che mi ha pure raccontato qualche storia.

Il tutto iniziò negli anni ’70, la storia commerciale e collezionistica intendo.

Alcune gallerie pubbliche decisero di acquisire l’unica espressione culturale autentica del continente e di farne un percorso culturale nazionale. Erano le forme espressive degli aborigeni, la vera storia dei canti, dei sogni, delle tradizioni degli spiriti ancestrali.

Una storia per altro assai tragica. Dal 1788, data del primo insediamento bianco, si calcola che siano stati sterminati da 300 mila ad un milione di aborigeni. Qualcuno ha detto che molti australiani sono morti in guerra per difendere la libertà in giro per il mondo, ma gli unici a morire per difendere la libertà nella loro terra, l’Australia, furono gli aborigeni. Questa consapevolezza accompagna, non senza qualche problema di comprensione reciproca, anche la contemporaneità: nel 1988 fu celebrato il Bicentenario e gli aborigeni rifiutarono ogni coinvolgimento, in primis gli artisti molti ormai di fama mondiale. Decisero allora di ricordare a modo loro. Dipinsero duecento totem di legno, uno per ogni anno della tragedia. Fu il loro Aborigenal Memorial, “ In qualche parte dell’Australia la gente ha perso i canti. Con questo Memorial noi cantiamo per tutti loro”.

Con queste poche righe non è possibile andare molto oltre, però con le immagini di qualche opera è possibile intuire il senso, l’importanza del rapporto, che tramite la natura, terra, acqua e cielo, gli aborigeni continuano a tenere dialogando con il loro passato, con i sogni, con i canti, con gli spiriti ancestrali, perché solo così possono creare il loro futuro.

Ecco allora cieli di terra, curve, spirali, grafia concentrica di nuvole, oppure sentieri, tra neri pozzi d’acqua, forme d’animali, reti sottili d’ immaginati percorsi seguiti dagli antenati nella vastità dei territori allargati della creazione. Oppure ancora puntiformi pittogrammi, ricordo di sacre decorazioni del corpo. Un linguaggio non facile da interpretare, ma che svela a poco a poco la fortissima identità con questa terra, rossa. Con questi spazi dall’orizzonte ricurvo.

Negli interni ombrosi di una palazzina neo classica ho ritrovato, forse, un analogo istinto di simbiosi con questa natura, con la luce bianca, ora, degli spazi del sud, verso il Mar di Tasmania. Con la personale di Philip Wolfhagen all’Art Gallery, ritrovi, con espressioni diverse, uno sguardo soggiogato da questa natura, da questi spazi. Non più sogni di ricordi ancestrali, ma una materia di colori impastata con la luce propria di questi spazi.

Senti quasi il salmastro profumo del vento.


Cairns 8 maggio 2014. Storia e natura…con un po’ di morale

2014-06-08

Storia e natura…con un po’ di morale.

Nel maggio del 1886 avresti potuto vedere mille cinquecento scamiciati scavare, picconare la roccia, a mani nude, lungo versanti di fitta boscaglia. Erano appena iniziati i lavori per una tratta ferroviaria da Cairns alle miniere tra i monti. Al grido gold , uomini da tutto il mondo accorsero per cercar fortuna. Tra loro molti italiani, greci, britannici cui la madre patria diede il ben servito, fu la prima generazione d’immigrati disperati.

Oltre quindici gallerie, migliaia di alberi abbattuti e la ferrovia fu inaugurata nel 1891.

Ora è un’ escursione, come dire, imperdibile. Il trenino, vagoni di legno primo’900 e locomotiva variopinta anni ’70, sale, tra una fitta barriera di verde e squarci panoramici, al paesino di Kuranda. La località offre, si fa per dire, il peggio del peggio del turismo di massa: bancarelle, cianfrusaglie,ristoranti a non finire, e per sino maschere veneziane, proprio così.

Per fortuna c’è la possibilità di vedere due o tre cosette davvero speciali.

Il bello è che sono, direi, generalmente trascurate dai più, forse perché non incluse nel pacchetto. In un’area immersa nella foresta tropicale un facile percorso conduce, prima, agli alberetti dei koala, poi al prato dei canguri, alla voliera dei pappagalli ed in fine a quella delle farfalle. Non so se sia un bene od un male, ma c’è sempre la possibilità di un contatto ravvicinato. Un koalino tra le braccia di Marina, un piccolo canguro molto goloso non si fa pregare per gustarsi il cibo preparato dai ranger, i pappagalli ti volano sulle spalle alla caccia di tutto ciò che brilla, attenzione agli orecchini! Le farfalle si posano sulla macchina fotografica. Naturalmente non mancano né serpenti, né coccodrilli ma è meglio lasciarli perdere.

Il giorno dopo, macchina a noleggio rosso Ferrari, e partiamo per Heberton.

Il tempo continua ad esser brutto, piove e ci infiliamo tra le nuvole che incombono sulle alte colline dell’interno. Il paesaggio, si fa per dire, ha tutte le varietà del grigio. Meno male che è la dry season, la stagione secca! Giornata pessima, ma eravamo stati attratti da un depliant “A Great Australian Story” la storia del villaggio di Heberton, appunto.

Non mi aspettavo, certo, quello che poi abbiamo trovato. Praticamente zero turisti ed un villaggio di cinquanta casette d’epoca perfettamente sistemate a museo della nostra storia tra ‘800 e ‘900. Hanno fatto, devo dire, un lavoro stupefacente di raccolta, restauro ed esposizione. Ogni casetta ospita segmenti di vita: la scuola, la casa del reverendo, l’insegnante di musica con violini e pianoforti, l’autorimessa con vetture d’altri tempi, macchine a vapore a non finire, un bar con stanza al piano, lasciata come se fosse appena uscita l’ultima coppietta. E ancora il fotografo, il droghiere, il maniscalco, la banca, il dentista, il fabbro, la farmacia, la redazione del quotidiano, il negozio dei giocattoli, il mulino,  e molto di più.

Ma quello che colpisce è l’attenzione ai particolari, al singolo oggetto, alla comunicazione. Durante la nostra visita c’erano almeno altre due attività di restauro in corso, una vettura primo ‘900 ed un reparto che sarà dedicato alle prime navigazioni.

Chiuderei con una citazione da un manifesto ingiallito affisso in aula “Good Manners”. Dopo aver indicato il miglior comportamento che un ragazzino dovrebbe tenere con se stesso, a casa, a scuola, al gioco, lungo la via, a tavola, ovunque, il manifesto ne propone la sintesi nella The Golden Rule che suona più o meno così: sempre comportati con gli altri come vorresti che gli altri si comportassero con te. In ogni caso, se in dubbio, dovresti comportarti, pensando a questa domanda “ Come vorrei che essi si comportassero nei miei confronti, se io fossi al loro posto?” ed in fine “ Fai quello che in coscienza ritieni giusto”. Altri tempi!...e continua a piovere, ieri e tutto il giorno oggi. 


Portland Road, Morris Island, Flinders Group, Lizzard

2014-06-20

Portland Road, 20 giugno 2014

Rieccoci. In queste lande desolate internet è una chimera e trasmettere per radio è troppo lungo ed impegnativo mentre siamo in navigazione.

Riporto di seguito tre report già pronti e relativi alle passate giornate.

Aggiungo solo che la costa qui è davvero deserta per centinaia di chilometri. Gli unici che incontriamo sono i trawler dei pescatori. A Morris Island siamo riusciti a rimediare da loro anche un po’ di pesce, tra una raffica e l’altra.

Domani si prosegue verso nord, altre 65 miglia, poi l’ultima sosta ad Escape River prima del Capo. D’ora in poi sino a Darwin niente internet, credo.

Proverò a mandare qualche testo. Alle…prossime.

Flinders Group Islands, Bowen Channel, 16 giugno 2014

Il 10 giugno siamo ripartiti da Cairns con una bella giornata di sole, una delle pochissime, e con qualche rimpianto: niente gita con snokerling alla barriera a causa del tempo davvero pessimo, i catamarani delle agenzie vanno comunque, ma pioveva e tirava vento, visibilità in acqua ridotta ad una decina di metri e i pesci chi li vede? Dopo una notte passata all’ancora dietro al faro delle Low Island, con due lune in cielo, la lanterna e quella vera quasi piena, e la successiva a ridosso di Capo Bedford con rollate memorabili, ci siamo infilati nella bella insenatura a nord di Lizard Island. L’isola è da queste parti assai famosa perché dalla cima, che la sovrasta a 350 metri, Cook cercò individuare un varco adatto per attraversare la barriera verso il mare aperto. La situazione per lui ed i suoi uomini ormai era diventata un incubo: un centinaio di miglia prima erano finiti sugli scogli rischiando di affondare.

Anche quella volta Cook era salito in cima ad un monte sulla costa cercando di intravedere una rotta da seguire. Verso nord c’erano insidiosi passi fondi, ma ad una distanza eccessiva per superarli con la luce. Decise così di far vela dalla baia di notte per anticipare i tempi.

Tutto sembrava tranquillo. Superato un basso fondo, Cook si ritirò per riposarsi.

Poco dopo uno schianto lo fece correre in coperta ancora in mutande. Impartì immediati e precisi ordini ai suoi. Furono scaricate 40 ton. di materiali ( un cannone ed un’ancora si trovano al Museo di CookTown) e mentre le pompe sgottavano, altri cercarono di passare lungo lo scafo teli per ridurre la pressione dell’acqua sulla falla. Finalmente con l’alta marea l’Endeavour si liberò e Cook riuscì a far vela sino al fiume ove oggi si affaccia CookTown, appunto. Arenò la nave, la abbatté su un fianco e mise i carpentieri al lavoro.

Dopo 48 giorni riprese il mare.

Lizard, l’isola delle lucertole tante ne vide Cook, è uno dei pochissimi ancoraggi decenti da Cairns verso il Top End, Capo York. L’idea era di fermarci qualche giorno. Sembrava anzi che ci fosse pure la possibilità, vista su internet, di una puntatina alla barriera con un catamarano dell’esclusivo Resort dell’isola. E invece l’ultimo ciclone di aprile ha spazzato via quasi tutto, palme e catamarano. Che fare? Una bella scarpinata sino alla vetta, naturalmente, per goderci il panorama dal Look Out che quelli del Parco hanno dedicato a Cook, naturalmente.

Dopo due orette lungo un non facile, ma ben segnato, sentiero abbiamo raggiunto la vetta.

Non si vedeva assolutamente nulla! Eravamo completamente avvolti dalle nuvole, mentre una sottile pioggerellina schizzava gli obiettivi.

Cook era stato più fortunato…si fa per dire. Infatti scorse un varco, che ancor oggi porta il suo nome, e decise di sfruttare l’opportunità che sembrava davvero unica.

Ripartì a vele ben bordate con un leggero sud est e puntò verso il varco. Lo superò, ma appena all’esterno il vento diventò bonaccia e la corrente lo respinse indietro verso la barriera. Enormi frangenti indicavano perfettamente ove l’Endeavour stava derivando inesorabilmente. Ancora una volta, con grande perizia e fortuna, riuscì a dirigere la nave verso un varco che si stava aprendo a favore di corrente. Vi passò attraverso come tra le sponde di un fiume e si ritrovò all’interno della barriera. Ma vivi. Da quel giorno decise di proseguire tenendosi ben sotto costa, sperando in un varco più a nord. La stessa rotta che stiamo seguendo noi oggi.

 Flinders Group Islands, Bowen Channel, 17 giugno 2014

Da Lizard a Capo York, la punta estrema dell’Australia a nord, sono circa 400 miglia di navigazione tra la barriera a est e la costa a ovest. Il vento, normalmente da est a sud, soffia tra i 15 e i 30 nodi. Il mare qui non monta più di tanto e quindi il fattore vela non è un problema, di norma. Il problema, invece, sono gli ancoraggi. Ogni 50, 60 miglia bisogna trovare un ridosso decente. La navigazione notturna, se non obbligato, la escludo a priori. Cosa del resto che tutti caldamente consigliano. Il motivo è semplice. Qui è sempre molto nuvoloso, ormai ce ne siamo fatti una ragione, ed i piovaschi e la scarsa visibilità complicano notevolmente le cose negli incroci con i cargo che assai numerosi sfilano tra nord e sud lungo la nostra rotta. Dobbiamo stare tutti in uno stesso canale scevro da pericoli. Alle volte dobbiamo uscire di lato e, nonostante il plotter ed il GPS, può succedere di non focalizzare per bene scoglietti in agguato, come l’altro giorno venendo a questo ancoraggio. Eravamo sotto Capo Melville con raffiche catabatiche in poppa. Cordoli di nuvole nerissime incappucciavano le montagne a corona del Capo ed il mare era spazzato da un robusto venticello che scendeva allegro dai costoni violacei. Per raggiungere le Flinders fu necessario manovrare ed uscire dal canale. Sul plotter, di fronte a noi, un varco ben largo tra due scogliazzi : quello a sinistra alto e ben visibile, quello a destra lo identificai, al primo colpo d’occhio, con una boa verde. Era segnalato nel punto ove questa boa verde indicava alle navi di lasciarlo a dritta scendendo verso sud. Noi andavamo a nord e quindi avremmo dovuto lasciarlo a sinistra. Però per le Flinders siamo usciti dal canale lasciandolo a dritta. Tra una manovra e l’altra la boa verde ci è passata, dunque, a dritta. Marina, controlla il fianco destro, e mi dice: “Però che scogliazzi !”. Erano molto al di qua del primo colpo d’occhio sulla boa verde. Francamente non li avevo visti !

Siamo venuti a questo ancoraggio perché il meteo dava dai 25 ai 30 nodi per i prossimi giorni a seguito di una Alta stabile in transito a sud. Trovare un buon ancoraggio dopo una giornata di vela non è facile e le Flinders sono raccomandate allo scopo.

Ormai abbiamo capito che gli ancoraggi a ridosso dei capi sono precari sia per il vento a raffiche che per i bassi fondali che non consentono l’avvicinamento a riva, lasciando così un bel tratto di mare spazzato dal vento con belle e ripide crestine. E, come se non bastasse, l’onda gira attorno al capo e le rollate ci danno la buona notte.

Ora stiamo valutando se muoverci domani. Il prossimo ancoraggio è a 50 miglia sotto vento ad un’isoletta di sabbia rasa, rasa. Si chiama Morris Island ed ha una assai curiosa storiella. Alla prossima.

Morris Island, 18 giugno 2014

Ancorati dietro ad una palma, ma che palma!

Il meteo continua a dare 25, 30 nodi, ma francamente da due giorni non li vedo proprio qui a Flinders, e siamo piuttosto impazienti. I giorni scorrono troppo veloci.

Anche in partenza da Cairns avevano dato sino a 30 nodi, poi la giornata era stata ventosa ma niente di che.

Attenta occhiata all’ultimo meteo governativo ed al vento del GRIB: ancora 25, 30 nodi per i prossimi tre giorni, con il GRIB in calo. Ne abbiamo abbastanza, decidiamo di partire.

Giriamo la punta dell’isoletta verso nord ovest e scorgiamo tre trawler dei pescatori a ridosso. Di giorno dormono e di notte escono. Il cielo si apre e la giornata si presenta chiara, non plumbea come le precedenti. Buon segno.

Passiamo, d’infilata e sotto vento, una bella serie di grandi reef, tutti ben segnalati con fari imponenti. Il mare non da fastidio, nonostante i 25 nodi di vento al gran lasco.

Seguiamo il canale delle navi e teniamo d’occhio la situazione con binocolo ed AIS.

Un puntino emerge tra la foschia giusto in prua: Marina lo battezza subito, un rimorchiatore rosso! Sull’AIS ne scoviamo il nome Seafarer e pure la distanza alla quale ci dovrebbe passare. Siamo esattamente in contro rotta, distanza uguale a zero.

Siamo prossimi ad una curva del canale e non è ben chiara, in prospettiva, la sua traiettoria. Potrebbe tagliarci la rotta. Noi filiamo a quasi 8 nodi, lui oltre 12. Ci avviciniamo molto rapidamente in perfetta rotta di collisione. A 7 minuti dall’incrocio decido di chiamarlo.

Mi risponde quasi subito e mi chiede dove sono!? Evidentemente non mi aveva notato.

Mi chiede il nome della barca, che già gli avevo indicato nella prima chiamata. Ora mi sta cercando, per conferma, sul suo AIS. Siamo a poco più di un miglio ormai, lo richiamo innervosito “Port to Port?” richiedo. Di norma in questi canali chi sale tiene la destra, chi scende la sinistra. In pratica Rosso al Rosso. Nel linguaggio internazionale, Port to Port, perché le navi nei tempi antichi prima dell’invenzione della ruota del timone con pala al centro, avevano un lungo remo, come timone, a destra a poppa. Per accostare alle banchine del porto usavano quindi il fianco sinistro, Port, appunto.

Finalmente lo risento. “ Negativ, Sir; Steer to Steer” ovvero il contrario della norma. Come supponevo stava tagliando il canale per accorciare la curva successiva! Gli do la conferma e poggio di brutto. Mi passa comodo a destra, lo vedo sul ponte che mi scruta con il binocolo. Si domanderà sicuramente, “ Ma che bandiera è quella, rossa con strane codine?”

Noi riprendiamo la corsa. Verso la costa, molto vicina ma che non vediamo, una incombente foschia non mi conforta affatto. Il vento ora rinforza decisamente e i 30 e più nodi arrivano davvero. Filiamo a 8 nodi. La corrente contraria alza maretta, un metro e qualcosa. Fuori della barriera ci saranno sicuramente più di tre metri, quelli annunciati.

Riguardiamo, per l’ennesima volta, in mappa l’ancoraggio di Morris Island e siamo sempre più perplessi. Siamo senza piano B, se l’ancoraggio sarà ingestibile dovremo proseguire tutta la notte, senza luna. Da cinque miglia l’isoletta è appena distinguibile, vedi solo una palma. Dicono che si possa ancorare anche con una gale, tempesta, ovvero, in termini tecnici, con un vento intorno ai 30 nodi, e ci sono tutti.

Poi due piccole macchie scure contro luce rivelano la presenza di trawler . Buona notizia: se ci stanno i pescatori, ci staremo anche noi. Sotto vento a questo granello di sabbia il mare si ammorbidisce. Via quel poco di vela che c’è,  motore e pronti per l’ancoraggio.

Naturalmente i due trawler se la sono presa comoda e lo spazio rimasto è precario. O è troppo fondo o troppo esposto. Giro e rigiro, non resta che ancorarsi tra i due. Devo puntare al centro, portarmi alla loro altezza e calare rapidamente. Se derivo sotto le raffiche rischio di avvicinarmi pericolosamente alle loro fiancate irte di bracci metallici per la pesca allo strascico. Marina indica, al centro, un basso arbusto sull’arena sabbiosa, lo punto e via. Sulla perpendicolare la catena scende velocissima, ma la barca, ora in stallo,

scade rapidissimamente sulla destra, ingovernabile sotto le tese raffiche.

I primi venti metri di catena reggono l’ancora che ha subito fatto presa; la prua, con uno schianto di ferraglia, tra passa catena e salpa ancore, si riporta al vento di strappo. Giù altri venti, e altri venti metri. Eutikia è ora perfettamente tra i due trawler, immobile.

Oltre la striscetta di sabbia, una lagunetta trattiene l’irrompere dei marosi “urla e biancheggia il mar”,… mi par di ricordare.

E ora la storiella della palma. Nell’ 800 L’Ammiragliato Britannico decise di porre rimedio, in qualche modo, alle molte vite perdute durante i naufragi tra questi bassi fondi.

Gli equipaggi, scampati al naufragio, trovavano rifugio su questi isolotti, per morire poi di fame e di sete. Decisero allora ci liberare su questi isolotti, come Morris Island, alcune capre, di impiantare palme da cocco e particolari agavi. Perché agavi? Queste hanno al centro della pianta, a foglie basse, uno stecco alto e forte. Quello che serviva per raggiungere le succulenti e mature noci tra le alte fronde dei palmizi. Bella idea, eh!


Verso il Golfo di Carpentaria

2014-06-22

Abbiamo doppiato questa mattina, finalmente, Capo York. Domani partiamo per attraversare Carpentaria, 350 miglia. Per la nostra posizione cercherò di inviare via radio a :

http://www.winlink.org/dotnet/maps/PositionReports.aspx       click a destra su IZ3KND

Ho trovato internet in una landa desolata....dietro le colline c'è un piccolo aeroporto.

Alla prossima.


Capo York, Possession Island 23 giugno 2014

2014-06-23

Capo York, Possession Island 23 giugno 2014

Riprendo il report poiché ho ritrovato un minimo di copertura. Eravamo ancorati sotto terra in Sympson Bay, con una discreta copertura, ma il fondo era pietroso ed una violenta corrente turbinava sotto la barca, meglio andarsene subito. Ora siamo di fronte ad una bella spiaggia e tra gli arbusti spiccano, di chiara terra, enormi appuntiti termitai. Sembra di essere nei giorni della Creazione: natura primordiale, mare costellato di isole verso lo Stretto di Torres. Nessuno…sicuramente numerosi coccodrilli a terra o in giro per la baia. Dicono che sono invisibili, ma ci sono.

Ci eravamo lasciati a Portland Road (mi rendo conto che tutti questi nomi dicano poco, d’ora in poi cercherò come detto, di inviarli a Winlink per il posizionamento in mappa, sul sito sono molto approssimativi), bella navigata sino a Capo Grenville. Sveglia all’alba, pronti via ed il motore non parte! Mi sveglio di colpo. Scendo al motore, muovo il cavetto dello starter, Marina riaccende e Bruummm! Che colpi !

Stranamente però è una bella giornata di sole con il vento giusto e la paura passa presto. Ho dovuto solo negoziare l’incrocio con ben tre navi. Sembra di esser quasi in tangenziale: il bello è che spesso tagliano le curve del canale e quindi chiamano per confermare l’inversione della regola Port to Port.

Troviamo un discreto ridosso dietro al Capo, a Shelburne Bay, il fondale è bassino ed ancoro con un metro sotto, ma è il minimo di marea. No problem.

Al mattino sveglia con il buio e altre 60 miglia, le ultime, sino a Escape River.

Colpo di scena: non siamo più soli! Contro il cielo rossastro dell’alba, quando è ancora tutto scuro, appare un classico puntino e poi un altro, sono vele, per certo.

Ricordo, come un flash, la stessa situazione quando in regata con Toni contavamo all’alba le vele che spuntavano qua e là dopo una notte alle scotte e drizze per cercar di guadagnare preziose miglia. E le soddisfazioni non mancavano.

Guardo sull’AIS. Sono loro, una barca di spagnoli conosciuti lo scorso anno ed un solitario francese. Eravamo insieme a Cairns. Bene, così sentiremo le ultime. Poi, a prua, salta fuori un’altra vela. Sono australiani, anche loro visti a Cairns. Poi in radio ecco i belgi che avevamo conosciuto a Bundaberg. Ci siamo proprio tutti. Escape River è come una necessaria calamita prima di York.

Giornata di gran vela e sole, di nuovo, non sembra vero. Alla fine dobbiamo anche ridurre la vele per non arrivare troppo presto all’entrata del fiume. C’è una barra di soli due metri e mezzo, meglio entrare dopo un po’ di crescente. Per fortuna la Tavola delle Maree ci aiuta.

Verso le 15.30 ci dovrebbero esser quei centimetri in più per evitare il cavo dell’onda sulla barra. Il vento è morbido ed ho anche una bella traccia sull’IPAD. Passano tutti, pescano di meno, e ora tocca a noi. Porto, un po’ nervosetto, la mano sulla chiavetta di accensione, ormai non so più se parte o non parte. Click!...e non parte ! Ormai la barra è vicina, salto sul motore, rispingo il cavetto malefico, Marina riaccende e Bruuummm. Mamma mia, anche questa è passata. E via dentro schivando allevamenti di perle, mentre il gestore informa gli altri dove ancorare. Ci ritroviamo così a pochi metri sotto una stella memorabile e l’ultimo spicchio di luna…dopo aver cercato di meglio fissare per l’ennesima volta il cavetto.

Il giorno dopo sveglia alle tre e mezza. Dobbiamo attraversare l’Albany Passage che con la corrente contraria diventa un fiume. Il colmo è alle 9 e dobbiamo arrivare alle 7 perché verso nord si passa solo con il crescente. Riseguo la traccia e siamo fuori senza patemi, lo spagnolo, che pesca molto meno di noi, finisce in secca. Poco male, il crescente lo libera subito.

Poi entriamo nel Passage. Davvero un’esperienza unica. Capo York appare tra le sponde. Un faretto bianco indica l’estremo lembo di terra a nord di questo immenso continente.

Noi lasciamo definitivamente l’Oceano Pacifico ed entriamo nell’Indiano.

Questa costa australiana da Bundaberg a York è stata faticosa, non facile, ma assolutamente indimenticabile.


Golfo di Carpentaria, 24-25 giugno 2014

2014-07-01

Le stelle di Carpentaria.

Oltre Capo York troviamo un buon ancoraggio sotto vento a Possession Island.

La previsione per i prossimi giorni è favorevole: vento da sud est sui 15 nodi.

Il Golfo di Carpentaria ha una pessima fama. In realtà è un mare che si estende sopra vento per oltre trecento miglia e quando soffia il mare monta vistosamente e rapidamente da sud. Noi andiamo verso ovest e l’onda ci colpirebbe di fianco. Con eventuali frangenti percorrere le trecentocinquanta miglia da York a Capo Wessel, circa settecento chilometri,diventerebbe un problema molto serio.

Siamo in contatto con le poche barche nei paraggi e concordiamo sulla buona occasione.

Il mattino presto attraversiamo, tra bassi fondi, lo stretto che liberò Cook dagli incubi, usciamo da Torres ed entriamo in Carpentaria. Il mare all’inizio è piatto e senza vento, poi incomincia a montare a mano a mano che usciamo dal ridosso di York. Il vento cresce, ma è quello atteso, buono. Il mare al nostro fianco si presenta minaccioso, sui due, tre metri, ma innocuo, senza frangenti. Solo alti pinnacoli che ci alzano e ci fanno rollare. Avanziamo bene.

Vedendo l’accavallarsi di queste onde da sud mi rendo ora ben conto del potenziale pericolo. Oltre i venti nodi  monterebbe molto rapidamente.

Ma veniamo alle stelle. La notte è senza luna e le ore al buio in pozzetto sono molto lunghe da passare, nonostante la musichetta dell’IPOD.

Chi sta di turno, più o meno due o tre ore, seduto sulla panca sottovento controlla agevolmente la rotta e gli incroci con le molte navi in contro rotta: sguardo alle luci della strumentazione, a sinistra, ed allo scuro mare, a destra. Il mio amico Toni, durante l’attraversata dell’Atlantico, si trovava talmente bene in questa posizione, in più lui fumava così liberamente, che gli sembrava d’esser al roof garden. Da allora, pure noi, la chiamiamo così.

Ebbene dal roof garden le stelle sono a portata di mano.

Immaginate la scena. Subito, sotto al fianco della barca, si allunga, veloce e spumeggiante, la scia, fosforescente. Il mare nero si apre lasciandoci passare. Oltre intravedi un flebile rincorrersi di crestine nell’oscurità, a perdersi verso l’orizzonte.

 Che non c’è. Non c’è linea, là inizia solo la luminosità delle stelle. Le prime appena vi si appoggiano, le altre si espandono all’insù sempre più luminose, libere dai vapori del mare.

Se le ben guardi, ne percepisci prima l’insieme e ne resti attonito. Sono quei momenti di sguardo senza pensiero. L’alternativa sarebbe pensare a tutto,e ce ne sarebbe tutto il tempo, ma è meglio non farlo. Meglio godersi l’incanto.

Poi, magari ti torna alla mente il ricordo infantile della più bella delle domande “ Come si chiama quella stella?” è una domanda vecchia come il mondo. Da sempre qualcuno ha cercato di farsene una ragione dando loro dei nomi che le rendessero più vicine, più umane. Così oggi per noi, dal pozzetto, il più bel divertimento è quello di ritrovarle, di riconoscerle e seguirle durante l’immutato percorso della notte.

Ecco così verso nord il Cigno volare ad ali spiegate, appoggiato sulla coda brilla Deneb.

Un po’ a sinistra gli vanno incontro due stelle di prima grandezza: Altair e Vega sono un riferimento certo per trovare le altre che fanno loro corona. Basso sull’orizzonte lo Scorpione si bagna già la coda, la arriccia all’insù cercando di evitare gli spruzzi ma il firmamento non fa sconti a nessuno e continua il suo giro.

Un’occhiatina sopravento, verso sud, non guasta, tanto per accertarsi di che pasta sono fatte le onde in arrivo. E naturalmente l’occhio cerca la Croce del sud. A mezz’ aria, appena inclinata, ha da sempre guidato i marinai del sud. Si sente davvero importante: neozelandesi ed australiani l’hanno dipinta sulle loro bandiere. Appena a destra il Triangolo australe, poi più in su a sinistra…a prua c’è una forte luce bianca!...le stelle possono aspettare. Alla prossima.


Darwin, Fannie Bay, 3 luglio 2014

2014-07-05

Arriviamo che ormai è notte e le luci a terra giocano con i verdi e i rossi del canale d’entrata. Sembra proprio che le cose debbano esser non proprio semplici sino all’ultimo miglio.

Questa costa nord, da Capo York a Darwin, circa mille e seicento chilometri, è difficile da definire. Anche perché l’abbiamo superata, direi, di slancio. Le previsioni meteo, come al solito, diventano decisive. Se c’è una buona finestra bisogna correre ed è quello che abbiamo fatto. La costa del resto, per quel che abbiamo visto, non appare molto diversa da come la videro per la prima volta gli olandesi ai primi del ‘600: assolutamente deserta.

Salvo un modesto villaggio nei pressi di York ed una cittadina mineraria a sud nel golfo di Carpentaria, il resto è il nulla. Ed è ben chiaro il perché i bianchi abbiano da sempre riservato, si fa per dire, agli aborigeni queste vaste aree. Tra Carpentaria, attraversato il golfo tra navi in fila verso lo stretto di Torres e rollate memorabili, ed il Mar di Arafura c’è una sottile lingua di isole che termina con Capo Wessel. Per fortuna, sotto vento, si trovano diverse baie ben protette. Noi ci siamo fermati per una notte a Jensen Bay.

 Il posto è fuori dal mondo. Solo una lunga spiaggia, bassi arbusti, vento e coccodrilli, forse. L’acqua è bella, ma appena fosca, meglio non azzardare uno sguazzo. Per scendere a terra, comunque, servirebbe una speciale autorizzazione: zona riservata agli aborigeni,appunto.

Poi riprendiamo il mare sempre verso ovest. Poco vento ed il mare tende a spianarsi.

Appena a ridosso di Capo Croker, ormai notte, ci chiamano per radio. La Guardia Costiera ci sorvola, ci individua e ci fa un bel interrogatorio via VHF. Noi li vediamo sull’AIS. Poi chiamano anche le altre due barche con le quali stiamo navigando. Stessa storia il giorno dopo. Ormai siamo a Capo Don. Anche qui, per fortuna, madre natura ha piazzato una comoda baia, Alcaro Bay, per un ottimo ancoraggio. Arriviamo a stento, contro una corrente di quasi quattro nodi. L’acqua incomincia a defluire dal Golfo di Van Diemen, da Darwin, andarci contro è impensabile.

Arrivano anche gli altri due ed inizia lo scambio di idee su come e quando ripartire verso Darwin, l’ultima tappa di cento miglia. Uno spagnolo, un francese ed un italiano e parliamo tutti un pessimo inglese. Questo ultimo tratto è davvero un rompicapo. Vediamo se riesco a spiegarlo in breve. Dobbiamo superare, prima cosa, lo stretto di Dundas. Qui la corrente può raggiungere i cinque nodi. Poi dobbiamo attraversare il Golfo di Van Diemen, una cinquantina di miglia, e passare un ultimo stretto tra le isole Vernon. Poi altre venti miglia ed arrivare di notte a Darwin. Facciamo bingo se partiamo quattro ore prima dell’alta a Darwin, che ci spingerebbe verso sud ovest, e se contemporaneamente il solito vento di sud sudest non soffiasse più di quindici, venti nodi. Se fosse più forte il mare si alzerebbe di brutto con onde cortissime e ripide, neppure pensarci.

I GRIB ci consigliano un giorno di attesa. Poi, forse, partendo alle quattro di mattina (alta a Darwin alle 9) dovremmo trovare il vento atteso, magari in calo.

Buio pesto, scuro di luna, e si parte. Come usciamo dalla baia par di entrare in un fiume. La velocità sale oltre gli otto nodi e siamo nello stretto. Come entriamo si alza un levante teso e velenoso.

Oltre venticinque nodi, quello che temevo. Gli stretti di solito accelerano il vento. Per fortuna è ben oltre i sessanta gradi e la mezza randa porta bene. Poggiamo, motore al minimo, per sfuggire ai marosi che stanno montando e rotolando contro corrente.

Appena fa un po’ di chiaro, si può ragionare e capire cosa sta succedendo là fuori.

Le onde spazzano la prua, ma uno straccio di genoa stabilizza la barca e voliamo via.

Il sole, livido, fatica a sorgere oltre il violaceo profilo della bassa costa. Le creste spumeggiano opache e verdastre, ma risaliamo senza grosse difficoltà. In cinque ore arriviamo alla prima boa del canale. Possiamo poggiare e diventa una passeggiata.

Poi inizia la contraria. Avanziamo comunque spinti dal levantone. Poi la corrente torna favorevole, lentamente, poi fortissima tra le isole Vernon.

Il sole tramonta nella foschia. Si accendono le luci ed incomincia la caccia di Marina ai verdi ed ai rossi, contro il luccichio della città. Ci chiamano al VHF. è Ann, una simpaticissima signora belga incontrata a Bundaberg. Ci ha visto sull’AIS. Dice che ha illuminato tutto il suo albero, non proprio piccolo su un ventidue metri. Ci farà da faro. Alle venti ancoriamo al suo fianco. Siamo a Darwin. è fatta.

Ora ci aspetta un bel giretto all’interno dell’Australia…via terra!

Alla prossima dal Red Center, terra di aborigeni.


Darwin, 20 luglio 2014. Alice Spring: treni e cammelli

2014-07-21

 Alice Spring: treni e cammelli.

Dal finestrino lo sguardo, assonnato, si apre su tre strisce di colore. Sotto il bush, indistinto, è ancora viola plumbeo, una sottile e luminosa fessura rossastra lo separa dal cielo della notte, ancora stellata. è l’aurora sul Red Center, il Centro Rosso dell’Australia.

Siamo comodamente sdraiati sulle poltrone del The Ghan, il treno più famoso qui, a sud del mondo. Collega l’estremo nord, Darwin, con l’estremo sud, Adelaide. Siamo arrivati, che è giorno, ad Alice Spring, circa a metà strada, mille e cinquecento kilometri di un paesaggio assolutamente sempre uguale, solo bush,  ovvero gialla sterpaglia, piccoli arbusti verdastri, semi bruciati, e terra rossa, piatta.

Nel 1850 qualcuno riuscì nell’impresa di attraversare, con i mezzi di allora, carri e cavalli, tale immensa distesa di quasi nulla, da sud a nord. Nacque così l’idea di una strada ferrata, anche perché era necessario installare al centro del continente una stazione telegrafica. Così trent’anni dopo iniziarono i lavori ed il mezzo di trasporto usato fu il cammello afgano, The Ghan, appunto. Nel 1910 arrivarono le prime quattro ruote e gli afgani tornarono a casa, ma lasciarono i cammelli per la gioia dei turisti di oggi alla ricerca dell’esotico.

Siamo venuti sino a qui per vedere la solitaria montagna rossa di Uluru, icona del passato aborigeno e del turismo di massa internazionale. Non avevamo alcuna illusione, ma solo il desiderio di capire, se possibile, qualcosa di più di questo continente.

La cosa che noti subito ad Alice, come a Darwin, è il davvero vistoso numero di Gallerie d’Arte Aborigena, come da noi i negozi di vetri o maschere. I prezzi variano a seconda della dimensione e dell’artista. Da 50/100 dollari per un 30x30, sino a diverse miglia di dollari per dimensioni maggiori. Gli artisti più famosi, mi dicono, sono quotati dalle gallerie di New York. Insomma i bianchi, come avevamo visto anche a Cairns, hanno creato un vero business su questa predisposizione artistica degli aborigeni e ne hanno incentivato la produzione organizzando, un po’ ovunque, estemporanei piccoli studio mettendo a disposizione pennelli, colori e tele.

Come se non bastasse, i produttori di gadget si sono lanciati come falchi sul colorismo di queste opere e ne riproducono i motivi su borse, tovaglie, tessuti, IPAD cover, cappelli e quant’altro. Naturalmente precisando che il tutto ritornerà a beneficio della comunità da cui proviene l’artista. Ma?!

Per certo, quello che vedo, gli aborigeni sono ai margini del tessuto urbano. Passano il tempo, uomini donne e bambini, sdraiati al sole, fa freddino anche di giorno, sull’erba dei parchi in prossimità di qualche distributore di bevande alcooliche. Di lavoro, davvero pochino. Di salute, si vede subito, che non stanno bene. Mal vestiti, macilenti e smunti, sembrano quasi clochard del deserto, a casa loro. Da far pena. In compenso ti sorprende quanto siano numerosi gli obesi di pelle bianca che incontri nei Super Market o al bar mentre affrontano hamburger smisurati da metter in imbarazzo la mascella più snodata. Ma ne riparleremo.

Alla prossima con tramonto sulla montagna di Uluru.


Darwin, 21 luglio 2014. La grande pietra rossa.

2014-07-22

. La grande pietra rossa.

 Nel buio della notte partiamo per Uluru. Ci aspettano 441 kilometri.

Kathy, una ragazza neo zelandese tuttofare e piena di vita, guida il furgone 4W e relativo rimorchio. Tiene sotto controllo tutti e guida come se avesse una 500.

Siamo in compagnia di due famigliole belghe, una coppia di neo sposi tedeschi ed una giovane coppia australiana. Passano ore attraversando il solito noioso bush, poi finalmente, nel tardo pomeriggio, raggiungiamo Uluru.

La località è famosa per una montagnozza, non saprei come definirla diversamente, che spunta imponente, nella sua solitudine, dal piatto orizzonte. Circa 350 metri di altezza per una larghezza di circa 3 chilometri, tutta pietra rossa. è come un iceberg, sotto altri 700 metri. Il luogo è sacro ed un piccolo Centro informazioni ne illustra il significato. Gli aborigeni erano, di fatto, gli unici a calpestare questo suolo sino agli anni ’60, poi un tale pensò bene che questo sito ed altri contigui, altrettanto interessanti per la natura selvaggia, potevano diventare attrazione turistica. Costruì le prime strade ed installò i primi campi. Le agenzie turistiche, poi, fecero il resto. E così i poveri aborigeni oggi li vedi solo nel filmatino, per altro molto interessante, che proiettano al Centro. Qualcuno compare come guida, ma ben pochi danno loro ascolto. Tutti ben intruppati come a San Marco.

Noi dopo una sgambata, rubando qua e là qualche foto dove non si potrebbe, ci ritroviamo, presto presto, su una bassa dunetta prospiciente il montagnozzo per l’attesissimo tramonto.

La scena è curiosa. Tutte le guide si affrettano a posizionare, di corsa, tavolini alli meio posti, come dicono a Roma. Poi, mentre il sole scende rapidissimo, stappano bottiglie di sparkling, pomposamente annunciato nei depliants come champagne. Mentre la nostra Khaty predispone bicchieroni di plastica variopinta, io me la svigno, con acquarelli e carta, alla ricerca affannosa di un posto tranquillo. Il tramonto illumina la roccia ed i colori cambiano continuamente. Marina fotografa ed io riesco a buttar giù due acquerelli. Quelli che ho vicino, tutti australiani, restano sorpresi “ Sorry, sorry…” e fotografano anche i miei acquerelli. La luce è davvero magica, ma soprattutto lo è la luna. Piena, argentea, fa da spalla, incastonata nel cielo violaceo, al rosso aranciato della roccia. Ormai lo sfondo       s’ imbruna, tutto scolara lentamente. Ai piedi della montagnozza i primi fari dei 4W fendono l’orizzonte oltre  il bush.

Noi ripartiamo verso il campo tendato e noto già un bel frescolino. Dopo pochi minuti di giravolte nel buio Kathy si ferma nel bush e noi scendiamo come zombi. Accendo la mia torcia e mi infilo nella prima tenda che trovo. Due brande, due coperte e due sacchi a pelo.

Ora diamo una mano per attizzare il fuoco, Kathy sembra un aborigeno, ed in pochi secondi le fiamme rischiarano la scena. Poi prepara la cena. Noi tagliamo le verdure, altri il pane, altri la tavola, altri guardano. Tutto è cotto al fuoco, compresa un’improbabile pasta con le verdure. Guardo sconcertato Kathy che sta preparando il tutto, vorrei suggerire di non stracuocerla. Non è il caso. Per fortuna c’è un tavolo con alcune panche. Siamo affamati e troviamo tutto delizioso…anche la pasta!

Poi di corsa a nanna. Non fa freddo, semplicemente gelo! Ci infiliamo vestiti nel sacco a pelo con un berretta di pile in testa ed abbiamo freddo. Fuori la luna e qualche lamento di dingo. A domani, con la storia di Albert Namatjira.


Darwin, 23 luglio 2014 Pittura e diritti civili.La storia di Albert Namatjira

2014-07-23

 Pittura e diritti civili. Il paesaggio, la natura, da queste parti hanno sempre esercitato un’attrazione particolare nei confronti della sensibilità dei primissimi abitanti di questo continente. Qui li chiamano indistintamente, aborigeni. Anche se tra loro le diversità sono spesso evidenti. Si parlano, ad esempio, oltre settecento lingue diverse.

Un po’ ovunque però, e da sempre, trovi sulle pareti rosse di roccia, che solitarie emergono dal bush, grafie, simboli, impronte, racconti.

Le mani sporche di ocra gialla, di caolino, di ossido di ferro, tutti colori naturali presenti in gran quantità, hanno scritto la storia di questi luoghi prima dell’arrivo dei bianchi e dell’apertura delle devastanti miniere a cielo aperto che, pure oggi, sono sotto accusa per aver compromesso la salute della Grande Barriera corallina.

Storia comunque in gran parte ignorata e trattata semplicemente come curiosità sino agli anni ’30. E qui inizia la strana storia di Albert Namatjira.

Cercherò di esser breve. Da giovane, presso una missione ad Alice Spring, ne combina di tutti i colori, si fa per dire. Si allontana, si sposa, litiga con la comunità, fa però piccoli lavoretti di artigianato. Nel ’36 passa di lì Rex Battarbee, un famoso acquarellista in cerca d’ispirazione. Albert resta stupefatto: non aveva mai visto la sua terra così bella, così importante. Decise di provarci e Rex lo aiutò così bene che nel ’38 vi fu la prima mostra a Melburne. Rapidamente, di mostra in mostra, divenne molto famoso e pure la Regina Elisabetta II divenne una sua fan. La sua vita però, pur quasi ricco, rimase misera, ai margini. Ad Alice non riusciva a sistemarsi ed i suoi rapporti con le Autorità difficili. Nel ’57 finalmente gli riconoscono l’esenzione dai limiti imposti agli aborigeni. Per primo, udite, ottiene di poter votare, aver terra propria, di costruirsi una casa e di …bere alcool !

 Fu la sua rovina. Poiché gli altri  non potevano bere, lui, che per regola naturale della comunità, condivideva tutto condivise anche l’alcool. Una donna morì e lui ne fu considerato colpevole e condannato. Ne uscì presto, ma ne rimase segnato. La sua produzione artistica era agli apici quando nel ’59 morì per infarto.

Il suo stile, dipinse oltre 2 mila acquarelli, aprì la via ad altri creando di fatto una vera e propria scuola di pittura. Ora è considerato un pioniere dell’arte aborigena contemporanea.

La sua pennellata incontrò il gusto estetico occidentale ed agevolò così anche la riscoperta della tradizione espressiva delle diverse comunità.

Ora le vetrine delle gallerie d’arte propongono di tutto e di più e ad Alice, come in altri territori, non si può ancora bere alcool…per fortuna.

Torniamo a noi. Il 26 partenza del Rally Sail Indonesia. Ci saranno alla partenza una cinquantina di barche…da evitare, poi 450 miglia sino a Timor con arrivo a Kupang.

Altro mondo, altre storie.


Kupang 30 luglio 2014. Brevi dall’Indonesia.

2014-08-01

L’attraversata.

 Partiamo il 26 da Darwin, senza gloria. Il Rally non ci vede alla linea di partenza delle 11.00. Preferiamo, come altri, anticipare di qualche ora ed uscire con la corrente a favore. Qui è molto forte e, con poco vento, avremmo fatto davvero poca strada.

Il vento non è certamente stato protagonista lungo tutte queste 470 miglia.

Il motore in compenso si è dato molto da fare: oltre 50 ore. Non è un evento raro. Molti hanno rinominato questo Rally in Indonesia Motor Rally. Ora naturalmente sto cercando di recuperare qualche tanica di nafta, impresa non semplice da queste parti.

Ma quello che resterà nella storia è l’urlo di Marina “ BALENEEEE!....cosa facciooooo!”

Era al timone da qualche minuto per dar fiato al timone automatico, che con poco vento ed onda morta, si agita troppo, quando improvvisamente s’è vista passare, vicinissime a prua, due sbuffanti balene. L’urlo è stato sentito anche dalla barca al nostro fianco e Francesc, lo skipper di Catalogna, è riuscito a immortalare la scena.

Arriviamo il 29, beffa finale, con un vento decisamente sostenuto. Entriamo nel canale verso Kupang nel primo pomeriggio, giusto in tempo per raggiungere l’ancoraggio, contro corrente, ancora con la luce. Ci investono però violente raffiche catabatiche da dritta: la barca, pulita perfettamente prima di partire, è ora completamente ricoperta di sale e qui non piove, mai.

L’ancoraggio a Kupang.

 La situazione è davvero curiosa. Siamo esposti sia ad una brezza tesa da terra assai fastidiosa, sia ad una brezza di mare durante il giorno. Il risultato è che si salta quasi continuamente. Il bello è quando dobbiamo scendere a terra. C’è una piccola spiaggia sassosa e l’ondina è velenosa. Per fortuna l’organizzazione ha previsto un servizio di sollevamento  gommoni. Ad ogni sbarco arriva un gruppetto di ragazzotti del luogo. Noi smontiamo al volo tra le ondine e raggiungiamo la spiaggia, lavati sino quasi alle chiappe, e loro sollevano il gommone portandolo in salvo sulla spiaggia. Stessa storia al ritorno. Il tutto per 75.000 rupie al giorno, ovvero 5 euro. L’altra sera al tramonto, appena costì scesi, siamo stati accolti da una bella e curiosa famigliola a passeggio. Hanno voluto farsi fotografare con noi…italiani! Il ragazzo, giovane e benestante padre di famiglia, mi saluta e poi  “Italia… Alessandro Del Piero. Good !”.

Internet, first!

Ormai la prima cosa che tutti chiedono all’arrivo, ovunque, è la connessione ad internet.

Una volta cercavamo l’acqua e la benzina, poi l’elettricità, ora internet.

Tra le pagine della piccola guida, preparata dall’organizzazione, alla voce internet indicano la possibilità di avere il servizio con TelecomIndonesia. A Darwin cerco su Google dov’è sta il negozio. Non è lontanissimo dall’ancoraggio, ma penso anche che sarebbe per loro molto più interessante organizzare un desk al bar sulla spiaggia.

Ebbene, scendiamo a terra e la prima cosa che vedo è il loro desk! In due minuti ho un piccolo modem, naturalmente cinese, che prende il segnale dalla rete e me lo passa via wifi a tutti i vari giocattoli di bordo. Il tutto per 50 Euro con 6 GB per 3 mesi. Tempi moderni!

Bemo, ovvero il frastuono su quattro ruote.

A Kupang se non prendi un Bemo per muoverti, sei rovinato. Sono piccoli pulmini che per 5.000 rupie, meno di mezzo euro, ti portano ovunque. Ma quel che più importa, in salvo da un traffico terribile: decine, centinaia, migliaia di motorini ovunque, macchine con la radio al massimo volume, bemo con i bassi piazzati sotto i sedili che ti creano il vuoto nello stomaco. Sei seduto e circondato da volti che cambiano in continuazione ad ogni sosta volante. “ Ei, mister !...Ei miss !”. Un saluto e tanti sorrisi.

Questa sera Party con il Governatore e domani giretto all’interno


Isola di Timor, Kupang, 4 agosto 2014

2014-08-07

Almeno quattro buone ragioni per ricordare,…o dimenticare Kupang.

Il muezzin.

Tutte le mattine, verso le 4 e un quarto, siamo svegliati da un richiamo, cantilenante, che entra subdolo dal finestrino dove dormiamo. Hai voglia di girarti dall’altra parte. Ormai è fatta. Salmodia così bene che - credo sia un po’ sadico - lascia qualche cesura assai prolungata tra una battuta e l’altra così da indurti a credere che abbia finalmente finito. Invece no, riprende più gagliardo di prima. Al tramonto stessa storia, ma fa più esotico, più atmosfera.

Gli sbarchi.

 Per scendere a terra, anche ovviamente due volte al giorno, ci diamo una bella lavata. Il massimo è ripartire contro vento e onda. Ci portano il gommino sulla battigia, poi lo posizioniamo per contrastare i velenosissimi frangenti in arrivo. Marina con un balzo prende posizione a prua. Molto rapidamente, spingo, per evitare di ritrovarmi di traverso a riva, fin che tocco, e zompo a poppa. Afferro l’avviamento del motorino e tiro sperando che parta. Poi inizia la risalita contro vento verso l’ancoraggio. Bagnati per bene e carichi di sabbia ci rifugiamo a bordo.

La gita a Soe e Napo.

 Ci ritroviamo in venti sulla spiaggia alle sette del mattino, tutti poi ben stipati in un pulmino anni ’70. Noi ai primi posti - ultimi arrivati per la storia che segue - con le ginocchia in bocca ed il motore che arroventa il poggia piede.

Dopo quasi cinque ore di salite e curve arriviamo a destinazione. La guida, che si fregia d’esser di sangue reale, sa il fatto suo. Ci racconta per bene la vita di questi villaggi e ci introduce ai festeggiamenti di ben venuto. Si vede che tutto è stato perfettamente organizzato per far apparire genuino quel poco che resta degli antichi stili di vita.

Poi ci porta a casa sua per un pranzetto tradizionale. Abbiamo mangiato già tre volte, ospiti in questi buffet di benvenuto, sempre gli stessi piatti. Questa volta però mi son dovuto prendere due imodium. La visita comunque è simpatica. Ha chiamato anche vicini illustri ed in salotto foto d’epoca ricordano la storia di famiglia, reale. Poi, a finire, siamo ospiti della famiglia discendente del Kingdom della regione. Grandi inchini, foto di gruppo a memoria, un bel ikat acquistato al volo e per finire, questa volta davvero, anche una passeggiata nel contiguo cimitero di famiglia, reale anche questo, sotto giganteschi pandani e vallate a perdita d’occhio. Il ritorno è rocambolesco. Siamo in forte ritardo. L’autista, per altro bravissimo, guida veloce e non azzarda, si fa per dire, troppo.

Buio, strada molto stretta, motorini kamikaze che sfrecciano sui due lati, macchine strombazzanti da LunaPark, il nostro si destreggia da campione e ci riporta alle 21 sulla spiaggia, per fortuna senza vento…ma noi siamo senza motorino fuori bordo!

Rotta la girante.

Il gommone e relativo fuori bordo sono essenziali per la vita di chi sta sempre a bordo senza appoggiarsi alle comodità dei marina, per altro assai rari fuori dal Mediterraneo.

Da qualche tempo avevo notato che qualcosa non andava nel circuito di raffreddamento.

La mattina della gita passiamo a prendere una coppia di amici della barca a fianco- hanno un gommone troppo pesante per esser sollevato sulla spiaggia- e strada facendo il motore fa fumo e si spegne. Arriviamo a remi. Lascio in consegna lo Yamaha a Mikol, un affarista che gestisce il sollevamento gommoni, la vendita del gasolio e molto di più . “ No problem, quando torni tutto ok! “ Sperare, perché no! Vedi mai che…

Al rientro nel buio vedo il gommone senza il fuori bordo. Ai! No buono. Arriva il nostro e mi fa vedere dove sta il problema: girante rotta. Ma c’è lui che per 150 dollari risolverà tutto “ I fix it for you, no problem!” Già sentita, ma non ho alternativa. Gli do i dollari e andiamo a nanna stanchi morti. Domani è un altro giorno.


Isola di Alor, Kalabahi 7 agosto 2014. Un’attraversata inconsueta.

2014-08-09

Dedicata ai velisti, per questa volta. è un po’ lunghetta, ci vuole pazienza, ma è davvero inconsueta...KAMI DARI KUI...se volete ridere non perdete le foto.

 Da Kupang, Timor, all’isola di Alor sono circa 125 miglia. Bisogna prevedere o più ancoraggi intermedi, però allungando di oltre 50 miglia, o una notte di navigazione. Optiamo, come altri, per la prima opzione anche per partecipare ad un evento organizzato da Sail Indonesia a Wini, sempre sull’Isola di Timor.

La prima tappa di circa 50 miglia è di soddisfazione e rapida: vento da terra, mare piatto e bel ancoraggio, con altre cinque barche, sotto un capo, apparentemente esposto alla risacca ma notte calma e piacevole. Al mattino metto la testa fuori: nessuno. Sono tutti partiti per Alor.

La sera prima avevo sentito un fitto parlottio sul VHF con discussioni aperte su cosa fare. Alla fine un tale, con una bella parlantina tranquilla, prospetta che sarebbe meglio non andare a Wini, bensì direttamente ad Alor: meno miglia complessive, per Wini poco vento e corrente contraria. Noi avevamo comunque deciso di proseguire per Wini. Ci aspettavano gli amici spagnoli partiti il giorno prima e l’idea di salpare alle 4 non mi garbava proprio, anche perché la sera precedente avevamo dormito pochissimo.

Riprendiamo così il mare, di nuovo soli dopo diverse settimane. Poco vento in poppa e corrente contraria di quasi due nodi. Smotoriamo per un’ora verso Wini. Faccio un po’ di calcoli e accerto che dovrei consumare diversi litri di nafta per arrivare al tramonto. La nafta qui è un bene prezioso, quasi introvabile quella buona.

Si alza poi un bel venticello da ponente, per Alor andrebbe abbastanza bene, faccio ancora un po’ di conti e prevedo un arrivo di notte. Non il massimo, ma c’è una buona luna. Dovremmo avere comunque tutto il tempo per arrivare verso mezza notte, prendere il crescente e risalire il canale ad Alor e poi il canaletto sino a Kalabahi.

Una giornata di tranquillo trasferimento sta cambiando volto.

Mettiamo a segno le vele sulla nuova rotta verso nord est e via…cala il vento dopo pochi minuti. Restiamo in balia di una maretta corta e confusa. Di nuovo motore, verso Alor o verso Wini? Nel frattempo mi impressiona la corrente: oltre due nodi contro, su dieci ore vuol dire fare 20 miglia in più, come minimo. Il calcolo, per non addetti, è semplice. Basta confrontare l’esatta velocità registrata dal GPS (Global Position System) che da, via satellite, lo spostamento sulla superficie terrestre, con la velocità sull’acqua dal solcometro di bordo. Questo, per esempio, mi da 5 nodi ma il GPS solo 3, la differenza di 2 è la corrente contraria che in realtà, nonostante il mio procedere sull’acqua, mi trascina relativamente  in dietro.

Una corrente così cospicua è assolutamente frustrante e bisogna rifare i calcoli.

L’onda corta  è come un avviso: vento in arrivo, da dove? Mi guardo in giro con il binocolo.

All’orizzonte verso est vedo qualche ochetta, mare formato. Dovrebbe esser l’aliseo di sud est, anche se i GRIB davano vento praticamente inesistente. Dopo pochi minuti arrivano di botto 25 nodi e partiamo come schegge. Salutiamo l’idea di Wini, non raggiungibile sopra vento, e dirigiamo su Alor in bolina larga. Eutikia avanza sbuffando stracarica, ma appena allargo un po’ vola a 8 nodi con punte a 9 e 10. Goduria pura, se non fosse per la corrente. Ci ruba quasi 3 nodi. Per farne 6 di avanzamento reale, ne dobbiamo fare 9 ! Non oso pensare a quanto motore avrei dovuto fare senza questo vento. Stiamo sulle vele e rubiamo più miglia alla corrente. Al tramonto Alor appare nella foschia purpurea, mentre la luna è già alta in cielo. Abbiamo alle spalle il canale tra Timor ed Alor, come un fiume tra due oceani. Ora dobbiamo entrare nel canale tra Alor sulla destra e Pantar sulla sinistra.

Non sappiamo cosa ci aspetta. O meglio, verso mezza notte la tavola di marea indica l’inizio del crescente verso nord, buon per noi. Siamo un paio d’ore in anticipo, ma il vento tiene e ci avviciniamo. La luna ci fa strada ed illumina per bene il gran varco tra le isole.

Appena sotto costa il vento molla di colpo. Stiamo tornando in dietro, accendo il motore:

facciamo 6 nodi ed avanziamo di 1 ! Cinque nodi e più di contraria! Da non credere.

Siamo praticamente fermi e non ci resta che aspettare il cambio di marea.

Mentre controlliamo per bene la rotta per evitare un isolotto proprio in mezzo al canale do un’occhiata al display dell’AIS. Resto stupefatto. Sotto costa vedo il segnale di BADOC, la barca dei nostri amici di Catalogna. Li chiamo, sono all’ancora. Non potevano aspettarci a Wini, ancoraggio pessimo. E ora, con qualche vibrazione all’asse del motore, non riescono a rimontare la corrente. Sembra un ancoraggio molto precario, il canale è molto fondo e sono ancorati vicinissimi alle sponde rocciose.

Proseguiamo, e a stento riesco a tenere la prua nel letto della corrente. Proseguiamo, si fa per dire, siamo quasi fermi: un nodo e virgola di avanzamento. Accelero ma consumo solo nafta in più. Da dove siamo all’entrata del canaletto verso il bacino di Kalabahi sono 12 miglia. La luna scende sull’orizzonte e ci saluta. Speriamo che ha mezzanotte, con il giro di marea, qualcosa cambi. All’una tutto come prima, alle due nessuna novità. La corrente non molla. In quattro ore facciamo cinque miglia! Poi leggo sul display punte a 1,7, poi 2, poi 2,5. Ci muoviamo finalmente. Alle 4 entriamo nel canaletto. Ora si tratta di evitare i barchini dei pescatori con relative reti. Un incubo al buio. Accendo uno strobo per farmi vedere meglio. Meglio così, avanziamo senza problemi. Il cielo quasi si rischiara con la prima aurora, quando mi chiamano al VHF. Sono gli amici neozelandesi del KIWI COYOTE. Stavano dormendo all’ancora di fronte al villaggio, ma avevano dimenticato acceso il loro AIS che aveva rilevato il mio avanzamento ed aveva suonato l’allarme.

Ci guidano così nell’ultimo buio verso l’ancoraggio. Per fare 20 miglia abbiamo impiegato quasi 8 ore, a motore ! Benvenuti ad Alor e ci aspetta l'EXPO...KAMI DARI KUI! 


Maumere 15 agosto 2014. Due brevi per ancoraggi d’eccezione.

2014-08-15

Adunara, 11-12-13 agosto 2014.

08°14.62’S-123°19.53’E

Tra due vulcani.

Questo ancoraggio resterà tra quelli memorabili. Dopo Kupang ed Alor, con il relativo folcloristico caos, qui è un piccolo eden.

L’entrata è tra due larghi reef, non facile al tramonto, ma entriamo teleguidati dagli amici già arrivati. L’ancora scende rapida su 20 metri di sabbia, alzi la testa è resti rapito dallo scenario.

Subito a poppa, tra acque turchesi, un’isoletta di sabbia bianchissima fa da sponda al canale che collega il viola orizzonte dell’oceano con la piscina dove galleggiamo.

Ma è verso terra, verso sud, che s’apre lo spettacolo. Il sole scende rapido ed illumina le arride pareti inclinate di due vulcani, noi tra loro. La costa s’incolora di bruciati rosati. Il bordo, tra  lagunetta e sfondo, verdeggia di basse mongrovie. Solitari alberetti macchiano il cielo sulla cresta di basse colline. Sopra svettano ed abbracciano lo sguardo i due vulcani, uno più a sinistra verso il mare, l’altro, più a ponente, domina la costa.

Il disco del sole scende veloce, appena velato dai fumi della calura. Una goletta, nera, appoggiata, immobile, sul magma liquido della laguna. Lo guardi svanire, a prua, oltre il viola delle lontane isole della Sonda. Ma a poppa ora sorge già la luna, piena.

Appare come d’incanto, incastonata come una perla perfetta, sulla cima rosata del vulcano, verso l’indaco del mare. Poi scende la notte ed è come se fosse giorno.

Taniung Gedong, 15 agosto 2014.

 08°04.63’S-122°50.71’E

Luci d’altri tempi.

Stiamo finendo di cenare in pozzetto. La luna tarda oltre le basse e nere collinette che cingono la baietta. Tutto è tranquillo. Di poppa, a qualche decina di metri, due capanne nascoste nel folto verde, dopo il vociare allegro pomeridiano, tacciono. Le stelle occhieggiano. Tra un po’ torneranno alla vista i nostri Carri, verso nord.

Nel buio più fitto, alla nostra destra verso riva, si accendono due luci dapprima tremolanti, poi calde e vivissime. Due falò. Stanno preparandosi la cenetta, pensiamo. Poi le luci diventano tre, poi quattro,cinque. Poi più piccole, ma sono già una decina. Le prime si muovono, lentamente. Camminano, dunque, rischiarano la via. Lungo la sponda sentiamo richiami e risate gioiose. Ogni tanto qualcuno sbatte il tizzone, lo ravviva e nel buio roteano le faville.

Ora sono di poppa e le prime luci entrano nella foresta. Tra il folto vedi come una collana di gialli, rossi rubini che s’avvia lentamente verso una bassa sella tra le collinette più vicine. Là il sentiero sembra salire e poi scendere, forse, verso le capanne, che avevamo visto venendo, al di là del capo. La bava da terra ci porta il profumo delle fiaccole.

Pochi minuti e le prime luci sono già scomparse, intravedi le altre nel groviglio della boscaglia.

Le voci, i richiami ora svaniscono, oltre la cresta, con le ultime luci

e torna il silenzio.

La candela, in pozzetto, danza lieve ed illumina la nostra stupita modernità.

Luci d’altri tempi.


FLORES, altre brevi indonesiane, 25 agosto 2014

2014-08-25

Linghe Flores, 22 agosto 2014

“Helooo Mister!”

 La barca immobile in una piacevole baietta, sono a poppa per sistemare qualcosa e…”HELOOO MISTER !” faccio un salto, sorpreso dal richiamo inatteso e molto ravvicinato. Una testina scura compare di squincio dal fianco della barca. Sono in due, padre e figlioletto, su una canoa a bilanciere scavata nel legno. Si sono avvicinati pagaiando piano, piano e ora mi sorridono divertiti per la mia sorpresa.

Mi allunga un foglietto. Qualcuno gli ha scritto una simpatica presentazione in inglese.

E così sappiamo che può portarci gasolio, pane, acqua, frutta, di tutto un po’.

Sempre, quando arriviamo agli ancoraggi, siamo subito abbordati da ragazzini in canoa “Helooo Misteeeer!” un coro ripetuto ed insistente. Ed inizia la distribuzione di dolci, quaderni, penne, magliette. Naturalmente poi la voce si sparge ed in un baleno si fanno sotto altre insistenti vocine, “Hellooo Misteeeer!” e rincomincia “ Which is your name?” Naturalmente non conoscono l’inglese, ma basta poco per aprire un dialogo ed ottenere qualcosa, anche solo la soddisfazione della loro curiosità.

Ieri s’è fatta sotto una canoa motorizzata( hanno uno strano motorino scopiettante con un’asse piuttosto lunga ed elica piccola) con un nutrito equipaggio con tanto di interprete.

“Helooo Misteeer!” Stavo già contando le teste per iniziare la solita distribuzione, quando il ragazzotto a prua, per altro quasi elegante, mi saluta con un discreto inglese. “How are you?” ed io gli rispondo con le poche parole imparate di indonesiano “ Salamat Pagi !” Buon giorno, e lui sorride compiaciuto. Gli altri sembrano come in attesa. Un papà con un piccolo, al centro, un volto grinzoso, avvizzito dalle intemperie. E’ un pescatore, penso.

Alza un piccolo paiolo e compare uno splendido tonno! Sono giorni che non peschiamo assolutamente nulla, solo plastica. A cena, in piatto, due fette grigliate di morbidissimo, bianco, tonno e ….alzando il bicchiere di vin “ Helloooo Mister! !”

Lubiam Bajo, 26 agosto 2014

Gianì, Gianì pour Ann…!”

Abbiamo attraversato tutto il Sud Pacifico da soli, tranne brevissime settimane in compagnia di qualche altra barca. Mai comunque, con un’ italiana.

Da Capo York, meglio da Darwin, siamo invece, quasi sempre, in ottima compagnia.

Ora la piccola flotta è tutta latina: due francesi, una belga, una spagnola e noi.

Notoriamente i francesi non hanno molta confidenza con l’inglese, e noi con il francese.

Dunque parliamo un miscuglio tra inglese, francese e spagnolo, ma ci capiamo abbastanza. Navigare in un piccolo gruppo aiuta, anche se non è semplice.

Stiamo sempre in ascolto sul 16 e sul 72 e le informazioni passano veloci.

Che vento c’è? Dove sei tu c’è corrente? Quanti metri dove sei ancorato? Oppure, domani dove si va? Oppure, attenzione a prua trappola per la pesca!

Hai sempre qualcuno davanti ed altri dietro o di fianco da osservare. Navigar da soli è molto più complicato: confrontare piani ed idee, come nella vita, aiuta. La novità più pratica, in queste circostanze, è l’uso dell’AIS. Ann e Stephan con il loro Garcia 65, SAS3, partono per ultimi ma subito si ritrovano a capo della piccola flotta. Dal display non mi resta che seguire la loro traccia AIS e raggiungere tra i reef ogni ancoraggio.

Comodo eh! …anche se ieri siamo finiti comunque sopra al reef !  Arrivati, abbiamo tagliato qualche metro prima e l’acqua si è fatta bassissima. Per fortuna la marea era alta, rapidissima marcia indietro, e siamo sfilati indenni: solo qualche metro dal track!

Ora siamo tutti all’ancora di fronte al paese ed ognuno si sta arrangiando, chi per il gasolio,chi per l’acqua, chi non fa nulla. Ora mi chiama Jac dal Panisse : questo pomeriggio, tutti a bordo da lui per le Happy Hours: tramonto, drinks e …che si fa domani?


Labuan Bajo 26 agosto 2014

2014-08-26

Labuan Bajo, 25 agosto 2014

Breve, last minute !

Sentite questa! Domani andiamo a Komodo, tutto pronto…quasi. Veniamo a saper all’ultimo che è meglio acquistare i permessi per entrare nel Parco al villaggio.

Sono le 14.00 e chiudono alle 14.30. Saltiamo sul gommino e ci fiondiamo, 2 miglia, al  porto. Gira e rigira, troviamo un bel molo. Un tender, di lusso, ci lascia il posto. A bordo due professionisti con maglietta e nome dello yacht. Vedi mai che sanno dove si acquistano i permessi. Li raggiungo alla voce e mi consigliano, anzi lo chiamano, un tale sul molo. Sa tutto, è un agente. Anzi, tra una battuta e l’altra, mi fanno “…e che siete italiani ! “ “ Certo!, ma guarda, e parliamo inglese tra noi” Bene, è fatta, penso. Uno è di Napoli, o giù di lì, l’altro pare ligure. Allora, la mia domanda diventa più precisa “ Dove posso acquistare i biglietti per il Parco?” Risposta “ No problem” mi indicano un bel casotto bianco, quello della Polizia portuale, “ Lì, ti danno tutto!” Ringrazio e ci salutiamo.

Scendo, riparlo con l’agente, mi conferma e cerca , naturalmente, di vendermi di tutto.

Poi mi mette nelle mani di un ufficiale: divisa perfetta, gradi d’oro e scarpe nere fiammanti.

Entriamo in un ombroso e sonnecchioso ufficio. Sembra un dormitorio. Sono tutti belli e tranquilli, comodamente allungati sulle sedie. Nulla si muove. Nulla si fa. Improvvisamente rompiamo l’incantesimo. Si alzano e ci fanno mille sorrise e le solite domande. Spiego loro il motivo della visita e subito incomincia la richiesta dei soliti documenti. Ci vuole poco per capire che sto seguendo una trafila inutile allo scopo e che avrei volentieri evitato: stanno compilando la pratica d’entrata a Labuan Bajo e la relativa uscita verso Komodo. Niente a che vedere con i biglietti d’entrata del parco. E così mi brucio, in un caldo soffocante, i minuti che mi restavano tra timbri, foto copie, e tante nuove inutili carte con i soliti ritornelli su Del Piero, Valentino Rossi e mangiare italiano.

Ti pareva: per una volta che incontro italiani, subito informazioni sbagliate ed approssimative !

Usciamo dall’area portuale per qualche breve acquisto, già che ci siamo, e voilà!...Trovo Ann con gli altri, ci avevano preceduto da un’oretta. “ Hello Mister!” Mi chiama a gran voce sventolando i biglietti del parco appena acquistati anche per noi ! Grande Anna !


Komodo e Rinca, 25-29 agosto 2014.

2014-09-07

Tra draghi e bianche spiagge.

In queste isole ci sono 2482 draghi,…” resto stupito e dubbioso. La guida che ci accompagna, lungo bastone con un’estremità biforcuta, tipo fionda, serrato tra le mani, mi conferma. “ Ogni anno vengono da Santiago- non sa quale- e controllano tutti i draghi delle isole all’interno del parco applicando un piccolo anello,…” mi conferma con un inglese stentato, oltre che sdentato. Naturalmente questi enormi rettili, residuo preistorico del nostro pianeta, sono anche le stars di questa assai estesa collana di isole indonesiane.

Chi non ha mai visto un documentario televisivo su questi varani, alzi la mano.

L’arcipelago di Komodo si trova stretto tra Flores, a est, e Sumbawa, a ovest, a nord l’enorme bacino del Mar di Giava, a sud l’Oceano Indiano. Ciò detto, navigarci è un problema. Correnti fortissime, gorghi e carenza di vento richiedono potenti e prolungate smotorate. Se sei sfortunato ti ritrovi 5 nodi, e più, contro. Abbiamo controllato e ricontrollato le tavole di marea, ma il tutto è falsato dallo scambio stagionale dei flussi nord sud. Qualcosa capisci proprio quando è l’ora di proseguire verso ovest.

Ma torniamo ai draghi. L’ancoraggio più comodo, e suggestivo, è proprio di fronte alla stazione dei rangers a Rinca. Alle 7 siamo già in cammino lungo gli aridi sentieri all’interno del bush. La guida apre la via, noi dietro, in silenzio. Appena fuori la base ecco il primo varano. Si avvicina lentamente ad un rigagnolo quasi secco. Ovviamente il ranger sapeva dove trovarlo. Al mattino, con il fresco, vanno a dissetarsi poi, nelle ore più calde, si infilano all’ombra dell’alta sterpaglia. Inizia il fuoco di fila degli scatti, mi avvicino troppo ed il ranger mi richiama allungando il bastone biforcuto- pare molto temuto dalle bestiole- verso il varano. Sono lenti, ma se partono, allo scatto, sanno esser velocissimi.

Le  prede preferite sono i loro stessi piccoli, che appena nati si  rifugiano tra le fronde degli alberi, i cervi, i bufali d’acqua e qualsiasi cosa si muova. Il primo morso è micidiale: hanno in bocca batteri velenosissimi. La vittima, anche se morsa di striscio, non ha scampo. Morirà dopo alcuni giorni avvelenata ed il varano la segue a distanza in attesa del banchetto.

Dopo una piacevole camminata su e giù per radure e collinette, con panorami primordiali, e dopo aver incontrato una decina di varani, la temperatura sale con il sole e non c’è nulla di meglio di un bel bagnetto.

La seconda attrazione di queste isole è il mare cristallino. Altro problemino. Trovare un ancoraggio adatto, per avventurarsi poi in uno snokerling sulle scogliere circostanti, è assai difficile. Si passa da 30 metri a 3, con fondali spesso corallini. I sampan, i gullet locali, si ancorano al volo in attesa del diving degli ospiti oppure si piazzano sulle poche boe esistenti e non se ne vanno sino al tramonto. Noi abbiamo trovato una bella baietta per la notte, protetta dalla onnipresente onda lunga, e di giorno ci ancoriamo di fronte ad una bianca spiaggia aperta al mare. Si rolla, ma noi con il gommino ce ne andiamo sugli scogli a farci delle belle nuotate. Proprio di poppa ad un miglio c’è una piccola secca affiorante, Cristall Rock, niente male, acqua limpidissima e qualche bel pesciotto. Peccato che ci sia una corrente molto forte e così facciamo a turno: uno sta sul gommone e gira attorno, l’altra nuota disperatamente e cerca di aggrapparsi ai coralli sulla roccia e… ci lascia lo zampino.

Due piccole escoriazioni, ma bruciano ancora.

Domani si riparte verso ovest, verso Bali. Alla prossima.


Gili Sulat, 3 settembre 2014.

2014-09-08

8° 20.337’ S   116° 42.496 E

To-To-To-Too…” Non ti puoi sbagliare: sta passando una loro lancia da pesca.

Sono lunghe e strette, con grandi bilancieri laterali, quasi un campo da volley galleggiante.

Al centro, a prua, una batteria di lampade, a poppa il rotolo nero delle reti.

Non è ben chiaro come peschino, sicuramente allo strascico, di certo solo di notte a circa cinque miglia e più dalla costa, e di certo bisogna evitarle per bene. Ora siamo ancorati a nord di Lombok tra la costa e due isolette che ci proteggono dall’ onnipresente onda lunga.

Dal piccolo villaggio stanno uscendo, una dopo l’altra, mentre il sole è già ben sotto l’orizzonte. Passano a prua, a bordo sono in quattro, cinque, ben infagottati e ci salutano.

Alta sulla costa, oltre le cime montagnose nascoste da violacee nubi serotine, c’è già la mezza luna. Un’altra mezza luna appena brilla sulla bassa moschea, nascosta oltre il boschetto di palme. è l’ora del richiamo alla preghiera e la cantilena del muezzin si mescola tra i richiami insistenti degli uccelli in cerca dei rami migliori per la notte.

Dalle vicine sponde un brulichio variopinto di lucette lampeggianti. Sono i pescatori delle barchette più piccole rimasti a pescare a ridosso delle due isolette. Accendiamo la luce di fonda e, per non esser da meno, accendiamo anche noi la nostra piccola strobo. Meglio farsi vedere. Ben presto scende dalle valli una leggera brezza, fresca ed odorosa d’arbusti.

Al villaggio resiste qualche luce lungo la via. Di fronte alle casette si accende qualche fuoco, sentiamo appena l’odore acre di legna bruciata, intriso del salmastro mentre la bassa marea si ritira dalle nere sponde. Appena intravedi, trascinate in secca, le affusolate sagome delle canoe.

Qualche voce lontana, come in laguna, poi il silenzio. Solo lo sciabordio della corrente lungo lo scafo. Guardi questo piccolo villaggio, spento nella notte, sotto questi vulcani da sempre, e pensi a queste vite vissute, cadenzate dalla pesca, dal muezzin, dal…ed alla tua.


Bali, Lovina 19 settembre 2014.

2014-09-19

8°09’ 514 S – 115°01’ 368 E

Qualche immagine da Bali: danze e templi.

La danzatrice.

 All’interno dell’obiettivo due occhi scuri, segnati, tra bagliori d’oro sembrano fissarmi: sembrano quelli di una maschera imperturbabile, ruotano a scatti ora a sinistra ora a destra. L’espressione è serena e compiaciuta. Siamo venuti in molti a vedere quegli occhi ed ora ne siamo rapiti. Lei ne è consapevole.

E noi per vedere questi occhi siamo scesi lungo il canale tra Lombock e Bali e ci siamo presi una boa al Royal Sailing Club di Senagar. Di royal non c’è nulla, anzi, ma l’abbiamo scelto perché è forse l’unico posto dove si possa lasciare in sicurezza la barca per qualche giorno per poi andare ad Ubud, un villaggio tra la costa e le pendici del Gunung Anung, un maestoso vulcano di 3.200 metri. La località è un vero concentrato di appetitose curiosità turistiche. C’è un po’ di tutto: misteriosi templi indù, spettacoli di danza, gallerie d’arte, musei, foresta e terrazze a risaia, e naturalmente shopping per tutti i gusti.

Ma torniamo a quegli occhi. Nulla sarebbero, o quasi, se ad animarli non vi fosse nell’aria il suono ritmico e seducente della musicalità balinese.

La scena di per sé è assai coinvolgente. Notte scura e cortile del Palazzo Reale: pareti merlate di draghi e divinità, verzura tropicale, song e lumier. Noi, e troppi altri rappresentanti del turismo di massa, sistemati alla meglio a circondare il palco.

Sulla destra hanno preso posto gli orchestrali, solo percusioni: il gamelan.

Sono circa una trentina, la voce prevalente è il gangsa, una sorta di xilofono i cui tasti sono colpiti con un martelletto ed ad ogni colpo segue una smorzatura. Il ritmo di fondo è dato da due tamburi, accompagnato da cimbali e un flauto. Il tutto è assemblato in perfetta sincronia gestuale.

La danza cui assistiamo è il Legong, tra tutte le danze balinesi, dicono, la più aggraziata.

Le composizioni variano di scena in scena, ma al centro sempre solo loro, le danzatrici.

Si muovono assumendo posizioni speculari, costumi di broccato dorato, truccatissime.

Sei attratto dagli occhi, ma in realtà segui l’ondeggiare del corpo, delle mani:

seducenti battiti di ciglia e d’ali di farfalla tra le dita.

I templi.

Sicuramente a Bali ci sono più templi indù che campanili a Venezia. In città, nei villaggi, lungo la via ne incontri uno dopo l’altro. E se non loro, trovi laboratori di sculture per adornarne ogni angolo. Ci sono templi reali, del villaggio, della famiglia, di fronte a negozi ed al distributore di benzina. Ovunque incontri ganesha o divinità protettrici.

Sono squadrati, merlati di pietra rossa e nera, segnati dal tempo. Sguardi grotteschi ti osservano, piccoli altari, grandi pinnacoli, piacevoli laghetti di loto, qua e là saltano piccole scimmie. Ovunque piccoli vassoi intrecciati: offerte variopinte di fiori, frutta ed incenso.

Facciamo visita, dopo averla a lungo cercata, alla casa laboratorio del più noto artigiano di maschere.

La maschera è componente essenziale della cultura balinese. Può rappresentare il bene ed il male, tristezza e felicità, draghi maligni ed uccelli amici, come Garuda, insomma l’intero panteon del Ramajana. I.B. Anom ci riceve con un gran sorriso e ci invita a visitare la sua casa. Più che una casa è un open space di più spazi semi chiusi, non saprei descriverla diversamente. Posto preminente è riservato al tempio di famiglia. Mi dice che non posso entrare, ma è ben lieto di descrivermi le funzionalità di ogni ambiente.

C’è, di fronte al tempio, un trono dove idealmente siede la divinità protettrice della famiglia.

Poi il luogo dedicato al parto, quello del riposo, quello dell’incontro, la modesta cucina.

Soprattutto un bel silenzio e cinguettare di uccelli tra le fronde dei numerosi arbusti fioriti.

Mi precisa che ogni spazio, colonne, gradini, altezza dei timpani e così via, tutti hanno una loro precisa misura. Distanze in passi, tutto a misura d’uomo, copiato serialmente da secoli: l’asse est ovest, il sorgere ed il tramonto del sole, governa la vita e la geometria del luogo. Lo ringraziamo e ci portiamo via l’enigma di una maschera.


Bali, Lovina, 22 settembre 2014.

2014-09-22

Musei e risaie.

L’accostamento dei due termini, musei e risaie, appare improbabile. Eppure, a Bali, ne è forse l’essenza, per certo quella culturale. Vediamo perché.

La predisposizione artistica dei balinesi è rintracciabile ovunque, da sempre sin dai tempi delle raffigurazioni antiche dell’epopea Ramajana: una descrizione minuziosa, precise raffigurazioni, dell’universo eroico, umano e divino, delle storie del principe Rama.

Non solo. L’architettura dei templi, delle abitazioni, sarebbe assai povera senza il gusto per il decoro plastico delle sculture che adornano ogni prospettiva e sorprendono per vivacità e dinamica. E che dire dei tessuti? Gli ikat, i batik, i sarong, che fasciano le bellezze locali e che ingolosiscono noi turisti, sono di fine e ricercata manifattura: colori, intrecci, disegno sono talmente parte della loro cultura che ogni isola, regione ha un proprio stile. Per non parlare delle maschere, dei costumi, delle scenografie delle rappresentazioni anche più umili nei piccoli villaggi. Da ultimo, ma ho sicuramente dimenticato qualcosa, non si può non rimanere incuriositi e sorpresi dalle piccole offerte votive, curate e presentate con accostamenti di piccoli fiori e frutta con semplice grazia e gusto. La natura, l’ambiente rigoglioso, lussureggiante come pochi, la musicalità- e qui il discorso ci porterebbe troppo lontano- non solo sono complementari, ma ne ispirano ogni spunto, la creatività insomma.

Ebbene qui arrivarono negli anni ’20 e ‘30 del secolo scorso artisti ed intellettuali occidentali, anche incoraggiati dall’allora illuminata famiglia reale. Il risultato, forse inatteso, fu sorprendente. Nacquero nuove tendenze pittoriche, nuove tecniche e nuove scuole. L’occhio occidentale - tra le due guerre, non dimentichiamolo - ritrovò nella natura uno spunto per una serenità ritrovata. Walter Spies, Colin Mc Phee, Rudolf Bonnet andarono nei villaggi, si fermarono colpiti dalla luce smeraldina delle risaie, dal loro disegno merlettato che l’uomo nei secoli aveva creato per vivere. La vita del villaggio, la risaia animarono le loro tele e gli artisti locali videro con una prospettiva diversa ciò che da sempre era sotto i loro occhi. La produzione pittorica crebbe a dismisura, anche grazie al collezionismo ed al primo turismo del dopo guerra. La famiglie nobili del posto furono orgogliose nel veder crescere attorno a sé interessi culturali ed artistici e promossero la fondazione di musei per raccogliere tele e sculture degli artisti, locali e non.

Visitare oggi queste collezioni è un vero piacere. Non solo per il completo panorama artistico in esse raccolto, ma anche per il fascino delle location: splendidi giardini, veri e propri parchi verdeggianti, laghetti fioriti, fresche cascatelle, l’immancabile tempietto, e soprattutto SILENZIO, percepito come spazio, aperto dalle note, morbide, ipnotiche, di uno xilofono a bambù. 


Bawean, 28-30 settembre 2014.

2014-10-03

5°43.717’ S – 112°40.115 E

Tra SOLAR e stelle.

Da Timor a Bali ed oltre, far vela -si fa per dire- verso ovest, nord ovest, vuol dire far motore, tanto motore. Il problema più importante è dunque far rifornimento di nafta che qui chiamano SOLAR. Non ci sono né marina, né distributori, l’unica possibilità sono i cd. vendors. Come arrivi all’ancoraggio ti vengono incontro con le barchette più diverse e ancor prima di aver ancorato “ Hellooo Mister !.....Solar? “ Sanno che hai bisogno di far nafta.  La cosa curiosa è che noi paghiamo esattamente il doppio, a volte di più, di quello che è il prezzo, politico, al distributore, volutamente contenuto dal governo.

Un litro costa a noi, dalle 10000 alle 15000 rupie, circa 0.65 Euro. Molto conveniente comunque, peccato che la qualità sia pessima. Noi diamo loro le nostre taniche vuote e loro ce le riportano con dentro qualcosa che assomiglia al caffè. Dobbiamo filtrarlo due volte e sperare che non intasi troppo rapidamente i filtri.

Ed ora arriva il bello della vicenda! A Bali scopro che, grazie al supporto di Ruth, la signorina che gestisce la nostra boa d’ormeggio, posso avere nafta di ottima qualità al prezzo di 16000 rupie al litro. Affare fatto, ne chiedo 120 litri, ovvero le 6 taniche che mi sono rimaste vuote. Mi dice anche che l’indomani avrò la nafta in contenitori sigillati direttamente dal produttore, la PERTAMINA, azienda di stato. Dice anche che desiderano esser sicuri che arrivi a bordo proprio la migliore, senza che qualcuno ci metta lo zampino.

Il mattino dopo mi chiama, puntuale, la nafta è arrivata, mi aspettano.

Zompo sul gommone con le mie taniche da riempire e volo al molo. Caldo soffocante, afferro le sei taniche come posso e mi presento all’ufficetto di Ruth. Resto sbalordito: mi stanno aspettando in sette, dico sette, in perfetta tenuta d’ufficio, pantaloni lunghi, scarpe lucide e camicetta in stile con tanto di bedge, con in mano 12 tanichette da 10 litri l’una !

Si presentano con grandi sorrisi e calorose strette di mano. Sono il direttore locale, il responsabile marketing, il responsabile vendite, altri porta borse, pardon taniche, e due autisti. Con un po’ di ironia, non raccolta per altro, dico loro che ben capisco ora il prezzo della loro super nafta. Mi guardano come se fossi un marziano quando spiego loro che decine di barche vorrebbero la loro Pertamina e non il solar. Mi ringraziano, prenderanno contatti con gli organizzatori del Rally. Sarà ! Per ora vogliono una foto di gruppo da mettere sul sito come promozione. Che Paese !

Tra le stelle.

Da Lovina, Bali, a Bawean, un’isola che una natura benevola ha posto a metà strada verso Kumai, Borneo,  ci sono circa 200 miglia. Per il poco vento occorrono due notti; ma per il colmo della sfortuna se sale un po’ di bava, devi anche rallentare per arrivare all’alba e non di notte.

Partiamo in due, noi e gli amici  francesi del Panisse. La tratta non presenta difficoltà particolari, sulla carta. Salvo la prevista intensa attività di pesca e ben già sappiamo cosa ciò significhi.

Di giorno passi il tempo facendo slalom tra le trappole, come le chiamano, per i pesci.

Sono piccole zattere di bamboo fissate al fondo, strette ma lunghe circa 4,5 metri, in testa un’asta con bandierina visibile massimo ad un miglio. Ve ne sono a centinaia ovunque, anche in mare aperto. Veloci imbarcazioni si spostano da una all’altra con vistose lunghe antenne di bamboo, quali insetti marini, e girano loro attorno sperando di attirare e catturare i pesci che sostano, stanziali, all’ombra della zatterina.

Questi pescatori sono uomini incredibili: passano la vita in mare notte e giorno. Quando ti passano vicino sono irriconoscibili. Sono vestiti come l’uomo mascherato. Completamente incappucciati, solo gli occhi per vedere. Il sole qui è micidiale.

Di notte è meglio non accendere il motore e far solo vela. Ed il buio si accende di lucette.

La prima falcetta di luna è scesa oltre l’orizzonte e le stelle brillano vivaci.

Altre stelline variopinte ondeggiano qua e là. Non hanno quasi mai luci di posizione, ma solo rossi e blu lampeggianti. Altre solo un flash bianco che ti sparano addosso appena ti vedono. Sul radar sono puntini che lampeggiano indistinti sul display. Naturalmente non mancano le navi che, per altro, è un vero piacere identificare come grandi target sul radar o con l’AIS.

Per non esser da meno e per meglio farmi vedere, accendo uno strobo bianco. Pare funzioni: mi scorgono prima e si spostano lateralmente.

Passiamo così due notti praticamente svegli…tra le stelle.


Borneo, Kumai river, 3-4 ottobre 2014.

2014-10-15

2°44.294’ S – 111°44.053 E

Gente della foresta

Il sentiero, bianco e polveroso, s’insinua nel folto della foresta. Il caldo è soffocante. Il sole penetra senza riguardo tra le alte fronde. Seguiamo le ombre blu sorseggiando un po’ d’acqua.” Sai cosa vuol dire orangu tang ?” mi suggerisce la giovane e brillante guida indonesiana. Ovviamente non aspetta la risposta. “ Vuol dire gente della foresta, poi c’è la gente del villaggio, quella del mare…insomma non siamo molto diversi.”

Per incontrarli da Bali ci sono oltre 400 miglia di mare tra un’infinità di pescherecci e di cargo. Poi bisogna entrare e risalire il fiume, cosa non facile per via dei bassi fondi,  per altre poche miglia. In fine, ancorare di fronte ad una cittadina polverosa, inquinata ed irta di minareti. L’ancoraggio è nella corrente, l’acqua è color cioccolata perché a monte estraggono l’oro e riversano nel fiume le acque fangose di lavaggio.

Ma è pur sempre Borneo di salgariana memoria, di dajaki, di pirati, arcipelago di esotiche avventure. Dall’ancoraggio, dopo la sveglia del coro dei muezzin alle 4, ci imbarchiamo su

un simpatico e colorato klotok ( il nomignolo di questo battello fluviale deriva dallo scoppiettante motore) e risaliamo l’affluente Sekonjer per 40 chilometri sino all’entrata del Parco Nazionale Tanjung Puting (4150 kmq). Solo questa risalita, seguendo lungo le sponde il folto della giungla, è un vero spettacolo.

Ora finalmente, siamo diretti al luogo dell’incontro. In tutto il Borneo (ora Kalimatan) ci sono ancora, a stima, quasi 6 mila orangu ; nel Parco, in libertà vigilata, circa quattrocento.

Dal 1972 sono stati studiati e amorevolmente seguiti  da una ricercatrice, a volte molto criticata, ma che ha indubbiamente garantito la loro tutela e sopravvivenza poiché hanno una riproduzione limitata.

Pensavamo di trovarli in qualche zona recintata durante, forse, il pasto o che altro. Invece siamo nel pieno della foresta ed aspettiamo che qualcosa accada. I rangers hanno portato banane e latte e ora alzano alte grida di richiamo. Vi ricordate l’urlo di Tarzan che chiamava Cita? Sembra d’esser in un film. Ti guardi all’intorno, solo alberi altissimi e foresta impenetrabile, voci, mormorii, stridii dal verde compatto. Poi, verso il cielo d’alberi,  qualcosa che si muove. Una piccola macchia scura tra le cime a 30, 40 metri e più da terra si muove, s’agita tra le fronde. Si sposta, scende, a tratti s’avanza. Indugia. Si allunga sulla fronda e dondola, a pendolo, sino a raggiungere la fronda dell’albero più prossimo.

L’afferra, si distende: due zampe di qua, due di là. Un arco in tensione. Poi rilascia le posteriori e…di scatto si lascia proiettare a molla verso la prossima fronda. Il primo orangu, scende verso di noi. La naturalezza e sicurezza con qui si muove, direi vola, a decine di metri da terra è stupefacente: espressione perfetta di questa foresta.

Ora scende rapido a quattro zampe lungo l’alto tronco, dritto e perfetto, poco distante da noi. Come mette il piede…a terra per avvicinarsi alle banane, è come se fosse uomo.

Vede le banane, le afferra con cupidigia. Ti guarda,curioso e circospetto. L’idea di esser così osservato non gli garba molto, ma le banane, il latte sono irresistibili. Ha un’espressione…ecco ora capisci perché gli studiosi abbiano qui cercato l’anello mancante. Potresti dire che ti comporteresti nello stesso identico modo.

Ora, mentre arriva una femmina con il piccolo, coglie a due mani la ciottola e si gusta il latte. Nella giungla, mi dicono, ci sono oltre 4 mila diverse qualità di piante e oltre il 65 per cento di queste costituiscono ( foglie, corteccia, frutti, ecc) potenziale alimento per gli orangu. Ma nella foresta non ci sono banane! Per le proteine si cibano di termiti ed insetti vari.

La madre è più confidente e sembra quasi mostrarti il piccolo con orgoglio.

Gli occhietti del fagottino sono vispi, non molto diversi da quelli di un piccolo in un nostro asilo. Gioca e mangia, mangia e gioca con le banane, mentre la madre ne fa incetta.

Ora ne arriva un terzo. Rapido coglie più banane che può, risale sugli alberi e dalla cima ci bombarda con fronde spezzate, ghiande ed altro. Sembra proprio non gradire la nostra presenza, ne ha ben donde: i nostri obiettivi sono diventati troppo invadenti. Una decina di persone, come scimmie, si accalca per cogliere e rubare qualche scorcio.

Ma ormai la scena è di Tom, il maschio dominante. Da vero leader, arriva per ultimo e possente si mette in posa. Ci scruta, diresti, con annoiata superiorità. Prende il suo, ma non troppo, e si allontana con calma mostrandoci le terga. Un balzo, più balzi, è già lassù e noi con il naso all’insù, stupiti di quest’incontro.

Il sole scende al nostro rientro ed illumina di rosa il corso d’acqua. Dagli alti alberi s’affacciano grumi di simpatiche scimmiette, curiose scrutano il nostro scoppiettante klotok. Ormai è notte, fresca, il disco della luna s’alza lentamente e le nere sponde s’illuminano di lucciole. Alla prossima.


Singapore 20-24 ottobre 2014

2014-11-03

Singapore 20-24 ottobre 2014

Foresta di cristallo.

Quasi scivolo mentre cerco di inquadrare la cascata d’acqua che fende un’alta parete di piante tropicali, verde smeraldo. Sull’obiettivo si condensa lo spray che impregna l’aria, speriamo bene, almeno in un effetto speciale. Mi rialzo dalla scomoda posizione e lo sguardo s’allarga verso un cielo di vetro e acciaio. Mi riesce difficile non pensare, non ricordare altri cieli, altre foreste tropicali, altre cascate: l’Orinoco o le cascate del Roraima in Venezuela, la cascata nella foresta di Fatu Hiva e di Daniel Bay a Nuku Iva, Isole Marchesi, quella di Aneytum alle Vanuatu. Che dire, non c’è paragone. Tuttavia anche Singapore è tutta da scoprire.

Siamo all’interno di una serra, anzi di due serre, gigantesche nella nuovissima e modernissima area di Marina Bay. Come esci dalla stazione faraonica del Metro l’occhio resta stupito di fronte a palme gigantesche di acciaio, tutto ricoperto da pannelli di piante rampicanti. Ci puoi salire, con l’ascensore intendo, e passare da una all’altra e così allargare  lo sguardo all’intorno.

Verso il retroterra tre grattacieli, paralleli e curvilinei, dovrebbero ricordare le onde del mare. Sulla loro sommità sono collegati da un enorme wind surf. Sulla destra il Museo delle Arti e delle Scienze, una sfera abbagliante aperta a spicchi, quasi fosse un’idea di Jo Pomodoro, riflette i raggi del sole. All’intorno fanno corona, foresta di cristallo, alti neri grattacieli, un gioiello di Swarosvky. Dalla parte opposta, verso il mare e l’Indonesia, intravedi nella foschia centinaia di navi, alla fonda o una appresso all’altra, senza fine, passare lungo lo stretto che pure noi, giorni fa, abbiamo attraversato non senza stress: allora capisci perché noi siamo dove siamo mentre qui la crescita è esponenziale.

 Sir Raffless, nel lontano 1819, l’aveva vista giusta quando decise di favorire, con un primo insediamento, il traffico commerciale e di gestirne il controllo. In questo canale passa praticamente tutto il traffico mercantile, est ovest, d’Asia.

Entriamo ed usciamo da queste due enormi bolle di cristallo. Una contiene, come dicevo, una pseudo foresta tropicale, l’altra un giardino botanico, tutto al limite del kitsch. Fuori l’aria è rovente, dentro quasi freddo. I marciapiedi scottano e ci rifugiamo in un’immensa bomboniera di cristallo che si affaccia su una vasta piscina dove sembra galleggiare una palazzina di vetro nero, sopra campeggia il logo dorato di Luis Vuitton.

Allungo la mano e una vetrata s’apre lungo la parete  che riflette lo sky line dei grattacieli.

All’interno, affacciate su un laghetto con fontana e lungo un canaletto con tanto di ponticello, le vetrine abbaglianti e luccicanti delle più grandi griffe della moda: ci sono proprio tutti, ma tutti. Un pianista, in smoking, gioca sulla tastiera di un pianoforte Yamaha rosso lacca.

E pensare che a poche miglia da qui centinaia di pescatori passano tutte le notti in mare e bruciano di giorno sotto i raggi UV per procurarsi di che sopravvivere (ma ne riparlerò).

Il centro città è ordinato e pulito, traffico non intenso, le stazioni Metro sono ovunque, comode e ben gestite. Nella City gli impiegati, pantaloni neri e camicia bianca, e le impiegate, in tubini eleganti di foggia esotica, si fumano la sigaretta e giocano con il telefonino mentre si prendono il break di mezzo giorno. Chiaccherano e mangiano, da vassoi preconfezionati,  verdure con salse indiane. Non c’è fretta e la gente cammina spostandosi da un grattacelo all’altro. La periferia è un’altra cosa. Tutti i palazzi, enormi ed anonimi, sono numerati con grandi cifre ben visibili da lontano. Vi abitano gli indiani, i pakistani, i cinesi, insomma la classe medio bassa. Bianchi, mosche bianche, appunto.

Tutto però è tenuto in modo perfetto. Nessuna scritta sui muri, parchi giochi, molto verde ed il solito Super Market con Metro incorporato. Quasi tutti ci vanno in bici da casa, la lasciano su delle rastrelliere a due livelli,  si infilano nel Metro con l’auricolare già in funzione, e ti lasciano il posto appena vedono i tuoi capelli…

Lasciamo Raffles Marina con a bordo un Mac tutto nuovo: non ho resistito alle tentazioni  dello shopping in centro, al Digital Life Store, quattro piani di giocattoli elettronici, c’era da perdere la testa.


Venezia, 15 novembre 2014. Un omaggio alla Gente di Mare.

2014-11-16

Un omaggio alla Gente di Mare.

Lungo la sponda del fiume Kumai  una stradina, polverosa e trafficata, porta al pasar, al mercatino. Il caldo è torrido, piccoli camion passano rombando, pare vadano a carbonella. Da soffocare. Ai lati si succedono piccoli bazar, ristorantini, negozietti dove i cinesi vendono di tutto. Un marciapiede improbabile nasconde buche e dislivelli, accanto scorre  uno scolo. Guardo  dove mettere il passo e neppure quasi m’avvedo di una persona che mi si fa incontro. Più che una persona è un’ombra di uomo.  E’ anziano, ma senza età. Eretto, un bel fisico in gioventù. Appena gli vedi il volto. E’ quello di una mummia, consunto dai raggi UV. Un cappello, color sabbia, con frontino e para orecchie lo ripara dal sole, ormai troppo tardi. Un occhiale spesso e con le bandine laterali copre occhi bruciati dal salso e dalla troppa luce. Si appoggia con difficoltà ad un bastone ed a stento trova la via, a terra, lui che aveva passato la vita in mare.

In questi mari la vita dei pescatori è davvero durissima. Chiunque abbia veleggiato lungo  questa interminabile Indonesia ricorderà per sempre questi pescatori, nel bene e… nel male. E’ gente simpatica e fiera, la maggior parte mussulmani, ma non mancano pescherecci con i simboli variopinti di Ganesha. Sono ovunque e pescano notte e giorno.

Usano le tecniche più svariate e così non sai mai cosa ti aspetta. Navigare di notte è un vero incubo. Non usano luci di posizione, ma solo variopinti strobo che accendono all’improvviso quando ti vedono avvicinarti troppo. Ma può esser anche troppo tardi.

In questi mari, a cavallo dell’Equatore, c’è pochissimo vento e corrente quasi sempre contraria e quindi tanto, tantissimo motore: il rischio per le eliche è molto alto.

Di giorno appena vediamo un pesche ci giriamo ben alla larga. Se vanno alla traina, sono lenti, no problem. Se sono fermi hanno le reti attorno e qui incominciano i guai.

Cerchi di capire da che parte. Bandierine e palline bianche ovunque. Spesso ci è capitato di deviare per una, due miglia. Altre volte una pallina ci è passata ad un metro con una notevole scarica di adrenalina.

M a è di notte, come detto, che le cose si complicano assai. Usciti da Kumai è stato necessario passare due notti in mare…insonni. Sulla destra insidiosi bassi fondali, a sinistra verso il largo, una città galleggiante: centinaia di luci illuminavano a giorno il cielo,

un sordo rumore di fondo. Ci è capitato di dover avvicinare uno di questi mostri, ne resti abbagliato. Noi passiamo e loro stanno lì notte e giorno.

Pur troppo non sono stato in grado di fotografarli passando ben lontano, ma vederli rientrare mentre sei all’ancora è una cosa impressionante. Tutti a bordo sono completamente ricoperti dalla testa ai piedi, portano un cappuccio come BatMan, che fa intuire solo gli occhi e la bocca... poi  ti vendono un bel tonnetto per una miseria.

Gli ultimi giorni a Singapore ed in Malesia abbiamo scoperto nei Super Market interminabili scaffali di variopinti sushi di pesce. Che bontà! Abbiamo pensato a loro ed abbiamo brindato a questa gente di mare.

Ora Eutikia è a terra a Pangkor Marina, Malesia, non la invidiamo con quel caldo, noi finalmente al fresco e con molte cose da raccontare e con una grossa novità in arrivo per Natale. Al prossimo miglio e grazie  di cuore a tutti.

Gianni & Marina


Venezia 16 dicembre 2014 Augurissimi e

2014-12-15

Con l’ultimo post mi ero arrischiato ad annunciare una sorpresa per Natale. Ebbene c’è, ma a metà. Speravo infatti di poter trovare sotto l’albero il nostro libro, fresco di stampa,

 “Pacifico per due”, come alcuni già sapranno.

Pur troppo slittamenti editoriali hanno sensibilmente ritardato l’uscita a dopo Natale.

Però mi è possibile proporre in anteprima la scheda di presentazione accompagnata dai nostri più cari auguri per le prossime Festività.

Buon Vento a tutti e, naturalmente, al Prossimo Miglio.


PACIFICO per DUE

2015-01-21

Finalmente e’ uscito!

Segnalo alcune info relative all’edizione e sulla reperibilita’ del libro.

Questa e’ una recensione editoriale:

http://www.nauticareport.it/dettnews.php?idx=3831&pg=6782

Il libro e’disponibile da subito presso la libreria Mare di Carta

222 S. CROCE, Venezia, VE 30135

041 716304

in altre citta’ su ordinazione presso una libreria di fiducia, meglio se specializzata per la letteratura nautica.

Si puo’ trovare on line presso il seguenti siti :

http://www.mondadoristore.it/search/?g=pacifico+per+due&swe=N&accum=N&gOld=Amaltea.+Circumnavigazione+del+Sud+America+Terra+del+Fuoco+e+canali+cileni&search-input=active

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http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/catalogo/searchresults.html?prkw=pacifico+per+due&cat1=&prm=

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http://www.ibs.it/ser/serfat.asp?site=libri&xy=pacifico+per+due

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http://www.webster.it/ricerca/query/pacifico+per+due/reparto/libri-italiani

Nei prossimi giorni anche su Amazon e Hoepli

On line c’e'pure lo sconto.

Oppure sul sito dell’editore

http://www.frangente.com/ilfrangente/100-cat-LIBRI-INTERNAZIONALI.htm

Buona lettura e naturalmente…al Prossimo Miglio.


Università Popolare del Montello

2015-01-24

Martedì prossimo, 27 Gennaio, alle ore 15, l’Università Popolare del Montello, Villa Wassermann, via della Vittoria 180, Giavera del Montello TV, ha organizzato un incontro dal titolo “ Da Venezia, giro del mondo in barca a vela”

 E chi sarà il relatore ? A chi indovina frittole con prosecco!

Per l’occasione saranno presentati due filmati di sintesi del passaggio da Panama all’ Australia.

Naturalmente l’invito è aperto a tutti.

http://www.auser.veneto.it/treviso-montello/dove-siamo.html


CINEMA PARADISO https://www.youtube.com/user/eutikia1

2015-02-12

CINEMA PARADISO

Immaginate di fare un saltino nel vostro passato, almeno per gli ultra cinquantenni.

Andavamo al cine per il cartellone strillato sulle bacheche lungo il viale. Coda al botteghino, poi la maschera stracciava il biglietto, entravamo spostando pesanti cortine di panno…dentro il buio, accogliente e carico di attesa. L’atmosfera densa e compiacente. Nel buio, appena l’occhio tornava a vedere, ecco due posti liberi appena poco più  in la' “Permesso, permesso..” alzando i cappotti e sfiorando ginocchia un po’ infastidite. Accomodati, finalmente, mano a quel piccolo box rigido e …e si’, che goduria ! Allora si poteva fumare al cine, magari le sigarette di papa' !  Ormai lo schermo illumina la sala, i titoli son finiti e un’azzurra voluta di fumo sale dissipandosi con voluttà nel fascio luminoso del Cinema Paradiso.

Oggi, tutto forse si riduce a un distratto click !

Per dirla alla McLuhan lo strumento, la tecnologia era essa stessa comunicazione, calda emozione. Oggi forse dobbiamo, contrariamente a quello che sembra, fare uno sforzo in piu’: come dire, riprenderci il gusto della scelta, riprendere il biglietto. Leggevo pochi giorni fa di un resoconto per il quale risulta che ormai e’ sufficiente sapere che la notizia c’e’ e dov’e’, piuttosto che leggerla…e’ come se andassimo al cine, senza vedere il film (magari lo facevamo anche, se in tenera compagnia pero', ma questa e’ un’altra storia).

Per fortuna quello che la tecnologia non potrà mai toglierci sono le emozioni, anzi ora più che mai abbiamo la possibilità di condividerle.

Tutto questo prologhetto per dirvi che con un click, a questo indirizzo https://www.youtube.com/user/eutikia1 troverete la raccolta completa dei filmati che ho caricato su YouTube.

Il Carnevale impazza e noi siamo già alle prese con le valige: ai primi di Marzo si torna a bordo.

Alla prossima.


CINEMA PARADISO.Secondo Tempo.

2015-02-15

Già che c’ero, ho completato di caricare su https://www.youtube.com/user/eutikia1

anche precedenti filmati, relativi al Passaggio da Panama all’Australia relativi agli anni 2011, 2012, 2013.

Durante la stesura e l’editing del libro ”Sud Pacifico per Due” da più parti, ed anche nel corso di recenti incontri, mi è stato chiesto se avevo qualche immagine o video da proporre.

In effetti, per  ognuna di queste tratte annuali, avevo già montato dei video, proposti in DVD, anche piuttosto lunghetti. Ora sono stati tutti abbondantemente ritagliati e ricuciti:

Prima Parte, da Panama a Bora Bora, 40 minuti

Seconda Parte, dalle Isole della Società alla Nuova Zelanda, 10 minuti

Terza Parte. Dalla Nuova Zelanda all’Australia, 39 minuti

Mi rendo conto che restano comunque troppo lunghi per quella che è la normale fruizione via internet, ma per dirla alla Hermann Hesse:  l’eccessivo valore che diamo ai minuti, la fretta, che sta alla base del nostro vivere, è senza dubbio il peggior nemico del piacere.
E del resto non potrei che proporre, anche a me stesso e la cosa mi riesce assai difficile, il motto di EUTIKIA, dello scrittore Svetonio, FESTINA…LENTE !

Per chi avesse comunque fretta suggerirei, per la Prima Parte, l’inizio con Fatu Hiva e la fine con le danze intriganti delle vahinè a Thaiti. Per la Seconda, circa a metà, l’immersione a tu per tu con le balene alle Tonga. Per la Terza, l’inizio con gli spazi d’ incredibile musicalità dell’Isola del Sud in Nuova Zelanda. E che dire poi dei vulcani e delle danze tribali delle Vanuatu ? E Sidney?

….enjoy!

Alla prossima.


Pangkor Marina, Malesia 23 marzo 2015.

2015-03-22

Pangkor Marina, Malesia 23 marzo 2015

Una giornata a 4° Latitudine Nord.

Ci troviamo quasi sull’Equatore, poco più a Nord: caldo torrido, ieri record a 35° dentro la barca. Lo stretto di Malacca incomincia ad allargarsi verso Langkawi, 130 mg più a Nord.

Poi inizia la Tailandia. In quest’area dominano i monsoni, venti stagionali non violenti, di solito: da ottobre ad aprile da Nord Est più secchi, da aprile a settembre da Sud Ovest umidi. Nel periodo di transizione il tempo è variabile. Quello che non varia di molto è il caldo, per fortuna non sciroccoso.

Il sole ed il caldo regolano le nostre giornate mentre ultimiamo i lavori per render operativa Eutikia.

Sveglia alle 6, doccia, yoga, colazione e filiamo in coperta poco dopo le 7 per inizio lavori.

Il sole è ancora nascosto e ci lascia in pace, ma alle 10 dobbiamo stringere i tempi e rifugiarci sotto ai tendalini. Una pinza lasciata in coperta dopo un’ora è rovente.

Proseguiamo riattivando pompe, generatore, con lavori standard di verifica e con pulizie e riordino ovunque. Un urlo di Marina mi fa sobbalzare tra una sudata e l’altra! Mamma mia cosa succede! Corro nella cabina di poppa e trovo Marina alle prese con un geco! Ospite inatteso e non gradito: guizza da un cuscino all’altro e sparisce. Sono innocui, anzi mangiano piccoli insetti, ma possono intrufolarsi ovunque, meglio evitare. Vedremo di prenderlo alla prossima buona occasione.

Non c’è un alito di vento, sono tutti immobili. Il sole è a picco, brucia con furore. L’acqua da frigo, a sorsi, è la cosa più buona del mondo, ottima alternativa una tisana tiepida agli agrumi e zenzero.

Verso l’una si alza una bava termica. Respiriamo e mangiamo un po’ di frutta dopo una bella doccia…calda. La manichetta è al sole, l’acqua è da pasta. In compenso alle 6 del mattino è fredda assai, anche troppo.

Riposino, caffè e si riparte. Si può uscire al sole dalle 17, ma alle 19 inizia a far buio e quindi ogni minuto è prezioso. La cosa più impegnativa, per ora, è stata la sostituzione della pompa a bassa pressione per il dissalatore: una giornata intera di sudate nel vano motore. Con il buio, penultima doccia e via al ristorantino cinese, sfiniti. Almeno si mangiasse decentemente! Ordiniamo sfogliando pagine e pagine di figurine, inevitabilmente becchiamo almeno un intruglio piccantissimo. Il bello è che ti portano anche una piccola ciottola di salsetta per intingere. Da morire! La birra, gelata per fortuna, te la portano solo dal bar accanto, sono mussulmani, niente birra al menù.

Ai tavolini, fronte laguna tra alte palme immobili illuminate a Natale, numerose famigliole locali ordinano con molta più disinvoltura di noi. Ma sembrano lì quasi per caso, appena si siedono tirano fuori telefonini, tablet di tutte le marche e dimensioni. Non si guardano neppure, altro che chiacchierare. Arriva il cibo, con una mano la forchetta con l’altra il display.

Facciamo due passi con un gustoso gelato tra le dita impegolate, che ci ricorda tanto i mottarelli ed i jukebox dei nostri anni ’60. Ora che ci penso, a guardarli bene, questi malesiani sono come noi in quegli anni. Anni di gran sviluppo, di primo benessere, di famiglie numerose e di simboli, anche se adattati ai tempi. Una minuta bambina, vestita  con un abitino assai grazioso, sta alla guida di un’automobilina tutta cromata e lampeggiante. Parente moderna delle nostre di allora, a pedali. Peccato che con il volante giri a destra, ma  il papà, con un telecomando, la fa andare a sinistra! Ma!?

In compenso, poco più in là, uno dei giochi più vecchi del mondo: piccole, enormi, luccicanti, bolle di sapone si perdono spinte dalla bavetta nel buio della notte e, sotto, un rincorrersi senza fine di frugoletti con il naso all’insù.

Martedì si parte, deciso. Alla prossima.


Isola di Penang, George Town, 26-29 marzo 2015

2015-03-29

Secche cinesi.

Dobbiamo fermarci per ottenere il necessario VISA per entrare in Tailandia. Presso il Consolato non fanno storie ma dobbiamo aspettare sino a lunedì per ritirarlo. Ottima occasione per visitare quest’isola-città, la Perla d’Oriente, come la chiamavano.

Per arrivarci siamo passati sotto due ponti con arcata di 28 metri, il nostro albero ne misura 23 circa. Passiamo comodi, ma da sotto sembrava per centimetri!

Poi, sotto un sole fosco e cocente, puntiamo alla boa dalla quale parte un canale di un miglio scavato, ma non segnato, che porta all’entrata del Marina, piccolissimo tra grattacieli.

Via radio mi danno alcune indicazioni che mescolate ad altre, lette su un’improbabile guida, mi portano dritto in secca. Non ci sono né verdi, né rossi. Solo due pali a ridosso dell’entrata e vicini alla scogliera di protezione. A Pangkor, situazione analoga, i pali andavano lasciati a destra, qui il contrario, a sinistra. Faccio l’errore, ma ho fondale.

 O meglio credevo di averlo: dalla mattina l’eco da i numeri, lampeggia segnalando valori per altro molto prossimi al vero. Gli credo, non ho alternative, e vado in secca. Non sarei entrato se non mi avessero segnalato un canale di 3 metri minimo. Per fortuna escono con il gommone e mi spiegano di riportarmi verso l’ultimo palo e di girare a gomito verso l’entrata. La barca si muove, li seguo e giro a 90 gradi rifilando la scogliera a destra dell’entrata. All’ormeggio chiedo perché non mettono un verde ed un rosso, mi rispondono che ho sbagliato io. Hanno ragione, ma li spiego che hanno inventato i segnali marittimi internazionali proprio per evitare queste incomprensioni. Meglio non insistere e comunque ora la profondità del canale è di solo un metro.

La piscina, dove siamo, è sovrastata dai palazzi di un complesso lussuoso e pretenzioso.

Negozi, ristoranti, super market, pub, tea room, and much more,  tutto in aria condizionata siberiana. Musica, per fortuna soft, tutto il giorno sino a mezzanotte. Di molto positivo c’è che abbiamo un ottimo market a 50 metri. Facciamo il pieno di tutto ciò che pesa, bottiglie d’acqua in primis.

Sabato mattina, guida alla mano, partiamo alla scoperta del centro storico.

All’entrata del Museo l’immagine del Capitano Francis Light ci ricorda che fu lui, nel 1791, ad ottenere dal sultano il pieno possesso dell’isola per conto della Compagnia delle Indie.

Nell’ ‘800 i cinesi allargarono i loro commerci in tutta la regione sino a Singapore. L’oppio fu il loro primo business, ora lo sono il petrolio, le nuove tecnologie, oltre al cemento. La cosa curiosa è che questi cinesi appartenevano, come oggi, all’unico potente clan Khoo Kongsi, con ben 25 generazioni accertate. Il clan, rafforzato incrociandosi con i malesi più intraprendenti, ha potuto contare su singole personalità davvero straordinarie, i baba-nonya, ricchissimi mercanti con dimore principesche. Ne abbiamo visitate alcune e sono assai particolari, non solo per l’architettura e le decorazioni, ma soprattutto per le raccolte di porcellane, vetri ed argenti europei, sete, specchiere, vecchie radio, insomma uno spaccato esotico di vita vissuta tra ‘800 e ‘900.

Penang, dicono, è una città senza marciapiedi. In effetti devi sempre zompare tra macchine e moto parcheggiate di fronte a negozi dove trovi quasi tutto nel caos orientale.

Poco più in là entriamo nel quartiere indiano: poche stradine ricolme di sete e di negozi vendi oro ricolmi di clienti.

Nell’aria  profumi gastronomici speziati e musica lamentosa a tutto volume. E i malesi, non molti, stanno a guardare.

PS. Per i più curiosi, sono riuscito a capire cosa era successo all’ ecoscandaglio, grazie anche ai suggerimenti, sempre preziosi, giunti dal signor Schiavuta, da Chioggia.

Aggiornando il LOG ho probabilmente premuto un tasto di troppo e l’ho così  resettato. Ora, dopo averlo ricalibrato, pare funzioni, anche se nel frattempo ho saputo che il canaletto d’entrata è solo di 1 metro (non più di tre), ergo dobbiamo uscire con il massimo di marea. Lunedì alle 13 potrebbe bastare, dopo aver ritirato i VISA: Vedremo.


Da Langkawi, Malesia, a Phuket, Thailandia 1-6 aprile 2015.

2015-04-09

Sono circa 150 miglia sotto un sole cocente: al mattino una leggera bava da terra porta sollievo e rinfresca la barca, ma alle 11 è già coprifuoco. Stare al sole è da suicidi. Dalle 12 alle 16, immobili all’ombra o in acqua, del resto tiepida. Al tramonto un leggero venticello torna a muovere i tendalini. La notte, se calma, porta qualche moschito, ma in pozzetto per cena si respira.

Ci siamo fermati per la notte sotto costa ad isole davvero stupefacenti. Navigare di notte è impensabile, già di giorno quattro occhi non bastano ad evitare ogni sorta di trappola, reti, nasse, boette, pescherecci, piccoli e grandi, che pare facciano di tutto per puntarti e deviare all’ultimo momento.

Siamo così usciti dal Canale di Malaka. L’acqua è ora più pulita ed azzurra, il cielo più limpido, meno affetto dalle nuvolosità di convergenza equatoriale.

In giro pochissime barche: alcuni scendono verso sud verso l’Indonesia per poi inoltrarsi nell’Indiano verso ovest, altri stazionano da queste parti in attesa del monsone di sud ovest ed indugiano in attesa pure di schiarirsi le idee sul futuro, su che rotta prendere per tornare a casa.

Dai primi giorni a Phuket, direi che il turismo nautico è qui dirompente, con i relativi prezzi e disagi. Ora siamo nel marina di Ao Po, un parking per yacht di lusso, smisurati. Il nome di uno di questi direi è assai convincente “ Diamonds are for ever”. Stanno costruendo un residence di lusso, naturalmente con lo zampino, meglio zampone, italiano…

Nei prossimi giorni esploreremo il grande golfo di Phang Nga Bay, quello dei grandi pinnacoli di calcare, verdeggianti smeraldo, quello dell’isola di James Bond. A bordo saremo in quattro: oggi arrivano Marina 2 e Andrea. Credo che faremo brevissimi tratti a motore per il poco vento e per gestire al meglio l’altezza di marea e sfilare indenni, speriamo, tra insidiosi bassi fondi.

La zona sembra davvero molto diversa da tutto ciò che abbiamo visto sino ad ora.

Il fattore critico è il caldo, non solo per noi, ma soprattutto per l’elettronica e per i motori.

Ieri abbiamo smontato, per la terza volta dall’installazione 2004, le membrane del dissalatore per la solita perdita dal connettore. L’alta pressione del sistema è micidiale, può trasformare il vano motore in una fontana di Trevi. Per fortuna avevo appena acquistato un ventilatore che, piazzato nel vano, mi ha consentito di respirare e di raggiungere le parti più difficili facendo ricorso alle pratiche yoga più sofisticate, grazie Pia!

Alla prossima.


Phang Nga Bay, 14-19 aprile 2015.

2015-04-24

Tra obelischi e bassi fondi.

La situazione del paesaggio, ed ancor più in mappa, è davvero curiosa, direi unica.

All’interno del vasto golfo si innalzano verticali pinnacoli di roccia rossa, quasi dolomie, ricoperta di verzura smeraldina. Vi si passa tra un canale e l’altro costeggiando  bassissimi

fondali, invisibili per l’acqua torbida e verdastra.

Le carte sono molto approssimative, per fortuna abbiamo memorizzato alcune rotte seguite da altri in precedenza. Avanziamo così con molta prudenza e sfruttando gli alti di marea. Un occhio all’ecoscandaglio ed uno allo stupefacente paesaggio che ci circonda.

Pur troppo fa molto caldo, troppo direi, e con il sole a picco bisogna stare immobili sotto i tendalini o a mollo. Al mattino una leggera brezza da nord est rinfresca l’aria e le cabine, poi nelle ore più calde, verso costa, si alzano imperiosi nuvoloni. Nel primo pomeriggio diventano minacciosi ed incombenti. Ieri in mezz’ora ci sono piombati addosso: quaranta nodi e fumo in acqua. Per fortuna non è difficile ancorare per il basso fondale, per giunta di fango. Navigare, a vela o a motore, con quel ventaccio è impensabile per gli stretti ed incogniti spazi di manovra. Abbiamo trovato ridosso, insieme ad altri, dietro ad una parete verticale e ci siamo goduti la frescura sotto il diluvio. Oggi abbiamo fatto il bis.

Gli ancoraggi non sempre sono tranquilli. Numerosi catamarani charter e barconi per turisti scaricano flottiglie di kayak per esplorare grotte e piccoli lidi. C’è persino un obelisco dedicato a James Bond perché in allora ivi si giro’ uno dei suoi film, naturalmente è come il miele per le macchine fotografiche dei giapponesi, e non solo.

Una vera specialità qui in Thailandia ed in Malesia sono le long tail, ovvero le slanciate imbarcazioni dei pescatori, poco più di una decina di metri: sul dritto, rialzato e snello, di prua  una corona di nastri rossi porta fortuna, a poppa un motore con l’asse lungo lungo, da cui il nome, che possono rialzare alla bisogna per evitare i bassi fondi. Peccato che siano talmente rumorosi da sembrare idrovolanti in fase di decollo, nel silenzio immobile dei luoghi il rombo si propaga, insistente e fastidioso, tra un picco e l’altro.

Ieri, pure noi, ci siamo inoltrati, a stento per non battere la testa, con il gommino sotto l’arco assai basso di una grotta e siamo sbucati in un laghetto interno assai pittoresco ed aperto, tra alti propilei, sull’altro versante dell’isoletta.

Domani faremo una puntata in costa per dare un’occhiata al marina di Krabi dove forse lasceremo la barca per i mesi estivi.

Alla prossima e saluti a tutti da Marina 2, Andrea, Marina e da chi vi scrive.


Ko Muk, la grotta di smeraldo, 19-20 aprile 2015.

2015-05-03

E’ l’alba. In pozzetto una leggera bava da nord rinfresca l’aria, Il primo sole a fatica sale oltre le nubi. La notte è trascorsa afosa, ora si respira. Son  ore, queste, le più gradevoli della giornata. Ormai qualcosa del tempo ho capito. In questo periodo di transizione, tra il monsone di nord est e quello di sud ovest, le giornate, caldissime, passano con pochissimo vento assai variabile sino al tramonto. Poi cumuli nembi assai minacciosi s’ergono enormi, a panna montata, lungo la costa. Il cielo rimbomba dei primi tuoni e rapidi temporali passano verso nord. Il barometro nel mentre scende a picco, poi con il temporale sulla testa, si ferma e risale lentamente mentre le nubi si allontanano verso ovest incendiando il tramonto.

Sulla battigia un long tail raccoglie due turisti e si avvia verso la grotta. Pensavo che si sarebbe diretto verso la barca per raccogliere pure noi, invece prosegue lungo la scogliera per sparire subito alla vista dietro uno spiovente sperone di roccia.

Ieri sera le due Marine erano scese a terra per prenotare la gita: appuntamento alle 7 e 30. Per ora, dunque, nessuno. Avevamo deciso così perché la visita è possibile solo con la bassa marea ed al tramonto dei giorni precedenti di fronte alla grotta avevamo visto una vera folla di turisti, portati da decine di motoscafi turistici. Meglio dunque la mattina prestissimo. Con poco tempo a disposizione, però: alle 9 la marea sarebbe stata forse già troppo alta. Aspettiamo sino alle 7 e 45, nessuno. Decidiamo allora di andarci con il gommino e senza guida. Vedremo.

Dopo una decina di minuti raggiungiamo l’entrata della grotta, giusto in tempo per vederne uscire i due turisti con guida. Sono due raggazzotte che con quattro bracciate raggiungono e salgono sul long tail. Ci sorridono “ Very nice, spectacular!”. Il nativo scioglie la cima alla boa e se ne vanno. Restiamo soli e interdetti, che fare? Dalla lettura della guida sembra che si debba entrare a nuoto nel buio più pesto, proseguire per circa 80 metri , ed alla fine trovare questo mitico e smeraldino hong, un camino circolare verso il cielo. E il tempo passa, con la marea che sale.

Decido di andare a dare un’occhiata. Torcia da testa e a rana mi infilo nella veramente bassa entrata. Dentro buio pesto, ma subito realizzo che la volta è molto più alta e con la torcia non è difficile proseguire. Ma quanto? Verso dove? Andrea mi raggiunge e decidiamo di proseguire. Il respiro del mare entra nella grotta e sordi rimbombi ci portano l’eco di grotte sommerse. Come dire, situazione inquietante.

Avanziamo, tesi nel cercar il minimo segnale di luce. Nulla. La luce della torcia, debole, è sufficiente ad abbagliarmi. Andrea, invece, ora qualcosa vede. Rapide bracciate, giriamo un costone ed eccola ! Intravedo una cornice ad arco di alta roccia nera, a pelo d’acqua una bianca spiaggia, pochi metri di sabbia. Attorno verzura e solo roccia.

Non c’è tempo da perdere. Se torno rapidamente, forse passiamo con il gommone. Andrea resta sulla spiaggia ed io nuoto a ritroso il più velocemente possibile. Ritrovo le Marine un po’ in ansia. Salgo sul gommone ed ancora con il fiato in gola ci infiliamo, giusti giusti, nell’entrata. Accendo il motore e piano piano, ma in pochi minuti, raggiungiamo l’ultima curva proprio mentre la torcia perde di forza. Ma ormai siamo con il gommino a riva. Lo scenario è davvero incredibile: un camino di roccia, l’hong appunto, largo una ventina di metri, sale verso un disco di cielo azzurro. La spiaggia è davvero minima, con l’alta marea viene sicuramente sommersa. Attorno una verzura smeraldina si aggrappa alle rocce incombenti.

Siamo soli, come volevamo. Scattiamo le foto di rito e via di corsa, si fa per dire.

La torcia ora è assai debole e cerchiamo a fatica di ritornare sui nostri passi.

A prua un urlo! Non vedo, ma mi par di sentire il frangere di un’onda. Un piccolo arenile ci sbarra la strada. Retromarcia di brutto ed evito il peggio. Abbiamo infilato il ramo sbagliato.

Ritorniamo nel quasi buio aiutandoci con le mani lungo la roccia. Troviamo un bivio, che non avevo notato entrando, e prendiamo l’altro ramo. Per fortuna è quello giusto. La torcia sta finendo, ma vediamo l’uscita: una lama di luce, sottile sottile e molto bassa. Ci avviciniamo con cautela. Dovremmo farcela. Le teste passano e pure il gommino. Siamo fuori. Che roba! Un salutone dalla barca dei… famosi…


Phuket per immagini: Cinesi, il Grande Buddha, Cibo, Pescatori. 10-14 maggio 2015

2015-05-15

Ad Ao Chalong, dove indugiamo da alcuni giorni per lavoretti vari in attesa di andare in marina per alare la barca, è tempo per alcune considerazioni su quel poco, o molto, che di Phuket, e dintorni, abbiamo visto. Cercherò di farlo per immagini.

Cinesi.

Cammino con il sole del tramonto, raso, giusto negli occhi. Viene dal Grande Buddha che domina la baia. Fa ancora caldo e lo sguardo che lo evita, cade sui piedi della, delle cinesine che mi camminano a pochi passi. Indossano ciabattine di plastica con grandi fiori rossi, piedi corti e gambette stortignaccole, appena nascoste da veli in tinta, un po’ azzardati, che salgono a circondare un ancheggiare appena lesto, al ritmo del chiacchereccio incomprensibile. Occhiali, grandi e griffati, nascondono sguardi fissi su smart phone o su tablet. Quasi inciampano, ma le immagini della giornata trascorsa sulle spiagge delle isole della baia sono irresistibili. Il grande rientro sta per finire e gli scafisti puliscono le barche da 400 cavalli e contano i bath incassati. Così tutti i giorni, tutto l’anno.

La base del lungo pontile, che si allunga nella baia per evitare le forti escursioni di marea, è un’enorme testa di ponte: vi arrivano decine di pullman ed a centinaia, forse miglia, i cinesi, indossati i salvagenti (non sanno nuotare), salgono sugli scafi che partono a razzo.

Le baie poco dopo diventano una bolgia, da evitare con cura.

Ad un tassista chiedo com’era vent’anni fa. Si stupisce della domanda, perché? Gli spiego,  in sintesi, che questo turismo sta distruggendo la bellezza originale del Paese. Capisce e mi precisa che allora tutti questi motoscafi non c’erano, e nemmeno i cinesi “ China is a big country! “ Recepito, auguri! Mi dice poi che il prossimo mese arriveranno i giapponesi !

Il Grande Buddha.

L’Illuminato irradia la sua benevolenza su tutti noi, ancorati ai suoi piedi.

Al Re è costato un patrimonio: alto sulla collina, 45 metri di brillante marmo birmano a cubetti, è il simbolo di Phuket. Quando arrivi dal mare per l’entrata sembra ti dia il benvenuto. Ora i lavori languono ed il cantiere, aperto, aspetta l’obolo dei fedeli.

Alla sua base statue di Buddha, di ogni foggia o posizione, ti ricordano la benevolenza che ti circonda, basta la disponibilità. L’atmosfera non è certo quella dei monasteri tibetani ed i monaci si adattano, con mal celato interesse, alla raccolta delle offerte: il turista pellegrino compra al banchetto l’offerta che deposita tra le mani del monaco, queste si spostano con disinvoltura verso l’assistente che riporta l’offerta al banchetto, e così via. Cambia solo la scelta/costo dell’offerta. Sulla collina i monaci, sotto i motoscafisti.

Cibo.

Anche in Thailandia il cibo è il primo business. Si mangia e si beve a tutte le ore, ovunque.

La buona cucina, da rivista turistica patinata

, è solo un mito. Tutto molto piccante e se chiedi “ Please, no chilly” diventa tutto agrodolce. Comunque qualcosa di buono evidentemente c’è. La frutta è superba: manghi, buoni come il gelato, ananas, una specie di frutto enorme che, aperto, offre al suo interno grappoli di morbida gustosissima polpa, il Jack fruit, per non parlare dei Lichee. Con tanti pescatori, vedremo poi, non poteva mancare il pesce.

Noi per comodità e curiosità siamo attratti dai piccoli e variopinti sushi: sembrano diversi, ma alla fine il sapore è sempre lo stesso, o quasi. L’altra sera però abbiamo fatto bingo.

Sulla lunga spiaggia di fronte alla baia abbiamo trovato un ristorante ben organizzato. Per sino con i tavolini a portata di grandi ventilatori semoventi: fresco e niente zanzare.

Sul piatto una serie di prown, gamberoni potremmo chiamarli, fritti ed ai ferri, di misura XXL, piccole aragoste, con contorno di riso ed erbette, davvero speciali.

Per finire l’argomento cibo, ier sera cenetta a bordo con l’unico, per quest’anno, tonnetto improvvido adescato dal nostro rapalino testa rossa !

Pescatori.

Si potrebbe scriverne un libro. Sono ovunque, a migliaia, matrice autentica di queste isole e del mare delle Andamane. Vivono in piccoli villaggi, per lo più islamici, sulle sponde di sinuosi canali, affacciati su piccole anse tra le mongrovie; non più, però, lungo le dorate spiagge. Li hanno fatti sloggiare. Ora solo insediamenti turistici, spesso pervasivi e di pessimo gusto.

Mi dicono che non abbiano gradito molto e del resto lo noti dal loro atteggiamento, scontroso e mai cordiale. Ben diversa la situazione in Indonesia, dove, ancora cercando l’ancoraggio, ti trovi circondato da barchette ben auguranti e nativi sorridenti, pronti ad ogni curiosità.

Ho già detto dei pericoli che essi, direttamente o con i loro diversi sistemi di pesca, costituiscono per la navigazione. Ma non è finita. La cosa peggiore è il rumore, sì proprio il rumore. A qualsiasi ora del giorno, o della notte soprattutto, adorano passarti vicino, vicino se sei nella loro traiettoria ideale. Queste loro, slanciate e potenti, imbarcazioni di legno hanno come propulsore un motoraccio, pesante ed ingombrante, non facile da gestire.

Lo governano muovendolo su un cardano. Per cambiare appena direzione devono, per tempo, spostare con una barra la lunga coda, long tail, più di tre metri ad occhio, che termina con un bipala. Se devono evoluire rapidamente, alzano la coda e la spostano lateralmente ed orientano così più marcatamente la prua. Il motore è a scoppio, e che scoppio! In cuccetta, molto prima dell’alba, pensi che un idrovolante stia decollando verso l’ancoraggio. L’onda sonora si comprime lentamente, non sono particolarmente veloci, e penetra devastante nei tuoi sogni. Pensi ora che ti centri e invece passa oltre, curioso e cinico. Evitate, in linea, pure altre barche, tutte, come la mia, con le luci strobo più variopinte, per non essere centrate (come del resto è successo ad una coppia di amici). Senti poi la piccola onda sullo scafo. Ci siamo, ora il peggio! Questi motori non hanno marmitta e, pur allontanandosi, lo scarico posteriore mitraglia il silenzio della notte.

Li puoi, così, immaginare e seguire nella traiettoria, credo per miglia, senza il minimo rumore di fondo, sino all’orizzonte…sino al prossimo.


Krabi Boat Lagoon Marina, 24 maggio 2015.Lo Zen del genoa.

2015-05-29

 Lo ZEN del Genoa

“ …ora metti la mano là e tira,… no, non là ! Più in là!...dove c’è la piega!” Marina sposta la mano  “…nooo, più in là”. Marina sbuffa, pochino, e incomincia a fare caldo, sono le 7 del mattino. “ Ora piega e tira…” Marina sbuffa, minacciosa. “…guarda come faccio io ! “ E’ fatta! “ Quando torni in Italia, ti trovi un’altra moglie!...e bastaaa! “

Il rimessaggio del genoa è ZEN, puro.

La procedura di per sé è semplice: bisogna tirarlo giù, piegarlo e riporlo in un sacco, e infine rimetterlo in un gavone. Tre fasi, dunque.

Sembra facile, ma in realtà bisogna tener conto che stiamo parlando di una vela di 67 m2 e del peso di una trentina di chili e più.

Tirarlo giù. Bisogna iniziare quando si è ben riposati, al mattino presto dopo il saluto al sole…se non piove o tira vento. Qui, per esempio, le mattinate sono incerte: se c’è sole alle 7 fa già caldo, meglio il nuvolo ma senza vento. Decidiamo sullo spot. E’ una decisione, la più importante, da prendere al volo, fiutando l’aria. Se dovesse piovere o far vento con il genoa in coperta, no buono!

Srotoliamo, Marina libera lentamente la drizza, io, a prua, sfilo la ralinga dall’estruso.

La vela viene giù, alla fine quasi di botto, e rischia di finire in acqua! Presa al volo!

Il sole già splende basso a est, a ovest nuvole basse e nere.

Con una rapida operazione sciolgo i legacci di penna e di mura, poi sfilo i circa 40 mt di scotta. Ora il genoa è completamente libero in coperta, se fa vento rischia di volarci via.

Fase due. Lo spostiamo verso il fianco della barca, di lato al pontile. Oggi siamo molto fortunati: piegare la vela a terra, sulla superficie piana del pontile è meno complicato. Spesso ci è successo di doverlo fare, stando a bordo, sulla tuga. In questo caso è davvero molto complicato e molto faticoso. Ricorro allora allo ZEN scritto: uno speciale pro-memoria delle giuste, sperimentate sequenze.

Comunque anche a terra c’è tutto il tempo per vanificare ogni più ottimistico ZEN, vedi sopra, appunto!

Un po’ alla volta il genoa, tira di qua e tira di là, viene giù dalla barca e poi piegato in bella sequenza. Come? Qui sta il nocciolo, puro segreto ZEN.

Ora è una bianca striscia di dacron sul pontile, sembra un bel lenzuolone…per fortuna non dobbiamo stirarlo.

Ora bisogna arrotolarlo, stretto stretto, partendo dalla testa più larga. Fase delicata: il canolo deve uscire ben compatto per ridurre al massimo l’ingombro finale. Va poi sollevato, legato come un salame, ed incappucciato con il suo sacco e richiuso e di nuovo avvolto come un salame con un’asola in testa.

Ultima fase. Spostare il fagotto è allarme rosso per le nostre schiene. Ci pensa una drizza con il relativo winch. Il moschettone è assicurato all’asola e il bel fagotto prende il volo per appoggiarsi, poi, in coperta.

Il sole da est ora brucia e la coperta incomincia a scaldarsi. Le nuvole incombono più vicine da ovest, dal mare. Sta arrivando la stagione del monsone di sud ovest.

Ora si tratta di trascinare il pupo sino a prua per riporlo nel gavone destro dove l’aspetta l’altro genoa, quello originale, vecchiotto. Lo solleviamo con la sua drizza e gentilmente lo infiliamo orizzontale sull’altro. E’fatta. Chiudiamo il gavone e torniamo in pozzetto, fradici di sudore.

Sentiamo un refoletto, poi un altro, qualche sartia accanto già fischia, più rotoli, neri e bassi, si avventano sul marina. Il sole sparisce, piove, anzi diluvia, e tira ventaccio.

Questo più che ZEN, si chiama C….!


PACIFICO PER DUE. Incontro alla Libreria MARE DI CARTA Sabato 20 ore 18

2015-06-18

Segnalo di seguito l'invito per l'incontro predisposto da Cristina:

"Sabato 20 giugno, alle ore 18.00

Libreria Mare di Carta
Fond. dei Tolentini
Santa Croce, 222 - Venezia

Incontro con
Marina e Giovanni Testa

parleranno della loro esperienza
di navigatori intorno al mondo e del loro libro

"Pacifico per due"
Edizioni Il Frangente

Lasciato l’Atlantico alle spalle, nel 2011 il fatidico passaggio del canale di Panama, la traversata del Pacifico e le rotte in Polinesia francese, Samoa e Tonga, fino a raggiungere la Nuova Zelanda nel 2012. Un’altra traversata li porta a navigare nelle Fiji, nell’arcipelago delle Vanuatu e in Nuova Caledonia per concludersi in Australia nel 2013. Eutikia lascia dietro la sua poppa oltre 10 mila miglia. Giorno dopo giorno, miglio dopo miglio si raggiungono arcipelaghi e atolli remoti. L’avventura romantica di un lasciarsi navigare scandito da incontri, scenari di stupefacente bellezza, imprevisti cambi di rotta. Al tramonto, quando la scia di poppa si allunga e si sperde, prende forma il desiderio di fissare il ricordo. La storia di una coppia che ci racconta come si realizza il sogno di partire per il giro del mondo a vela!!!


Verrà proiettato un filmato

Seguirà un aperitivo

Vi aspettiamo numerosi!!!!

Per info: info@maredicarta.com o 041 726304 "


Bangkok, 9-12 giugno 2015.

2015-06-19

I mille Buddha.

Laggiù, in fondo, sotto a un viadotto dove sfreccia un coloratissimo Metro, più file di luminosi faretti lampeggiano impazienti. Sono decine e decine di motorini fermi al rosso; dietro, un muro di macchine, ferme.

Dalla mia postazione, un passaggio sopra elevato a 20 metri di altezza, prendo d’infilata tutta Phetchaburi Road. Il sole sta scendendo tra i grattacieli. Un’altra giornata infernale sta finendo a Bangkok.

L’aria che sale è rovente, rossastra, gli scarichi la rendono densa. Riprendo la scena e non respiro, almeno ci tento.

Nell’altra direzione, le rosse luci posteriori della colonna di macchine si muove a bruco, anzi sembra un drago che scodinzola senza fine penetrando nell’ infinito dedalo di incroci, sopraelevate, giganteschi cartelloni pubblicitari. Sotto un popolo che cerca disperatamente di tornare a casa, dove? Tra quei grattacieli luminescenti, chissà? Sopra lo sguardo cangiante, blasfemo e compiaciuto, di leggiadre ragazze Thai che promuovono un salutare liquido per idratare la pelle. Oltre, un altro muro di pannelloni video: i leader mondiali della telefonia promettono stratosferiche velocità in rete.

Torno con l’obiettivo al semaforo. Ormai ho un’autonomia limitatissima, ma non voglio perdermi la partenza al verde. E’ da Gran Premio ! Sono uno spettatore privilegiato, si fa per dire, ho la linea di partenza tutta per me…Scalano i secondi, dentro ai loro caschi neri occhi ansiosi sbirciano l’ultimo secondo…sento un fischio allargato provenire dagli scarichi, ora, con il crescere del numero dei giri. Qualcuno bara e scantona già tra le ultime macchine del flusso che passa di traverso all’enorme incrocio. In un attimo la linea compatta si frantuma e i primi sfrecciano sotto i miei piedi. Parte pure il fronte della macchine, sale il frastuono.

Accanto a me incrocio lo sguardo di un altro bianco con cinepresa. Occhi stupefatti, come i miei. E’ giunta l’ora di fuggire, scendo rapidamente le scale, raggiungo Marina, e ci infiliamo al sicuro dentro al più grande Centro di Shopping della capitale thailandese.

Si chiama ZEN, non potevano scegliere un nome più adatto.

Eravamo giunti a Bangkok da Krabi dove Eutikia è stata sistemata a dovere a terra.

Riccardo, un caro e simpatico italiano che vive qui da vent’anni, le terrà compagnia. Avremo sicuramente occasione di riparlare di Riccardo, storie di quanto il mondo sia piccolo.

Sulla via del ritorno a casa l’occasione di visitare questa capitale d’Asia era davvero irresistibile, non solo, ma la copertina della Lonely Planet con i suoi templi dorati prometteva affascinanti scorci nel cuore della storia, dell’arte e della cultura Thai.

E così siamo finiti alloggiati in un piccolo e minimalista hotel a pochi passi, per fortuna, dal centro religioso ed architettonico di Bangkok.

Prima puntata d’obbligo al Wat (tempio) Mahathat, una gigantesca area fortificata a racchiudere, oltre a innumerevoli palazzi, templi minori e  svettanti guglie, il tempio, noto come, del Buddha di smeraldo. L’impasto dei gruppi dei turisti cinesi è davvero opprimente, ma non scalfisce la paziente devozione dei fedeli, molto meno la nostra.

Ci togliamo le scarpe ed entriamo. E’ a campata unica, dorata ed affrescata: la Cappella Sistina del buddismo. Al centro un altare, a piramide protesa verso lo stellato soffitto. In cima il Buddha appena si vede tanto è piccolo, solo 66 centimetri, e non è di smeraldo, ma di nefrite, un tipo di giada. Non si può fotografare, ma rubo qualcosa, con devozione.

Usciamo, recuperiamo le scarpe mentre sulle gradinate i cinesi conquistano ogni anfratto.

Due ragazzine, con grandi cappelli di paglia e la mascherina, sfoggiano l’ultimo smart phone e si fotografano a vicenda tra maliziosi sorrisi e aggiustatina di ciuffi neri.

Giriamo l’angolo e troviamo miracolosamente riparo all’ombra di un chiostro non incluso nel flusso straripante cinese. La calura si attenua, una leggera bava si insinua tra i mille Buddha e ci godiamo un solitario cinguettio tra immoti arbusti.

Il giorno dopo usciamo, di buon mattino, leggeri, con il minimo addosso, mentre i raggi del sole già incendiano, rasi, i pinnacoli dorati delle pagode. Il grande fiume Num Chao Phraya scorre svelto e melmoso, traghetti, long tails, cruising boat già sfrecciano rombando. Sulle sponde la vita, il caos torna a pulsare… fatalmente.

Due passi e ci infiliamo nel What Pho, un vero capolavoro. All’interno del tempio principale il Buddha Reclinato, più famoso e venerato al mondo: 45 metri di lunghezza, 15 di altezza, tutti ricoperti d’oro. Entriamo in punta di piedi, silenzio, NESSUNO in giro, neppure un piccolissimo cinese. Che meraviglia! È tutto per noi, almeno per pochi secondi.  Cerco la migliore inquadratura, ma è quasi impossibile. Ne scorro i riccioli dei capelli, la fronte illuminata dai primi raggi di sole, gli occhi socchiusi, sereni, l’enigmatico sorriso, imperturbato mentre entra nel nirvana, questa la sua rappresentazione.

Oltre, un lungo corridoio con 108 ciotole di metallo… tin, tin, tin, tin in ciascuna cade, come vuole il rito, un nostro soldino.

I cinesi oggi sembrano tardare e noi ci gustiamo una rilassata camminata tra Buddha d’oro a decine, affreschi, murales, svettanti chedi sovrastanti le tombe dei re della dinastia Rama. Tutta l’area templare del centro storico di Bangkok risale solo alla fine del ‘700, questo perché nel 1767 i birmani, i barbari del nord, spazzarono via l’antica e ricchissima capitale di Ayutthaya. I sopravissuti fuggirono più a sud  e cercarono rifugio, come i veneziani, tra i canali che ancora oggi intersecano Bangkok.

E come non fare una puntatina per vedere quel che resta di questa mitica capitale?

Usciamo da Bangkok, non senza difficoltà nonostante il traffico sia in entrata, tra quinte di grattacieli che si perdono verso l’orizzonte. Il tassista, afflosciato sul sedile consunto, gestisce il suo micro mondo tecnologico con estrema disinvoltura: con un tocco parla con casa e con l’altro resta permanentemente in corsia di sorpasso. Finalmente il verde della campagna. Un’ora e mezza e ci siamo. La cittadina appare decisamente più tranquilla ed i bus gran turismo non sono numerosi. Buon segno.

L’area archeologica è molto vasta, però è possibile visitarla in bicicletta. Diamo appuntamento al nostro driver e ci infiliamo nel parco, pedalando nella frescura del verde.

Riconosciamo ogni area templare dallo svettare dei pinnacoli. In mappa ricordano il tipico mandala a forma squadrata: ogni lato da seguire a piedi sotto un sole impietoso. Ovunque busti di Buddha con la testa mozzata, a centinaia, ricordo della disfatta. Al centro, uno o più, chedi  svettano ritagliati nel blu.  Il percorso si snoda tra luoghi di venerazione, placidi laghetti e fioriti jacaranda.  Gli scorci per qualche buon scatto certo non mancano. Troviamo un tempio completamente deserto. E’ il massimo della calura. Alcuni giardinieri giacciono immobili all’ombra di un pandano. Noi ci godiamo passi silenziosi tra rosse pietre ed ombrosi alti filari d’alberi. Solo un insistente richiamo cinguettante tra fronda e fronda.

 Dobbiamo fare i conti con il rientro e ritroviamo, per fortuna, il nostro tassista.

Alle porte della città il traffico s’addensa, mentre il sole s’infila tra enormi nuvoloni temporaleschi, come ogni sera qui. Dal finestrino, al fresco dell’aria condizionata, rivedo tra i grattacieli in controluce, immagini dei mille Buddha….OHOOOMMMMM…..

Al prossimo miglio verso l’Oceano Indiano , un arrivederci ed un grazie a tutti.

Marina&Gianni


AUGURI E BUON VENTO A TUTTI

2015-12-11


Thailandia,Krabi, Boat Lagoon Marina 10 novembre-6 dicembre 2015_1 parte

2015-12-17

Vite lontane.

La massa, imponente ed ombrosa del caicco turco che ci sovrasta, riesce  a malapena a proteggerci dalla luce implacabile del sole. E' questo un periodo di transizione tra i due monsoni ed è alquanto nuvoloso con frequenti acquazzoni pomeridiani, ma di giorno il sole si fa largo tra le nubi e surriscalda  piazzale, barche e noi.

Riccardo mi indica i molti lavori che stanno facendo allo scafo per rimetterlo a galleggiare. Qualcuno aveva pensato di clonare in Thailandia il lucroso affare del noleggio turistico, assai diffuso in Turchia, e così l'hanno portato sin quì a motore.

Qualcosa poi non è andata per il verso giusto e il caicco è rimasto a marcire per quasi tre anni a queste temperature micidiali. Riccardo l'adocchia e, con un socio francese, lo compra per pochi bath. Ed è così cominciata l'ennesima avventura di Riki, come lo chiamano i thai. Era partito da Vicenza, assai giovane, con in tasca un brevetto sub professionale. Ha girato i mari di mezzo mondo, più sotto che sopra: torri petrolifere, oceanografiche, carenaggi, lavori sempre al limite, di precisione.

Poi ha detto basta, e con un gruzzoletto messo da parte, ha cercato e trovato il suo habitat naturale a Phuket, dove il diving turistico stava aprendo nuove prospettive.

Non solo, ma trova anche da sposarsi e il modo di avviare due ristorantini affacciati sulle splendide rive di Phi Phi Island. Le cose sembrano andare a gonfie vele, ma il sole svapora qui anche l'amore ed il matrimonio finisce in tribunale. Riki ha la peggio, la sua thai, con l'appoggio dei locali, si porta via tutto. Non resta che ricominciare, ma come? Per fortuna aprono a Krabi un nuovo Marina, gemello di quello storico di Phuket, e cercano un contractor per i servizi alle barche. Ed ora Riki è qui da quattro anni e, con una manciata di ragazzotti locali, lavora da mane a sera anche perchè ha rimesso su famiglia con pure due bellissimi frugoletti...comunque è meglio non parlargli delle donne thai !

Mentre mi spiega il lavoro di calafataggio e ridipintura, sopra di noi, dalla cabina di comando, salta fuori Alex. Girando per il Pacifico non mi era mai capitato di incontrare italiani per i cantieri e qui ne trovo ben due (e non è finita!). Ci saluta e scende rapido, sigaretta in bocca e bandana verde, per incontrarmi. Fanno una bella accoppiata, Riki e Alex: lui robusto, un po' rasta e sempre di un casual assai improbabile, Alex slanciato, asciutto, occhi di un azzurro chiaro come il mare. Riki paziente, tutto fare e tutto risolvere, Alex assai curioso, non lo ferma neppure il più intricato degli impianti elettrici. Ogni tanto viene a trovarci, al mattino prima del lavoro a bordo del caicco. Vive a bordo di una barca, azzurra pure lei, con sua moglie, una graziosa e simpatica ragazza thai. Mi racconta la sua storia a pezzi, e a tratti non se la ricorda neppure lui tante sono state le vicende della vita e pure non si direbbe vista l'ancor giovane età.

Da buon milanese, il babbo lo porta a remare su un gozzo in Liguria e, come spesso accade, il mare gli entra nel sangue. Impara le vela in deriva, militare in marina, arriva alla base di Taranto. Il suo compito è cercare i sommergibili, ma si diverte di più con  le piccole derive, assai acciaccate, che da Livorno scartano. Le mette in ordine e organizza il primo nucleo sportivo per i marinai della base. Poi il bip bip dei sonar, quella vita da militare, gli viene a noia. Trova come fare quattrini in edilizia, quel tanto che basta per comprarsi una bella barca a vela, e parte per i Caraibi.

Si inserisce bene nel mercato del charter e scorazza in lungo e in largo per il Caribbe. Al sole di Santo Domingo trova anche la donna giusta e si sposa. Ci riprova  nell'edilizia, come molti italiani del resto da quelle parti. In poco tempo si ritrova con una bella casetta fronte mare con, dalla finestra,  la sua barca alla boa: il sogno di tutti noi. Ma dopo un po' prevale la noia. Domanda alla moglie se intende seguirlo ancora. Lei nicchia. e lui riparte da solo. Mi fermo quì,  ma la storia è ancora lunga.

Alla fine si ritrova a Phuket, dopo investimenti nell'edilizia locale non proprio azzeccati, di fronte ad un rudere di barca a vela. La compra per niente e dopo due anni di lavori , è ora la sua casa.

Una mattina, all'alba, si ferma sulla passerella e ci da il buon giorno. " Senti " mi dice " avrei una domanda da farti, ma puoi rispondermi, se credi, anche domani" Dimmi, dimmi" " Beh, mi sai dire perchè nonostante tutti dicano non uccidere, ci sono poi le guerre volute dalle organizzazioni un po' ovunque ? " Resto interdetto, una domanda così proprio non me l'aspettavo. Rispondo alla bella e meglio. Vedo che mi segue nel ragionamento con gran disponibilità all'ascolto, cosa rara. E allora a mia volta gli chiedo " Ma come ti è venuta in mente l'idea di farmi questa domanda ?"

 " ...veramente ne ho anche altre, è che mi capita molto raramente di parlare con qualcuno con cui si possa ragionare...! " Non ho parole. Ci facciamo una bella risata " Alla prossima , allora..." E se ne va a fare yoga, tra le labbra la prima sigaretta della giornata..

Mi rendo conto di averla fatta lunghetta, anche troppo. E allora con la prossima vi racconterò di Luigi da Sorrento e di Des, l'australiano. Da non perdere.


Krabi, Boat Lagoon Marina 10 novenbre-6 dicembre 2015_2 parte

2016-01-04

 

Krabi, Boat Lagoon Marina 10 novenbre-6 dicembre 2015_2 parte

Vite lontane_2

Mi rendo conto che queste brevi narrazioni di incontri lontani possano pure annoiare chi magari è più disponibile all'avventura in senso stretto, all'emozione in diretta di una traversata, ma vi assicuro che  sono come il pepe ed il sale della vita, non del viaggio, sic et simpliciter. Da sempre gli incontri tra le dune dei deserti, sotto le stelle, lungo le rotte dei mari o semplicemente, si fa per dire, lungo i sentieri delle nostre montagne accendono di emozioni i più curiosi, portano a riflessioni e condivisioni inaspettate. Aiutano, in poche parole, a conoscere meglio se stessi e il prossimo.

Incontro Des, per la prima volta, pochi giorni dopo aver messo a terra EUTIKIA. Cercavo qualcuno cui affidare i soliti lavori di manutenzione, antivegetativa, pulizia fianchi, ecc e mi reco, ignaro, proprio al suo ufficio, a pochi metri da quello di Riki di cui ignoravo l'esistenza. Il preventivo mi sembrò fuori media e così tornai da Choo, manager del Marina, e chiesi se c'erano alternative. " Ma come " mi disse" non conosci Riccardo, è italiano pure lui !" E fu così che entrai nell'ufficio accanto.

Quel primo incontro con Des, però, mi incuriosì non poco. Il personaggio aveva sicuramente una lunga storia. Piuttosto in là con gli anni, con un inglese affabile, posato e rassicurante, sapeva venderla bene. E così mi ero ripromesso di ritornarci comunque per scambiare due chiacchere. Anzi fu lui. come poi mi disse Riki, che suggerì di contattare Luigi per una perizia che dovevo fare alla barca su richiesta della mia assicurazione. Accadde così, che dopo alcuni giorni, conobbi e mi ritrovai a bordo Luigi.

" Giovanniiii!" sento chiamare da sotto. Mi sporgo, lo vedo già salire ed è già in coperta, rapido. Calorosa stretta di mano e dai primi convenevoli si capisce subito che si tratta di un napoletano verace , pure lui in là con gli anni, ma con ancora l'agilità e la vivacità di uno scugnizzo. Zompa subito qua e là, su e giù, dalla chiglia alla sommità degli alberi, scende nel vano motore, e a fine mattinata finiamo l'ispezione. Ci sediamo in bozzetto, beviamo qualcosa e mi chiede se può fumare. Come no! E tira fuori cartine e busta di tabacco...Old Holborn!  Resto secco, era il mio favorito prima di smettere di fumare sedici anni fa ! Lo guardo con una certa invidia, mentre mi racconta scampoli di vita. Da Sorrento, da Napoli , dopo regate e anni di esperienze professionali a bordo di barche, prima piccole, poi sempre più grandi, parte a bordo di un Maxi per portarlo a Hong Kong, questo vent'anni fa. Il Maxi è famosissimo, non meno dei proprietari, italiani. Arrivato, decide di non tornare. Poi si sposta a Singapore ed arriva in Malesia. Altre barche e altro lavoro.

E qui incontra Des. fanno società e armano, chiavi in mano, grandi yacht ." Des, dici?  Ma che tipo è?" E qui inizia un'altra storia. Luigi mi racconta che Des, giovanissimo con altri tre amici fa un giro del mondo, poi, pare, un altro, con una barca medio, piccola, ma solida, quelle di una volta. Regate un po' ovunque e della brigata fa parte anche Ron Holland , allora agli esordi, e ora da quarant'anni famosissimo yacht designer.

Des entra così, piano piano, nel mondo del business navale. In particolare diventa esperto nella gestione dei grandi trasporti: rimorchi speciali, piattaforme, progetti per grandi carichi. Insomma un bel giro d'affari. Un brutto giorno, però, subisce un incidente sul lavoro e deve scendere a terra. Si sposta in Malesia ed entra nel settore dell'armamento degli yacht di lusso, proprio con Luigi.

Gli anni passano, con soddisfazione, e giunge il momento di ritirarsi nell'accogliente Tailandia. Mette su casa  sulle dolci colline del nord, accudito da amorose cure femminili. Ma si annoia e quando viene a sapere che il Marina cerca contractor, ci riprova. Apre l'ufficio accanto a quello di Riki. e si fanno, così, una non sempre amichevole concorrenza. Anzi, lui dice che non ci guadagna e che lo fa per dar lavoro ai locali, ma lo farebbe, e pure di più, anche Riki. Ma qui non ci badano più di tanto. Ora Des si muove zoppicando, appoggiato ad un  bastone e seguito, come ombra silente e sorridente, dalla sua thai, tra le barche in manutenzione. Tra queste, un rudere con il sangue blu: un 6 metri stazza internazionale. Mi aveva raccontato di averne acquistati tre in giro per il mondo. Due, già restaurati, ora navigano nel golfo di Phuket. Per l'ultimo i lavori erano appena iniziati. Ma tornerà a navigare, me lo dice con gli occhi che brillano, più azzurri del cielo.

Luigi racconta, parla e la sigaretta si spegne. Riaccende e vaporose, profumate nuvolette mi gironzolano attorno provocanti. " Tornerai a Sorrento?" gli chiedo"..e a far chè ?" " Ora ho pure il certificato di perito navale, quattro anni di studi in inglese- in effetti lo parla meglio dell'italiano-, conseguito a Londra e qui il lavoro non manca. Me lo suggerì proprio Des e lui, già perito, mi aiutò". Ci chiamano da sotto, Des ha fatto preparare per l'amico qualcosa al piccolo ristorante del Marina. Ci salutiamo, mi manderà la perizia al più presto. Si sistema la variopinta coppoletta di lana, quella usata dai pescatori del nostro sud, e mi saluta con una battuta in napoletano, incomprensibile, vera poesia musicale.

Fine delle storie. E poi ti capita di trovare qualcuno che, uscendo dalla quotidiana noia dell'ufficio, ti dice "...beato te che puoi !"

Alla prossima. Incominceremo ad illustrare, come mi riuscirà, la pianificazione della traversata dell’oceano Indiano verso Città del Capo.

Se ho qualcosa da dire, la dico nella maniera che mi sembra più naturale” P.Picasso


Nuovo filmato

2016-01-09

Nuovo filmato "EUTIKIA  MALESIA TAILANDIA 2015"

Venezia 9 gennaio 2016

Ricordo che su  https://www.youtube.com/user/eutikia1 sono raccolti gran parte dei filmati montati durante la traversata da Panama sino alla Tailandia.

https://youtu.be/wklRqSW7rMw

Dal 2011, anno di partenza da Panama, sono quindi raccolti VIDEO che riguardano: Panama, Ecuador, Galapagos, Marchesi, Tuamotu, Isole della Società (Tahiti, Bora Bora, ecc), Samoa,Tonga, Nuova Zelanda, Fiji, Vanuatu, Nuova Caledonia, Australia, Indonesia, Singapore, Malesia e Tailandia.

Se non dovesse funzionare il link,  con " giovanni testa eutikia" da Google si raggiunge molto facilmente la mia pagina su youtube..

Ultima annotazione: sulla pagina youtube, v.sopra, a destra in alto c'è la possibilità di registrarsi e quindi esser informati su futuri aggiornamenti volanti.

Il filmato 2015 parte dalla Malesia ed arriva in Tailandia. Con gli amici Marina 2 e Andrea abbiamo veleggiato a zig zag attraversando il grande golfo di Pha-Nga a nord di Phuket. Poi, noi due, dopo il rimessaggio a Krabi, dove ora si trova EUTIKIA, siamo andati a visitare la capitale Bangkok ed i siti archeologici dell'antica capitale Ayuttaya.

Enjoy...se non disprezzate lo zen della leggera noia invernale

...ultimissima annotazione, visto che gli ultimi filmati sono in HD, per chi avesse una Smart TV: ci si può collegare direttamente con l'App di YOUTUBE nativa della TV oppure comodamente dal tablet via wifi, oppure....

Alla prossima con il programma 2016 verso il Sud Africa.

”Quando ci si sente secchi scrivete qualsiasi cosa, incominciate qualsiasi frase e tirate dritto davanti a voi” G.Apollinare


Venezia 15 gennaio 2016. Verso il Sud Africa

2016-01-15

Verso il Sud Africa: l’anno del Capo.

Dopo l’Atlantico ed il Pacifico, è ora la volta dell’Oceano Indiano.  Da quando EUTIKIA si è affacciata oltre lo stretto di Torres, lasciando di poppa il Sud Pacifico, si è aperto a ovest un mondo nuovo, l’Indiano. Quali rotte seguire ? Da dove partire? Quando? Che tempo ci sarà?Quali i venti? Sono tutte domande che ci siamo poste ben prima di arrivare a Capo York, estrema punta a nord dell’Australia e che tutti, giunti come noi a questo punto, si pongono.

L’esperienza del passato , pur molto utile, si confronta però con una traversata del tutto diversa. Vediamo perché.

Quando partimmo il 25 novembre 2007 dalle Canarie avevamo di fronte un piano molto chiaro perché privo di alternative. Fine novembre era il periodo migliore, anche per passare le Festività al caldo dei Caraibi. La rotta, salvo un’eventuale lieve discesa iniziale, era per parallelo e l’arrivo poteva essere un’isola qualunque di quella collana di perle.

 Il punto, se mai, era la distanza, circa 2.700  miglia, mai affrontata prima di allora.

Arrivammo, poi, nel Pacifico il 27 marzo 2011, dopo aver passato il Canale di Panama.

Questa pozzanghera, come la chiamano gli americani per cercar di alleggerirne l’impatto, da Panama alla costa australiana, è larga 8.000 miglia. La prima parte, dalle Galapagos sino alle Marchesi, è sicuramente la tratta più lunga, 3000 miglia, che una barca a vela deve percorrere durante un giro del mondo.

Poi si aprono diverse alternative: ogni equipaggio studia il percorso che più gli aggrada per meglio capire e gustare il mito dei Mari del Sud. E’ insomma una caccia al tesoro, alla spiaggia più bianca, al fondale più variopinto, al profumo ed ai colori dell’aliseo, alla musica e alla danza, ai cieli che si specchiano nelle lagune turchesi della Polinesia. Il Pacifico colpisce al cuore, e molti si lasciano sedurre dimenticando di rimettere la prua verso ovest.

 Dal punto di vista tecnico c’è da gestire, sempre, l’aliseo di sud est e farsi portare, or di qua e or di là, verso isole, atolli la cui ubicazione è spesso visibile sulla cartografia solo con il massimo ingrandimento.

Molti ci passano anni, si rifugiano in Nuova Zelanda durante la stagione degli uragani e poi ritornano a far vela tra Fiji, Vanuatu e Tonga o persino ritornano nella Polinesia francese.

Tutto questo per dire che, con l’Australia, si lascia di poppa il meglio dello spirito che anima da secoli questa immensa distesa blu.

Il passaggio dell’Indiano è tutt’altro, per due semplici ragioni: la prima è che non c’è un polo di attrazione comparabile ai Caraibi o alla Polinesia, la seconda, molto più importante, è che, più che di una traversata, si tratta di un trasferimento.

Lo è, in questo senso, nello spirito di chi si affaccia al suo limitare. Australiani, neozelandesi, americani ed europei pensano già al Mediterraneo o a casa, sulla east coast o al nord Europa. Il pensare, quindi, ad un trasferimento cambia di molto le cose nella pianificazione della traversata, inoltre molte sono le alternative per raggiungere questo obbiettivo. Vediamole insieme, non in senso di priorità ma, geograficamente, da nord a sud verso ovest.

Bella e impossibile.

La prima opzione, come dicevo da nord a sud, è quella del Mar Rosso. E’ la classica, da tutti preferita, anche per le bellezze naturali, per rientrare nel Mediterraneo sino ai primissimi anni 2000. Per certo dal 2010 è diventata off limits per chi va in barca a vela: troppi atti di pirateria con perdita, anche, di vite umane. Ora la situazione pirateria è in parte (vedi foto) migliorata per le contromisure attuate e per il pattugliamento della flotta militare internazionale di quella vasta area di mare, sino allo stretto di Bab al Mandeb.

Restano, però, almeno tre decisive controindicazioni. La prima: non vorrei mai trovarmi,

con poco vento e mare piatto, con un target sul radar in rapido avvicinamento. Ovviamente la nostra velocità di diversione sarebbe del tutto inadeguata. Mi è già successo. La seconda: la pirateria ha lasciato il posto ad una situazione di guerra, più o meno dichiarata e di cui noi sappiamo pochissimo, in tutte quelle regioni d’Arabia. In particolare le coste yemenite sono fuori controllo. La terza: la mia assicurazione, ovviamente, non copre quell’area. Ergo non ci resta che sfogliare le splendide guide fotografiche e turistiche di quei posti. Per concludere, devo però aggiungere che stimo in una decina almeno il numero di barche a vela che sarebbero passate nella stagione scorsa. Tre le conosco per certo. Esclusa quindi la bella e impossibile, passiamo alle altre nel prossimo post..


Venezia 18 gennaio 2016. Quo vadis?

2016-01-18

Quo vadis?

Rotta Nord. Partenza dalla Tailandia o Malesia, Andamane, Golfo del Bengala, Sri Lanka, Maldive, Seychelles, Madagascar, Canale Mozambico, Sud Africa (Richard Bay) per un totale di circa 5.500 miglia ( variante: dalle Maldive alle Chagos, poi Reunion)

Pro: le tratte sono relativamente più brevi. Il vento più moderato, nella prima parte, con monsone da NE, poi meno vento e aliseo da SE. Meno swell da Sud.

Diversi arcipelaghi da visitare, molto belli e interessanti per l’aspetto ambientale ed etnico.

Le Seychelles hanno, pare, una buona base Mooring.

Contro: Non sempre la rotta più corta è anche la più breve. Per arrivare nello stesso periodo (ottobre), bisogna partire in febbraio. Il Golfo del Bengala è noto per le forti zone di convergenza ed è spesso imprevedibile (una barca come la nostra si è beccata una tempesta tropicale, fuori stagione e non prevista dai meteo, con due giorni a 40, 50 nodi). Il mare a Sud di Sri Lanka pullula di pescatori, tutt’altro che amichevoli. Lasciare la barca per più giorni a Galé per visitare l’isola non è raccomandabile. Le Maldive hanno una notevole turbolenza politica, e non hanno ancoraggi degni di questo nome, tutti all’esterno degli atolli e con fondali fuori misura.

La variante Chagos è costosa e assai difficile da gestire. Il Parco è amministrato dai britannici che richiedono on line un versamento preventivo di 50 £ a settimana per un massimo di 4, ma con l’aggiunta di una specifica assicurazione per garantire in ogni caso l’abbandono dell’isola. Il relativo costo può arrivare a 2 mila euro.

Per ultimo, l’eventuale passaggio dalle Chagos a Reunion è in bolina larga, se si è fortunati. Mare, non da poco,  e corrente di deriva sotto vento . Un mio amico ha buscato forte e sono più di mille miglia! Dalle Chagos alle Seychelles è invece molto più comoda, comunque con intense zone di convergenza.

Rotta Sud: Partenza dalla Tailandia o dalla Malesia, fine marzo, Canale Malacca, Indonesia sino a Jacarta, Stretto della Sonda, Cocos Keeling (atollo AUS), Rodriguez, Mauritius, Reunion, Madagascar, Canale Mozambico, Sud Africa (Richard Bay) per un totale di almeno 6.200 miglia.

Pro: le prime mille miglia, sino a Jacarta, non sono in mare aperto e si possono gestire con tappe giornaliere. Da Jacarta a Cocos Keeling (inizio maggio) dovrebbe essere un buon traverso, lasco, con aliseo da SE, adatto per prender confidenza con l’oceano.

Cocos Keeling è un atollo splendido, da gustare ad libitum in attesa di una buona finestra meteo per la partenza. Poi ci sono 2 mila miglia con gran vento al lasco, aliseo da SE, e corrente favorevole.

Contro: tornare indietro non è mai piacevole e rifare il Canale di Malacca e parte dell’Indonesia, lo è ancora meno: cargo,traghetti, rimorchi  pescatori e reti ovunque, bisogna avere quattr’occhi e non basta.

Il passaggio verso Cocos K. va ben studiato per evitare le code di tempeste tropicali tardive. La buona stagione si apre con il 1° maggio.

La tratta più lunga può riservare pesanti condizioni di vento e mare. In maggio l’aliseo non dovrebbe esser così forte come in luglio e agosto, ma ci sarà sempre un’assai fastidiosa ed imponente onda  da Sud (swell).

Quo vadis, EUTIKIA ? Anche se l’avrete già intuito, ne riparleremo alla prossima.


Venezia 26 gennaio 2016

2016-01-26

Pensiero laterale.

Cosa c’entra il pensiero laterale,  qualcuno si domanderà. C’entra, c’entra. E vediamo subito, il perché. Quando ci si trova in passerella l’argomento cui tutti arrivano, prima o poi, è: quali sono i vostri programmi, quale rotta, Tizio ha fatto così, Caio colà. Un’idea fissa, insomma, che si aspetta una confortante risposta nella stessa direzione: tutti hanno in mente una rotta tecnica da condividere con altri. Ma raramente ne escono le motivazioni più laterali, appunto, più difficili da scovare e da interpretare, che ognuno disvela solodopo una lunga chiacchierata in pozzetto, anche perché alle volte non sono neppure chiare del tutto a se stessi. Il caso della traversata dell’Indiano ne è un classico esempio. Vediamone i particolari.

Molti scelgono, come prima opzione, la rotta Nord perché attratti, giustamente, dall’ esotismo (India, Maldive) coniugato alla bellezza naturale dei luoghi (Maldive, Chagos, ecc). Noi, certamente , in misura minore: in India ci siamo stati diverse volte ed andarci in barca non mi sembra il posto ideale. Continuando: alle Maldive ci siamo già stati, alle Chagos no, e neppure alle Seychelles, ma dopo il Sud Pacifico sei sempre deluso dai confronti. Le Chagos sono sicuramente un’eccezione, ma a che prezzo ?

A ben vedere le tratte della rotta Nord sono sì più brevi, ma sicuramente più incerte in quanto a meteo: monsone da NE, calme, zone di convergenza, aliseo di SE. Poco vento, troppo vento e bisogna far bene i conti con la tempistica per le soste e le tratte .Con la rotta sud: aliseo anche molto sostenuto, ma aliseo. Tratta lunga, ma veloce e la corrente sempre a favore. I proprietari dai catamarani (Australiani in primis che mai hanno attraversato un oceano) non a caso preferiscono, in linea di massima, la Nord.

La scelta della rotta in relazione alla potenziale usura della barca ne è un altro esempio.La rotta a Nord ha sicuramente più ancoraggi a rischio, probabilmente più ore motore con rifornimenti di carburante e acqua incerti.

Una componente laterale, mai apprezzata abbastanza, è la possibilità di poter usufruire, soprattutto in tratte così lunghe ed impegnative, di un supporto di qualità a terra.

Per supporto di qualità intendo la disponibilità di mano d’opera qualificata, di travel lift, di buoni marina dove lasciare la barca e così via. Vorrei anche aggiungere, incrociando le dita, una decente assistenza sanitaria. E ancora la possibilità di un rientro rapido in Italia lasciando la barca in buone mani, forse la cosa più difficile ovunque.

Ciò premesso e l’ho fatta davvero molto lunga, la nostra prima opzione è la Rotta Sud.

Non resta che seguirci e dividere con noi, se vi garberà, il prossimo miglio.

Grigia amico mio è ogni teoria” W.Goethe


Krabi, Lavori in corso, 9-20 febbraio 2016

2016-02-21

Krabi Boat lagoon Marina, 9  febbraio 2016

Rieccoci a bordo ! Rientro senza infamia e senza lode con thrilling però all’arrivo all’aeroporto di Krabi: la valige non uscivano mai, sono comparse praticamente per ultime.

Dietro di noi almeno una ventina di passeggeri sono rimasti senza. Troppi turisti per il Capodanno cinese!

Abbiamo trovato la barca in ordine e subito è iniziata, con la consueta suspance, la riattivazione dei servizi: batterie,acqua, energia e fuochi.

Il tramonto è arrivato velocissimo con una bella bava da nord est, il monsone stagionale: più fresco ed asciutto di quando siamo partiti a novembre.

Per il resto la solita aria all’intorno, pigra ed assente di ogni novità. I soliti ragazzi e ragazze di servizio “ Welcome, Sir!” con il solito immancabile sorriso, e mani in preghiera. Le solite nuvolette appena rosate, e le solite implacabili zanzare che non sono però riuscite a rovinarci la prima nanna a bordo.

10-11 febbraio

Due giornate: una nera, l’altra bianca.  Stiamo cercando di iniziare quanto in agenda lavori, ma alcuni imprevisti hanno richiesto la priorità. Non da poco: si è rotta la pompa della toilette di prua. Appena arrivati avevo già sostituito il maceratore (la toilette è elettrica) che perdeva e stavamo provandone il buon funzionamento, quando “ Gianniiii, non viene su acqua” Ahi ! Partita anche la pompa di aspirazione.  Dopo aver per ben esplorato nel gavone di prua, ecco comparire la pompa nuova, o meglio una vecchia ma rimessa a nuovo. Full immersion in vano motore con 35° e sole cocente.

Come mi sistemo, per ben pianificare la sostituzione della pompa, noto sul generatore una fascetta d’acciaio arrugginita: è rotta ! Ormai è pomeriggio,  decido di intervenire all’indomani. Dopo cena anche alla toilette di poppa c’è qualcosa che non va: pare non scarichi. Il tubo di scarico del serbatoio è intasato. Già successo.

Ergo siamo senza toilette! Durante la notte, visto che non abbiamo ancora recuperato la differenza di fuso orario, penso al da farsi. Una soluzione sicuramente c’è senza dover smontare il tutto…sarebbe davvero nera!

Al mattino, all’alba, riprovo a pompare fuori a poppa. Nulla. Ormai il serbatoio, normalmente usato nei marina, è completamente pieno. Provo un’ultima volta e la pressione, anche se non importante, sblocca miracolosamente il tubo. Buon inizio di giornata!

Mi infilo nuovamente nel vano motore per sostituire la pompa del WC di prua.

Per fortuna tutto fila liscio. Anzi scopro, con specchio e torcia, sul generatore un’altra fascetta d’acciaio che si stava spezzando. Anche le fascette hanno il loro ZEN, vedi nota sulla foto..

12-14 febbraio

Dopo i primi giorni di attività a standard europei, ieri ne abbiamo risentito: differenza di fuso ed il caldo si sono fatti sentire. Tanto per dirne una: ieri sono venuti a bordo due scurotti per lucidare gli acciai in coperta. A fine giornata erano arrivati a metà barca! Noi in due avremmo abbondantemente finito il tutto. Incontro Alex e gli racconto la cosa, un po’ contrariato.

 “ Normale” mi fa” con questo sole e questo caldo, hanno il loro ritmo, se lavorassero come noi dopo tre, quattro giorni schianterebbero” E infatti !

Lui in compenso soffre da giorni di mal di schiena. Lavorando sul gullet  turco qualcuno aveva lasciato staccata la scaletta per scendere alle cabine e lui è volato via  schiantandosi con la schiena sullo spigolo del pavimento. Ci propone così un baratto, curioso: radici indiane da  infuso per qualche pillola di Voltaren. Già gliele demmo alcune per un banale risentimento  quando eravamo a terra e ne era rimasto entusiasta.

Le radici sono ottime. Sua moglie Villaone, una graziosa ragazza thai dalle risaie del nord,ci ha insegnato come prepararle. A freddo sono dissetanti e pare abbiano poteri energetici straordinari…..! Vedremo.

14-17 febbraio

Non c’è due senza tre. L’altro giorno nel fotografare le due fascette d’acciaio trovate rotte pensavo, con una certa recondita apprensione, che mancava la terza. Quando l’avrei trovata?Speravo non in navigazione, certo. Ebbene faccio partire il generatore, dopo aver sostituito il sensore acqua, e sento un fischio lacerante provenire dalla pompa che contiene la girante di aspirazione acqua di mare. La girante aveva appena una ventina di ore ed il generatore era fermo da novembre con acqua dolce ed aceto nel circuito.

L’alta temperatura aveva sicuramente compromesso l’elasticità della girante bloccata nella sua sede. Smonto il tutto, ormai a memoria, e che ti trovo? La terza fascetta appena crepata. Meglio così. Noi per mare siamo tutti un po’ superstiziosi.

Il racconto di questi giorni di lavoretti e lavorotti vari, mi rendo conto, è davvero noioso.

Per i più curiosi, o meno annoiati, darò una breve cronaca di una nostra giornata.

Le albe sono sempre molto luminose ed iniziano con il richiamo alla preghiera del muezin, dal non lontano villaggio islamico di pescatori. Al mattino presto si respira. Una bella bava tesa da terra, il monsone di nord est, rinfresca la cabina. Alle 6, ben sveglio, doccia e preparo la colazione. Poi tutti e due in passerella per una mezz’oretta di yoga.

Il vento cresce, poi stabile tra i 15 ed i 20 nodi. Iniziamo a spuntare l’agenda. Installazione nuova antenna per il telefono satellitare IRIDIUM GO. Preparo il tutto, ma prima devo correre da Riccardo che sta lavorando sul mio portellone vano motore. Con la bici arrivo in un lampo alla sua officina. Non c’è. In compenso c’è il suo assistente thai che sta armeggiando di martello e scalpello. Mi vengono i brividi .Cerco di ritardarne il lavoro. Mi riesce facile anche perché qui non sono certo dei fulmini. Alle 11 e trenta arriva Riccardo. Decidiamo come procedere. La mattina è praticamente finita. Ci aggiorniamo al primo pomeriggio. Rientro a bordo e sotto uno spicchio d’ombra cerco di forare il candeliere a poppa per far passare il cavo antenna. Il foro è fatto ma il cavo non passa e neppure il messaggero. Eppure il diametro del tubo d’acciaio appare ben adeguato, ma alla base c’è una strozzatura dove è fissato in coperta. Riprovo dal basso con un cavetto rigido d’acciaio. Passa, finalmente! E lo vediamo dal foro appena fatto. Lo prendiamo al cappio con un cordino sottilissimo e passa pure qui, finalmente fuori anche dalla testa!

Ci giuntiamo il cavo antenna con qualche giro di nastro adesivo. Il terminale antenna è molto delicato e non mi riesce di usare connessioni che sarebbero più sicure. Marina lo spinge dentro verso il basso e io tiro dalla base dal gavone di poppa. Nonostante il vento,  ci saranno più di 40 gradi. Tiro, piano, tiro e…mi resta in mano ! Niente da fare: si blocca alla strozzatura. Mi fermo, sono fradicio. Come fare? Per l’ennesima volta cerco di tastare con le punte delle dita il foro, che naturalmente non vedo incastrato com’è sul bordo, esterno e incavo, del tettuccio del gavone. Colpo di fortuna! Sento un pezzetto di nastro adesivo rimasto attaccato al cavo, tiro piano, piaaanooo e viene! Finalmente!

Ricollego il connettore TNC al cavo, per giuntarlo a quello più lungo che termina al carteggio, e verifico con il tester che non vi siano contatti tra treccia e polo caldo.

Il tester fischia ! C’è continuità, forse ho montato male il connettore. Rifai e rifai, sono le 2 del pomeriggio e il gavone di poppa è un forno. Mi viene il dubbio che sia giusto così visto che il cavo finisce nell’antenna, a casa lo testavo senza antenna. “ Ciao Vito, come va?....sono nei guai...mi succede, così,così…” Risposta, “…normale, Gianni!” Come sa dire lui le cose, se non ci fosse Vito..!

Sono quasi le 3 e Riccardo mi starà aspettando. Mangiamo di corsa un po’ di frutta e mi siedo per bere. Il caldo fuori è da forno a micro onde. Sento bussare allo scafo. Chi sarà?

Intravedo l’elettricista. Doveva venire lunedì, poi ci siamo accordati per venerdì ed è venuto oggi, giovedì. Qui è tutto così: l’oggi potrebbe essere il domani oppure ieri.

Gli spiego che devo andare all’officina. Ma lui si piazza lì e capisco che è meglio fargli fare almeno parte del lavoro. Dopo un’oretta se ne va ed io corro da Riccardo. Non si può dire che siano stati fatti notevoli passi avanti. Incontro però suo papà venuto in visita dall’Italia. Ottima persona, ha volato sui nostri caccia per quasi trent’anni. Ci capiamo al volo, appunto, anche perché ha la mia stessa età. L’officina, con il fresco del tardo pomeriggio, s’affolla. Spuntano bottiglie di birra gelata da litro ed arrivano amici da tutte le parti del mondo. C’è anche un francese che si è costruito un 55 piedi in lamellare e composito, un vero siluro super invelato. Un francese socio di Riccardo nella gestione del gullet .Passa un British per un accordo veloce e se ne va. I thai locali ronzano attorno, fumano e bevono birra. Alcuni montano in sella e se ne tornano a casa con le gabbiette dei canterini sotto braccio. L’atmosfera è proprio quella dei tempi di Sandokan, rivista in chiave moderna.

Pare comunque che il lavoro sul portellone non sarà pronto neppure per domani.

Arriva Marina e facciamo due passi tornando a bordo. Dal cemento del calpestio, lungo lo scalo, sale aria calda mentre il sole si perde, finalmente , dietro le palme. Questa sera per cena pasta al sugo di calamari.

17-20 febbraio

Finalmente il portellone del vano motore è tornato a bordo ed è stato messo in opera!

Davvero un bel lavoro: le due piastre d’acciaio non stonano, anzi. La loro realizzazione non è stata tra le più semplici, ma molto istruttiva per meglio conoscere ed apprezzare le difficoltà e le componenti del lavoro da queste parti: saper modificare, non a caso è questo il motto di Riki, gestire il personale thai per il verso giusto e convivere con una tempistica assai improbabile.

E’ stata pure messa in opera la radio con relativa antenna. La connessione tra il nuovo PC/ W7 e Modem Pactor (indispensabile per avere le email a bordo) non ne voleva sapere di partire: il relativo driver non era riconosciuto dal PC. Ho scritto una mail in Germania, alla SCS-Pactor ed in pochi minuti Martin, il titolare, mi ha spedito il driver (quello incluso invece nel programma Airmail evidentemente non funzionava a dovere), installato e subito tutto è filato liscio…meno male che Martin non è thailandese!

Il resto procede normalmente e dopo cena spuntiamo con soddisfazione la lista che si accorcia. Martedì si parte per una visita di quattro giorni in Cambogia presso il maestoso sito archeologico di  Angkor.


Cambogia, 22-26 febbraio 2016

2016-03-09

Due cinesine uguali, uguali stanno trastullandosi con due cellulari, uguali, uguali. Siamo all’aeroporto di Bangkok è sto osservando, annoiato e incuriosito, un gruppetto di cinesi, uguali, uguali nella loro sciatteria. Le due ragazzine confidano in qualche piccolo accessorio colorato per impreziosire il piattume: cover dell’iphone sgargiante, scarpette con pom pom gialli, hot pants con merletti neri e via così. Si sorridono, si compiacciono delle foto che si fanno, si aggiustano i capelli sul display del cellulare. Con il ditino vanno su e giù, automaticamente. Per un’ora e più, non hanno fatto altro. Credo che, se improvvisamente togliessero loro i cellulari, svaporerebbero nel nulla.

Già il NULLA. Una vera curiosità. Prima di partire ricordo di aver letto su qualche pagina di Lettura del Corriere una nota sulla scoperta del primo ZERO, proprio da parte dei Khmer in Cambogia nei primi secoli della nostra era. Un archeologo francese negli anni Venti trovò tracce convincenti sull’uso del concetto di ZERO, applicato poi in matematica dagli arabi istruiti alle fonti dell’Indo nel IX sec. E pensare che i romani non conoscevano lo zero e le cifre per far di conto le preferivano esplicitare in lettere, solo nel Medio Evo con le prime nozioni di algebra lo zero fu trasformato da Nulla a Zero. E allora uno stimolo in più per andare a visitare Angkor.

Dico subito che non parlerò della  davvero cospicua serie di templi, anche perché ne risulterebbe un elenco di nomi impronunciabili, che abbiamo visitato in tre giorni sotto un sole cocente, ma delle impressioni registrate, questo sì.

Guardando la mappa non ci si rende subito conto della vastità dell’area interessata, 15 km per 6.5 km della parte centrale, per un totale allargato di 400 kmq: al piccolo resort, dove eravamo alloggiati, ci proposero di andar a visitare un tempio a 60 km con il tuk tuk (driver locale con motorino e carrozzella) che ci ha scorazzato tutti i giorni da un tempio all’altro. In inglese non sono ben riuscito a tradurre, credo, l’espressione ma siete matti ?

Dicono che sia il parco archeologico più vasto al mondo.L’area è pianeggiante, coltivata a risaie ora a secco, viali polverosi e piccoli villaggi. Una campagna povera ora attratta dal dollaro (si compra tutto solo con dollari) che il turismo di massa riversa ora laddove, solo verso la fine degli anni 70, 2 milioni e mezzo di cambogiani furono sterminati dai Khmer rossi di Pol Pot.

La peculiarità di Angkor, per la quale è famosa al mondo, è l’architettura. Colpisce l’insieme, il colpo d’occhio, la prospettiva allargata. Lo spazio è geometricamente vissuto per linee ortogonali: vasti cortili, muraglioni di cinta, assi cardinali conducono al cuore delle strutture, piccole e grandi. Dall’orizzontale sei attratto, a mano a mano che il passo ti invoglia ad esplorare, al verticale: ampi basamenti, terrazze sovrapposte, scalinate con percentuali di pendenza sino al 70%. Sul colmo svettanti prasat, alti sino a 40 mt, si incastonano nel blu del cielo. Hanno una forma piramidale ed ospitano, o meglio ospitavano, statue e simboli della religione induista, poi buddista, osservata dalle famiglie reali che, dall’800 al 1.400 d.C,  hanno innalzato queste architetture in onore prima del panteon induista, appunto, e poi anche in onore delle molteplici rappresentazioni di Buddha. Al punto che il loro volto di re si desiderava potesse identificarsi con quello in pietra di Lokeshvara che sovrasta molti gopura (porte d’ingresso) e prasat e che , con quattro teste, governa il mondo nella direzione dei punti cardinali.

La struttura di per sé è lineare: non ci sono archi, solo architravi, le poche colonne sono in realtà  pilastri, ogni elemento termina a spigolo. Ma la plasticità pervasiva del decoro, del racconto, ricorda il nostro Barocco: le vicende, mitiche e terrene, degli eroi, delle divinità,degli uomini sono ovunque per ricordare al popolo la divina origine di chi governa.

In allora i sudditi, a decine di miglia, popolavano e circondavano questi templi, questi palazzi reali, con estese città con abitazioni in legno e per secoli non hanno smesso di portare, posizionare e modellare milioni di pietre per innalzare questi grattacieli d’epoca di arenaria rosata.

Rivedendo questi tre giorni a ritroso,anche attraverso le foto e i video, mi si riaffaccia alla memoria l’immagine dei castelli di sabbia che facevo da piccolo in riva al mare. Torri pinnacolute con decori che la sabbia creava scivolando, goccia a goccia, tra le dita: arabeschi, ghiri gori, cordoli e conchiglie davano un non so che di esotico a quei piccoli templi. Alle volte appesantiti crollavano e la storia ricominciava…come qui.

Ad Angkor Vat, il cuore di questa vastissima area, c’è forse il capolavoro artistico assoluto ed esteticamente superbo della creatività Khmer, anche se per altro, troppo spesso ripetitiva: il basso rilievo, alto circa 2 metri, che si snoda per 600 metri lungo le pareti del sottoportico che circonda il quadrilatero templare. Migliaia di figuranti, ora aggrovigliati nella battaglia di Kurukshetra tra i Pandava e i Kaurava, protagonisti della mitica storia narrata nel Mahabharata, oppure ben allineati nella processione degli eserciti con elefanti e mercenari.

Le rapine degli archeologi francesi qui si sono fermate per la difficoltà dell’asporto, ma soprattutto grazie alla inestricabile giungla che li circondava. Un verde intenso, in effetti, ancor oggi avvolge, nel vero senso del termine, queste strutture sino a stritolarle con radici ed arbusti secolari.

I soli edifici di Angkor Vat hanno un volume in pietra di 350.000 metri cubi. Ebbene la manutenzione è praticamente inesistente. Molti sono i guardiani, ci mancherebbe, ma di cantieri aperti ne abbiamo visti un paio in tre giorni su numerosi siti visitati. Il business turistico ha stravolto tutta l’area. E pensare che potrebbero svilupparsi centri di formazione al restauro e di progetti di valorizzazione per dar lavoro vero a miglia di ragazzi. E invece centinaia di tuk tuk e banchetti di cianfrusaglie…come ovunque.

L’ultima mattina, prima di andare all’aeroporto e nonostante l’abbuffata dei tre giorni, decidiamo di visitare anche il Museo Nazionale. E’ stata una piacevole sorpresa, anche perché inaugurato nel 2007 e quindi di recente concezione: arredo moderno e ben integrato, ottimi filmati e una grafia sinottica ben congeniata nel racconto storico ed artistico.

All’uscita il classico shop con caffètteria. Cerchiamo il catalogo che immaginiamo al livello dell’esposizione. Delusione! Ci propongono un libercolo a 15 $, tipo Guida di Venezia per cinesi. Evidentemente un prodotto troppo sofisticato per far gola all’affamata burocrazia statale. Il cemento, qui come altrove, rende molto di più. Turismo di massa, first!

All’ombra del portico d’uscita, ecco il solito tuk tuk. Sopra placidamente accomodate le due cinesine uguali con i due iphone uguali. Sono loro. No, forse solo un duplicato virtuale.

Il caldo può giocare brutti scherzi…

Nella vita è misterioso ciò che si vede non ciò che non si vede” O.Wilde


Dalla Thailandia alla Malesia, 19 marzo 2016

2016-03-19

Thailandia, O Chalong 13 marzo 2016-The INDIGO PROJECT

“Hello G-i o-vanni” salta giù dal motorino e si toglie il casco: è lei Rachelle.

Resto un po’ sorpreso, ma non troppo visto il tipo. Ci eravamo dati appuntamento sulla testata della lunga diga che si protende nella baia di Ao Chalong, come base per tutte le escursioni dei turisti cinesi verso le isole del golfo. Sono le 13 e fa un caldo torrido. Ci rifugiamo all’ombra e…ma prima un breve racconto del davvero curioso antefatto.

E’ gennaio, al Lido, al mattino come al solito faccio un giro sul web per raccogliere utili informazioni per meglio pianificare la traversata dell’Indiano. Alla voce oceano Indiano trovo un po’ di tutto e mi passa anche qualche informazione relativa ad una certa INDIGO Expeditions sullo stato di salute degli oceani, sorvolo e passo oltre. In tarda mattinata esco per sgranchirmi le gambe e incontro in Viale  Bruno Rizzotti. Ciao, come va, quando partite e via così con qualche chiacchera davanti ad uno spritz. Gli racconto dell’Indiano, che passeremo per Singapore e che…mi ferma e mi dice ” da quelle parti dovrebbe esserci, Federico, il figlio di Giorgio Lauro, (nostro vecchio amico del Diporto Velico) che si occupa di biologia marina ormai da anni”  Vedi mai che sia proprio quel INDIGO?

Tornato a casa, riesco a ritrovare il sito del mattino. Incredibile coincidenza! E’ proprio il loro progetto e trovo anche i riferimenti per contattare Federico. Detto fatto. Via email mi racconta un po’ di cose sulla sua attività: insegna all’università a Singapore e da tempo stanno seguendo lo stato di salute degli oceani e si avvalgono anche dell’aiuto di noi velisti per raccogliere campioni d’acqua che saranno poi analizzati in laboratorio. Ci diamo appuntamento al nostro rientro a bordo in Thailandia per le opportune istruzioni e per il materiale che dovremo utilizzare. E ora ecco Rachelle, sua moglie, che ci porta il tutto con un bel sorriso ed un inglese condito d’italiano.

Ad una prima sommaria lettura della documentazione a supporto realizzo che Eutikia ”ordinary yacht becomes in situ marine microbe monitoring platform” in altre parole si tratterà di raccogliere campioni di oceano per contribuire a verificarne lo stato di salute, che pare esser a dir poco precario. Gli oceani coprono il 70% della superficie del pianeta, provvedono per metà alla sua ossigenazione e quindi all’aria che respiriamo, offrono all’umanità cibo, attività industriali, ricreative, generano energia, petrolio e acqua.

Si tratta di un vero e proprio assalto ad un sistema che diventa sempre più fragile: la popolazione mondiale cresce, e con essa la domanda, e cresce l’inquinamento in generale. Negli ultimi 50 anni ci sono stati cambiamenti mai registrati in precedenza: i grandi pesci sembra siano diminuiti del 90% ed il corallo è morto al 50%. Ma quello che non appare in tale evidenza è lo stato di salute del plankton marino che è alla base di tutto il sistema, né le attuali conoscenze sono adeguate ai tempi. I costi per un’analisi sistemica sarebbero elevatissimi, ecco quindi la possibilità di affiancare gli attuali studi con rilievi curati dai numerosi yachts che girano per il mondo. Ma ne riparleremo più in dettaglio in merito alle modalità dei prelievi. Per saperne di più: www.indigovexpeditions.com

Malesia, Langkawi, Telaga 17 marzo 2016.

Rieccoci in Malesia, abbiamo finalmente lasciato di poppa la Thailandia e compiuto la prima piccola tappa verso Jacarta. Ora siamo ancorati a ridosso di una boscosa isoletta che ci protegge da un buon ovest, proprio di fronte al Marina di Telaga.

La Thailandia, tutto sommato, ci ha delusi non poco. Escluse alcune bellezze naturali  davvero uniche nel grande golfo di Phang-Nga, resta ben poco a controbilanciare il pervasivo turismo cinese, la cementificazione alberghiera nelle baie più belle, lo strapotere dei motoscafi turistici e dei rumorosissimi long-tail. Per non parlare delle difficoltà veliche: poco vento e pescatori a migliaia con ogni genere di attrezzature non adeguatamente segnalate.E ancora per non parlare del caldo torrido. Quindi nessun rimpianto e sguardo a prua.

Ora dovremo scendere lo Stretto di Malacca, tutt’altro che semplice anche perché ne conosciamo le difficoltà sperimentate nella sua risalita nel 2014.

Le tappe sono lunghe, al limite della navigazione diurna e di notte non si può navigare per i troppi ostacoli della pesca costiera. Il vento sarà scarso, quindi grandi smotorate, e gli ancoraggi in genere non protetti.

Qui a Telaga l’ancoraggio è confortevole. Possiamo rinfrescarci con qualche bagnetto, anche se la temperatura dell’acqua è sui 30°, pulire il fondo della barca dopo quasi tre mesi dal varo e completare alcuni lavoretti. Il carburante quasi te lo regalano: per 130 lt abbiamo pagato 182 cucuzzette locali, circa 39 Eu.

Alla sera, dopo tramonti rosso fuoco, l’orizzonte, anche prossimo alla barca, si riempie di decine e decine di lucette verdi smeraldo, è un dondolare curioso di tanti occhietti di spiriti marini.

Prossima tappa Penang, sono oltre 70 miglia ma senza vento dovremo trovare un ancoraggio alternativo riducendo la distanza. Il bello è che sono ancoraggi quasi in mare aperto. Vedremo

                      


Port Dickson, Admiral Marina 27 Marzo 2016.

2016-03-28

Reti Volanti.

Da Langkawi, entrata in Malesia dalla Thailandia, a Nongsa Point, Isola di Batam, Indonesia, ci sono circa 450 miglia da percorrere lungo il Canale di Malacca, tra la costa ovest malese e Sumatra.

Credo sia uno dei posti peggiori al mondo per andare a vela. Le ragioni sono molte: caldo torrido, pochissimo vento, eterne smotorate per raggiungere gli ancoraggi, tutti più o meno improbabili. Il tempo è molto variabile, anche in relazione al periodo. Noi l’abbiamo fatto risalendo con il monsone di sud ovest, e ora con le ultime brezze del monsone di nord est.

Poi ci sono le correnti, anche di due nodi, che non sempre si compensano durante la giornata, spesso troppo corta per raggiungere il prossimo ancoraggio. Di notte infatti non è consigliato navigare per  la pervasiva presenza delle attività di pesca.

I pescherecci, piccoli o grandi, sono ovunque e sempre in attività. Adottano le tecniche più varie, tradizionali e altre impensabili: reti a strascico, reti con traino accoppiato, reti a capi- testa fisse, trappole appena segnalate con canne di ban boo, e reti volanti.

Sentite questa. Da Penang a Port Klang ci sono più di 70 miglia, difficili da compiersi con le ore solari. Seguiamo quindi il consiglio di ancorarci sotto costa in un punto intermedio con le coordinate che altri hanno già sperimentato. La situazione appare accettabile con il meteo previsto: niente nord ovest che solleva forte maretta, ma debole sud est. Siamo aperti a 180 gradi, ma il fondale è modesto e buon tenitore. Il problema sono i pescatori che di notte potrebbero non vederci. Il sole tramonta fosco e bassa nuvolaglia s’aggruma sulla costa, accesa qua e là da scariche elettriche, mentre decine di pescherecci escono verso il mare da un piccolo porto canale, qualche miglio più a nord.

 Posiziono ben tre luci strobo, bianca e di diversi colori, come quelle che qui usano i pescatori, e, naturalmente, la luce di fonda. La barca non salta troppo e ceniamo in tranquillità. Dal pozzetto ben vediamo il traffico dei pescherecci, ma sono lontani verso il mare. Nessun problema…quasi! Abbiamo la prua che ruota verso sud per il crescente di corrente verso nord. Siamo in luna piena e il fenomeno è assai vistoso. A prua diversi lumini, lontani, segnalano la presenza di piccole imbarcazioni con pesca alla lampara. Una di queste, però, si avvicina molto rapidamente e punta veloce a motore su di noi. Cosa vogliono? Vedi mai che recuperiamo qualche bella seppia o calamaro. Ormai è proprio sotto bordo. Quattro lampare che dondolano, il massiccio dritto di prua minaccioso sulla nostra fiancata, e un anziano con nipote che armeggiano per evitare un brusco accosto.

“ Hello, do you speak English?” resto sconcertato, mi parla in perfetto inglese! Meno male, almeno ci s’intende. Ma quello che mi dice è del tutto spiacevole. Dobbiamo andarcene rapidamente perché stanno arrivandoci incontro diverse reti che quelle lucette hanno steso e lasciato andare, volanti, alla deriva verso nord e noi siamo proprio sulla loro traiettoria!

Aspettano sino a che non abbiamo tirato su i 50 metri di catena e ci indicano una lucetta arancione, due miglia circa più a nord, dove possiamo riancorare. Puntiamo in quella direzione, ma poco dopo la luce sparisce e restiamo senza stella cometa. Non resta che risalire nel buio per un po’ verso nord. Decido poi di fermarci per non trovarci proprio sull’allineamento del porto canale dei pescherecci.

Giù ancora e catena, senza stroppo non si sa mai che ci si debba muovere ancora.

Tutto sembra tranquillo, siamo in una zona senza lumini. Ma la catena da qualche strattone: normale con l’ondina e quella corrente. Ma è forse troppo insistente. Vado a prua. Resto allibito: siamo circondati, avvolti da una rete. La catena fa da sparti acque: metà rete si allunga oltre la poppa a destra, l’altra metà a sinistra. Penso con orrore che, per fortuna, ho spento il motore pochi minuti prima. Che fare? Riusciamo a sincerarci, alzando con delle cime lungo i fianchi della barca l’orlo della rete, che non passa sotto la barca e che quindi l’elica dovrebbe esser libera. Torno a prua con un buon coltello e ZAC…se ne va la rete a destra e ZAC…se ne va la rete a sinistra. Siamo di nuovo liberi e in un bagno di sudore per lo stress più che per il caldo.

Ci risediamo in pozzetto e ci guardiamo attorno e la notte è appena incominciata, mentre una pallida luna cerca invano di penetrare il denso vapore rischiarato, ora verso il mare, da lampi lontani.

Mentre penso ad organizzare un primo turno di guardia, scorgo una lucetta rossa a flash dondolare verso il nostro fianco sinistro. Sarà il solito pescatore, penso. Per fortuna ci sfila largo e passa verso poppa spinto dalla forte corrente. Prendo il binocolo per capirci meglio: non è un pescatore, è una bandierina, di solito capo testa di una rete. Ahi! Speriamo bene, è passata. Dopo qualche minuto, mi volto verso poppa e la vedo proprio dietro a noi, filo filo. Ferma! Corro a prua…e due! Altra rete! Questa volta vediamo subito che sarà dura assai. Sulla destra sembra libera, ma a sinistra non riesco a tirarla su. Il cordolo  passa sotto lo scafo tra chiglia e timone. Ormai abbiamo imparato la lezione: tagliamo a destra e la rete se ne va. A sinistra però il problema resta: non me la sento di tagliare perché c’è il rischio che parte della rete si imbrogli sull’elica o sul timone. Sarebbe un disastro … e pensare che abbiamo fatto di tutto per evitare proprio questa situazione!

Per ora non c’è nulla da fare. Speriamo con la luce del giorno o nell’aiuto di qualche pescatore, magari proprio del proprietario della rete che sicuramente sarà nei paraggi nel buio della notte. Non mi so dar pace, torno a poppa e vedo un lume dondolare in prossimità della bandierina con flash rosso. Che siano loro? Prendo una grossa torcia e cerco di attirare la loro attenzione. Dopo un bel po’, pare che funzioni. Vedo con il binocolo che stanno raccogliendo bandierina e rete e si stanno lentamente avvicinando.

Dopo qualche minuto sono sotto bordo a poppa. E’una barchetta a lampara, due scurotti non proprio felici si stanno agitando per sbrogliare la matassa tra pesciazzi che saltano in sentina. Marina sta pensando che uno di quelli starebbe assai meglio da noi in padella.

Questi l’inglese proprio non lo parlano, però si fanno capire a mugugni. Il più robusto tira fuori un coltello, un pezzo di ferro arrugginito, e cerca di tranciare il cordolo che sbuca dall’acqua sotto il fianco destro, verso poppa, quello rimasto ed incastrato.

Finalmente ci riesce, recupera un’ estremità e lascia galleggiare l’altra sotto la barca.

Capiscono, come cerco di spiegare loro, che potrei avere la rete sull’elica, ma restano assolutamente indifferenti. Anzi, ora è solo un problema mio, e se ne vanno nel buio della notte. Per fortuna da prua riusciamo, lentamente ma senza sforzo alcuno, a recuperare cordolo e rete. L’elica dovrebbe esser salva. Ma è buio e non ho nessuna intenzione di immergermi. Non c’è due senza tre? Incrociamo le dita e aspettiamo. La notte passa nella dormiveglia più inquieta. Siamo letteralmente circondati da grossi pescherecci che stanno rientrando, ora siamo molto vicini all’allineamento del loro porto, e da altri che stanno uscendo prima dell’alba. E’ un vero carosello. Alcuni, per fortuna, curiosi ed insospettiti ci illuminano a giorno e passano oltre.

Alle 6.30 i primi albori ed il timore di non esser visti finalmente finisce. Un problema in meno. Alle 8 c’è luce abbastanza per un’immersione di verifica. Non voglio accendere il motore senza esser sicuro al cento per cento di non aver pezzetti di rete sull’elica.

Mi immergo non senza patemi. Tagliare eventuali pezzi di rete non sarebbe proprio facile, perché è finissima ed avevo già verificato che era molto facile rimanervi impigliati con le dita e in apnea poteva esser un problema serio. Ma vedo subito che tutto è in ordine. Grazie buona Stella!

”L’ignoto cui aspiriamo non si avverte che dopo il noto e dopo molte sofferenze dell’animo” P.Valery


Nongsa Point Marina, Indonesia, 3 aprile 2016.

2016-04-03

Canale di Malacca e stretto di Singapore di poppa.

Sono circa 600 miglia, poco più di mille chilometri, da Phuket, non molte ma sudate.

E non solo nel vero significato del termine. Con l’arrivo a Nongsa Point si è compiuta la prima tappa di avvicinamento alla traversata dell’oceano Indiano. La prossima sarà raggiungere Jacarta e poi le Cocos Keeling.

Questa tappa è stata pesante soprattutto per il nostro Yanmar: 100 ore in 15 giorni, quasi 7 ore al giorno a temperature impossibili, con l’acqua di mare per raffreddare il circuito a 31 gradi. Per non parlare delle batterie AGM, spesso surriscaldate a oltre 40 gradi. Se avessi avuto quelle al liquido avrei passato il tempo a rabboccare.

Abbiamo ancorato in una ventina di posti diversi, per fortuna tutti con ottimo fondale. Alcuni anche troppo con un fango colloso e abbiamo dovuto pulire la catena metro per metro. Mi sono immerso due volte per controllare l’elica: la prima a causa delle reti (vedi ultimo report), la seconda, al tramonto nel canale di Malacca, prima di arrivare a Pisang. Sentiamo improvvisamente il motore andar giù di giri. Provo la marcia indietro e sento un rumore sinistro giungere dall’elica. Boh!? Mi volto e sta sopraggiungendo un rimorchio che avevamo superato non da molto. E’ distante, per ora, ma non c’è tempo da perdere e senza vento non ci si muove. Pinne e maschera e vado a vedere. C’è una discreta corrente e poca visibilità. Raggiungo l’elica e tiro un sospiro di sollievo: sono solo grosse alghe.

Lungo la costa malese, dopo Langkawi, c’è un solo Marina, Admiral Marina a Port Dickson. Ci siamo fermati qualche giorno per rassettare la barca e dopo una cena da dimenticare al ristorante, siamo stati fortunati a trovare al Super Market dell’ottimo pesce: tranci, mazzancolle e calamari…almeno che questi pescatori servano a qualcosa!

L’ultima tappa è stata un po’ tribolata. Da Pisang, ultimo ancoraggio prima di lasciare la costa malese, a Nongsa Point Marina, Indonesia, sono circa 60 miglia, dipende da come e dove attraversi il canale delle navi sotto Singapore. Le prime venti senza storia, dopo una notte quasi insonne per il vento davvero troppo teso da terra all’ancoraggio completamente esposto, le seconde con un po’ di stress per il traffico assai intenso, ma le ultime venti sono davvero una sorpresa…spiacevole. Passato il canale in verticale, tra una poppa di nave e la prua di un’altra, eccoci sotto la costa indonesiana a rimontare verso est, verso l’isola di Batam dove si trova il Marina. Le condizioni meteo cambiano molto rapidamente: vento a 20 nodi dritto in prua e maretta corta con crestina e corrente di un nodo contro. Ormai è pomeriggio e le ore di luce poche. Non c’è piano B. A randeggiare neppure a pensarci: bassi fondi a destra, navi a sinistra. A due mila giri la barca avanza a fatica a 2, 3 nodi appena, troppo pochi. Se salgo di giri, vado a 4 ma non bastevoli per raggiungere l’entrata del marina che conosco ed è esposta completamente al mare da est e con il buio non sarebbe tanto semplice..

Va a finire che trovo sulla carta la possibilità di entrare proprio nel porto di Batam, da escludere a priori perché molto trafficato senza possibilità di ancoraggi. Ma non c’è scelta, poggio e in pochi minuti entriamo. I fast ferry, che collegano Singapore, ci passano vicino al massimo della velocità, c’è un via vai continuo di barche da carico, di barchini e si sta muovendo anche una nave crociera che sembra una vecchia dell’Adriatica e forse lo è.

Marina vede un rimorchiatore alla fonda sulla sponda opposta alle banchine. Se ci sta lui, perché noi no? Ci avviciniamo con cautela e ancoriamo in prossimità. La sua mole, ben visibile, ci farà ombra e il traffico dovrà evitarci, soprattutto di notte.

Accendiamo tutti gli strobo, la luce di fonda e il pozzetto. Dormiamo come sassi.

PS. In serata , qui a Nongsa Point Marina, facciamo la conoscenza di una coppia francese, hanno un catamarano accanto a noi. Sono arrivati da pochi giorni  e hanno trovato le stesse condizioni meteo, ma hanno proseguito. All’entrata si sono trovati in difficoltà: troppe luci tra verdi, rossi e fari bianchi negli occhi e sono finiti sugli scogli in prossimità delle dighe d’entrata.

Ora hanno una piccola falla e devono andare in cantiere…la fretta!


Nongsa Point Marina, Indonesia, 6 aprile 2016.

2016-04-05

GROSSA NOVITA’: Posizione in tempo reale by PredictWind

http://forecast.predictwind.com/tracking/display/EUTIKIA

Con la recente attivazione di IRIDIUM GO, servizio di comunicazione satellitare, e l’integrazione con PredictWind, attualmente leader nel settore meteo, è già possibile vedere in tempo reale la posizione di Eutikia in navigazione ovunque.

Per ora siamo un puntino rosso qui in marina, ma nei prossimi giorni testeremo il sistema in navigazione e di poppa lasceremo, come Pollicino, una traccia rossa, la nostra scia.

Unico problema è che Iridium Go dovrebbe esser sempre acceso per trasmettere via sms, ogni ora e gratis, la nostra posizione. Non credo che sarà sempre possibile e comodo, ma a tratti sicuramente sarà attivato.

Vedremo come funziona, in attesa di commenti.

http://forecast.predictwind.com/tracking/display/EUTIKIA


Verso Giacarta, 13-15 aprile 2016

2016-04-22

Verso Giacarta.

Isola di Lingaa, ancoraggio a Sunsa, 13 aprile 2016

Sta piovendo, anzi diluviando, da un’oretta. Anche ieri, arrivando, mancavano una manciata di miglia,  ci siamo beccati il primo temporale. Non si vedeva di molto oltre la prua e siamo rimasti fuori costa a gironzolare con 25 nodi in attesa di veder l’accosto..

Poi tutto si è calmato, siamo entrati e ci siamo ancorati tra un andirivieni di barchette di pescatori che uscivano da ogni ridosso per dirigersi verso le secche appena fuori il capo.

Prima del calar del sole ne sono uscite rombando a decine e noi abbiamo subito pensato con terrore al loro rientro in piena notte…e prima dell’alba, ecco infatti, il loro rientro.

Una dopo l’altra ci hanno suonato la sveglia. La vita di questa gente di mare è davvero miserevole. Mentre più a nord, a Batam di fronte a Singapore, il lavoro si concentra nelle numerose attività di cantiere  lungo ogni miglio di  costa, a sud verso le isole e isolette, già a poche miglia, c’è solo la pesca, quella minuta, famigliare, del villaggio.

Scafi di legno, con il dritto di prua alto, poco oltre i dieci metri, motorino diesel, e ben slanciate per fendere l’ondina corta di questo mare ridossato con onda corta e ripida,, difficilmente rabbioso…per ora. Salutano curiosi, passano vicini “ Hello Mister ! “ e se ne vanno sorridendo lasciando una scia scoppiettante.

Isola di Pekacang, 14 aprile 2016.

Mi rendo conto che questi nomi dicano proprio un bel niente, ma arrivare qui al tramonto ci ha dato un senso di soddisfazione, una pacata emozione che prova chi fa scendere l’ancora dopo una giornata non facile. Come si temeva, usciti da Sunsa, ci siamo trovati contro un bel venticello, onda corta e corrente contraria per 50 miglia. Per scendere verso Giacarta non ci sono alternative. In questa stagione di transizione il meteo è assai variabile, ma, vedi caso, è una variabilità sempre a sfavore: poco vento e quasi sempre da sud.

Non resta che il motore…da benedire! E tanta pazienza, anche perché il caldo, anche se forse meno intenso che in Malesia, non da requie, come non danno requie i temporali.

Questa notte ci siamo addormentati, soli soletti, sotto le stelle e ci siamo brutalmente svegliati alle 3 con il ticchettio della pioggia e le prime raffiche da ovest. Tutti in coperta e occhio al radar per osservare la traiettoria dei nuvoloni più densi e pericolosi sino all’alba.

Poi una giornata limpida, bellissima…mai di notte, eh?!

Isola di Bangka, 15 aprile 2016.

Solita smotorata, ma per fortuna niente onda e vento in prua, anzi un pelo a favore.

Le previsioni, fornite dall’ottima combinata IridiumGO e Predict Wind, sono sistematicamente sconfortanti: poco vento e se c’è in prua.

La novità della giornata arriva al tramonto. Prossimi ad entrare nel canale tra l’isola di Bangka e Sumatra, Marina al binocolo “…a prua c’è un due alberi…e forse vedo un altro stecco più in là”. Vedi mai, sono proprio loro. Ci eravamo incontrati al marina di Nongsapoint qualche giorno prima. Sono il Wisterling di Erick e il Rachel Y Slocum di Bill.

Noi eravamo partiti un paio di giorni prima e ora ci avevano raggiunti. Credo che ne riparleremo. Sono due barche che hanno visitato la Patagonia insieme, Bill è in giro da 34 anni ed Erick è partito nel 2004, ed hanno il nostro stesso programma sino al Sud Africa.

Con la prossima: una scoperta davvero sorprendente e le 160 miglia con l’arrivo a Giacarta.


BATAVIA MARINA, Giacarta, 23 aprile 2016

2016-04-23

Sentite questa ! Come detto, arriviamo al primo ancoraggio a Bangka e incrociamo all’entrata del canale tra l’isola e Sumatra le barche di Bill e Erick. Sono le ultime luci del giorno e li seguo volentieri anche sul PC in accordo con la traccia lasciata dai loro AIS, molto comodo anche in queste circostanze. Bill prosegue spedito ben oltre al WPT che gli avevo dato a Nongsapoint e che mi ero appuntato da un’altra barca che conoscevo e che ci aveva preceduti due anni fa. Va piano ma prosegue cercando un miglior ridosso da ovest, dall’entrata del canale. La carta da bassi fondi, lui prosegue e finalmente si ferma…che sia in secca?!? Erick lo affianca, le barche si muovono e in pochi minuti sono all’ancora. Bene, io resto un cento metri più fuori e mi ancoro. Cena e arriva il temporale.

Passa lontano, per fortuna, ma 20 nodi di vento irrompono dalla bocca del canale sollevando una vivace maretta contro una corrente forte verso ovest. Eutikia, incerta, si posiziona  prua alla corrente e poppa alle onde e al vento. La poppa risuona come un tamburo. Arrivano botti tremendi e la barca vibra tutta. Per fortuna il tutto dura quanto il vento e dopo un’oretta riusciamo a chiuder occhio. Dormo poco pensando al correntone che ci aspetta il giorno dopo.

Al mattino sento una trombetta. E’Bill che da il segnale di partenza, Erick lo segue, mi chiama “ Are you ready?” Sei pronto?...non proprio, ma in due minuti ci accodiamo.

Le 50 miglia sino al prossimo ancoraggio sono per fortuna senza quella forte corrente ipotizzata e come al solito tutte a motore. Al tramonto, circondati da nubi minacciose, siamo al wpt e la storia si ripete. Bill va ben oltre e Erick lo segue. Sulla carta seguo il loro tracciato AIS. Penso che Bill dopo 34 anni di mare e due giri del mondo debba aver una bella esperienza. Si inoltra nei bassi fondi e punta verso un faretto con piccolo villaggio di pescatori, almeno mezzo miglio oltre al wpt. La prossima volta gli chiedo quanto pesca. Forse ha la chiglia retrattile, ma con uno schooner di 15 mt dubito molto, anzi ne sono certo.

Comunque sia li seguo con prudenza e mi ancoro di nuovo 100 metri prima, non si sa mai.

Il giorno dopo stessa storia, ma più complicata. Mentre arriviamo il vento da sud ovest rinforza con maretta e rende il wpt dell’ancoraggio quasi o del tutto impraticabile. I due si parlano fitto via VHF, capisco quasi nulla! Bill sembra intenzionato a proseguire sino a un’isoletta qualche miglio più in là. Ho il wpt relativo, ma vista così sembra impraticabile: se gira il vento bisogna correr attorno all’isola. Non è cosa. Erick dubita e lo invita “ Prima andiamo al wpt a vedere” ed io dietro, osservando loro e il muro nero di nuvole che attrae il vento dal mare. Bill mi chiama e mi chiede cosa preferisco fare. Gli dico che le previsioni sono per un debole nord est e che l’attuale vento sia un fenomeno locale dovuto al temporalone in terra. Dopo mezz’ora, per fortuna, il nero scivola a ovest e il vento salta da terra “ It wil be graet !” Sbotta entusiasta Erick dal VHF e punta verso il wpt seguendo Bill.

Come al solito, anche perché l’ancoraggio, se possibile, è ancora più esposto dei precedenti, Bill va ben oltre: o è molto coraggioso, o ama il rischio, o..questa sera, davvero, gli domando quanto pesca. Può esser una domanda indiscreta, è di pochissime parole e non vorrei che pensasse…quello che penso.

Finalmente si ferma. La carta segna 3,4 metri. Erick si ancora nei pressi, io cento metri fuori!  E adesso arriva il bello.

Erick mi chiama e ci invita per cena. Nicchio, siamo stanchi, il tempo è nero, e di metter il gommone in acqua con maretta non se ne parla proprio. Ringrazio e saluto. Dopo un po’ mi richiama “ Ti viene a prendere Bill con il dinghy” Non resta che accettare, anche se lasciar la barca con questo nero in giro non ci garba punto.

Alle 6 puntuale arriva Bill. Noi siamo dentro, sentiamo la sua voce, usciamo …Bill è venuto a prenderci a remi! Con forti remate, ha la mia età, siamo da Erick. E poi torna a prendere sua moglie, una giovane brasiliana, e il suo aiuto, un ragazzotto neozelandese d’acciaio. In pozzetto troviamo Mim la moglie tailandese di Erick che ci accoglie con un sorriso che solo i thai hanno. Erick sta già tirando fuori le birre, naturalmente. Mi avvicino e gli chiedo” Sorry Erick, I have an indecent query for you, which is your drought ?” Quanto peschi? “ Two mt !” e Bill ? “ The same, two mt ” pescano 10 cm meno di me, ma tutto questo non giustifica la tecnica azzardata di ancoraggio di Bill. Erick intuisce la mia perplessità e sorride ”Bill has a bow sonar ! “ A prua Bill ha un sonar frontale, e si fa una grossa risata, io resto basito. Hai capito? E io che pensavo…”..ed è per questo che io lo seguo sempre” aggiunge, versandosi una birra, la prima, ghiacciata.

La cena fu a dir poco inconsueta, a parte la simpatica compagnia, siamo rimasti con il cibo che non andava nè su nè giù. Non solo perché di un riso mattonella e piccante, ma soprattutto perché vedevo Eutikia, tra un lampo e l’altro saltare, con 25 nodi con un vento di nuovo girato dal mare e cento metri sopravento. Come tornare a bordo ?

Per fortuna verso le 11 cala un po’, ma resta un’ondina velenosa, e anche Bill ha bevuto abbastanza birre. Sale sul dinghy e lo seguo. Mi trovo con l’acqua alle caviglie. Il dinghy di legno fa acqua. Mi da un secchio e spugna, mentre Marina si accuccia a prua. Partiamo, lui rema, io sgotto, Marina prega con le mani sul piccolo bottazzo di prua che ad ogni onda imbarca un po’ d’acqua. Francamente non so come faccia, io sarei morto. Finalmente arriviamo, e lui torna a prendersi gli altri. Hai capito il Bill!

L’arrivo al Batavia Maria ha pure i suoi momenti di tensione. Dopo 160 miglia tra torri, terminal, pescherecci, rimorchi e un ancoraggio precario, arriviamo di fronte all’entrata del marina…con la marea al minimo: non si entra. Ancoriamo in 5 metri tra piccoli cargo e navette. A terra il cielo è plumbeo, stracarico di pioggia. Dalla prima mattina cercavo di contattare il manager del marina, impossibile. Ora ci riprovo, ma non capisco chiaramente le sue intenzioni ed indicazioni. Con Bill ( Erick è rimasto all’ultimo ancoraggio) decidiamo di far un salto a terra…questa volta con il mio gommone. Mi manda il ragazzotto e tra una rollata e l’altra riusciamo a metter in acqua gommone e poi il motore. A terra fa sempre più scuro. Il motorino dopo un mese non vuol partire, si fa avanti Dick e da due strattoni da far paura e il motorino pensa bene di partire. Accelero ed arriviamo in marina. Sbarchiamo proprio tra i piedi di Putu, il manager. Mi conferma che dobbiamo aspettare almeno sino alle 8 pm, poi forse…Ci manderà un motoscafo per guidarci lungo la parte più fonda del canale, tra verdi e rossi che spariscono tra le luci della riva.

E così avviene. Alle 8 parte per primo Bill, pesca meno e mi dirà quanto è il minimo. Poi è il nostro turno. Marina da fuori mi guida al meglio. Ho sempre acqua sotto di me, almeno 30 cm, poi per un attimo 10 cm, ma siamo dentro è fatta ! Sistemiamo Eutikia lungo banchina appena in tempo, dopo poco il diluvio. Il giorno dopo in TV fanno vedere l’area portuale completamente allagata ! Alla prossima…in Ambasciata.


Giacarta News, 2 Maggio 2016

2016-05-02

NB. Il sistema di tracking Predict Wind e IridiumGo non funziona, per ora, correttamente. La nostra posizione viene segnalata-quando abbiamo l’apparato acceso- con SMS automatici ogni ora e non sempre arrivano a destinazione con la giusta sequenza temporale. Per esempio ora siamo a Giacarta, ma sembra che siamo ritornati a Bangka. Avvisati, i gestori dicono che dovrebbero rimediare nei prossimi giorni. Comuque ricordo il link: http://forecast.predictwind.com/tracking/display/EUTIKIA

Giacarta News.

Quando nel 1789 Bligh riuscì  a raggiungere Cupango e poi Batavia, portando in salvo i18 uomini che gli erano rimasti fedeli dopo l’ammutinamento a bordo del Bounty e dopo oltre 3.500 miglia su una lancia di 7 metri con un bordo libero di 20 cm, rischiò di perderne alcuni a causa dei miasmi malsani dell’area, in quel periodo base olandese, ora Giacarta. Oggi la situazione non è di molto cambiata: l’acqua è imbevibile, l’aria irrespirabile a causa dell’inquinamento industriale ed urbano. Dopo un paio di giornate di pioggia la nostra cappotta bianca è diventata grigia.

Andare in giro per la città è quasi un incubo: il traffico, come dicono qui, è jam, marmellata. Ciò che più impressiona è la pervasiva quantità di motorini. Sono come plasma che avvolge ogni interstizio tra macchina e macchina. Si infilano ovunque con abilità acrobatica, sfiorano, sorpassano, s’insinuano, tutti con il casco. Alle volte su un motorino trovano posto intere famiglie: il piccolo davanti, il padre, il più piccolo e la madre.

Ci sono motorini tipo bar, altri con pacchi enormi, ne abbiamo visto uno con macchina da cucire assemblata pronta all’uso. Macchine e motorini il tutto ben amalgamato, non isterie, tutti pazienti. Per le strade a piedi, nessuno. Quei pochi con mascherina fuggono al più presto nell’aria condizionata di negozi, uffici,stamberghe improbabili o enormi grattacieli di cristallo. Il centro ha davvero grandi pretese. Grattacieli di cristallo svettano senz’ordine tra basse nubi, qualche viale alberato dove vivono i riccastri, e qualche parco sacrificato tra vie trafficate e sopraelevate. Camminarci è impossibile senza intossicarsi.

Ma a Giacarta c’è anche qualcosa che non ti aspetti.

Il taxi si ferma di fronte ad un bel palazzo, moderno di cristallo, il Jakarta Eye Center.

Ho un appuntamento, fissato da una cortesissima addetta della nostra Ambasciata, con una dottoressa, esperta in cornea, poiché ormai da diversi giorni il mio occhio destro è di nuovo molto infiammato. Come entriamo il personale della reception, elegantissime graziose e premurose signorine, ci fa accomodare. Compiliamo una scheda e ci avvisano che ci chiameranno in pochi minuti. Tempo di un delizioso cappuccino e ci invitano a salire al quarto piano, il ragazzo dell’ascensore ci accoglie con un bel sorriso e così pure la ragazzina al piano che ci prende in consegna. Accanto a noi i pazienti locali sono accolti con le medesime premurose attenzioni. Mi fanno fare una breve visita preliminare e poi accomodare in una sala d’attesa con ogni comfort. Dalla porta dello studio esce una signorina, assai graziosa, elegantemente vestita in sete tradizionali e mi fa accomodare. L’incontro con la dottoressa è davvero cordiale e professionale. Prescrive la cura al pc e mi fissa una visita di controllo tra 10 gg.

Scendiamo al piano sotto dove la farmacista ha già il pacchettino pronto con i farmaci. Il tutto per 60 Eu. Ma quello che più conta è che dopo alcuni giorni vedo decisamente meglio.

Al ritorno desidero ringraziare la nostra addetta e ci fermiamo nella vicina Ambasciata d’Italia. Ci accoglie con gran calore e passiamo qualche minuto a raccontarci i nostri vissuti. Questi nostri funzionari all’estero sono davvero delle persone eccellenti sotto tutti i punti di vista.

Altra sorpresa, piacevole: il Marina ha organizzato una serata  con l’Indonesia Jazz and Blues Club e noi vi abbiamo partecipato anche con una gustosa cenetta a base di pesce. Il pianista, di ottimo livello, è stato particolarmente sostenuto dai supporters, rigorosamente in maglietta nera, logo del Club e decisamente appartenenti all’upper class. Piacevole serata.

Le cose meno piacevoli sono invece le quasi quotidiane spedizioni in taxi presso gli uffici amministrativi: per ottenere l’estensione del Visa siamo già stati due volte all’Immigrazione (25 km) e dovremo ritornarci una terza. Per spostare una carta sono in tre!

Le scorrerie nei Super market non sono da meno. Quando entri ti accoglie una musica assordante e uno stuolo infinito di inservienti. Per mettere un pacchetto di biscotti sullo scaffale sono in tre: una al carretto, l’altra passa e l’ultima posiziona. Tutte rigorosamente velate a suoretta.

Per finire la giornata il tassista, con l’indirizzo in mano, non sa mai dove si trova il Marina e chiede a noi se la strada è giusta !...ormai l’abbiamo imparata ;))


Ultimissime da Giacarta, 7 maggio 2016.

2016-05-09

Nel pianificare la nostra sosta a Giacarta non pensavamo certo di rimanervi per quasi 20 giorni e invece…

Il 3 ci ha raggiunti Andrea, questa è l’unica notizia davvero positiva: nuove esperienze e spirito marinaro. Di positivo poi, a dir il vero, c’è pure l’evoluzione positiva del mio occhio, ora non più infiammato. Per il resto è davvero un tormentone.

Le temperature, anche quelle notturne, sono un vero problema: mentre scrivo ci sono quasi 35° al tavolo di carteggio e non una bava di vento. Il Marina è circondato da attività industriali e dal traffico e così l’inquinamento dell’aria è pazzesco, fisicamente percepibile: la coperta si annerisce e la puzza entra in barca, se vi ricordate, come ai tempi di Marghera. Girare per la città solo in taxi e solo per far cambusa, altrimenti a bordo con, se possibile, qualche ora in aria condizionata,ma non di notte.

Il piano era quello di fuggire appena imbarcato Andrea e avevo affidato ad un Agente le pratiche di uscita. Per vari contrattempi l’incompetente non ha tenuto conto delle incombenti feste nazionali di giovedì e di venerdì che, aggiunte al sabato e domenica, gli hanno impedito di procedere con gli Uffici di Dogana chiusi per 4 giorni di seguito. La cosa, incredibile di per sé in una capitale, diventa anche curiosa nel momento che la Capitaneria e l’Immigrazione sono restati invece aperti. Siamo così ancora a soffrire caldo, zanzare e miasmi.

La partenza è ora prevista per lunedì sera con l’alta marea. Ancoreremo fuori per la notte e poi via di corsa, si fa per dire, verso lo Stretto della Sonda. Pare che un buon vento ci aspetti per il 13 maggio in uscita verso Cocos Keeling.

Nel frattempo si è verificato un’emergenza per l’arrivo di Federico e Rachelle Lauro con il suo Indigo V: qualche giorno fa, a 160 miglia da qui il suo Volvo si è rotto. Ora sta tentando di avvicinarsi con bave di vento. Stiamo cercando di organizzare un possibile traino ma la lingua non aiuta e i pirati si son fatti rivedere chiedendo cifre esose per un supporto. Di positivo c’è che rimaniamo in contatto radio via HF e possiamo seguirlo nei suoi movimenti. Vedremo nelle prossime ore se ci sarà una soluzione, anche perché il manager del marina ha grosse difficoltà organizzative.

…ora si trova a circa 80 miglia da Giacarta, ma è una zona disseminata da torri petrolifere, oleodotti e si sta avvicinando ad un piccolo arcipelago detto delle Mille isole. Da qui forse potrà esser raggiunto dalla Guardia Costiera. Vedremo nelle prossime ore.

….la Guardia Costiera non ha fatto assolutamente nulla pur avendo riportato loro aggiornamenti sulla loro posizione e pur passando a sole 10 miglia dai reef delle Mille Isole. In Australia sarebbe sicuramente usciti almeno per accertare la loro sicurezza.

8 maggio 2016 h.16.00

Indigo V è riuscito a farsi il resto delle miglia a vela e ora si trova all’ancora di fronte al Marina. Questa sera alle 21 con la marea al massimo dovranno trainarlo all’interno. Il canale di entrata ha una profondità appena adeguata e senza motore basta una mota per bloccarlo. Comunque lo accoglieremo come si deve….

E infatti, alla fine siamo andati noi due, Andrea ed io, a prenderli. Il personale del Marina non si è fidato di andar da solo e ha chiesto il nostro aiuto, per fortuna! Il traino è riuscito alla perfezione e ora Indigo V è ormeggiato prua a prua con noi.

Domani il nostro Agente dovrebbe completare le pratiche di uscita e la sera stessa, pure noi alle 21, dovremo uscire ed ancorarci fuori del Marina. Che sia la volta buona…?


Lo Stretto della Sonda, 10 maggio 2016.

2016-05-19

 Lo Stretto della Sonda, 10 maggio 2016.

NB Ricordo:

 http://forecast.predictwind.com/tracking/display/EUTIKIA

per seguire in diretta, o quasi, il percorso della nostra navigazione

Finalmente ieri sera siamo usciti dal marina e ci siamo ancorati a poche centinaia di metri.

Il pomeriggio era passato tosto. Nel caldo più afoso avevamo ultimato la cambusa e gli ultimi preparativi. Poi siamo saliti con Putu  a visitare il palazzo: veramente sorprendente.

Una bella collezione di modellini navali, saloni smisurati per le feste, collezioni di quadri d’arte moderna assai improbabile, statue, paccottiglia da collezionisti, forniture di legni pregiati, salotti principeschi per i membri del Club, il tutto rigorosamente senza vita, vuoto.

I membri non esistono, le sale sono spente, i finestroni, a decine, si affacciano su una città grigia, svaporosa di fumi incombenti. schiacciati al suolo da alte, minacciose nubi. Nell’aria, greve,  il rombo del traffico e dei cantieri.

Qualche foto ricordo in terrazza e si scatena il diluvio. Inseguiti da goccioloni, ci ripariamo a bordo, giusto in tempo per chiudere tutto. Dove sarà il nostro Anndi, l’agente, con i nostri documenti? Per girare gli uffici si serve di una vespa e sta diluviando e con quel traffico…

In mattinata avevamo avuto la visita di due sgherri del Custom, quelli chiusi per quattro giorni. Non ho certo sorriso, invitandoli a togliersi gli scarponi. Hanno sbirciato ben poco e se ne sono andati, mogi, dopo averli ben ben redarguiti sul loro inqualificabile comportamento: erano gli unici chiusi, mentre l’Immigration ed il Porto erano aperti, ma impossibilitati a darmi l’ok in attesa del Custom. Credo l’abbiano capito, e se non l’hanno, ho pure scritto una pesante email a tutti gli interessati, agenti, marina, custom, ufficio nazionale del turismo ecc. Non cambierà comunque nulla, in questo Paese dove tutto è al rallentatore, tranne la cementificazione.

Al tramonto, dopo le solite 50 miglia, arriviamo all’isola di Pallau Panjang dopo una giornata chiara di sole e un po’ di vela, persino! Ci infiliamo  tra le solite bandierine e le solite trappole. Pescatori ovunque ma troviamo un buon ancoraggio.

11-12  Maggio 2016, Krakatoa.

Davanti a noi si apre lo Stretto della Sonda. Dimenticate Salgari o altri cantori dell’esotico. Sulla sponda, alla nostra sinistra, solo una teoria ininterrotta di ciminiere, raffinerie, pontili, navi alla fonda e traghetti che ci tagliano la rotta verso sud. Arriviamo all’ancoraggio sotto al vulcano Krakatoa senza problemi dopo le solite 8 ore di motore e …sorpresa! Troviamo altre 4 barche: Eric con il Wistler, Garret con il Fruit de Mer (con lui attraversammo dalle Tonga alla Nuova Zelanda 4 anni fa!) , una barca neozelandese e una australiana.

Ora siamo una piccola flotta, tutti diretti alle Cocos Keeling e poi verso ovest.

Lo scenario è cupo. Nuvoloni bassi incombono dalle cime delle isole che ci circondano.

Il vulcano è attivo e bianche fumarole s’impastano con il grigiore del cielo. Per lo meno non fa il solito caldo torrido. Alle 5 arrivano Garret e Anni-Mike, la moglie, per un drink, ma ci portano anche dei granchioni appena pescati dai pescatori e già cotti da Annie. Devo dire, squisiti, al livello, se non più gustosi, delle nostre granseole, certamente più facili da spolpare. Il tramonto ci rincuora. Staremo qui un altro giorno.

13-14 maggio 2016. Pulau Peucang.

Lasciamo il Krakatoa in linea di fila, rigorosamente a motore. Dopo un misero tentativo di vela, riaccendo e arriviamo, dopo le solite cinquanta miglia, a un bel ancoraggio, selvaggio e ben protetto dal venticello e dall’onda oceanica. E’ il posto ideale per riordinare barca e idee.

Ci siamo beccati il solito temporalone serale e la barca chiusa era un forno, ma sotto il diluvio si è rinfrescata. Ora non resta che aspettare via satellite le ultime notizie meteo.

Pare che non sarà una traversata veloce. Su 600 miglia, circa millecento chilometri, avremo venti dai 5, molti, ai 20 nodi, pochissimi; all’inizio motore e vela, poi vento in crescita. Vedremo.


Cocos Keeling, 19 Maggio 2016.

2016-05-20

Spettacolo mozza fiato.

Per una volta inizio dal fondo perché ne vale davvero la pena.

Arriviamo all’entrata di Cocos Keeling, e vedremo dopo come, che tira un bel ventaccio.

L’entrata alla laguna è larga e senza problemi, che però vengono subito dopo.

Sono le 08.30 e la laguna è tagliata da una luce radente che acceca. Brutto affare. Non siamo freschi e ciò non aiuta, certo. Procediamo con cautela ed in base alle informazioni che abbiamo riusciamo pure ad individuare i due paletti, rosso e verde, per l’entrata alla zona riservata all’ancoraggio.

Sono esattamente contro luce, le nuvole dipingono di viola una superficie altrimenti smeraldina. Il fondale roccioso si confonde così con false pennellate di viola. Sono talmente tante che non si capisce da che parte passare.Ci infiliamo verso il rosso e lo lasciamo a sinistra, poi puntiamo sul verde che è proprio in linea, appena spostato a destra. Dietro già tre barche si cullano beate. Come avranno fatto per entrare ?

La barca procede lentamente, ma è spinta al fianco da 20 nodi. Il verde è ormai a prua, 10 metri a destra. Peccato che a sinistra del verde ci sia uno scuro, assai temibile, che testimonia della presenza di una formazione estesa di corallo. Eppure di lì bisogna passare. Marina ed Andrea a prua si agitano non poco, poi perentorie arrivano urla “ Troppo basso, retromarcia, SUBITOOO !!! INDIEDTROOO” Con un misto tra veneto e toscano, urlato e ben aperto. Eutikia obbedisce dolcemente e nonostante il vento che la fa derivare sul reef, riusciamo, anche con l’elica di prua, ad uscirne indenni.

Ritorniamo sui nostri passi e ci ancoriamo fuori dell’area riservata in attesa di riordinare le idee. Poco dopo arriva Fruit de Mer. Con la deriva retratta pesca un metro e mezzo: no problem. Procede per la stessa via e subito mi avvisa che ci sono 2 metri e mezzo! Però! Saremmo passati! Comunque nel dubbio assai meglio esser tornati indietro. Anche perché scopriamo, ecco la stanchezza, che la marea è al minimo. Aspettiamo quasi tre ore e riproviamo, però per un’altra via, non segnata, ma già usata da altri e su sabbia bianca. E qui arriva il bello!

Dopo aver salpato mi porto su un allineamento che dovrebbe evitare insidiosi reef laterali. Taglio di poco ed ecco sbucare dall’azzurro smeraldo le vispe codine di piccoli delfini che ci abbracciano letteralmente la prua spingendoci più in là verso destra e ci accompagnano verso acque più profonde dalle quali parte l’allineamento. Benedette e care bestiole, e non è la prima volta! Che dire? Stupefacente! E’ uno spettacolo davvero indimenticabile:  guizzano allegri, i dorsi luccicano al sole scivolando nel blu, ti guardano e si stringono a Eutikia come non avevo visto mai.

E torniamo dall’inizio, dalla partenza della traversata verso Cocos.

Usciamo in fila, come al solito, dalla baia sotto il solito cielo grigio ed afoso. Si è dormito poco per il caldo e per l’umido, dopo una giornata di rovesci.

L’oceano si presenta senza sorprese: moscio, niente o poco vento da Est, la prima onda morta da sud, lo swell. Non resta che il motore. Ne facciamo molte ore nei primi due giorni: randa e 1500 giri…e la nafta se ne va. Sul mio Libro di Bordo leggo una noiosa sequenza di “ Vento da Est, da 5 a 10 nodi” per noi che andiamo a Ovest, con onda al traverso, vuol dire rollate, poco avanzamento, e soprattutto niente comfort a bordo. Come se non bastasse le giornate e le notti passano sotto nubi minacciose: temporali e rovesci continui.

Non sai mai quanto vento arriverà, soprattutto di notte nell’oscurità, nonostante la luna quasi piena. Sul radar i fronti sono ben visibili, arrivano prevalentemente da Sud Ovest, altre volte da poppa, altre volte li evitiamo per un pelo.

Il meteo che ci arriva dal satellite, via Iridium/PredictWind e via Maurizio, da Ancona, non ci dice nulla di buono: sempre venti deboli da est.

Naturalmente i pescherecci non mancano, ma sono ben visibili ed illuminano l’orizzonte.

Ci sentiamo via VHF con gli altri e le voci non sono certo entusiaste, anche se il morale e tutto a bordo va per il verso giusto.

Il terzo giorno si annuncia splendente: cielo terso, nuvolette d’aliseo da Est SudEst  e Eutikia prende respiro e noi con lei. Dalle 10 alle 12 ci dedichiamo ai prelievi di mare ed ai filtraggi previsti e concordati con Federico Lauro per partecipare alla ricerca sulla salute degli oceani, denominata Indigo. La procedura è lunga e noiosa: bisogna in sostanza filtrare molto lentamente, con delle siringhe, 4,5 litri di acqua di mare dopo aver registrato temperatura, salinità e posizione GPS del prelievo. Dovremmo farne 10, vedremo anche perché bisogna stare chini a lungo e con questo mare…

Nel pomeriggio, dopo un breve pisolo, esco in pozzetto e trovo Andrea e Marina che scrutano con il binocolo l’orizzonte. Anzi, in realtà, scopro che stanno fissando un peschereccio a meno di cento metri ! E’ vicinissimo, immobile, nessuno in coperta, sembra all’ancora su migliaia di metri di fondale. Ha sicuramente l’ancora galleggiante: prua al vento e all’onda. C’è solo da sperare che di notte sia acceso.

Con il penultimo giorno tornano gli acquazzoni, ma finiscono i temporali: stiamo finalmente uscendo dalla calura equatoriale, per me un vero inferno. Siamo oltre 10° Sud, finalmente e si sente! L’aria è fresca, non si suda e la barca all’interno è più vivibile.

L’ultimo giorno, il 18, passa spingendo un po’ sul motore con poco vento, per mantenere una media tale da consentirci un arrivo comunque con la luce. Nel tardo pomeriggio, dopo un ultimo vasto acquazzone si apre la porta all’aliseo. E’ veramente curioso come questo accada. I fronti di poppa con il loro avvicinarsi chiudono l’orizzonte ed ostacolano il debole flusso del vento e noi restiamo in loro balia. Poi, a mano a mano che le nuvole sfilano nere e basse oltre la prua, ecco tornare l’aliseo da debole a sempre più intenso.

L’ultima notte passa gagliarda e dobbiamo persino ridurre per non arrivare prima dell’alba.

Il resto l’ho già raccontato. La prossima sarà su Cocos Keeling.


Cocos Keeling, 22 maggio 2016.

2016-05-24

Partenza prevista per Rodriguez 26 maggio.

 Per seguirci : http://forecast.predictwind.com/tracking/display/EUTIKIA

Un po’ di storia… con pan toscano

Se le cerchi sulla carta elettronica non le trovi se non inizi a zoomare dove, più o meno, pensi di trovarle. Prima appare la loro dicitura, poi,dal blu, emerge una sottile falcetta aperta a Nord Ovest. Sono loro un grumo di corallo perso nell’Indiano.

Le isole, pur australiane, hanno una loro bandiera: in campo verde, una palma, una mezza luna e le stelle australiane della croce del sud. In sintesi la loro storia passata ed attuale.

Il primo che ci arrivò, nel 1609, non poteva che chiamarsi William  Keeling, un avventuriero in viaggio da Java all’India. Poi nel 1826 Alexander Hare, un mercante britannico conosciuto come il Raja Bianco del Borneo vi portò i primi schiavi e le prime piante da cocco ed iniziò la produzione della copra e dell’olio di palma.

Nel 1836 ci passò pure Darwin e ne studiò le origini ipotizzando erroneamente un’evoluzione vulcanica.

Ma la cosa più interessante avvenne nel 1901 quando la Eastern Extension Telegraph Station posò cavi da Rodriguez, Mauritius,Durban a Batavia, Java, Singapore e in fine verso Frementle in Australia. La stazione rimase in servizio anche durante la seconda guerra mondiale mentre navi giapponesi e tedesche cercarono invano di impadronirsene.

Per certo quando misi per la prima volta i piedi sulla bianca spiaggia di fronte all’ancoraggio non immaginavo un passato così denso di accadimenti.

Poi esplorando Direction e Home Islands trovi interessanti tracce del passato, i vecchi capanni per la copra dismessi negli anni 80’, e utili punti d’informazione. Pur troppo trovi poco altro. Il piccolo villaggio  pare viva in letargo, le strade deserte sono spazzate dall’aliseo e schiacciate da una luce che acceca.

La popolazione, mista malese indonesiana, è mussulmana e mantiene una riservata attenzione nei confronti di noi velisti. Al piccolo market, il sabato mattina dopo l’arrivo dell’aereo del venerdì, trovi il minimo, carissimo, di frutta e verdura. Ma soprattutto incontri i locali che arrivano con i loro pick up e fanno la fila con noi alla cassa. Qualche sorriso, qualche saluto, nulla di più.

A 12°Sud la temperatura è diventata gradevole e, soprattutto, l’aliseo rinfresca per bene la barca anche all’interno. Il cielo è ora terso e questa notte la luna piena entrava in cabina come un faral.

Dall’ancoraggio, ora siamo dieci barche, la spiaggia ed il palmetto sembrano emergere dalle acque, smeraldine. Al tramonto scendere a terra con il gommone potrebbe esser un vero piacere, ma ti aspettano al varco nuvole di zanzare, i terribili no no. Marina ne è stata completamente avvolta e, per alleviare l’irresistibile prurito, si gettata in acqua. Fine delle passeggiate a terra. Gli equipaggi sono rintanati, quindi, a bordo e si godono la frescura dell’acqua cristallina con nuotate lungo i reef. Per il resto qualche chiacchierata via vhf , lavoretti a bordo, acquisti per la cambusa e altri cento litri di nafta.

Il quesito è ora quando partire per le prossime 2 mila miglia sino a Rodriguez. Stiamo analizzando diverse fonti, ma mentre a una settimana il meteo può esser attendibile, a undici, dodici giorni le cose si complicano di molto. L’obiettivo numero uno è non sbattere il muso contro un fronte freddo in movimento, poi è importante non avere uno swell da Sud alto e corto al traverso, infine non buchi di vento o vento duraturo oltre i 30 nodi.

Vedremo nelle prossime ore. Un’attuale possibile data è per mercoledì 25 maggio. Vedremo.

23 Maggio,

Con una bella nuotata tra i reef, lungo un canalone che i locali chiamano The Rib, siamo risaliti contro una forte corrente veramente difficile da rimontare se non agganciandosi, di volta in volta, su appigli di corallo ancora vivo. Oltre ai soliti e simpatici pescetti di barriera, siamo stati avvicinati da curiosi, ma per fortuna piccoli pescecani pinna nera e da paffuti pesci pappagallo a testa bombata. Poi, staccati dalle prese, siamo volati nel canalone a ritroso ed in pochi secondi siamo ritornati oltre il punto di partenza.

Al rientro a bordo è iniziata la performance di Andrea, il fornaio. Finalmente con la giusta tranquillità e con i tempi giusti la farina è stata impastata, la pasta lasciata levitare e infine tre bei filoni sono stati infilati nel forno.  Un buon profumo di pane e di casa s’è sparso ben presto per la  barca. La cena, abbondante a base di riso e pollo al curry, è stata allietata da belle fette di pan toscano olio e sale…e da un bel sorriso di Andrea.

Per i più curiosi ecco la ricetta che ho dovuto strappare ad Andrea “…e che ce vole? Farina, acqua e lievito, gli è tutto, no?”:

Pane Cocos Keeling

Per ogni kg di farina ci vuole mezzo litro di acqua.

Se si usa lievito liofilizzato, per velocizzare la fase di lievitazione conviene sciogliere il lievito in poca acqua tiepida con un cucchiaino di zucchero.

In un recipiente, possibilmente di plastica versare metà della farina che intendiamo impastare e tutta l’acqua, più il lievito e un pizzico di sale. Girare il tutto con un mestolo e lasciar lievitare

Dopo un paio di ore aggiungere il restante della farina e impastare vigorosamente a mano. Preparare i filoncini di pane nelle teglie con la carta forno. Lasciar lievitare qualche ora e poi infornare per 30/40’

Enjoy!


26 maggio-7 giugno 2016. Il nostro Indiano_Seconda Parte

2016-06-11

2 giugno. Ieri sera siamo entrati in burrasca. Dopo forti piovaschi con rinforzi, l’Alta annunciata si è fatta sentire spingendo da sud venti di intensità crescente sino a 40 nodi,con punte oltre.

Di per sé il succedersi di queste Alte da Ovest verso Est è del tutto normale ed atteso. Generano un bel vento portante da Est e quindi ideale per procedere a vela verso Ovest.

Si tratta di veri e propri ventilatori che ruotano a Sud dell’Equatore in senso anti orario e noi ci passiamo nella parte superiore. Il problema è che la loro intensità è assai difficile da prevedere. Nel nostro caso i GRIB davano venti sui 20 nodi e punte sino a 25. Ce ne siamo beccati quasi il doppio !

Il buio della notte ci ha nascosto il mare non il rombo ed ha esaltato il sibilare del vento tra le sartie. Marina dice che sembra esserci un gatto brontolone…MAUUU…MAUUUU

Alle tre, mio turno, non resta che fuggire al mare ed al vento tenendo la poppa fissa sui 150°per evitare straorze e strapoggiate che sarebbero disastrose in queste condizioni.

Praticamente non si dorme, e avevano dato venti sui 25 nodi con qualche rinforzo !

Al mattino lo scenario è fantastico: Il mare incrociato ci insegue e ringhia, Eutikia alza la poppa e parte morbida su ogni onda. Siamo invelati giusti: randa al minimo e genoa come un fazzoletto.

Sull’onda non partiamo in surf, pericoloso, ma acceleriamo il giusto per evitare i frangenti e mantenere la velocità di stabilità, tra i 6 e i 7 nodi, anche se non mancano le volate a oltre 10 nodi. La barca vibra tutta e l’onda si sposta e rimane frangente lungo i fianchi. Un giochino che non mi garba molto. Preferisco tenere la velocità, se possibile, sotto controllo

3 giugno La giornata più dura: la burrasca è ormai formata. I venti sono stabili trai i 25 e i 30 nodi apparenti e filiamo  a 7,8 nodi in poppa verso Nord Ovest. Il mare è molto incrociato . Alla sinistra lo swell, di quasi 5 metri, si alza imponente, ma con periodo ragionevole anche se qualche apice di cresta frange sul fianco senza problemi. Di poppa l’onda del vento cresce rapidamente e alza Eutikia ruotandola verso sinistra dove lo swell l’attende al varco. Sberla sul fianco e poi di nuovo filo onda di poppa. Raffica a 30 e barca leggermente all’orza e via di nuovo contro lo swell e via così per 24 ore. Non mancano i piovaschi con salti di vento di 30 gradi e più, poi l’intensità scende a 20 e ci credi , ma in pochi minuti di nuovo più di 30. Per fortuna abbiamo trovato una combinazione di vele di compromesso per non farci trovare rallentati, né troppo esposti alle raffiche ed al surf.

Due fazzoletti per randa e genoa sembra che funzionino.

La vita a bordo è tutto sommato confortevole. Eutikia ha un pozzetto protetto eccezionale e stiamo in maglietta e braghette, fuori il finimondo. Di notte maglia e pantaloni lunghi, niente di più. Per cena la pasta con i vasetti di Marina risolvono molti problemi.

4 giugno Stiamo uscendo dalla parte più violenta dell’Alta. Questo potente ventilatore ruota in senso anti orario e, andando verso Est lui e verso Ovest noi, ci ritroviamo, ora dopo ora, fuori dalla maggior intensità e con il vento che ci consente, girando in poppa, di riprendere la direzione verso Rodrigues. Nonostante ciò due onde velenose trovano la via per raggiungere il pozzetto e farci la doccia attraverso le sottili fessure tra le parti della cappotta, nulla di più-

5-6 giugno. Finalmente il vento si stabilizza sui 20 nodi di apparente e Eutikia riesce a cavalcare i marosi incrociati senza partire in surf, né facendosi mordicchiare la poppa dalle creste incombenti. Teniamo il genoa a metà, la randa assai ridotta e niente mezzana, con questi cavalloni ci porterebbe alla straorza. Siamo, alle volte, appena sottoinvelati, ma il cielo ci regala frequenti cordoli di nere nubi che scaricano pioggia e vento. Conviene quindi tener la randa sempre al minimo e giocare sul genoa e sulla mezzana per aumentare o ridurre. Ogni  6, 7 ore carichiamo le batterie con il generatore per circa un’ora e mezza. Queste batterie AGM durano molto ed ancor di più se non teniamo plotter e radar accesi, non al punto però di abbassare la guardia. Abbiamo incrociato almeno quattro, cinque navi. Una turca, di notte, in perfetta contro rotta, mi ha chiamato e ci siamo accordati sul port to port , ovvero ognuno sulla propria destra. Ci siamo salutati e l’ho ringraziato in turco: grazie è l’unica parola che ricordo. S’è capito che è rimasto piacevolmente stupito.

E dopo tanto vento, ancora qualche parola sul vento o meglio su noi e il vento.

Per chi non è a bordo, immagino sia davvero difficile valutare quanto il vento ci condizioni la vita. Un esempio: siamo al gran lasco, come quasi sempre con l’aliseo, onde incrociate e raffiche sui 25 nodi oppure vento debole, la cosa non cambia, ci giochiamo molto se andiamo all’orza o in poggia di 2, 3 gradi ! E allora chi è di turno deve, quasi con continuità, pigiare un tasto sul pilota automatico è adattare continuamente l’angolo. Perche? Le ragioni sono molte e vanno incrociate: velocità, avanzamento, vele con pressione costante senza sbattimenti, equilibrio e comfort soprattutto quando si cerca di mangiare o dormire senza esser sbattuti di qua e di là per ore, per giorni.

Questo dialogo incalzante con il vento è tipico dell’oceano Indiano in questa stagione di transizione. L’aliseo non è quello assai più forte e stabile di luglio e agosto, evitato volutamente, e subisce il volubile contatto con la zona di convergenza più a nord.

In altre parole il suo flusso regolare è fortemente condizionato da grossi ed estesi nuvoloni, piovaschi anche assai violenti, che ne alterano la corsa verso le nostre vele, mentre l’Alta cerca di ricacciarli e noi in mezzo a ballare. Spero di non avervi annoiato, ma un po’ di spiegone ogni tanto ci vuole.

7 giugno. Rodrigues.

Ormai siamo alle ultime 150 miglia. Il quesito ora è: riusciremo ad arrivare di giorno?

L’entrata è abbastanza larga, ma è tra i reef e non sappiamo con certezza quanto le carte elettroniche siano corrette, alle volte sono spostate anche di qualche centinaio di metri rispetto alla realtà e di notte tutto ciò diventa un problema.

Il vento ci molla, come da previsione, a circa 130 miglia. Ma ormai il più è fatto: motore e via su un mare che sta, via via, spianandosi lasciando solo la solita onda lunga da Sud.

Poi due belle circostanze davvero fortunate. Un grosso nuvolone ci fa la doccia a qualche decina di miglia dall’arrivo, Eutikia, ricoperta di sale, ne aveva davvero bisogno. Poi sentiamo partire il mulinello a poppa e in pochi minuti un bel tonno pinna gialla è a bordo.

Ormai Rodrigues è dentro l’obiettivo di cinepresa e macchine fotografiche. Con il sole del primo tramonto entriamo comodi e ci ancoriamo in buona compagnia di altre dieci barche.

Per cena tonno e brindiamo, finalmente, con vino dopo tanta acqua, tanto mare, tante miglia, tante stelle, tanto vento, tanti momenti indimenticabili.


26 maggio-7 giugno 2016. Il nostro Indiano_Prima Parte

2016-06-11

Il 26 maggio usciamo, alle 9 sole alle spalle, infilandoci nel chiaro sabbioso tra le teste dei coralli, ora ben visibili. A motore e vela aggiriamo l’isoletta che chiude la baia a Nord Ovest e siamo subito in mare aperto: l’Oceano Indiano. Ci aspettano 1.985 miglia.

Il meteo per la prima settimana è confortante: venti medio leggeri da Est Sud Est.

Se mai il problema resta la nuvolaglia di convergenza che in questi ultimi giorni staziona su Cocos. Noi puntiamo per 253° e scendendo un po’ dovremmo togliercela di torno.

La prima giornata passa coperta, ma a sinistra il cielo è azzurro. A destra e di poppa Partiti da Cocos Keeling.

incombono grossi nuvoloni che evitiamo sfilando a quasi 7 nodi.

Il tramonto è tranquillo. Marina per cena ha preparato cus cus con ratatuia di verdura varia. Tre zucchine 20 dollari al micro market di Cocos, la signorina alla cassa ha detto che erano carette…bontà sua!

La notte, con luna tardiva, è stata splendida. Cosa strana: l’ecoscandaglio ha segnato 2.6 metri, ho fatto un colpo. Poi altre volte, come venendo da Giacarta, 10, 12 metri. Probabilmente sono pesci che ci inseguono, o chi sa?

Il 27 è passato con il cielo a nuvolette, come dovrebbe esser sempre per far piacere a noi velisti, tipico dell’aliseo. Mare confusetto, ma con pochi problemi di velocità. Incominciamo a prendere il ritmo e a sistemare le relazioni a bordo tra una storiella e l’altra.

Marina dice che sarà lunga, io le dico che, dopo le 3 mila miglia, in due, per andare alle Marchesi dalle Galapagos, passeranno anche queste. Per ora sforna cenette alla grande. Ieri sera rigatoni al ragù fatto in casa, hops! In barca.

Miglia percorse in due giorni: 300, non molte. Per ora corrente a favore quasi nulla.

28-29 maggio 2016.

Giornata grigia, il 28, in tutti i sensi: nuvoloso, mare grigio, e perso un dorado di oltre un metro compreso il rapala. Siamo riusciti a issarlo a bordo con il raffio, ma arrivato in coperta ha dato di matto e guizzando è riuscito a liberarsi e a volare in acqua. Siamo rimasti con un palmo di naso.

La giornata si è chiusa con un bel tramonto e una zuppa di verdura con riso basmati.

La notte, serena con luna, mi ha riservato una sorpresa. Esco alle 3 per il mio turno, mi sistemo l’IPOD per la musica e…un lampo bianco appare all’orizzonte! Non riesco ad apprezzarne la distanza, e mi fiondo al radar, che del resto avevo appena visto. Nulla! Accendo l’AIS, nulla! Di solito i pescherecci sono ben visibili. Strano. Guardo fisso e dopo dieci minuti vedo un punto luminoso. Penso a tutto: una boa meteo, ma non è a flash, una zattera di salvataggio, ma il razzo sarebbe rosso e comunque non da solo. Nessuna comunicazione al VHF. Puntare in quella direzione senza altri riferimenti mi sembra azzardato. Decido di inviare via satellite una email di segnalazione alla Guardia Costiera australiana. Stanno controllando queste acque con navi ed aerei. Vedremo se mi rispondono. Miglia percorse 150.

Il 29 vola con il vento: bella giornata e bel vento sui 15, 18 nodi e filiamo a vele piene.

Prelievo d’acqua e relativo filtraggio per il progetto Indigo E’ una procedura lunga e noiosa. Si tratta di filtrare almeno 4 litri d’acqua con una siringa da 50 ml, registrare alcuni dati ( salinità, temperatura, posizione) e riporre con attenzione i filtri così ottenuti che saranno poi analizzati.

Alle 17 contatto radio con Fruit de Mer degli amici olandesi, ci segue a 200 miglia circa.

Cenetta: ratatuia e riso jasmine, ottima cottura.

30 maggio. Giornata con più vento, tra 13 ed i 20 nodi, buona pressione sulle vele. Rolliamo non molto, anche se il mare è piuttosto confuso, con una bella onda al traverso.

Consultiamo con più attenzione, se possibile, cosa dicono i GRIB, i file con il vento ed altro, che ci arrivano via telefono satellitare o via radio. I prossimi giorni dovrebbero passare lisci, da venerdì si ballerà. Vedremo quanto. Per ora ho messo su un ottimo CD con i walzer di J.Strauss ed è arrivata l’allegria in barca.

Notte tranquilla con luna calante, purtroppo.

Ultime 24 ore, 167 miglia, per ora la più veloce.

Per il 31 il meteo dava coperto, e in effetti piove. Cielo grigio con nuvoloni bassi carichi di pioggia, per fortuna e per ora niente fulmini, solo salti di vento da quasi zero a venti nodi e più. Siamo tutti piuttosto assonnati e di poca voglia. La distanza da Rodriguez è ora di 1150 miglia, circa due volte l’Italia da Nord a Sud. Non vedo l’ora di scalare oltre le mille miglia. Il morale salirà, anche se le previsioni sono per ventaccio, nelle prossime ore vedremo di quanto. Intanto Maurizio ci manda report molto esaurienti che confortano i nostri dati. La giornata cruciale sarà giovedì, a seguire venerdì. Nell’ultimo GRIB appare un vortice di Bassa pressione incombente su Rodrigues proprio per il giorno del nostro arrivo. Boh!?

Fruit de Mer ci segue a 200 miglia e, oltre, Chapter Two, che non conosciamo.

1 maggio. L’allarme per la bassa incipiente su Rodrigues è rientrato. Maurizio ci ha ben spiegato come interpretare il vortice evidenziato su CMC grib.. Comunque sarà meglio monitorare per bene l’evolversi. Ora stiamo attendendo l’arrivo dell’ Alta pressione, sulla cui cresta ci sarà un vento tra i 20 e i 30 nodi da Sud Sud Est. Dovremo.  sicuramente poggiare con mare e vento al gran lasco, per poi rientrare in rotta dopo 36 ore…se tutto ok. Per il resto giornata con sole e nuvolette. Sul Diario di Bordo annoto “superata la metà del percorso”: ottima notizia per il morale e per recuperare un po’ di stanchezza accumulata per le ore di sonno, sempre troppo poche.


Rodrigues 7-17 giugno 2016 . Grande incontro e grandi scarpinate.

2016-06-18

Grande incontro e grandi scarpinate.

Dal poggio, spazzato dal vento, la barriera corallina che cinge Rodrigues appare come un anello candido che separa il blu viola del mare aperto dal turchese interno della laguna,

Oltre, a perdita d’occhio, lingue di sabbia bianca, spiagge incontaminate cinte da neri dirupi rocciosi. Morbide verdi colline si affacciano, rase, sull’Oceano Indiano.

Alfredo mi indica laggiù un puntino bianco incastonato tra i riflessi cangianti della laguna. Un minuscolo triangolo di vela. Camminiamo e chiacchieriamo, ma è Alfredo il vero conta storie e che storie ! Una seconda vita, come dice lui, trascorsa per gli oceani del mondo.  Ci siamo incontrati il giorno stesso del nostro arrivo al cancello del porto. Cercavo di capire da chi era composto quel gruppetto di velisti al rientro da una gita, probabilmente. Appena arriva una nuova barca ci si presenta e subito si scambiano nomi di barche, oltre che di persone, esperienze, progetti. In pochi minuti si crea un’intesa naturale tra equipaggi provenienti da tutte le parti del mondo e tutti parlano inglese, naturalmente.

 Mi presento “ Gianni “ e mi risponde lui “…e io sono Alfredo” Non posso crederci, finalmente un italiano e pure veneto, da Padova. Ci stacchiamo dal gruppetto ed inizia qualcosa che assomiglia molto ad una vera amicizia. Ma questa spero sarà un’altra storia, perché se inizio ora a raccontare del suo dire non saprei come trovare il tempo e le parole su questi brevi resoconti del sito.

La cosa importante, per ora, è che Alfredo e Alicia, sua moglie, americana e bravissima in barca come sui monti, ci abbiano portato a scoprire questa bellissima isola. Alicia è davvero instancabile, minuta, occhi azzurri vivacissimi, organizza quasi ogni giorno del treking su e giù per panoramici sentieri. E così molti delle barche si aggregano e loro due a guidarci ad esplorare un’isola piccola ma dalle risorse inaspettate.

La cosa è davvero curiosa: quattordici barche alla fonda tra un corto molo, avvolto dal villaggio di Mathurin, e una cinta di reef che ci protegge. Poi una piccola flottiglia di gommoni si avvicina ad un rimorchiatore che funge da base per scendere a terra e subito si forma un corteo che cicaleggia sino alla stazione dei bus, tutti variopinti e strombazzanti musica reggae. Si sale poi, attraverso ripidissimi tornanti, al villaggio di Mont Lubin e da qui iniziano le varie escursioni, più o meno difficili o lunghe, tutte stupefacenti.

Colpisce la pace e la serenità dei luoghi, la natura verdeggiante si dilata allo sguardo in collinette appena erte sull’orizzonte dell’oceano. Nubi basse spinte dal vento donano vivacità ai colori, dapprima ombrosi poi sgargianti. Non mancano brevi piovaschi. Li vedi arrivare da lontano, tra nuvole basse, più dense e violacee. Poi una cortina di pioggia passa veloce lasciando nell’aria un pulviscolo di vapore che diventa arcobaleno tra barriera e collina…e noi senza parole.

Alfredo ieri ci ha portato, a grande richiesta visto che lui c’era già stato, alla spiaggia della bottiglia, per la forma raccolta tra alte e nere rupi. Il colpo d’occhio è davvero, appunto , stupefacente. Un’acqua cristallina si frange dolcemente su una mini spiaggia bianchissima dopo aver superato di slancio, spinta dall’onda oceanica, il basso reef all’imboccatura, stretta tra due muraglioni di roccia. Si forma così una pozza turchese, brillante al sole che va e viene, giocando dietro le nubi avorio spinte dall’aliseo. Che fare ? Un bagno strepitoso, naturalmente ! Era mesi che sognavo un momento come questo: acqua frizzante, pulita, trasparentissima. Goduria pura. Alfredo si immerge per primo, lo seguo a ruota e faccio infinite bracciate senza respirare. Indimenticabile.

Poi il cammino riprende tra balze, radure, pascoli, e… molte altre storie di mare.

Il soggiorno, splendido qui a Rodrigues, si concluderà, se le previsioni meteo non cambieranno, lunedì o martedì prossimo. Ma la storia non finisce qua.

”Non è necessario che il pittore si occupi di particolari insignificanti, per questo c’è la fotografia, che lo fa molto meglio e più rapidamente. La pittura serve all’artista per esprimere le sue visioni interiori.” H.Matisse


REUNION, Le Port Marina, 24 giugno 2016.

2016-06-30

Abbiamo lasciato Rodrigues, devo dire, non senza rimpianti. Andiamo verso ovest, sempre, e qualcosa lasciamo, sempre, di poppa a est e quest’isola ci ha davvero lasciato bei ricordi: paesaggi di una serenità infinita e una grande nuova amicizia, spero.

Ci consola infatti la speranza di poter ritrovare al nostro ritorno “ On Verra” con Alfredo e Alicia. Se così sarà, avremo una bella compagnia in settembre per costeggiare il Madagascar e proseguire verso il Sud Africa. Ci saranno anche altre barche incontrate prima e dopo questo oceano e altre ne incontreremo tra quelle che scenderanno con la rotta Nord dalle Maldive.

E ora un breve commento al passaggio da Rodrigues a Reunion: sono pur sempre 470 miglia, circa 900 chilometri, di Oceano Indiano. La loro relativa prossimità non deve trarre in inganno, anzi.

Anche se ormai abbiamo imparato la lezione, ovvero non fidarsi unicamente delle previsioni offerte dai GRIB,non è facile azzeccare i tre giorni buoni per la traversata.

Abbiamo dovuto disattendere una prevista ipotesi di partenza per l’incertezza dovuta al persistere di una Alta super attiva. Giorni buoni, comunque, per allungare la permanenza con bellissime escursioni. Poi il 21 è diventato il giorno buono: vento discreto per i primi due giorni e arrivo in forte calo, anche di mare. Naturalmente è tutto relativo perché il discreto potrebbe diventare un 25, 30 nodi con onda sui 4 metri, da evitare possibilmente.

 Bisogna pur sempre far correre la barca e se il vento cala troppo son dolori, e allora potrebbe accadere di smotorare per ore e ore, anche per più di cento miglia.

Il meteo,  per la brevità della finestra, ci è stato favorevole, non disattendendo le previsioni nostre e di Maurizio che, molto benevolmente, ci segue da Ancona con email colme di preziose e circostanziate analisi e informazioni.

In sintesi, siamo partiti veloci con mare formato e arrivati, lenti ma non troppo, con mare così modesto da esser indecoroso per l’Indiano. La cosa più bella è stata la luna: piena, un faro di radiosa luminescenza sulla scia di Eutikia. Il 23 è stato il giorno più bello, non a caso il 23 è il mio numero, tutti i marinai hanno in tasca un pizzico di superstizione e io non sono da meno. Giornata di sole limpido come poche, venticello, e tramonto con un disco di sole che lentamente si è tuffato, sferico perfetto, tra le creste violacee dell’orizzonte, senza nube alcuna. Credo che ricorderemo.

L’arrivo sotto costa a Reunion, all’alba del 24,  è stato da incorniciare. Mentre un brezza insperata da Sud Est gonfiava le vele, pur ridotte, l’alba dipingeva l’orizzonte a poppa tra filari di nuvolette perlacee spinte dall’aliseo. Sulla nostra sinistra, verso prua, ecco apparire la siluette di Reunion. Grigie, allungate nuvolette sostenevano i picchi rosati dell’isola. I suoi massici vulcani raggiungono i 3 mila metri e solo di buon mattino sono scoperti e ben visibili. Poi con il salire del sole tutta l’isola, maestosa, è uscita da un mare appena increspato dall’onda lunga da sud della nuova Alta in arrivo. Ma ormai stavamo girando l’angolo a Nord e alle 12 in punto, dopo 3 giorni e un’ora, esattamente come previsto, siamo entrati in questo curioso Marina tutto raccolto tra alti muraglioni che lo proteggono dalle forti mareggiate. Tuttavia, come ci siamo ormeggiati al finger, di soli 9metri, riservatoci, subito i vicini di barca ci hanno consigliato di rinforzare assai gli ormeggi a causa di possibile forte risacca anche al suo interno. E così ora Eutikia è assicurata come Gulliver al molo. I lavori di sistemazione sono già incominciati, l’Indiano qualche segno a ricordo l’ha pur lasciato. Ma ci torneremo con la prua ancora verso Ovest: un salutone e un grazie  a tutti per averci seguito,  in particolare a Maurizio per l’assidua e preziosa assistenza meteo.

Alcuni dati di sintesi del nostro navigare da Krabi, Thailandia, 8 marzo 2016 a Reunion 24 giugno 2016, solo per chi fosse davvero interessato:

4.400 miglia, qualcosa più di 8 mila chilometri, di cui un migliaio in acque interne, si fa per dire, il resto in mare aperto. 21 sono state le navigazioni sotto luna e stelle.

311 ore motore, circa un terzo dell’intero percorso,  110 ore di generatore, 1.500 litri di dissalatore. Oltre 1.300 litri di nafta.

Più di 30 ancoraggi e quattro soste in Marina e sei formalità di entrata/uscita.

Interventi tecnici solo di normale manutenzione, per fortuna e toccando ferro ;-))

Arrivederci a settembre.. andiamo in vacanza, ai monti!

E ora a nanna, con l’augurio che il prossimo miglio sia quello più bello per tutti !

BUON VENTO

” L’intuizione poetica è afferrare le cose e le personalità insieme, attraverso l’emozione esistenziale” J.Maritain


A bordo di Alfredo, una storia incredibile_1 parte

2016-08-09

~~A bordo di Alfredo, una storia incredibile.
Prima di iniziare a scrivere questo post, e pure i successivi, ci ho pensato un bel po’.
Non so se riuscirò a riassumere con la dovuta fedeltà gli avvenimenti e, soprattutto, le emozioni che in me hanno suscitato le parole di Alfredo, che mi scuserà se in qualche modo ben non ho ricordato o interpretato il suo dire, così coinvolgente ed appassionato e che mi scuserà anche per qualche impertinente indiscrezione, ma sono sicuro che mi capirà.
La situazione in cui mi trovo non è assai diversa da quella, per meglio intenderci con un esempio, di quando ho di fronte una superficie di carta bianca, pronto ad abbozzare    rapidamente un acquerello. Immagini di dipingere qualcosa che in quel momento appare in sintonia con il tuo vedere, poi i colori prendono il sopravvento, si mescolano in combinazioni inattese, sorprendenti, incredibili, appunto. Ne esce qualcosa che forse non rappresenta la tua idea iniziale, ma che ha una sua personalità e che, nella migliore delle ipotesi, riassume le emozioni, grandi e piccole, del momento. Ecco, mi auguro che queste righe siano come i colori di un acquerello che liberano quelle emozioni di un racconto dove l’attributo, incredibile, è un diminuendo rispetto al succedersi in crescendo degli avvenimenti nel racconto di Alfredo. Mi vien da dire che con i colori accade un po’ quello che accade anche nella vita, l’importante è che il risultato ci lasci soddisfatti per le emozioni, i valori e per gli incontri appieno vissuti.
Come detto, vedi post del 18 giugno, incontro Alfredo, per la prima volta, al cancello del porto di Rodrigues. Restiamo entrambi sorpresi, tra tante diverse nazionalità degli altri navigatori, di trovarci due italiani e per giunta veneti, lui infatti abitava a Padova, ma da allora, in verità, tanto di quel mare è passato sotto alla sua chiglia!
Gli chiesi, come spesso accade per meglio conoscerci, come da Padova fosse capitato a Rodrigues, dall’altra parte del mondo, in barca. Mi rispose con un bel sorriso, uno dei suoi, “…beh, la storia è un po’ lunghetta…” e naturalmente incominciò quasi subito, anche perché entrambi eravamo felici di comunicare in italiano, finalmente, e non in altre lingue come siamo sempre costretti.
E così tra una camminata e l’altra, su e giù per i bellissimi panorami dell’isola, oppure nei dopo cena di fronte ad un prosecco, rimasto nascosto in sentina solo per le grandi occasioni, ecco che il racconto prende forma tra un susseguirsi di sorprese, a volte assai tristi a volte divertenti…a posteriori, e gustose risate.
Come spesso accade sono gli amici che, per primi, ti portano al mare e alla vela. E così fu anche per Alfredo, per altro forse dotato di qualche innato e speciale cromosoma di predisposizione all’avventura ed agli spazi liberi. Infatti fin da giovane si era lanciato in sella a rombanti Enduro in competizioni motociclistiche. Il militare, poi, l’aveva fatto come paracadutista volontario lanciandosi questa volta nel vuoto, diventando poi anche istruttore. Da papà aveva assecondato il forte desiderio del figlio nell’amore per i cavalli, gareggiando insieme in tornei internazionali di equitazione con non pochi successi da parte di entrambi.
Gli affari di rappresentante di una nota marca di intimo femminile andavano a gonfie vele e la vita in famiglia scorreva tranquilla ed agiata…sino a quando Alfredo scoperse la vela! Vediamo come.
Dopo le prime uscite con amici, il desiderio di avere una barca propria e di portarla, perché no, anche in regata si fece di giorno in giorno più forte. Durante i suoi giri d’affari non perdeva l’occasione di fermarsi nei marina e così trovò una splendida barca, tutta di legno e apparentemente assai veloce. Insomma, amore a prima vista. La portò a Chioggia e si iscrisse al Trofeo Invernale. Siamo, se non ricordo male, a metà anni ’70, quando pure noi dal Diporto ci portavamo a Chioggia per partecipare a questa impegnativa e simpatica manifestazione, se non altro per gustare, in festosa compagnia, memorabili cene al Gatto Nero. Alfredo trova anche sul molo, si fa per dire, un equipaggio di prim’ordine nelle sorelle Camuffo, allora prime donne al timone per il CNC. Gara dopo gara si piazza sempre benissimo e alla fine vince il trofeo di quell’anno. Alla cerimonia di premiazione arrivano i complimenti di tutti e si festeggia a bordo con gli amici e l’equipaggio. Tra un brindisi e l’altro si avvicina un tale che, su due piedi, gli chiede se è disposto a vendergli la barca. Alfredo resta esterefatto…ma proprio in quel momento! Non sa che dire e che pensare…la barca che l’aveva appena conquistato! Stupito, incrocia lo sguardo delle ragazze che annuiscono d’in tralice. Forse, capisce, con l’ottima offerta verrà una barca più grande e competitiva, nuove regate e nuove vittorie. Alfredo, prende al volo l’occasione, accetta e vende. Poi le cose, i tempi non vanno come immaginato, come pur accade, e Alfredo si ritrova senza barca. Solo per qualche tempo, però!
I giri d’affari naturalmente continuano e così pure le visite ai marina in zona. Ogni occasione è buona per scrutare, cercare e …trovare, finalmente un’altra barca: elegante, slanciata, ben attrezzata e con un buon prezzo. C’è solo un piccolo problema da superare: batte bandiera austriaca e bisogna quindi registrarla in Italia. L’agenzia assicura che in qualche giorno il tutto sarà definito e Alfredo compra. Passa una settimana, due, un mese e la pratica non si conclude. I solleciti sembrano cadere nel nulla. Passano due mesi, tre, al sesto Alfredo decide di risolvere il contratto, anche perché da allora ha passato, sofferente, giorni e giorni senza poter uscire e far vela. Ma ecco che alle minacce le vicende burocratiche si risolvono d’incanto e a bordo arrivano i tanto sospirati documenti. La giornata era stupenda e Alfredo, che non ne poteva più di star legato, fermo in marina, libera le cime ed esce per la prima veleggiata da solo…e quante ne seguiranno!
Sembra un sogno: la brezza è quella giusta, l’aria tersa, la prua solca rapida la superficie appena increspata. Rapido, già scorge i punti ben noti della costa istriana. In prua c’è Parenzo e il pomeriggio è tardo. Perché non passare la notte in porto e gustarsi una cenetta in uno dei tanti e invitanti ristoranti sul molo? Detto, fatto: accosta sperando di non dar nell’occhio alla Milicia, trova un angoletto appartato e ormeggia. Ormai è buio e la cenetta sarà una di quelle indimenticabili. Rientrato a bordo s’infila in cuccetta e, ripensando alla stupenda giornata, fa sogni d’oro. Di buon mattino si sfila dal porto senza dar nell’occhio e riprende il mare verso Caorle. La giornata è frizzante e mentre le vele fremono, decide di testare anche la strumentazione di bordo e accende il VHF sul 16.
C’è un certo traffico nell’etere e pure concitato, pare che stiano cercando qualcuno.
Drizza le orecchie e… per bacco! Gli par di riconoscere il nome della sua barca! Forse non è riuscito a farla franca dopo esser entrato ed uscito illegalmente in Jugoslavia? Non gli resta che rispondere agli appelli, sempre più insistenti. Viene così a sapere che dalla sera precedente Carabinieri, Guardia Costiera, Finanza, e chi più ne ha più ne metta, lo stanno cercando perché allarmati dalla moglie che non l’aveva visto rientrare a Padova. In marina poi il posto era vuoto e nessuno sapeva niente. Alfredo cerca di calmare le acque, di assicurare che non c’è nessun problema, che tutto a bordo fila alla perfezione e che tra poche ore sarà di rientro. Bene, lo aspetteranno al molo. Al tramonto come entra nel Marina vede ben schierata in passerella una nutrita pattuglia di Carabinieri, tutt’altro che sorridenti. La prima richiesta di rito è ovviamente “ Patente e documenti!...sa cosa è costata tutta questa ricerca?”. Alfredo non sa cosa dire e, mentre il maresciallo cerca inutilmente di trovare tra le carte qualcosa che non va, prova a spiegare l’accaduto, tutta la storia delle eterne lungaggini burocratiche, del suo irrefrenabile desiderio di uscire e ovviamente non accenna minimamente alla scappatella a Parenzo. L’atmosfera a poco a poco si accheta, sembra che il Maresciallo si ammorbidisca ai suoi sorrisi e alle accorate scuse. E la cosa, per fortuna, finisce lì. I carabinieri se ne vanno e Alfredo resta sconcertato, ma sereno, seduto in pozzetto ancora incredulo per l’accaduto.
Il giorno dopo sul Gazzettino in cronaca locale campeggiava un bel titolone “ Bastava un gettone! “ e tutta la cronaca a monito dei villeggianti per l’ incipiente stagione nautica …e noi ci siamo fatti una delle tante gustose risate.
Quella giornata però aveva lasciato il segno, se ancora ce ne fosse stato bisogno.
Aveva deciso che quella sarebbe stata la sua vita: libero in barca a vela, per mare con tutti gli orizzonti aperti a prua. In famiglia incominciò a parlarne e a lungo presentò a moglie e figli i suoi progetti. Un bel giorno si decise “ Chi mi ama mi segua!” la mise più o meno così. Si voltò e non trovò nessuno. Che fare ? Lo vedremo con il prossimo post.
 


A bordo di Alfredo, una storia incredibile_2 parte

2016-08-16


Nello scrivere e rivedere il testo sul blog mi riesce difficile non pensare che la lunghezza dei testi possa annoiare ( e il formato minuto dei caratteri non aiuta certo). Ma vi assicuro, che, se ne avrete la pazienza, la storia vi sorprenderà davvero  e vi lascerà increduli, soprattutto negli eventi finali delle parti successive.
Abbiamo lasciato Alfredo al guado: partire, e come ?
Le motivazioni sono fortissime, potrei riassumerle nella maturata volontà di ritrovarsi di fronte a nuovi orizzonti di vita, pur con la consapevolezza di aver già vissuto con pienezza  d’affetti e soddisfazione di lavoro. Quindi non una fuga, non una sfida a se stesso, e neppure un sogno, troppo facile a frantumarsi di fronte alle prime inevitabili difficoltà, ma un nuovo progetto di vita.
E la cosa riparte con una telefonata…anche senza gettone, ma con una bella voce suadente. “ Ciao Nicoletta…partiresti con me in barca a vela per un bel giro, chissà, in giro per il mondo?” Nicoletta è una splendida modella che lavora per la ditta, ma con un deciso carattere, made in Friuli. Non ci vuole molto, l’equipaggio c’è. Ora bisogna trovare la barca, forse meglio un imbarco, anche per fare esperienza. Su una rivista nautica leggono  “cerco coppia per giro del mondo…”, e così, dopo una breve selezione, si ritrovano a bordo di una bella barca, già a far cambusa e a stivare tutto ciò che serve. Lui è un ingegnere che programma ogni minimo dettaglio, una vera mania. Tanto per dire, passano ore a stivare una quantità smisurata di gallette in confezioni sigillate. Sicuramente bastevoli a due giri del mondo senza scalo. Alfredo stupisce, ma si adegua. Apre gli armadietti e il paiolato e trova ovunque gallette, ma?! Qualche sospetto incomincia ad averlo. Presto la barca è piena come un uovo e si parte. La navigazione per raggiungere la Spagna non è tra le più impegnative, ma il clima a bordo non è proprio idilliaco, anche perché in primis non regge l’armonia nella coppia che li ospita. Lei non si può dire che abbia lo spirito marino giusto, lui ci carica le sue ossessioni del tutto sotto controllo e programmato. Insomma la partenza ha una brusca frenata e Alfredo, con Nicoletta, preferisce sbarcare e tornano a casa. Ma quale casa?
La moglie e gli avvocati hanno messo le finanze di Alfredo in seria difficoltà, ma la neo coppia, ritiratasi in un nido d’amore sui colli d’Abano, non desiste affatto. Anzi trovano in Venezuela quella che sembra una buona occasione. Alfredo vola a vederla.
Altro amore a prima vista: solida, di metallo, ben attrezzata, buon prezzo, e con un bel nome “Stewball”. Era il nome di un mitico e invincibile cavallo da corsa nell’Inghilterra di fine ‘700. Tanto famoso che furono composte pure ballate country in suo onore e negli anni ’60 anche il trio Peter, Paul & Mary (quelli che, con Joan Baez, lanciarono con  Blowing in the wind la colonna sonora dei nostri migliori anni) ne cantò le gesta, come simbolo di libertà. Di fronte a tale coincidenza, amante dei cavalli e della nuova libertà, Alfredo interpretò con entusiasmo questo segno del destino e superò di slancio anche le insorgenti difficoltà burocratiche di registrazione. La barca, bandiera venezuelana, non poteva esser intestata a uno straniero. Fece, così, società con il venditore, compiacente, e mantenne la bandiera. Ottima soluzione anche perché ciò gli avrebbe consentito di svolgere qualche attività di charter tra quelle splendide isole, e ne aveva a quel punto proprio bisogno.
Conclusa la pratica, telefonò raggiante a Nicoletta.” Tutto ok mia cara, barca bellissima, abbiamo tutti i Caraibi di fronte a noi, ti aspetto con il primo volo” più o meno le disse così. Risposta”…che bello! Ma prima mi SPOSI ! “ Momento di panico. Stava appena uscendo da una situazione difficile, anche economicamente, e l’idea di ricascarci non gli andava proprio a genio. Neppure le più dolci e compiacenti parole riuscirono a smuovere Nicoletta. Anzi, erano appunto solo parole, e lei desiderava fatti e una sola cosa. “ Spero che tu mi capisca Nicoletta, io devo partire, ho la barca, anche da solo…” “Certo, certo ti capisco, sei però un vero, caro, bastardo! Mandami qualche cartolina…” Tutto finì, ma rimasero grandi amici.
Iniziò così l’avventura del nostro navigatore solitario. Nel modo migliore però. Alle Los Roques trovò infatti lavoro, e per alcuni anni fece spola tra i resorts italiani delle isole e la costa portando turisti e rifornimenti. Poi l’attività subì dei contraccolpi; l’ambiente in Venezuela anche allora non era tra i più facili. E poi, dopo Le San Blas, l’Oceano Pacifico esercitava ormai un’attrazione irresistibile. Per pagarsi il costo del passaggio del canale di Panama lo attraversò, prima, cinque volte come aiuto a bordo di altre barche in transito. Poi finalmente fu libero di metter la prua a ovest verso il mito, verso la Polinesia.
Quello che successe poi negli anni seguenti, molti, passati incrociando di isola in isola e fermandosi a lungo in baie da sogno e presso villaggi d’altri tempi, è assai difficile, per me, da seguire e da ricordare con una certa sequenza temporale. Cercherò di riprendere il racconto di Alfredo per episodi.
Quello del cavallo. Alle Marchesi, le isole più isole della Polinesia, quasi irraggiungibili a tre mila miglia dalle Galapagos, Alfredo trovò il suo habitat naturale. La sua genuina cordialità e disponibilità non tardò a far breccia nel cuore dei nativi, a loro volta sempre molto curiosi e attratti da colui che viene da lontano, dal mare, per giunta da solo.
A Ua Pou, forse la più spettacolare per gli svettanti pinnacoli che ritagliano, tra le nubi e il blu del cielo, uno skyline davvero superbo, Alfredo rimase a lungo. Ricordo che pure noi demmo fondo sotto queste rupi scoscese, rosate guglie di cattedrale al tramonto, e ci gustammo stupefatti un doppio arcobaleno appoggiato sui suoi picchi.
Ebbe subito, con la reciproca comprensione, una buona intesa con un notabile del villaggio, forse il capo, che stava costruendo una piccola farè, un museo dove raccogliere in buon ordine quel poco che restava delle antiche tradizioni, tiki in pietra lavica da lui stesso scolpiti, modellini di piroghe, mazze, strumenti da lavoro, mappe e fotografie. Ci entrammo pure noi, naturalmente senza sapere, allora, che stavamo parlando proprio con colui che era stato grande amico di Alfredo e acquistammo pure un piccolo tiki che spesso Marina sfoggia al collo. E sì, perché alla realizzazione di quel museo Alfredo si dedicò anima e corpo, aiutando tutti i giorni i lavoranti locali e ritornando a bordo alla sera, stanco e ricolmo del loro cibo e frutta. Fu allora che tra il margine del palmeto e l’abitato scorse pascolare un bel gruppetto di cavalli allo stato brado, anzi quasi brado. E quando Alfredo vede un cavallo…e ora la storia. Viene a sapere che i cavalli vengono impiegati, durante l’anno, per un periodo limitato durante i lavori stagionali per la raccolta e gestione della copra, se non ricordo male. Poi vengono liberati e in breve tempo tornano, selvaggi, allo stato brado, come prima. Perché non ammaestrali e impiegarli in attività turistiche per tour all’interno dell’isola? Il capo lo guarda stranito, bisogna catturarne prima almeno uno e poi domarlo, cosa non facile. Ma gli dice che si può fare e che lo aiuterà, anzi gli spiega subito come prenderne uno. La cosa non è delle più semplici: bisogna individuare nella foresta i percorsi abituali della piccola mandria, preparare dei cappi di cima larghi quanto basta per circondare agevolmente il collo dei cavalli, salire di notte su un bell’ albero e appostarsi tra le sue fronde lasciando penzolare il cappio. Di solito l’attesa dura più di una notte, ma intanto da lassù si gode il meglio del cielo stellato dei tropici. Poi, quando meno te lo aspetti, ecco che si avvicina un bel baio, lo senti fremere ed avanzare scalpitando nella notte. Alfredo, immobile con il cuore in gola, lo vede, afferra lesto il largo cappio e …zac, il cavallo ci resta, s’arresta sorpreso, ma ormai Alfredo ha già assicurato la cima. Scende dall’albero e con mille attenzioni, per non impaurirlo e perche’ non si faccia del male strattonando di qua e di là, lo lascia sfogare un po’. Corre dal capo per avvisarlo, anche poiché gli avevano detto che a domarlo ci avrebbero pensato loro…come sapevano.
E infatti arrivano, lesti e in buon numero, con una macchina pickup, anche sorpresi delle inaspettate abilità dimostrate da Alfredo nella cattura. Prendono il cavallo, lo legano sul retro del furgone, salgono tutti al cassone e partono a velocità sostenuta lungo lo sterrato.
Il cavallo, mezzo strozzato, non regge alla corsa, ansima, sbuffa disperato con gli occhi terrorizzati. Alfredo, sorpreso quanto il cavallo, ha un tonfo al cuore. Chiede spiegazioni e capisce che questo pare essere l’unico sistema per fargli perdere le forze e domarlo poi più facilmente. Non gli resta che adeguarsi. Poi il cavallo, esausto, inciampa, cade, e viene trascinato violentemente in un polverone di terra e sassi. Alfredo, non ci vede e non ci sente più, sbatte il palmo della mano sul tetto del furgone “ ARRETEEE!!!” urla “FERMA, FERMAAA !!! Lo guardano esterrefatti e lui, più di loro, guarda esterrefatto il povero cavallo, rantolante sul sentiero. Scende, lo libera, gli sussurra qualcosa, lo accarezza e la povera bestia sanguinante cerca di rialzarsi. Ora è di nuovo, tremante, sulle quattro zampe e osserva terrorizzato Alfredo. La tensione lentamente si placa e Alfredo dice loro che ci penserà lui a domarlo e a montarlo, con un sistema ben diverso. Gli da’ da bere e si avvia lentamente con il cavallo che si regge appena. Passano i giorni e tra i due, con il rispetto e la cura, torna l’equilibrio. Il cavallo accetta il pasto, si fa accudire da mani docili e sapienti, va al passo. Alfredo nota altresì che i suoi amici del villaggio lo tengono sott’occhio, lo scrutano nascosti tra le fronde e ironizzano sulle sue maniere, certi che al primo tentativo verrà brutalmente disarcionato. Il cavallo, magnifico dopo aver recuperato energie e sicurezza, risponde pronto alle sue attenzioni. Si avvicina il giorno in cui dovrà provare a montarlo e sempre con quelli che se la ridono di nascosto. Ora è tutto pronto, è una questione di sensibilità e Alfredo percepisce che il giorno è quello giusto. Lo porta sulla spiaggia, anche perché più morbida, non si sa mai!
Immaginate la scena tante volte dipinta da Paul Gauguin proprio alle Marchesi: la brezza dell’aliseo spettina il palmeto, il biancore della sabbia corallina, i riflessi cangianti del blu mentre l’onda frange e si ritira. Un uomo, un cavallo. Una carezza lungo il muso, docile. Si guardano, un’intesa primordiale, “Non mi fregare gli sussurra...ridono di noi” e.. Alfredo è già su. Ancora un fremito, qualche scarto, ma è saldo in sella. E laggiù, semi nascosto tra le fronde, qualcuno non ride più.
Segue dalle Marchesi con altre storie: la prima divertente, la seconda nel mito.


A bordo di Alfredo, una storia incredibile_3 parte

2016-08-20


Avevamo lasciato Alfredo alle prese con i suoi amati cavalli. Ora una storia piuttosto divertente. I giorni a Ua Pou passano in un’atmosfera serena e tranquilla, immersi nei profumi dei mille fiori e nella luce cristallina riverberata dal turchese della baia. Un bel giorno, Alfredo, che ormai partecipa con naturale predisposizione alla vita del villaggio, scende alla baia con un nativo e con un amico italiano dotato di fucile (ben noto ed esperto navigatore che il nostro aveva incontrato nei primi giorni dell’arrivo a Fatu Hiva) per accompagnarli ad una battuta di caccia nei pressi di una baia, non lontana, ove cinghiali selvatici ruzzolano nascosti nella verzura, così per lo meno gli sembrava di aver capito dal polinesiano.

Però c’era un terzo incomodo: un bel maiale, tutto roseo! Arrivati alla spiaggia, bisogna lanciare la piroga a bilanciere tra le onde frangenti. Il rito è sempre lo stesso: contano sino alla settima onda e poi via di corsa tutti a spingere verso il largo, con il maiale strattonato che annaspa grugnando impaurito. Saltano a bordo, piazzano al centro il maiale, e pagaiano rapidi per togliersi dalla risacca.
In men che non si dica raggiungono e superano un nero capo che divide due ampie baie lambite da splendide bianche spiagge. Alfredo è della compagnia solo per curiosità, non molto attratto dalla caccia. Ormai è chiaro che il polinesiano vorrebbe far scendere l’amico, per cacciare, e il maiale, per farlo pascolare, sulla spiaggia.
Si avvicinano ma l’onda di risacca è forte e solo l’amico, con qualche difficoltà, riesce a raggiungere la riva. Alfredo guarda il polinesiano, e il maiale? “ pas de problème..” aspetta è vedrai. Qualche buona pagaiata e raggiungono lo sperone di roccia che divideva le baie.
Il nero lavico degli scogli penetrava e si confondeva nel verde smeraldo di un prato verde sovrastante, a poggio sul mare frangente. Quando sono a pochi metri dalla sponda, rollando nella risacca, il polinesiano guarda Alfredo e Alfredo, assai curioso di capire come farà a portare il maiale sul verde, il polinesiano. Tra i due il dialogo più che in un francese elementare, è a gesti. Il nativo si sbraccia e fa capire ad Alfredo di buttarsi in acqua e di  sospingere a riva il fardello rosatello.

Da non credere! ”Dovrei essere io, a nuoto, a spingere a terra il maiale?” “Sì, sì proprio così. Buttati !... pas de probleme!” Alfredo, anima gentile e ottimo nuotatore, si adegua e si tuffa. Come emerge si ritrova muso a muso con il maiale che gli sbuffa in faccia e strilla disperato. Sono come all’interno di un ring, tra il bilanciere,  la canoa e i giunti. Il cochon scalcia con i zamponi cercando di galleggiare in uno spumeggiare d’onde.
Alfredo sale e scende, nuota, si allontana e si avvicina cercando di capire come potrebbe risolvere la situazione. Intanto il polinesiano urla consigli incomprensibili.
Alfredo, in un momento di requie cerca di afferrare frontalmente il collo della bestia per spingerlo sotto e oltre il bilanciere, ma è violentemente colpito al petto dagli zoccoli. Un dolore lancinante, un bruciore lo bloccano, ma per fortuna vede subito che si tratta solo di una ferita superficiale. Guarda il polinesiano come per dire…ma niente da fare, altre urla e altri incitamenti a proseguire. La canoa ondeggia, il bilanciere si alza ed Alfredo trova il tempo giusto per spingere fuori il maialotto. Ormai, spinti dalle onde, sono prossimi agli scogli. Se prima dalla canoa l’impresa sembrava impossibile, ora appare disperata. Il maiale quasi affoga ma galleggia, ansima e scalcia disperato. Alfredo intravede un mezzo gradino, più basso, dove forse aggrapparsi e spingere la bestia a terra. Si avvicina per meglio girarlo e …spata flash! Questo gli vomita sul viso tutta l’acqua che aveva bevuto. Alfredo mezzo accecato e schifato resta paralizzato, mentre le urla del polinesiano non cessano di punzecchiarlo. Ma ormai il maiale ha perso le sue forze migliori e con l’aiuto di un’onda Alfredo lo gira, lo spinge dalle viscide terga e lo sbalza sul gradino. La bestia vede la salvezza vicina e con uno sforzo disperato si aggrappa con le anteriori, trascina il corpo all’asciutto e, finalmente libero, trotterella via roteando il codino. Alfredo, stremato riesce a risalire sulla canoa, guarda negli occhi, scuri e brillanti come perle nere, il polinesiano”…te l’avevo detto che non c’era problema!”


Da quel giorno quando Alfredo passeggia per il villaggio e incontra gli amici “ Alèèè, Alfredo, comment ca va avec le cochon? “ e giù a ridere.
Ormai Alfredo è uno di loro, anzi rispettato e stimato come un padre, e “père” infatti lo chiamano i più piccoli che non perdono mai l’occasione di rispondere con allegria ai suoi inviti a giocare.
Passano così i giorni più lieti alle Marchesi, isole selvagge e dalle forti tradizioni. Una di queste, sin dai primi tempi dell’occupazione francese, è la ricorrenza del 14 luglio, festa nazionale in ricordo della presa della Bastiglia. E’ sarà il secondo e ultimo episodio di questo post.


I capi villaggio delle isole si accordano per allestire, ciascuno, una grande piroga e far vela in regata sino alla grande baia di Taiohae a Nuku-Hiva, proprio di fronte a Ua Pou, verso nord. I tempi però sono molto stretti e molti villaggi non hanno già una piroga all’altezza.
A Ua Pou il capo riunisce tutto il villaggio. Neppure loro hanno una canoa e dovranno realizzarla in tempi brevissimi. E Alfredo darà pure lui una mano, anzi assai più che una mano.
Prima cosa bisogna partire da un bel tronco d’albero. E già, bisogna andare in montagna, trovarlo, tagliarlo, sfrondarlo, trascinarlo a valle e incavarlo. Poi ci sarà l’allestimento.
Per fortuna un vecchio del villaggio, occhio buono e tanta esperienza, indica, nel suo terreno ai piedi del picco della montagna più alta, un bel fusto di koa, perfettamente dritto. Viene abbattuto e con gran fatica spinto a valle. Ne ricavano un tronco di circa 12 metri che dovrà esser sagomato e scavato. Giorno e notte gli abitanti si alternano alle asce e alle taglienti zappe.
Alfredo torna a bordo ogni sera stremato, ma il lavoro procede ad un buon ritmo anche se la data è sempre più prossima. Presto la piroga prende la sua bella sagoma slanciata e la gente raddoppia gli sforzi. Finalmente è pronta, bellissima,lucida, tutta ornata e scolpita con i suoi tiki sacri a prua e a poppa. Le vele variopinte sono cucite e le manovre ben dimensionate. Ora bisogna spingerla in acqua e non c’è neppure il tempo per provarla.
Solo all’ultimo momento, anzi, si trova una grossa moto barca per trascinarla via dalla spiaggia.
Quel mattino tutto il villaggio è pronto per il varo. Ma la moto barca non arriva e la regata partirà tra poche ore. Tutti scrutano con ansia verso la punta del capo sperando di scorgerne la nera sagoma. Niente. Dopo tanta fatica rischiano di non poter partecipare alla festa, e che figura! Il capo del villaggio va da Alfredo”..tu hai una barca a vela con motore, sei la nostra salvezza” Alfredo capisce che la situazione è davvero drammatica e, anche se teme di non farcela a trascinare dalla spiaggia una piroga così pesante, balza di corsa a bordo e stende con l’aiuto di altri le cime per il traino pronte da terra. Manca solo il via, quando un forte brusio e grida di giubilo si levano da terra. E’ apparsa la motobarca tanto attesa! Alfredo tira un sospiro, ben comprensibile, di sollievo e aiuta per il nuovo traino.
Tra le urla festose della gente la piroga, ora con tutto l’equipaggio ben vestito, anzi quasi nudo, con tatuaggi luccicanti al sole e decori d’ossa e fiori intrecciati, prende il largo.
Le vele si alzano. Convergono verso le altre piroghe in arrivo e poco dopo è data la partenza. Sfilano sotto costa, verso il braccio di mare che separa Ua Pou da Nuku-Hiva, e prendono, libero, l’aliseo a vele spiegate. Immagine d’altri tempi cui, in altre circostanze e anni dopo, ebbi la fortuna di assistere pure io a Raiatea.
La gente dalla spiaggia si sbraccia e saluta festante. Molti cercano di seguire con altre canoe, ma è Alfredo che fa il pieno con gli amici più prossimi. Mamme vestite a festa, bambini, giovinette e robusti ragazzotti, in buon numero si assiepano a bordo di Stewball.
A bordo non ci si può più muovere, stipati da poppa a prua. La barca prende il largo tra canti e le onde lunghe dell’oceano, e per fortuna non c’è tanto vento. Ma nel breve è subito chiaro che anche i polinesiani, popolo del mare, mal sopportano il rollio e il mal di mare. Tutto s’accheta e Alfredo spinge il motore per accelerare i tempi. Entrano nella grande baia e tutti saltano a terra gioiosi, dimentichi di ogni malessere. E che la festa abbia inizio!


Vista da terra, ben lo ricordiamo dacché vi ancorammo per diversi giorni rollando come non mai, la baia offre una vista superba. Circondata da alte montagne, smeraldine e spesso brumose di basse nuvole, si espande per poi appena richiudersi all’entrata con due neri aguzzi promontori. La sponda del villaggio è verdeggiante di prati, profumati alberi di tiarè, bouganville variopinte, alti palmizi avvolgono antiche rovine e lasciano spazio ai terrapieni per le danze e per i festeggiamenti sino alla spiaggia, sino al morbido frangersi di risacca. Sotto fondo musicale che natura meglio non poteva offrire alla festa.
Oramai il sole è tramontato. Le ultime luci illuminano i volti del popolo marchesano astante la riva, in attesa di veder spuntare all’orizzonte la vela del vincitore. L’ultima bava di vento s’insinua nella baia e fa tremolare le fiamme di torce e bracieri.
Un fremito, un crescente mormorio “  Qualcosa…laggiù, vicino alle Sentinelle (così chiamano i neri aguzzi promontori all’entrata), laggiù, qualcosa si muove!“ Sono loro, sono loro ! Chi sarà il primo?
Le vele quasi flosce riverberano gli ultimi riflessi violacei dell’oceano. Avanzano lentamente, ma ora più veloci, sempre più veloci: scure ombre percuotono a ritmo incalzante la superficie immobile, le pagaie s’infilano nel ramato liquido accompagnate dall’incalzante, esortante rullo dei tamburi. Le piroghe si aprono a raggiera quasi a voler abbracciare tutta la spiaggia ed il popolo acclamante che non smette di danzare e cantare.
La festa è al suo acme. Non si sa chi sia arrivato primo, hanno vinto tutti e tutti continuano a danzare e cantare, cantare e danzare presi da un vortice primordiale, sotto i raggi della luna. …Alfredo racconta e ci vengono i brividi.
E non è finita !...l’andar per mare, il mare ci riserva sempre, giorno per giorno, sorprese ma è l’uomo che ne interpreta i valori più autentici.


Ricordo che su questo link https://www.youtube.com/user/eutikia1 ci sono i filmati sul passaggio del Sud Pacifico. In particolare questo https://www.youtube.com/watch?v=fQ6SZ0EtFDg  è dedicato alla traversata dalle Galapagos e alla nostra visita delle Marchesi, isole davvero splendide, forse le più affascinanti tra quelle da noi toccate.
Suggerisco di non usare IPad, e relative App,  perché di non facile visualizzazione, in particolare l’app You Tube non visualizza il filmato (??), mentre su PC/MAC tutto gira perfettamente.

 


A bordo di Alfredo, una storia incredibile…se accade quello che non ti aspetti.

2016-08-25


  4 ultima parte.
E’ lunghetta assai, ma non me la sono sentita di accorciare perché il succedersi degli avvenimenti è davvero sorprendente ed avrei compromesso l’avvincente emozione del racconto. Buona, paziente, lettura.
Anche alle Marchesi la libertà del mare, visto da Alfredo brillare oltre le palme e frangersi sulle nere rupi scontornate d’accecanti lingue di sabbia, suscita un richiamo irresistibile.
E’ ora di ripartire. Davvero cosa non facile, gli addii sui moli sono sempre da evitare.
Tutto il villaggio si raccoglie sulla spiaggia per salutare l’uomo solo venuto dal mare, uno di loro ormai, sicuri che un giorno tornerà, così cantano da sempre e così sarà. Na Na, Alfredo, ci rivedremo.
Posso solo immaginare il groppo alla gola, il peso di quella catena, salire metro per metro, la drizza in tensione per issare le vele, il primo refolo oltre i picchi, il gonfiarsi delle vele al fresco aliseo, il dissolversi delle isole di poppa. Ma il miglio migliore è sempre quello che “verrà”…non a caso,come vedremo.
Sulle tante rotte di Alfredo, in lungo e in largo, attraverso tutto il Sud Pacifico non mi soffermerò, lascio a voi il desiderio di intuirle, un giorno se vorrete, cercando in questo immenso blu puntini quasi invisibili e cercando approdi dove non sai quale sia il mito e quale la realtà.


Ora l’Oriente è già sfilato di poppa e Stewball sta attraversando l’Oceano Indiano, prua sulle Chagos. Un arcipelago desolato e splendido, quasi irraggiungibile. Per andarci, oggi, bisogna avere una speciale autorizzazione e una particolare assicurazione. Il tutto costa un tot e la permanenza è limitata a meno di un mese. A quel tempo c’erano meno restrizioni, l’unico problema era che, come oggi, per proseguire verso ovest non si può scendere, se non con una pesante bolina, verso Mauritius o Réunion. Quindi rotta più larga, quasi obbligata verso le Seychelles e poi verso il Madagascar.
Il basso profilo dell’atollo, con l’unica entrata e con l’unico ancoraggio, appare linea fragile e corrotta agli occhi stanchi e ansiosi di Alfredo. Gli atterraggi vanno sempre maneggiati con cura, molta cura, soprattutto quando non sai come saranno la pass, le correnti, l’allineamento. E Alfredo ha un problema in più: il motore non ne vuol sapere di partire!
A poco giova il conforto e l’assistenza spirituale di un altro solitario con il quale sta compiendo la traversata. Sono due barche, ma con quelle onde è impensabile neppure avvicinarsi e per radio i suggerimenti risultano inefficaci. Non resta che entrare a vela, troppo stanco per proseguire e poi è venuto sino a qua…ma forse una soluzione, un aiuto c’è. Afferra la radio VHF è chiama, qualcuno alla fonda pur ci sarà. Nulla. Riprova, con calma, scandisce le parole ed …ecco risponde una vocina di donna, ma sicura e confidente nella comunicazione, in perfetto inglese. Capisce al volo la situazione, qualcosa aveva già sentito sul VHF sempre acceso e sta già pensando a come intervenire. In pochi minuti organizza un traino e Alfredo si ritrova ben presto tra amici e con l’ancora che scende nell’azzurro trasparente a ridosso del reef . “ Ciao sono Alfredo non so come ringraziarti e ….” e resta abbagliato da un viso dolce contornato da riccioli biondi, due occhi più azzurri della laguna. Alicia lo invita a salire e con Daniel, il suo compagno, lo accolgono a braccia aperte.
Le giornate, sotto i batuffoli nuvolosi che scorrono veloci nel cielo ceruleo oltre l’ombra del palmeto, passano piene. A pesca tra i coralli della pass, raccogliendo conchiglie calcinate al sole, a girare grigliate con gli amici nella cornice di tramonti infuocati. Ma c’è qualcosa di più. La cosa prima passa inosservata, naturale. Un uomo solo, in mezzo al mare, trova sempre, quasi sempre, una facile e accogliente sponda nelle barche alla fonda. Ma su queste, qualche binocolo spunta curioso ad osservare l’andirivieni tra le due barche e gli incontri sempre più frequenti tra Alfredo e Alicia. Non si sa chi per primo porse la mela in questo Paradiso in terra, anzi in mare, mi è parso di capire però che le mele fossero due. Quel che si dice, un colpo di fulmine.
A Daniel non restò che accettare, con molta dignità e rispetto, le scelte di Alicia. Rimase solo, con il loro gattino, sulla barca, On Verra (si vedrà), con la quale avevano tanto sognato. E con Alicia, Alfredo riprese la via verso ovest. Non soli però. Daniel, non valente in navigazione come Alicia, aveva bisogno comunque di assistenza e navigarono così di conserva sino in Africa. Fu però subito chiaro che lui, da solo, non ce l’avrebbe mai fatta a proseguire e così Alicia tornò a bordo di On Verra per aiutare il suo ex compagno sino a Città del Capo.


La costa est del Sud Africa, non tra le più accoglienti, non agevola certo i solitari e anche Alfredo si trovò in serie difficoltà. Un giorno, a poche miglia dall’entrata di Durban, Stewball scendeva velocissimo con corrente e forte vento a favore con Alfredo al timone, stremato e …addormentato. Quando si svegliò di soprassalto, s’accorse di aver perso l’entrata. Tornare indietro, impensabile, anche perché di nuovo il motore non ne voleva sapere di partire! Di nuovo Alicia, già al sicuro dentro al porto, rispose alle sue chiamate disperate. Nelle prossime ore, per giunta, sarebbe arrivato un profondo fronte da sud e mare assai grosso. Fu subito allertata l’organizzazione di volontari per il recupero a mare e una grossa lancia d’altura raggiunse Alfredo che aveva già preparato le cime di traino. Fu subito chiaro però che il traino sarebbe stato con le lunghe bretelle predisposte sapientemente a poppa dai volontari, ben avvezzi a tali emergenze. Si accostarono con vera maestria e sporsero con le mani, da non credere, i capi ad Alfredo che gli afferrò all’istante e assicurò ai bittoni di prua. Stewball partì surfando sulle onde ad una veloctà paurosa, con Alfredo attonito al timone. Per fortuna fu possibile far ridurre la velocità ed entrare in porto senza danni. Alfredo e Alicia, di nuovo, l’uno nella braccia dell’altro.
Arrivati a Città del Capo, Daniel trovò un aiuto per riportare On Verra verso la costa statunitense dalla quale erano partiti carichi di sogni e pronti ad ogni avventura. Alicia invece, che destino, tornò a bordo di Stewball  per proseguire e risalire l’Atlantico del Sud con Alfredo. In vero navigarono ancora di conserva sino ad Ascension, poi le rotte si divaricarono definitivamente.


Raggiunto il Brasile Alicia e Alfredo trovarono un po’ di tranquillità e curiosarono un po’ qua e un po’ là. Alicia, per carattere, non sta ferma un minuto: programma, cammina per giornate, esplora, insomma una vera macchinetta a molla.
Ma bisogna continuare la risalita e Stewball riparte verso i Caraibi, verso Trinidad. La giornata è splendida, il mare tranquillo, la costa è appena sfilata a sinistra, le vele sono piene. Sono quelle situazioni piacevoli in cui ti fai portare dalla barca, unico suono il gorgoglio a prua, mentre ogni pensiero scivola via….stuuuund, cccrash…un rumore spaventoso, un botto terribile e la barca si blocca, violentemente scossa dalla chiglia all’albero. Alfredo, proiettato in avanti, resta scioccato, sono finiti su un reef, e la velocità ha aggravato l’impatto. Non fa in tempo a pensare come tutto ciò sia stato possibile che Stewball incomincia ad inclinarsi e ad affondare, imbarca molta acqua da uno squarcio a prua. Anche l’acciaio nulla può contro gli affilati bordi della scogliera, invisibile sotto al pelo dell’acqua. Alicia, che riposava in cuccetta, schizza fuori, per fortuna illesa. Raccolgono affannosamente tutto ciò che di utile si trova a portata di mano. Devono abbandonare la barca e sono a diverse miglia dalla costa. Alfredo si immerge più volte e trova i documenti in cabina. Di Stewball non resta che parte dell’albero fuori dall’acqua. E’ appoggiato sul fondale roccioso della secca di
 Baixo de Maracajau, vedi foto .

Trovano il piccolo gommone, quello di riserva, che però nella concitazione sfugge loro dalle mani. Sono soli in acqua, in mezzo al mare! Non resta che nuotare in direzione della costa. Sono entrambi ottimi nuotatori e per fortuna, poco dopo, intravedono una piccola piattaforma di quelle in uso dai sub della zona, come base appoggio.
 E’ la salvezza. E’ successo tutto così in fretta, in pochissimi minuti i sogni di due vite si sono inesorabilmente infranti. Non resta che aspettare d’esser visti da qualcuno. Alfredo è affranto, è consapevole del suo errore, non ha ben osservato le carte, seguito la rotta. Forse una trascuratezza, un calo di tensione, proprio a lui ! Aveva promesso tutto ad Alicia, altro non aveva se non la barca e il suo amore. E ora..? Stewball rappresentava il loro futuro, sintesi di ogni progetto, guscio delle più forti e vive emozioni. Ora tutto era inghiottito dal mare. Un groviglio tra cupi pensieri e  profonda tristezza attraversa la mente di Alfredo. “ Guarda laggiù sta arrivando qualcuno”. Sono pescatori con una piccola canoa e si danno molto da fare per accoglierli. Con fatica e lentamente procedono verso la costa quando sono raggiunti da un motoscafo diving del posto. Ben presto rimettono piedi a terra e trovano conforto e aiuto presso lo stesso proprietario del club di immersioni. E’ un giovane assai premuroso, capisce, si fa in quattro per far superar loro l’angoscia del primo impatto. Li rassicura, la barca tornerà a galleggiare, ci penserà lui, tutto è possibile. Ma prima di tutto bisogna ritornare a bordo e recuperare tutto ciò che viene via. Altrimenti ci sarà chi ruberà tutto e non resterà nulla. E così Alfredo e Alicia ritornano sul luogo del naufragio e , via via, con l’aiuto professionale dei sub raccolgono tutta l’attrezzatura di valore. Se non altro potranno rivenderla e recuperare qualche soldino, di cui a questo punto, dopo aver perso tutto, hanno davvero bisogno.


Che fare ora? Aspettare un’eventuale recupero è impensabile, e poi il crak psicologico è stato troppo forte: Stewbal non c’è, e non ci sarà più. Bisogna, per sopravvivere, guardare oltre. Anzi all’insistenza dell’amico che non smette di offrirsi per recuperare la barca, naturalmente senza costi per loro, Alfredo risponde che, se un giorno riuscirà a riportarla a far vela, sarà sua e gli consegna un foglio per garantirgli un’eventuale proprietà in caso che…
Il luogo da cui ripartire, in fondo, è quello a cui erano diretti: Trinidad.
Per fortuna trovano un passaggio a bordo di un amico argentino, Gugliermo, e con il suo Galatea raggiungono l’isola. Alfredo si da subito da fare per trovar lavoro e le banchine dei marina offrono sempre qualche buona opportunità. Così, come a Caorle allora, anche oggi si sofferma ad osservare le barche più belle, quelle più a adatte a solcare i mari, barche che da queste parti abbondano. Passa sotto bordo a un bel Hallberg Rassy 49 e scorge appena di poppa il tricolore. Prosegue, ma la curiosità lo fa ritornare sui suoi passi, tock..tock sulla coperta, come si fa di solito, e appare, imponente, un bel uomo, distinto, barba e capelli folti, abbronzatissimo.
“ Scusi. Lei è italiano…forse?”” Siciliano, sono!...Sali che prendiamo u caffè!” Con l’aroma della bevanda e con la calorosa inaspettata accoglienza, Alfredo trova un nuovo amico, Filippo. Il nome naturalmente, ancora una volta appare subito come una singolare e ben augurante coincidenza: Filippo, in greco, significa amante dei cavalli. Ma, che sia un caso?
E come sempre accade, le domande, le curiosità subito s’intrecciano e Alfredo racconta.
Filippo di fronte a questa tragica storia, dove la perdita di una barca ha spezzato i sogni di due vite, resta attonito. Ascolta impressionato, in silenzio. Poi prende il cellulare “ Hellooo! Senta per il trasferimento della mia barca avrà a bordo una coppia di amici e dividerà con loro il compenso” dice più o meno così. Alfredo lo osserva sbigottito.  Cosa? Ma nooo, ma come, io…? Ma perché? Naturalmente il professionista dall’altra parte risponde picche. Ma come? l’affare è loro e hanno già fissato la data della partenza per l’Italia. Filippo guarda Alfredo e sottovoce “ Te la sentiresti di portare questa barca, con Alicia, sino a Palermo?”
Alfredo non crede alla proprie orecchie, in pochi minuti sta succedendo di tutto. Beh, si, certo, noi...Non finisce di borbottare che “…ok, ok tenetevi l’anticipo, fatemi sapere delle spese, arrivederci e grazie” Alfredo confuso, con il cuore in gola “ Ma come proprio a me, ho appena portato la mia barca sugli scogli…!” Filippo lo rassicura, ”…è un bel motivo per cui non abbia a ripetersi, ti pare?” e gli offre le stesse condizioni praticate al professionista. …e Alfredo trova, ancora una volta, qualcuno che lo sorregge con celeste soccorso,…Filippo di cognome fa Arcangeli, che sia un caso?
Fu così che attraversarono l’Atlantico sino a Palermo, dove Filippo era presidente del marina. Non senza problemi però. Il timone automatico non ne voleva sapere di funzionare. Tornarono indietro per sostituirlo. Niente da fare. Da metà Atlantico usarono braccia e mani e qualche frenello. Alle Azzorre nuove riparazioni, ma con scarsi risultati. Fu solo a Palermo che l’ingegno italico risolse con una piccola diavoleria elettronica.
La traversata, comunque, fu vissuta dai soci del marina come un’impresa epica e Filippo li accolse con il tappeto rosso e cene di gala a non finire. Tutti volevano sapere tutto. Alla fine Filippo offerse pure loro di utilizzare la barca per riprendere il mare e per guadagnarci con il charter, in attesa di trovare un compratore. Lui infatti ne aveva ordinata una di nuova, più grande. Ma pur ringraziando per la fin troppo grande generosità, sarebbe stato comunque improbabile poter programmare qualcosa senza la certezza dei tempi.


Le fantastiche giornate siciliane finirono e si pensò di far un salto a Genova, al Salone della Nautica, per veder barche e per  incontrar vecchie e nuove conoscenze. Ancora una volta il destino si ripresentò. Amedeo (il primo italiano ad aver partecipato come skipper alla Global Challenge che si corre attorno al mondo contro vento, da est ad ovest) saputo dell’incredibile disavventura, offerse loro la sua barca. Lui era troppo impegnato con altri progetti e Sorrentilla si trovava a marcire sotto il cocente sole dei Caraibi a Cartagena, in Columbia. Potevano prenderla e usarla come meglio aggradava loro. Da non credere. Partirono subito e dopo giornate di durissimo lavoro sotto la canicola, Sorrentilla fu rimessa a nuovo. Finalmente ancora liberi e con un lavoro redditizio. E per dire quanto il mondo sia piccolo, alle San Blas, vicino a Panama, ritrovarono Filippo: giornate indimenticabili di pesca insieme, di serate sotto le stelle in pozzetto con gli amici italiani, una vera colonia, come ricordo, da quelle parti. Gli affari andavano discretamente e il sogno di riprendere il grande viaggio con Alicia, con una loro barca, stava riprendendo forma.


Un bel giorno ricevono una lettera. E’ Daniel che scrive. “Cara Alicia, ho saputo solo in questi giorni di quello che vi è successo - diceva più o meno così – posso solo intuire il dolore, lo sconforto dopo una tragedia come quella di aver perso con la barca il vostro grande sogno. Come sai, ti ho seguito, allora, per amore. La vela, il mare non erano forse per me, ma erano la tua vita e io desideravo condividere i tuoi sogni con On Verra. Ora tu e Alfredo siete senza barca, ne’ avete la possibilità di comprarne un’altra, e quindi sono ben lieto di donarvela per continuare la vostra storia….e che possiate ritrovare tutta quella felicità che avete smarrito. With love Daniel.”
Lessero e rilessero quella lettera, parola per parola, più volte. Frastornati per tanto affettuoso e incredibile altruismo, risposero…certo che sì, sarebbero venuti a prenderla prestissimo. Alicia sarebbe ritornata sulla sua barca con Alfredo. Il sogno era di nuovo realtà, grazie a Daniel.
Riportarono Sorrentilla a Cartagena e ripartirono subito per gli Stati Uniti dove si trovava On Verra. Tutto quello, che in così poco tempo era loro accaduto, aveva però lasciato il segno nei loro sentimenti e nel fisico. Avevano la consapevolezza che il destino aveva riservato loro prove assai difficili, ma anche la fortuna di aver trovato l’altrui aiuto, sempre. Avevano bisogno di riflettere, di una parentesi, d’ altro.
 E Alicia, quando si tratta di prender qualche iniziativa, non si tira indietro mai, anzi, è la prima! Decidono così di percorrere il  Pacific Crest National Scenic Trail, più di 4.200 chilometri a piedi, dal Messico al Canada lungo la costa ovest US ! Mentre Alfredo mi raccontava i mille accidenti di questo percorso, ogni giorno 30 chilometri così tanto per dire, lo guardavo incredulo, sbigottito, con la bocca aperta. E non è finita. Rientrati prendono la bici e si fanno il tour  degli Stati Uniti. Rientrati, ripartono, di nuovo a piedi, dal Messico alle montagne americane del nord. Alfredo, tanto per cambiare, ritrova durante questi viaggi i suoi amati cavalli. Hanno occasione di fermarsi in un vero ranch e aiuta, vero cowboy, a governare mandrie da centinaia di capi per le vaste pianure del west. Che dire? Non ho più parole!...e voi?


Stanchi, ma rinnovati, vanno a New York e dopo aver ringraziato, tutti commossi alle lacrime, il caro Daniel, riprendono il mare con On Verra, rotta per sud.
Nel frattempo ricevono anche una lettera dal loro amico brasiliano: Stewball è tornato e naviga! La pur fantastica notizia non cambia i loro programmi. Ormai quello è il passato, nuove mani avranno cura di lui. Lo ringraziano e gli augurano di rivivere con la barca i loro sogni.
E ora stringo un po’, dimenticando sicuramente qualcosa. Solo per dire come poi abbiano visitato ogni anfratto della Patagonia, abbiano riattraversato il Sud Pacifico dalla Nuova Zelanda alla costa Cilena passando a latitudini assai basse, 40 sud, per una barca così piccola. Abbiano calato l’ancora nella baia del Bounty a Pitcarin. E siano ritornati dagli amici delle Marchesi a Ua Pou. Abbiano riattraversato Pacifico e Indiano, e siano ora a Reunion: On Verra accanto ad Eutikia.
Alfredo mi guarda e sorride, mentre Alicia gli si stringe gioiosa al fianco “ …e sì, Gianni, posso proprio dire di aver vissuto due volte, e che il più bel dono è l’amore di Alicia e il  generoso altruismo delle persone magnifiche che abbiamo incontrato, che cercherò  sempre di ricambiare !”…e non è finita qua.

“…nei limiti in cui la scrittura può esprimere l'arte del vivere” T.E.Lawrence.


Verso Città del Capo. Venezia 2 settembre 2016

2016-09-02


La ROTTA
Dopo la tratta più lunga del passaggio dell’Oceano Indiano, da Giacarta a Reunion, 2.500 miglia circa (da aggiungere alle 1.000 dalla Thailandia a Giacarta), ora dobbiamo terminare il lavoro, altre 3.000 miglia da Réunion a Città del Capo. Un bel lavoretto!
Per ora stiamo facendo i compiti per casa. Ovvero raccogliendo la solita paccata di pezzi di ricambio, un po’ di manutenzione preventiva per noi stessi, e studiando ogni possibile alternativa, rotte e ancoraggi, per raggiungere Città del Capo, nostra meta prima di Natale, da passare se possibile, a casa.
La premessa, ormai ben nota, è che questa rotta si deve al fatto che non è stato possibile rientrare nel Mediterraneo per il Mar Rosso, persistente area di guerra e pirateria. Ergo bisogna scendere di latitudine verso il Capo e poi risalire l’Atlantico verso o i Caraibi o le Azzorre. Ma questa sarà un’altra storia.
Ovviamente questa direttrice è stata affrontata da molti velieri prima di noi, sin dai tempi della scoperta della rotta delle Indie da parte del portoghese Bartolomeo Diaz nel 1487. Per una vela che incroci questi mari, i problemi di allora sono assolutamente gli stessi di oggi. Noi però siamo avvantaggiati dalle esperienze, anche recentissime, di coloro che hanno pubblicato su internet la storia dei loro passaggi, e dalle tecnologie della comunicazione che ci consentono di esser aggiornati sul meteo.
La pianificazione della tratta da Réunion a Città del Capo resta però tutt’oggi un vero dilemma per chi, come noi, deve proseguire da Est verso Ovest.
Il perché, in sintesi, è presto detto.


Vento. Non siamo più ai tropici, più si scende e meno aliseo c’è. Anzi prevalgono decisamente i venti prodotti dal progredire veloce delle Alte e delle Base da ovest verso est.
Quindi i venti portanti da sud est, gli alisei che soffiano più o meno sempre dalla stessa direzione, diventano un ricordo. Bisogna fare i conti con una forte instabilità con rapide rotazioni da sud a nord e viceversa, e sicuramente più bolina.


Mare. Immediata conseguenza alla instabilità della direzione del vento, è il mare incrociato, oltre all’inesorabile swell oceanico. Ciò vuol dire, in primis, scarso comfort a bordo e conseguente spreco di energie e stanchezza. Per la barca, riduzione di velocità, super lavoro per il timone automatico e usura in genere.


Correnti. In quest’area giocano un ruolo determinante. Normalmente seguendo l’aliseo le correnti oceaniche si spostano da est verso ovest e sono d’ aiuto. Qui si scontrano con la barriera rappresentata dal Madagascar e deviano, proprio dal centro est dell’isola, a nord e a sud, accelerando. Lungo la costa Africana, invece, una corrente calda, la ben nota corrente di Agulhas, scende da nord e lambisce la costa sino a Città del Capo. In particolare, da Richard Bay verso sud, la corrente acquista velocità e diventa estremamente pericolosa se contrastata dai forti venti da sud spinti dalle basse in arrivo. In questa zona sono state registrate onde smisurate, anche 9, 10 metri, da evitare con cura.
 Nel canale di Mozambico le correnti giostrano in continuità, influenzate ora da quelle oceaniche, ora da quella di Agulhas. L’attraversamento del canale diventa quindi un sottile gioco a scacchi tra venti, correnti e fronti.


Vediamo un po’ più in dettaglio le tre diverse rotte che abitualmente vengono prese in considerazione per raggiungere da Réunion, con un ragionevole margine di sicurezza, Richard Bay, primo approdo del Sud Africa.
Rotta diretta per sud
 La distanza è di circa 1350 miglia. Bisogna passare a circa 100 miglia a sud del Madagascar per evitare in caso di rinforzi da sud i marosi che si alzano sui bassi fondi che si allungano dalla costa e per farsi aiutare dalla corrente oceanica da est. Poi dirigersi una cinquantina di miglia a nord di Richard Bay per trovarsi a monte della corrente che sfila da nord sotto costa, sulla batimetrica dei 200 metri. Nel caso di bel tempo si può tagliare e passare più vicini al Madagascar, finendo però per incrociare le balene che, assai numerose su questi bassi fondi, vengono a svezzare qui i loro piccoli .
Anche con una buona media di 150 mg al giorno, non sono comunque meno di 9, 10 giorni di mare aperto. Questo vuol dire esser fuori da qualsiasi finestra meteo, soprattutto in un contesto, come detto, assai imprevedibile. Per giunta la tratta più pericolosa è l’ultima, quella sotto la costa africana nel caso di un eventuale scontro tra vento e corrente.
Questa scelta poi non avrebbe un piano B, salvo non trovare rifugio in caso di avviso di burrasca da sud, nell’angolino sud ovest del Madagascar dove una lingua di sabbia protegge un ancoraggio precario dai venti meridionali. A metà tratta, l’alternativa non sarebbe quella di trovare ridosso sotto costa africana, ma di starne ben alla larga in attesa che il fronte passi. Se invece il colpo di vento avviene le ultime decine di miglia bisogna assai velocemente correre a 5 miglia, anche meno, dalla costa e randeggiare sotto sotto, lasciando la corrente scorrere ben fuori. In ogni caso la probabilità di beccare un fronte è di 9 su 10. Bisogna solo confidare che non sia troppo profondo e quindi maneggevole.


Rotta per nord.


Da Réunion la rotta porta all’estremo nord del Madagascar per poi scendere lungo il canale del Mozambico sino a Richard Bay, ma con diverse possibilità.
La prima parte, da Réunion sino a Capo Amber, di circa 640 miglia con venti portanti, può esser spezzata in due con sosta intermedia presso l’isoletta di S.Marie. Superato poi il malefico capo, un concentrato di venti, correnti e maraccio, la via verso sud si spiana lungo la protetta costa ovest del Madagascar. Questa è la tratta più godibile di tutta la rotta. Venti a regime di brezza, natura ancora selvaggia, ancoraggi decenti e incontri con altre barche che qui convergono prima di passare in Sud Africa. Poi anche questa parentesi si chiude e da Capo Saint Andrè, l’estrema punta ovest dell’isola, ci sono 3 possibilità sempre verso Richard Bay:


Rotta per 270° sino a circa 50 miglia dalla costa Africana.

Si tratta di galleggiare sull’incrocio ipotetico delle correnti che si ricongiungono, da nord e da sud, verso ovest, e poi veleggiare verso sud con tappe intermedie lungo la costa del Mozambico, come vedremo meglio dopo.


Rotta diretta verso Richard Bay.

Sono comunque più di 1000 miglia e la finestra meteo è comunque inadeguata. Alcune barche hanno per giunta incontrato forti correnti contrarie che ne hanno rallentato la discesa anche di un giorno. In caso di avviso di burrasca è comunque possibile trovare un anticipato rifugio con limitati ancoraggi sotto la costa del Mozambico.


Rotta lungo la costa sud ovest del Madagascar.

Lasciato a sinistra capo Saint Andrè si prosegue, confidando in non certe brezze termiche giornaliere, verso le micro isole Barren ove è possibile ancorare e aspettare una finestra meteo decente. Poi proseguire sotto costa, con meno onda, per altre 100 miglia e a quel punto, avuta conferma dal meteo, puntare verso sud ovest, verso Richard Bay. Il vantaggio ipotetico di questa scelta è così articolato: angolo migliore con il vento che di norma soffia da sud, aggiramento delle correnti centrali che affliggono la rotta precedente, una qualche riduzione dei giorni di navigazione con una finestra meteo accorciata, anche se sempre a rischio elevato.In caso di insorgenti allarmismi ci si può  fermare lungo costa a Tuelar, un porto, si fa per dire, dietro a una bassa barriera corallina che offre un ridosso assai esotico, vero concentrato del terzo mondo. Se l’avviso di burrasca da sud arriva, invece, già a metà strada, allora bisogna far rotta senza indugio verso la costa più prossima del Mozambico, ove gli ancoraggi, validi pure per le precedenti opzioni, sono da nord verso sud: Barazuto, Inhambane e Maputo. Ognuno di questi ha un contesto non facile da gestire per la semplice ragione che nessuno garantisce, nello stesso tempo e luogo, ridossi da sud e da nord. Quindi bisogna spostarsi in anticipo e giostrarsi tra insidiosi bassi fondi, correnti e maree, anche di 4 metri. Il tutto su una cartografia assai approssimativa.


Previsioni Meteo.
Tutte queste ipotesi si appoggiano su una raccolta e analisi dei dati meteo, disponibili da diverse fonti e con diversi strumenti di comunicazione.
Il Servizio Meteo del Sud Africa, http://www.weathersa.co.za/home/marine
 emette bollettini giornalieri, via radio HF,  per il mare aperto, giornalieri, a più frequenze e ore. Sotto costa, anche via VHF, dettagliati per area entro le 50 miglia. Peccato che siano in inglese, spesso non chiaramente intellegibili per chi, come me, non è di madre lingua, anche perché la scarsa propagazione e il rumore di fondo ne ostacolano l’ascolto. Non solo. Danno esclusivamente una previsione max a 24 ore e neppure la tendenza. E per giunta l’intensità indicata del vento è spesso del tipo, da 15 a 25 nodi, una bella differenza! Per giunta il relativo testo scritto non è disponibile attraverso il Catalog di Saildocs al quale normalmente tutti fanno riferimento per scaricare in navigazione il relativo file, via email (HF o Iridium). Lo stesso dicasi per la mappa sinottica. Questo perché, ritengo, il documento non si trova sempre allo stesso indirizzo internet e quindi la ricerca da parte di Saildocs non da riscontri e ti ritorna a bordo una risposta senza l’allegato richiesto. Se qualcuno ci riuscisse, sarebbe una gran cosa.
In fine, l’emissione dei weather fax e relativa ricezione è tutta da verificare. Non sono riuscito neppure a trovarli sul sito dell’ente che dovrebbe emetterli:  http://www.sanho.co.za
Per fortuna ci sono i radioamatori e c’è IRIDIUM_GO con PredicWind. http://www.predictwind.com
Radioamatori. Chiunque intraprenda questa tratta si attacca alla radio HF di bordo e si mette in frequenza, a certe ore del giorno, con SAMNET http://www.sailblogs.com/member/southafricanmaritimemobilenet
oppure con Peri Peri Net
http://www.periperiradio.net
di norma sono assolutamente puntuali e forniscono un’analisi della situazione in essere e attesa, anche a medio termine in base alla loro consolidata esperienza. Quel tanto che basta per evitare il peggio e trovare, se possibile, alternative. Il valore aggiunto è proprio quello di indicarti, in base alla tua posizione, possibili soluzioni e rotte, con ridossi alla portata. In 48 ore si possono percorrere anche 300 miglia ed evitare il peggio. Il problema è: in quale direzione? Utili sono altresì le informazioni che giungono dalle altre barche in frequenza. Per fortuna, oltre al collegamento in voce, sono anche disponibili ad inviarti le previsioni via email, HF o satellite Iridium.
IRIDIUM_GO con PredictWind.
Con un’App, sia per PC che per MAC, tablet e smartphone, è possibile interfacciare agevolmente file meteo, in arrivo via satellite Iridium GO, sulla mappa mondo con un buon dettaglio.
Con lo strumento weather routing è possibile visualizzare sino a 4 diverse rotte tra due o più punti, a seconda della diversa fonte d’informazione (GFS o CMC) ed interpretazione. Naturalmente, anche in questo caso, la previsione è affidabile a brevissimo termine, 3, 4 giorni? Quindi bisogna ogni 12 ore richiedere un aggiornamento e confidare nella buona stella per il medio termine.
Meteo dall’Italia Premesso tutto ciò, con il contesto di riferimento ora più chiaro, avremo per fortuna in primis il grandissimo aiuto di Maurizio che ci ha già seguito con instancabile pazienza dall’Italia durante la traversata dell’Indiano. Sarà il nostro occhio vigile che, sfogliando ed interpretando i server meteo del web, ci fornirà un’assistenza preziosissima. Con lui metteremo ordine al flusso informativo per impiegare al meglio l’analisi meteo, curata e confezionata per ottimizzare le scelte a bordo.


Interpretazione e vita a bordo. Va da sé che qualsiasi informazione -come detto- va poi studiata nel dettaglio e rapportata alla situazione vissuta a bordo. Girando il mondo si arriva sempre in una zona per la prima volta e non c’è il tempo per comprenderne la morfologia meteo e l’esperienza non basta. Tanto per dire, navigare con l’aliseo a 15°S è una cosa, con il succedersi delle Alte e Basse, a 30°S, tutt’altra. Il tutto comunque va gestito con molta prudenza e in considerazione delle caratteristiche della barca e dello stato psicofisico contingente. Vedremo.
Non si tratta che di partire…Buon Vento a tutti.

 


Curiosa coincidenza: la Sala della Divina Sapienza. Venezia 4 settembre 2016

2016-09-04

~~Curiosa coincidenza: la Sala della Divina Sapienza


Ieri sera a SuperQuark, (oltre ad aver presentato il Mose come se fosse ad impatto ambientale zero solo perché le paratie a riposo sarebbero nascoste alla vista, sic! ), è stata illustrata la storia di palazzo Barberini, ora sede della Galleria Nazionale d’arte antica, a Roma.


Il palazzo, di per sé un capolavoro d’arte architettonica su progetti del Maderno, del Borromini e del Bernini, contiene opere pittoriche e scultoree di grande bellezza in ambienti perfettamente restaurati. Uno di questi è la Sala della Divina Sapienza, così denominata perché sul soffitto è stata dipinta da A. Sacchi (1629) l’allegoria della Sapienza, appunto.

Tra le molte cose curiose, laddove potere, arte, scienza e religione si intrecciano nel dipinto di non facile interpretazione, non mi è sfuggita (durante la rapidissima carrellata sul soffitto) la curiosa raffigurazione del globo. Un perfetto planisfero dell’emisfero Sud comprensivo dell’Africa e con esattamente al centro il Madagascar. Proprio dove noi siamo diretti.

Nelle varie ricerche su web ho trovato diverse ed esaurienti spiegazioni, davvero suggestive, dell’opera nel suo complesso iconografico. Pare che per la raffigurazione dell’Africa si sia fatto riferimento ai resti romani dell’enorme tempio di Iside sui quali era stato eretto il palazzo. Insomma “La Divina Sapienza nell’affresco è rappresentata nell’atto di illuminare con il proprio scettro la porzione del globo terrestre corrispondente all’area del mare mediterraneo: l’Italia eredita la Tradizione Ermetica proveniente dall’Antico Egitto. “


Per chi volesse approfondire la descrizione dell’affresco, importante anche per l’incrocio di tre vite straordinarie per la storia italica: Galileo, Urbano VIII, Campanella :


https://sandrozicari.com/2014/06/22/la-divina-sapienza-a-palazzo-barberini-a-roma-un-talismano-ermetico-per-il-papa/


“Andrea Sacchi(Nettuno 1599 - Roma 1661)La Divina Sapienza1629-1633Affresco, m 13x14 ca. Il soffitto della sala fu commissionato a Sacchi dal principe Taddeo Barberini. Il tema proposto rappresenta la Divina Sapienza, raffigurata al centro, allegoricamente, come una donna seduta in trono; nella mano destra regge uno scettro con l'occhio di Dio, e nella sinistra lo specchio simbolo della Prudenza. Sul seno della Sapienza appare un piccolo sole, emblema della famiglia Barberini, insieme alle api che decorano il trono.La donna è attorniata da undici figure femminili che simboleggiano le sue virtù.

Da sinistra: la Nobiltà con la corona di Arianna, la Giustizia con la bilancia, la Fortezza con la clava, l'Eternità con il serpente, la Soavità con la lira, la Divinità con il triangolo, la Magnanimità con la spiga di grano. Da destra: la Bellezza con la chioma di Berenice, la Perspicacia con l'aquila, la Purezza con il cigno, la Santità con la croce e l'altare. Nel cielo appaiono due arcieri alati: quello sul leone rappresenta l'amore di Dio, mentre quello sulla lepre simboleggia il timore di Dio. L'enorme globo terrestre sembra ruotare attorno al sole posto dietro al trono, come se Andrea Sacchi fosse stato a conoscenza delle recenti teorie eliocentriche sostenute da Galilei e Copernico.Le stelle posate sugli attributi delle virtù corrispondono alla configurazione astrale del cielo nella notte del 5 agosto 1623, giorno in cui venne eletto papa Urbano VIII Barberini. - See more at: http://galleriabarberini.beniculturali.it/index.php?it/139/sacchi-la-divina-sapienza#sthash.epFNh0St.dpuf
 


La Reunion, 25 settembre 2016. 400 curve per andare e 400 per tornare.

2016-09-26

~~Alla fine avevo male alle braccia e ai polsi, ma ci siamo andati a Cilaos, un paesino creolo nascosto nel cuore montagnoso di La Reunion. Da queste parti se non ti inerpichi in qualche alta vallata o sentiero erto tra la folta vegetazione, non puoi poi dire di esser stato a La Reunion. Qui tutti salgono e scarpinano, molti corrono, altri racchetano instancabili. Il clima aiuta certo, fresco e soleggiato, nuvolosetto dal primo pomeriggio, quando l’aliseo di sud est spinge e comprime verso l’alto l’aria calda che si addensa in grossi nuvoloni, anche con pioggia nel versante sud. Noi però, a nord ovest, nel marina stiamo d’incanto, bel sole e copertina di notte. Unico neo, assai grosso, la polvere. Per i lavori a terra eravamo con la poppa proprio sul ciglio di una strada chiusa che portava all’entrata del piccolo porto, dove stavano dragando sabbia nera. Dalla mattina alla sera camion passavano ogni dieci minuti, forse meno, portando la risulta non so dove e sollevando un polverone che ci ha fatti neri. Tornati in acqua le cose sono migliorate, ma dalla strada che circonda la darsena la polvere spiove in coperta abbondante.
Digressione. Fuori del marina campeggia un grande cartellone che illustra i lavori compiuti per il marina che in effetti è tutto nuovo. Colonnine luce e acqua, pontili perfetti, uffici moderni e per sino le lucette a terra di sparti traffico per andare al parcheggio…il tutto con i soldi nostri, dell’EU intendo, come del resto avviene per le super strade che sono in continuo sviluppo attorno all’isola. E pensare che nel nostro sud non sono neppure capaci di spendere i soldi che l’EU ha già loro dato !
Ultimati i lavori, si fa per dire, ci siamo dati all’escursionismo. Noleggiata una Clio, visita d’obbligo al vulcano. Alzataccia e via in salita. Per fortuna o per sfortuna, non so, il vulcano attivo sino a due giorni prima, si era calmato. Niente eruzioni e niente folla di turisti. Vicini di barca ci hanno raccontato di code di curiosi, pazzesche di ore. Noi siamo saliti sino al bordo della grande caldera, scarpinata di un’oretta sino a 2.200 mt, e ci siamo goduti il superbo panorama con grande tranquillità. Nel pomeriggio siamo scesi verso il versante sud, abbiamo salutato il sole, e ci siamo immersi nelle nuvole, nella pioggia e nella nebbia. Dicono che sia sempre così. Incredibile, non so come facciano a vivere nel sud, pensando che quelli del nord se ne stanno al sole.
Altro giro e via per la salita verso Cilaos. La chiamano la strada delle 400 curve e sarebbe anche il meno. In certi punti le curve sono cieche, il tracciato passa a strettoia improvvisa dove passa una sola macchina. Il mio incubo erano però i fossati per lo scolo delle acque, tra le pareti sovrastanti a strapiombo ed il ciglio asfaltato. Con un niente c’era il rischio di finirci dentro, soprattutto nei tornanti strettissimi. E infatti abbiamo trovato un furgone del posto con una ruota nel fosso in attesa di soccorsi. Poi ci sono tre gallerie a senso unico, assai strette. Chi prima s’infila ha il passo, ma non è facile capire cosa succede dall’altra parte. La prima volta siamo tornati in marcia indietro, per fortuna, per soli 10 metri. Per completare le caratteristiche del tracciato da vero rally, siamo stati superati in doppia curva da due turbo, bassissime, che si superavano a vicenda a velocità pazzesca. Da brivido!
Il paesino è assai curioso per l’inconsueta posizione, appena spalmato su verdi collinette a falso piano, cinto da una corona d’alte creste montagnose. Casette d’epoca, bouganville variopinti, stradine per turisti, aria di montagna. Noi però siamo venuti sin quassù per una scarpinatina a La Roche Merveilleuse, e il nome dice tutto…quasi tutto.
Iniziamo la salita da dietro la chiesetta che sovrasta le anime del paesino. Andare e tornare, ci dicono all’Ufficio del Turismo, sono due ore. Si può fare, anche se sono già le undici passate. Il sentiero, ben segnato e non difficile, ha però una caratteristica non prevista. Credo che avremmo fatto ben più di 400 gradini, a proposito, ben scavati nella roccia o sagomati tra le radici del bosco. Salita rapida e secca, quasi nessuno. Usciti dal verde, una stradina e altri 60 gradini ci hanno portati sul colmo della rocca: niente di che !
Solo il panorama del villaggio sottostante, mentre già le nubi facevano capolino da sud oltre le vette verdeggianti tra la foschia.
Il rientro verso la sottostante costa è stato un pelo più agevole: altre 400 curve dietro ad un furgone turistico, assai prudente, che ci faceva strada contro al traffico in risalita, tutti a correre, qui tutti corrono tantissimo, per rientrare a casa dopo la giornata di lavoro a valle.
Certo che farla tutti i giorni…!
Domani si parte per l’isoletta di Saint Marie, 400 mg circa verso ovest, vicinissima alla costa ovest del Madagascar. Ma ne riparleremo.
 


Isola Saint Marie, Madagascar, Africa, 3 ottobre 2016.

2016-10-03


Scesi a terra, dopo poche ore, la prima impressione è di una grande ordinata dignità in persone e cose. Se il terzo mondo fosse così sempre, sarebbe il primo.
L’ancora è scesa di fronte al villaggio strada di Ambodifotatra alle ore 9 del mattino di venerdì 30 settembre, dopo una traversata da Reunion non certo tra le più impegnative, sicuramente tra le più noiose e direi, per questo, tra le più stancose rapportata ai soli tre giorni impegnati.
Abbiamo avuto quasi sempre il vento in poppa, debole e inadeguato a compensare il rollio dovuto all’immancabile e inesorabile swell dell’Indiano. Ultima giornata, la terza, assai lenta, volutamente per non atterrare di notte. Eravamo partiti abbastanza veloci e confidavamo quasi in un arrivo al tramonto, poi siamo rimasti con le vele a sbattere e , a conti fatti, saremmo arrivati nel cuore della notte con scuro di luna. La punta sud dell’isola ha poi una secca che si allunga sino ad una distanza non valutabile con sicurezza perché sabbiosa e quindi mutevole. Meglio all’alba. Anche per meglio scorgere eventuali balene, qui stanziali pur a fine periodo.
E così abbiamo percorso le ultime 40 miglia a poco più di tre nodi ! ovviamente rollando.
Al passaggio di buon mattino sotto la punta sud, ho scoperto che sul radar la crestina del frangersi era ben visibile a circonferenza della secca e con l’overlay carta/radar non sarebbe stato un problema. Comunque meglio così.
E ora un giro per l’isola. Il villaggio è tutto lungo uno stradone che scorre lungo l’affaccio sulla baia.
Accanto al moletto per il gommone si apre una polverosa piazzetta, ma tutto ben ordinato e pulito.
Un modesto ferramenta, la banca con il suo ATM, un bar panetteria con ai tavolini pochi bianchi del luogo con birra e sorrisi d’epoca, qualche risciò spedala sul ciglio, mentre i tuk tuk in fila ordinata richiamano con garbo la nostra attenzione. C’è pure l’Ufficio Turismo dove una signorina, carina e gentile, mi fotocopia, solo con un sorriso, un documento da usare per l’entrata. Su tutto campeggia la facciata, stile fascio coloniale, del Cinemada dove abbiamo fortuitamente assistito ad una simpatica pantomina danzante con le giovinette e i giovinetti del villaggio.
Alla Polizia, dove rilasciano il Visa, passiamo un’oretta assai esplicativa. L’ambiente è decisamente dimesso, ma gli addetti curiosi e cordiali. Pacchi di carta ricoperti di polvere, scatole di timbri, avvisi incollati sulle pareti, solo biro e carta, tendine consunte su finestre che si affacciano su tetti di lamiera, frasche e legno, oltre, una torre per la telefonia a 4 Giga, però !
Non facciamo in tempo a rientrare a bordo dopo le pratiche d’entrata che le due barche, che avevamo trovato alla fonda e che già conoscevamo, salpano e se ne vanno dopo grandi saluti. Peccato, prendono del resto l’ultima occasione buona per risalire la costa. Noi dovremo aspettare 5, 6 giorni, comunque buoni per visitare l’isola.
Prima escursione al cimitero dei pirati. L’isola è famosa per esser stata la migliore base per i pirati impegnati nell’assalire i vascelli che dalle Indie portavano immense ricchezze in Europa. Da metà ‘600 a inizio ‘800 in questo porto naturale hanno trovato rifugio i più bei nomi della pirateria internazionale: per primo l’inglese T. Tew, John Avery con il “ Grand Moghol”, il francese Oliver Levasseur. Ma tra tutti il più famoso fu il Capitano William Kidd che vi approdò nel 1695, in missione speciale per conto della Corona, con il galeone “Adventure Galley”. Avrebbe dovuto proteggere i traffici inglesi e assalire gli altri, ma andò diversamente. Rischiò l’ammutinamento poiché l’equipaggio trovò assai più conveniente passare dalla parte dei pirati e così si fece convincere, direi facilmente, ad assalire quello che allora le notizie davano per esser il carico più prezioso mai partito dalle Indie: 400 tonnellate d’oro. Cercò poi di mentire spudoratamente alla Corona, non fu creduto anche perché il tesoro fu poi quasi subito ritrovato (vicino a New York) dove Kidd l’aveva inutilmente sepolto. Fu processato a Londra e poi appeso su una delle sponde del Tamigi.
Di lui resta qui a memoria un diroccato cippo, di pietra consunta dal tempo, tra decine di altre lapidi sparse su un bel poggio che domina la baia, allora rada di ancoraggio dei pirati. Quel che resta e che si vede è solo una parte però del migliaio di tombe, in gran parte spazzate via dai cicloni che hanno investito la bassa collina. Il cimitero era assai frequentato perché le ciurme dei pirati venivano decimate dalla malaria con gran compiacimento dei malgasci, trattati come schiavi, che ben si guardavano dal curarli con le erbe da loro usate.
Gli ultimi pirati giunti da queste parti, cui allude sorridendo la nostra guida, sono stati gli americani che nei primi anni 2000 hanno effettuato un’estesa e sofisticata campagna di ricerca. Di certo hanno trovato alcuni relitti e a 12 metri di profondità numerosi lingotti d’argento, ora al museo della capitale.
Per ora mi fermo qui. Nei prossimi giorni, vento compiacendo (abbiamo un ancoraggio assai esposto), torneremo a terra per nuovi incontri.

 


Isola Sainte Marie, Ambodifotatra, 8 ottobre 2016. Domani si riparte !

2016-10-08

~~Questa notte, finalmente, il vento, che da nord investiva l’ancoraggio da tre giorni e tre notti, ha mollato di botto. La situazione, non precaria per fortuna, era assai scomoda per il rollio sostenuto e per la cresta viva che ci impediva di scendere a terra senza lavarci. E comunque non è simpatico lasciare la barca con 25 nodi.
Comunque qualcosa in più abbiamo visto, e forse capito, di questo sperduto lembo d’Africa.
Fihavanana,la parola, di per sé non tra le più impronunciabili, condensa in essa tutto lo stile di vita dei malgasci. Alcuni la traducono in atteggiamento conciliante. Ebbene è proprio quello che si percepisce nel passeggio lungo le rosse stradine dei villaggi, all’odoroso mercato, alla patisserie. Sorrisi, saluti assai cordiali, la buona maniera nella pronta disponibilità all’informazione. Mai sentito urlare, né musica troppo invadente, solo un po’ di reggae per rallegrare una grama quotidianità. Mai schiamazzi, solo lo starnazzare di imponenti oche e il cicaleccio delle ragazze al pozzo.
All’angusto porticciolo, un via vai tranquillo di carrette e traghetti sgangherati, ma ben puliti, richiama lavoranti, carretti e qualche bianco a curar i propri affari. In tarda mattinata tutto s’accheta e gli scaricatori si accovacciano e giocano a carte all’ombroso moletto, dove leghiamo il gommone.
In questi pomeriggi ventosetti ci siamo tuttavia inoltrati lungo stradine improbabili nel bel mezzo della campagna e del verde tropicale. Bisogna pur muovere le gambe almeno un paio d’ore. E così scopri, saluto dopo saluto, la semplice vita da sabato del villaggio. Corrente elettrica, qualche cavo appena steso tra le palme. Acqua solo ai pozzi, dove ragazzotte ben piantate, ma snelle e dai tratti minuti, fanno gioiose la fila. Qua e là, di fronte a modeste capanne merceria, ragazzine provano, smorfiose, qualche variopinta canotta. Più in là, ragazzotti armeggiano sotto un motorino ancora con le cromature perfette. Un’intera scolaresca torna alla spicciolata lungo la via lanciandoci curiose e stupite occhiate. Una signora, assai distinta, borsetta a ricamo, cappellino di panama e ombrellino di pizzo, ci saluta con un bel sorriso “ Bonsoir, monsieur et madame …!” Credo che avremo occasione di riparlare di questa gente assai riservata, e assai paziente.
Domani si parte. Ancora su alle 06.00 e via per nord, verso il famigerato Capo D’Ambre.
Dopo una settimana di barometro in calo con venti da nord, è ritornato, con l’Alta, il vento da sud est. Quanto? E’ quello che sto seguendo con attenzione, due volte al giorno.
La prossima tappa sarà di circa 360 miglia. Le prime 330 tutte esposte al vento e allo swell, con la costa sotto vento. Le ultime 30 di queste, in particolare, saranno decisive perché dovremmo arrivare al Capo con crescente di marea, a seconda quindi, e vento dal gran lasco in poppa a circa 30 nodi, speriamo non molti di più. La marea sarà favorevole dalle 05.00 alle 12.00 e il vento previsto, sulla carta, tra i 25 e i 30. Ma sul capo la previsione conta assai poco. L’importante è comunque partire con una previsione stabile ed accettabile. Girato il Capo, verso sud, mare piatto con la parte più navigabile e suggestiva del Madagascar. Speriamo di trovar vecchie e nuove conoscenze.


Nosy Be, 15 ottobre 2016.

2016-10-16

~~Cape Saint D’Ambre ?...”no problem! “
Saint Marie, la tranquilla isola dei pirati, ci ha legati a sé per una settimana. Sosta forzata non prevista per insistenti venti da nord,  contrari alla nostra rotta. Finalmente segnale verde per domenica, 9 ottobre. Le previsioni, pur favorevoli, erano per venti da sud moderati e poco swell, ovvero poca onda di fondo. Dopo una decente partenza con una discreta brezza, la notte e il secondo giorno sono stati con vento assai debole e inadeguato a spingerci
senza subire lo swell in crescita e relative rollate, potente antisonnifero. Ergo non restava che accendere il nostro caro Yanmar e così per ben trenta ore, a tratti e con pochi giri, siamo risaliti lungo la selvaggia costa del Madagascar, non senza soffrire una fastidiosa corrente contraria di un nodo.
Il procedere in queste condizioni si complicava di molto in considerazione del fatto che avremmo dovuto passare il Capo di buon mattino con la corrente favorevole, quella oceanica rafforzata da quella di marea. Normalmente sul Capo i venti sono da est sud est e molto sostenuti. Se la previsione è di 20 nodi, avrai per certo 30 nodi. Con questo vento e corrente di marea contraria si alzano frangenti alti e ripidi, assai pericolosi. Da evitare con cura! Quindi la scelta della velocità della barca diventa cruciale per azzeccare l’ora.
Nel nostro caso dalle 7.00 alle 11.00, circa. Però, in considerazione delle miglia da percorrere dopo il Capo, sarebbe stato opportuno arrivarci al più presto. Per fortuna, cosa che sapevamo, la corrente a circa 70 miglia dal Capo passa da sud verso nord e rinforza progressivamente, anche di 2 nodi. Tra vento in crescita e corrente, arrivare sul Capo in frenata non era proprio semplice.
Vele assai ridotte e via con l’orologio in mano, con il sole appena sopra l’orizzonte. Arriviamo puntuali alle 08.30. la scena è di quelle indimenticabili. Una costa lunga, brulla, rossiccia, a tratti sbiancata dal caolino. Sotto, le creste spumeggianti s’infrangono violacee alzando lontani vapori, sopra, cielo terso ma incupito da nuvoloni incombenti appena rischiarati dal sole africano. Devo dire che questo non è un Capo facile da passare, soprattutto per i tempi come detto, però superatolo, e siamo passati sotto, sotto a mezzo miglio forse meno, la situazione muta radicalmente. Le onde s’acchetano e il tutto diventa più maneggevole girando svelti per sud ovest. Anzi, in occasione dei frequenti contatti con Maurizio, che continua a seguirci con le sue preziosissime dritte meteo, avevo espresso, pensando al dopo Capo e trovandomi ancora in ben altri problemi, un secco “no problem” per le condizioni che avrei di poi incontrate. Mai dire “no problem!”…35, 40 nodi di vento catabatico ci hanno fatti bianchi di sale. Onde corte spazzate dalle raffiche ci hanno costretti a poggiare, senza poter raggiungere l’ancoraggio previsto per il meritato riposo. La costa era sopravento, inavvicinabile in quelle condizioni. E il piano B? Non semplice, poiché l’eventuale alternativa, più a sud di diverse miglia, era circondata da secche vaste e sparse. Le carte da queste parti vanno prese con due pinze. I bassi fondi sono sabbiosi ma entrarci a 7 nodi sarebbe un disastro. La lancetta passava tranquillamente da 20 a 6 metri, e dopo? Che fare? Proseguire, forse per Nosy Be, un’altra notte in mare ! Con il sole negli occhi che corre verso il tramonto, i tempi si accorciano. Troviamo ora un altro varco, forse questo è da meno stress. Orzo lentamente e ci infiliamo, l’angolo è decente e il vento è meno rabbioso. Ora bisogna centrare un wpt e poi girare di brutto contro vento,  superato un isolotto, proprio sulla nostra rotta.
Cerchiamo di capire se le creste bianche ci aspettano pure lì. Sarebbero solo alcune miglia, ma con quel mare in prua rischiamo di arrivare di notte. Ma,cosa da non credere!
E’come se qualcuno avesse segnato sull’acqua una linea invalicabile per le onde.
Non avevo mai visto una cosa simile. A sinistra crestine ancora rabiosette, a destra mare liscio e mi ci infilo. Superati alcuni roccioni arrossati dagli ultimi raggi, entriamo nell’agognata baia di Andranoaomby. Ancora, pasta al ragù, e nanna…sotto la luna crescente. Un silenzio primordiale.
Ora, dopo due giorni di vela con brezza tesa al mattino da terra, e da mezzogiorno dal mare, e un paio di ancoraggi meno deserti ma assai accoglienti, siamo a Nosy (isola) Be nella Crater Bay. Uno specchio d’acqua ben protetto dalle brezze dominanti e dallo swell. L’ancoraggio è un punto d’incontro tradizionale per le barche in rotta verso sud, verso il Sud Africa. C’è un pontiletto, un bar, qualche assistenza locale, e la possibilità di rifornimenti per gasolio e cibo, da r


Nosy Be, 18 ottobre 2016

2016-10-18

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Diversi anni fa, attraversando il Sahara, scorgemmo un lontanissimo puntino nero, appena in rilievo sull’assolata distesa di sabbia. Nel nulla. Era un uomo che camminava, da dove venisse e dove andasse, per noi è sempre stato un mistero. Uno dei tanti per noi marziani in questo mondo d’Africa. Qui è anche un po’ così: la gente cammina sui bordi dei sentieri, sui bordi dei villaggi, camminano avvolti in colorate tuniche, le anziane con grande dignità, le più giovani con sfrontata femminilità. Tutte perfettamente erette sia che sorreggano sulla testa improbabili fardelli o trasportino pesanti recipienti stracolmi d’acqua. Tutti camminano sulla terra rossa e sabbiosa, tra buche e ciottoli levigati da nudi piedi. Non sempre però: ieri ho scorto una donzella con tacchi da dieci centimetri, zeppa da cappottarsi e tessuto leopardato. Andava in centro sculettando, era sabato, a far bella mostra di sé. Naturalmente non mancano neppure qui i telefonini. Ma sono meno smart e un po’ vintage. Ad un angolo su un panchetto di bamboo traballante, ho visto un giovane armeggiare con un saldatore per sostituire un display. Riparava telefonini e la gente era in coda. Le botteghe, qui a Nosy Be, sono  all’aria aperta sul ciglio della strada e della polvere. La panettiera vende i suoi filoni, di povera farina, con un banchetto proprio all’incrocio, in mezzo al traffico di tuc tuc, carretti trainati da smunti bufali, e Toyota degli ex coloniali francesi, tutti con accanto giovani bellezze locali…a far da badanti.
Ma lo spettacolo è al porticciolo di Crater Bay, dove siamo ancorati. Lungo la fangosa battigia sono allineati, con perfetto disordine, i loro Maxi, le loro affusolate imbarcazioni a vela. Sono, in prevalenza, da lavoro e da pesca, ma se la godono pure un mondo a sfrecciare ingavonati tra le nostre barche alla fonda. Si vede, lo fanno per puro piacere. Sulle murate apolli, di un nero assoluto, sfoggiano muscoli luccicanti al sole mentre bordano enormi vele, grigie come ali d’uccelli marini. Altri, meno fortunati, scaricano sacchi e sacchi di terra, piegati nello sforzo si trascinano con l’acqua alla vita dalla barca alla sponda, dove altre frettolose mani passano i pesanti fardelli su camion corrosi dalla ruggine. Le donne, accovacciate e circondate da nidiate di piccoli festosi, mi sorridono mentre cerco di riprendere e rubare un po’ d’Africa.
Nel frattempo sono arrivate altre barche. Credevamo d’esser gli ultimi, invece ! Poi scopriamo che erano già qui da almeno 10 giorni e a Crater bay son tornati per provviste.
Comunque a scendere, credo, saremo in diversi. Vicino a noi c’è Delos, un Amel come il nostro. E’ la prima volta, in anni, che ci capita d’esser ancorati con un altro Amel così vicino. Sono ragazzi americani che lavorano e guadagnano montando filmati sulle loro avventure, Se volete divertirvi : www.svdelos.com
Poi una vecchia conoscenza: Erik con Mim, su Wistler. La loro è un’altra delle storie più curiose. Erik, passato Cap Horn, attraversa da solo tutto il Sud Pacifico e approda in Thailandia. Fa molte amicizie, ma non trova quella giusta per continuare il giro in buona compagnia, questa volta. Decide così di trovare l’altra metà su internet. Fa un’inserzione e rispondono sette leggiadre fanciulle, tutte bellezze locali. Che fare? Le invita una alla volta al Bar Centrale di Bangkok, sono sette e inizia da un lunedì. Domenica deciderà.
Alcune restano impaurite, mai hanno visto neppure il mare. Altre conoscono appena l’inglese, la penultima ha un caratterino, non resta che l’ultima, quella della domenica.
E’ Mim ! Lavora presso un’ambasciata, davvero un ottimo lavoro, ma ci casca. L’idea è affascinante, e forse ancora di più lo sono gli occhi azzurri di Erik. Lascia il lavoro, si sposano e s’ imbarca. Bene, ha attraversato l’Indiano facendo tre ore al timone a turno con Erik e un terzo imbarcato come aiuto. Il timone automatico s’era rotto a causa delle ondate e del vento. Ora ci saluta entusiasta. Brava Mim !


Moramba Bay, 25 ottobre 2016.

2016-10-27


L’ancoraggio qui è eccellente ma conquistarlo non è stato facile. Venivamo da Nosy Lava, più a nord, con l’intenzione di entrare in mattinata prima del levarsi della forte brezza di mezzodì da ovest. Meglio non avere il vento in poppa entrando nei bassi fondi della baia.
Seguito un improbabile allineamento suggerito dalla carta, attraverso fondali sempre decrescenti, e con marea calante, appena ho intravisto una profondità decente, sui 5 metri, abbiamo dato fondo. Alle 12, puntuale, s’è alzata la brezza sempre più forte e abbiamo iniziato la samba. In giro nessuno.
In verità avevo altri wpt per ancorare più all’interno, con completo ridosso, ma come arrivarci ? Non restava che aspettare il calar del vento con il sole e ripartire il giorno dopo.
Decidiamo però di fare un giretto con il gommone, proprio per dire abbiamo visto qualcosa. Anche perché tutti ci avevano caldamente consigliato qui una sosta per le cose da vedere.
Ci infiliamo tra roccioni a fungo che ornano l’insenatura e voltato l’angolo, voilà! Vediamo sei barche all’ancora! Come hanno fatto a trovare la via tra le secche? Approdiamo su una piccola spiaggia incantata e seguiamo un sentiero. In pochi minuti incontriamo un’allegra compagnia di ritorno da una passeggiata. Conosciamo così Paul e Maureen della Calypso, simpaticissimi sud africani. Hanno un pescaggio come il nostro e ci danno i wpt per entrare, come altri avevano dato loro. E così il giorno dopo ci siamo infilati nel ghebo e ora siamo in cuna. Belle dormite e passeggiate tra baobab, lemuri e spiagge deserte.
Facciamo un passo a ritroso. Eravamo partiti da Nosy Be con l’intenzione di affrettare il passo e raggiungere Mahajanga al più presto per puntare poi la prua verso il Sud Africa.
Poi i posti da vedere e gli ancoraggi, non proprio agevoli, ci hanno rallentato, ma ci portiamo però negli occhi scenari davvero memorabili.
A Russian bay abbiamo incontrato Andreas, un simpatico austriaco di Graz. Vive qui in una capanna, insieme a pochi nativi, da sette anni. Se la gode tra lemuri, capre, galline, lavori per ampliare la residenza e qualche chiacchera con noi velisti. Senza telefono. Dice che la sua vita s’è rallentata. Non ho dubbi.
All’alba siamo ripartiti per ancorare, prima delle 8, sotto vento alla micro isola di Antsoha.
L’isola è un parco e alle 8, ci avevano detto, i guardiani chiamano i lemuri per qualche banana di cui sono ghiotti. Un vero spettacolo: la bianca spiaggia, l’incontro con quattro diverse specie di lemuri, la camminata lungo i costoni scenografici della rupe sovrastante la baia, e per finire anche una visita all’allevamento delle tartarughe, qui assai numerose. La cosa più incredibile e, purtroppo, assurda è che sul colmo del montagnozzo i proprietari indiani dell’isola (hanno già un resort esclusivo sulla spiaggia lungo la prospiciente costa) stanno realizzando una suite a cielo aperto e su diversi livelli. Il bagno, senza pareti, domina, da seduti l’orizzonte a 360 gradi. Da non credere. Le foto si commentano da sole.
Completata l’escursione, altra sosta per bagnazzo lungo la mitica spiaggia di Iranja, forse la più scenografica del Madagascar, di un biancore accecante. Peccato che sia troppo esposta al vento diurno da nord ovest e così abbiamo cercato poi riparo nel vicino Honey River, chiamato così perché pare che i locali offrano dell’ottimo miele. Entrata da brivido per i bassi fondi e ancoraggio appena ridossati dalle raffiche che si infilavano nel fiordo. Al tramonto una bella serie di velieri locali ci sono passati accanto per risalire il fiume. Di miele neppure una goccia.
Levataccia e smotorata sino a Nosy Kalakajoro, poco vento per proseguire oltre. E così con la barca ancorata tra curiose, e timorose, tartarughe ci siamo fatti una bella camminata sull’arenile. Il giorno appresso vento in prua, per fortuna debole, e non avendo alternative a distanze ragionevoli ci siamo ancorati cercando riparo a est di Nosy lava. Forse l’isola più deserta qui mai vista. Rasa, calcinata dal sole, morbide riarse colline, un faro sulla cresta, spento forse da sempre. Qualche arbusto ritagliato come un cammeo dai raggi rosati del tramonto. Spiaggia infinita. Nessuno, neppure l’immancabile canoa locale. E da qui siamo ripartiti per Moramba Bay: finalmente qualche chiacchera.
Domani si riparte per Mahanjanga.

 


BAZARUTO, MOZAMBICO, 13 NOVEMBRE 2016

2016-11-13

 Bazaruto, Mozambico 13 NOVEMBRE 2016

  

Hic sunt leones, siamo in Africa, ma di leoni, ovviamente, 
neppure l' ombra, tra queste enormi dune di sabbia soffia solo il vento.
Siamo arrivati direttamente da Mahajanga, Madagascar, da dove siamo fuggiti dopo mille peripezie e vicissitudini inenarrabili. 
Sono state oltre 750 miglia assolutamente stancose. All'inizio vento e corrente contro sino al capo S Andre, estremo ovest dell'isola, poi di notte pescatori senza luci e verso il capo terrificanti temporali. Mai vista una cosa simile, sembrava uno dei terribili bombardamenti di Berlino ! Per fortuna abbiamo tenuto una rotta ben discosta dal capo proprio conoscendone le virt.
Poi venti debolissimi e per aiutarci abbiamo fatto qualche ora di motore...70 alla fine, per arrivare sino a qui.
Qualche bel tratto anche a vela di bolina molto larga e poca onda. Grazie ai suggerimenti di Maurizio, che ci segue da Ancona con i suoi assidui meteo, 
ci siamo ritrovati in un fiume di corrente a 2 nodi e abbiamo toccato i 10 nodi di avanzamento reale, di SOG.
Le sorprese non mancano. Con una certa periodicità controlliamo al radar anche di giorno. Nel primo pomeriggio salta fuori un bel target a circa 15 miglia. Passeremo abbastanza vicini e l' AIS lo conferma. Le caratteristiche e il nome ci dicono essere quelle di un grosso tanker della Liberia. C' per un per:  fermo! Che ci fa immobile questo coso in mezzo all' oceano?
La situazione non ci piace. Mai successo. Di solito filano via e li controlli facilmente.
E se il nominativo fosse di comodo? Vedo un altro target in arrivo molto prossimo a quello fermo. Un incontro? Traffici illeciti ? E noi a poche miglia osservatori non graditi ? Cambio rotta di 10 gradi e mi allargo. Passano un paio d'ore e finalmente appare al binocolo il tanker,  proprio un tanker.
Meno male, anzi la ciminiera ora sbuffa e si muove. Il nuovo arrivato tira dritto e noi torniamo, sereni, sulle nostre vele senza vento.
Ancora poco vento e con una prospettiva di mal tempo in arrivo, per la data di un nostro ipotetico arrivo a Richard Bay, nostra meta, in Sud Africa. L' ultima notte, la quinta, alle 02.00, alla ripartenza del motore la girante si  surriscaldata. Ho dovuto controllare e smontarla per capirci qualcosa. Niente di grave: dopo tanti rollii i tubi s'erano parzialmente svuotati e girava a secco. Per cui sono stato un'oretta al caldo nel vano motore e con un certo stress nell'incertezza delle cause.
A quel punto ho deciso di accorciare su Bazaruto, prima possibile sosta in Mozambico. Errore ! E vediamo perchè, a posteriori ! Sono necessarie a questo punto alcune premesse.
Il canale del Mozambico  un vero caos. Il vento risente della massa continentale africana e di quella del Madagascar e ovviamente del mutevole posizionamento delle Alte e delle Basse nell' Oceano Indiano, sempre pi rapido scendendo a Sud. Per semplificare la navigazione ci si mette pure la corrente. O meglio le correnti che a vortici ruotano nel bel mezzo. Se entri dal lato sbagliato sei fritto: 2 nodi contro. Noi ci siamo entrati giusti, come detto, ma individuarne l'entrata richiede analisi specialistiche e mappe dedicate, grazie ancora Maurizio ! Noi abbiamo avuto fortuna nel trovare l'indirizzo giusto, senza anagrafico. Tutto ci comporta, ma l'ho fatta molto breve,
un' assidua e sistematica raccolta e analisi dei dati meteo in arrivo via Iridium Go con le email (Maurizio) e con i dati forniti da PredictWind. Poi c' la radio con il net delle barche sulla via, pi o meno lontane, e in fine il Sammnet.  questa la fonte piu accreditata per le info meteo. Sam dal Sud Africa segue da anni tutte le barche in arrivo e le assiste con straordinaria cura e competenza. Davvero un grande, Sam.
Con tutto questo ben di dio d' informazioni si potrebbe pensare a una vita a bordo di tutto relax. Non  proprio cosi. Purtroppo il tempo qui cambia con una tale rapidità da rovesciare le aspettative e quindi da ingrigire l'umore a bordo, essenziale per gestire le energie, poche, anche per le poche ore di sonno.
Ed eccoci alla mattina della nostra decisione di fare sosta, anche perchè via radio veniamo a sapere che tre, quattro barche ci seguono a piu di cento miglia e deduco che avrebbero fatto la nostra scelta...ma poi non è   stato cosi.
L' entrata a Bazaruto  da brivido, tanto per cambiare. Oltre un promontorio sabbioso che si allunga desolato nel blu sta l'ancoraggio da raggiungere tra bassi fondi lagunari. Naturalmente senza briccole. Ma abbiamo dei wpt da altri già sperimentati. Entriamo con il crescente, a 2 metri, con una marea di 4 metri al colmo. Se ci insabbiamo dovremmo uscirne. Tutto ok sino all'ultimo wpt. Quando il percorso tortuoso sembra risolversi in un cospicuo fondale, ecco che la profondità sale di botto. L'acqua schiarisce e...accosto di 90 gradi appena in tempo. Passati, per un pelo.
L'ancoraggio  protetto e desolato, cinto a levante da una bianca spiaggia chilometrica. Fanno quinta alte colline di sabbia, serpeggianti tra un verdeggiare arido d'arbusti. Appena oltre la battigia isolati capanni di pescatori. 

 

Sistemata la linea d'ancoraggio ci guardiamo attorno. Deserto. Il vento da nord est non disturba e Eutikia rolla appena. Bene, ci riposeremo. Poco dopo arriva il comitato di accoglienza: una barca rudimentale a spigolo con tre pescatori e gli immancabili bambini, occhi sgranati. Piu che salutarci vogliono
subito qualcosa. Diamo loro del filo da pescare, ma chiedono di tutto. Noi abbiamo bisogno di verdure e chiediamo se hanno pomodori, molto comuni ovunque, anche perchè sapevamo della presenza in zona di un piccolo deposito. Diamo loro i 10 dollari richiesti con la promessa che l'indomani sarebbero tornati con i pomodori. Se ne vanno dopo averci fatto spostare di un centinaio di metri per non aver problemi nello stendere la loro rete.
E infatti il giorno dopo eccoli al lavoro. Partono dalla spiaggia e  poi  remano come forsennati e ne trascinano un capo a semi cerchio sino a raggiungere nuovamente la spiaggia un duecento metri pi in là.
A questo punto dalla spiaggia, o meglio dall'acqua bassa, uomini, donne e bambini incominciano a recuperare. Quello che io chiamo il rosso, perchè indossa un liso completino rosso, da gli ordini. Fischia e sbraita, tira, rema, spinge. Ha un fisico potente e non si ferma un attimo. Quando venne a incontrarci mi diede la mano, la mia spariva dentro la sua. Una forza della natura. All'estremo esterno della rete c'è un galleggiante. Marina mi fa notare che si avvicina pericolosamente, E infatti marea entrante, vento da terra, loro scoordinati, nonostante le fischiate a richiamo del rosso, ed ecco che siamo
presi. Il  rosso arriva remando come un forsennato, ma ha 
poco da prendersela  con noi visto che era stato proprio lui a indicarci dove riancorare.
Mi chiede un coltello, taglia la cima cui  assicurata la rete, la fa passare, libera la nostra catena e riannoda la cima. Siamo di nuovo liberi...senza piu il coltello. Al tramonto finiscono, ci par di capire con  il binocolo, senza grande soddisfazione. Passano una decina di minuti e rieccoli sotto bordo. Il compare, dall'aspetto meno truce, si scusa: per i pomodori, domani. Sarà! Però recupero il mio straprezioso coltello, firmato Amel.
Il giorno dopo scendiamo a terra: passeggiata, incontri, foto e riecco il rosso che sta risistemando la rete con i compari. Abbiamo portato per i suoi bambini dei quaderni, matite e pennarelli colorati e diverse biro. Pare gradire, ma senza particolari esternazioni.
Proseguiamo il giro e siamo avvicinati da un tale, ben vestito, occhialoni fum e parla inglese. Aveva fatto il marittimo. Ci invita a vedere il suo pub !
una capanna a tettoia, con qualche mezza parete dipinta e una donzella che ci fa accomodare. Scena da non credere: nel buio qualche rozzo sedile, una decina di persone, tra vecchi e bambini, osservano rapite e attonite lo schermo di un televisore a colori fatiscente. Si proiettano dvd !, Dietro, un bancone con birre e bevande loro. Torniamo alla luce abbagliante della spiaggia. Ma !
Comunque ancora niente pomodori. Decidiamo, per il giorno dopo, di cercarli per conto nostro. Al tramonto issiamo il gommone dall'acqua e lo assicuriamo, come sempre, al fianco di Eutikia. Serata splendida con mezza luna e a nanna presto. Sveglia all'alba, ormai  di norma, esco e.....addio motore fuori bordo. Rubato! Da non credere dopo tutti quei sorrisi!
Su l'ancora e fuggiamo.
Ci sono alcune regole che bisognerebbe sempre seguire girando per mari incogniti ed esotici. Primo, navigare con altre barche e ancorare nei pressi.
Se da soli, mai ancorare nello stesso  luogo per piu di due giorni. Secondo, non far avvicinare nessuno alla barca, soprattutto se scurotti, hanno vista lunga e mani abili.Terzo luchettare e incatenare gommone e fuoribordo, sempre quando si va a terra. Dotare la barca di chiusure a prova di scasso.
Bisogna sempre ben fissare nella mente che i locali hanno un livello di benessere smisuratamente inferiore al nostro. Noi siamo per loro come il miele.


 


Richard Bay, Sud Africa 20 novembre 2016

2016-11-21

 Montagne russe

Sto rileggendo, per l' ennesima volta, Verdi colline d'Africa, quella mitica di E.Hamingway, ben diversa dall'attuale, ma ne riparleremo.

Oggi invece parlero', non di colline, ma delle verticali montagne russe del...barometro ! Mai visto un fenomeno simile.

Dalla latitudine 20°Sud, da metà circa del Canale del Mozambico che separa l'Africa dal Madagascar, l'analisi e la previsione delle condizioni meteo,

da gestire in rotta verso il Sud Africa, diventano d'importanza capitale. Sbagliare i tempi o non esser in grado di trovare ridossi in tempo puo' creare

davvero grossi problemi. Cosa c'entrano le montagne russe ? Ebbene sono la grafica raffigurazione sul barometro della regola fondamentale cui far riferimento da queste parti, fino a Cape Town: 

barometro sale, venti da Sud, barometro scende, venti da Nord. Detta cosi' appare di un' estrema semplicità. Peccato che il gradiente barico tra Bassa e Alta sia assai spesso verticale,

 come le montagne russe, appunto. Per esempio quando siamo partiti da Maputo, ultimo ancoraggio sulla costa Sud del Mozambico, il barometro era a 1003.5. 

Quando siamo arrivati a Richard Bay, dopo 180 mg e 28 ore di navigazione, il barometro era già risalito a oltre 1020. Venti da nord, quindi, quelli giusti per scendere ma a forte intensità, 

anche oltre a 30 nodi con un maraccio incrociato tra onda viva e swell lungo da Sud. Ma il punto dolens in realtà non sta qui'. Anzi per andare verso Sud il vento da Nord è sempre benvenuto, ...

quasi sempre. Sta invece nel rischio di andare a sbattere contro il forte Sud Ovest in arrivo quando il barometro abbia toccato il fondo. In genere poco dopo le 48 ore, con margini assai aleatorii.

Sam, un radioamatore che da anni per due volte al giorno, assiste le barche di passaggio ha una regola cui non deroga mai: solo previsione a 48 ore !

Ma non basta. Il cambio di direzione é sempre associato a violenti fenomeni temporaleschi. La sera del giorno antecedente la nostra partenza da Maputo, l'ancoraggio è stato investito da un fronte

nero come la pece illuminato a giorno da fullmini e saette che ci cadevano attorno. Il tutto ben condito da venti oltre i 60 nodi ! Mai visto un vento cosi' rabbioso. Per fortuna l'ancora ha tenuto,

 e ha tenuto pure l'ancora di un catamarano di 20 metri proprio davanti alla nostra prua.

In questa situazione meteo non resta che trovare un buon ridosso e aspettare, dati alla mano, le condizioni del vento per la tratta da percorrere

 rapportando la distanza ai tempi necessari per percorrerla. Di norma le finestre di vento favorevole sono finestrine e quindi si è forzati a partire quando ancora soffia, in calo, da Sud.

Le prime 6 ore sono in bolina o randa e motore, poi gira a Est e si parte. Nel giro di poche ore gira in poppa, prima sui 10, 15 nodi poi sale sino a 30 e piu'. 

Da Richard Bay verso Sud la corrente di Agulhas scorre forte verso Sud, anche piu' di 3 nodi, e i tempi si accorciano vistosamente. Questa corrente, che prima ti aiuta, diventa micidiale se ti trovi

 dentro con l'arrivo delle botte di vento da Sud Ovest. Si alzano onde mostruose, dicono, sino a 10 metri. Ecco perchè dopo due giorni di barometro che cala con venti da Nord bisogna

 entrare in porto rapidamente. Qui a Richard Bay capita con una certa frequenza che, quando qualche barca non riesce a entrare per tempo, il servizio di volontari esce con potenti imbarcazioni

e prendono al traino il malcapitato sino al porto. Tanto per fare un nome, la dissaventura capito' pure ad Alfredo, il carissimo amico di cui vi parlai in report precedenti. 

Ora siamo legati, è proprio il caso di dirlo, al molo degli arrivi con cime ovunque e in cuccetta lasciamo fischiare il vento. Una vera goduria.


Brevi da Richard Bay 1 dicembre 2016

2016-12-01

Brevi da Richard Bay

Tuzi Gazi.

 E’ il nome Afrikan del marina dove tutte le barche in arrivo devono fermarsi per le pratiche d’entrata. Noi entriamo con ventaccio e con qualche patema perché lo spazio per manovrare è limitato e non sappiamo se c’è posto in banchina. La chiamano con una certa importanza International Warf, ma è un pessimo biglietto da vista per il Sud Africa.

La ragione è semplice: poiché l’ormeggio è gratuito ci trovi di tutto. Noi siamo stati costretti a legarci di fianco ad un rudere abitato da un black, come li chiamano qui, che ci vive come un barbone. Mai vista una barca così lercia. Per fortuna il nostro vicino era un buon uomo e ogni pomeriggio lo abbiamo allietato con birra, sigarette e qualche spuntino.

In testa al molo due ristoranti offrono serate assai rumorose: musica a tutto volume, canti e allegre bevute. Il vino è ottimo e non caro. La cosa più divertente è stata la partita di rugby Italia vs Sud Africa. Non me la sono persa, circondato da appassionati locali, di fronte ad un maxi schermo. Abbiamo vinto e loro si sono tutti alzati per stringermi la mano.

Anche questo è rugby.

Zululand Marina.

 Qui la musica è assai diversa. Veramente un bel Club, con una storia e con soci veramente ospitali. Tra questi ci siamo anche noi visto che con l’ormeggio bisogna iscriversi, con quota, come membri a termine. La vita sociale è frizzante, non solo per il vino…a proposito una sera ci sediamo al pub del Club con amici olandesi per una cenetta a base di pesce ed ecco comparire la responsabile delle Relazioni Esterne. Si presenta, ci chiede il nome della barca e da dove veniamo. Poco dopo ci ritroviamo con una bottiglia di benvenuto, di prosecco locale, in mano e con l’altra un microfono per salutare i soci presenti che hanno applaudito alle nostre poche ma sincere parole di circostanza. Anche questa è vita di Club.

Il tassista.

Mentre parla osservo scorrere lungo la strada, che ci porta al distributore per riempire di nafta le nostre 9 taniche, un’ordinata serie di graziose villette immerse nel verde di rigogliosi e fioriti giardini. Tutte ben protette da un solido muretto sovrastato da linee elettriche ad alta tensione. I cancelli d’entrata sembrano ponti levatoi, mancano solo nidi di mitragliatrici. Assomigliano, direi, al castrum romano, piccole cittadelle fortificate.

Sono esattamente lo specchio di quanto sta lamentando il tassista, bianco.

Accanto a me David, un velista delle Vergini americane che è arrivato insieme a noi da Maputo, lo stuzzica con domande e curiosità sulla situazione oggi in Sud Africa.

La risposta, in sintesi, è :” We are milk and honney…” Siamo latte e miele per i disperati che dai Paesi confinanti passano, come una marea, illegalmente in Sud Africa.

La criminalità è cresciuta enormemente, mentre l’economia sta precipitando. Non solo,

ma le migliori professionalità, ed i giovani, lasciano il Paese. In effetti incontrammo molti Sud Africani con svariati impegni di lavoro nei marina in Nuova Zelanda e in Australia.

Nascondino.

Immagino che tutti da bambini abbiate giocato a nascondino. O no ? Devo dire che mi riusciva proprio bene scovare amichetti e amichette nascosti tra le verzure del nostro giardino. Il giochino si ripete ora a bordo, ma è decisamente più complicato e meno piacevole. Mi riferisco alla ricerca delle magagne più nascoste e agli oggetti più disparati imbucati qua e là nei gavoni. Qualche esempio. Con assidua frequenza scendo nel vano motore, sia in navigazione che in marina, e controllo che, almeno apparentemente, sia tutto ok. Recentemente scopro un leggerissimo filo di ruggine su una delle due fascette che serrano la marmitta al tubo di scarico. La rimuovo e dalla parte opposta alla mia vista

scopro, ben nascosta, un’ incrinatura. Poteva esser un bel guaio. Pochi giorni dopo lo sguardo si sofferma sulla nuova fascetta, tutto ok. Già che ci sono ricontrollo quella che sta accanto, apparentemente perfetta. La svito, la giro e voilà…ben nascosta, anche questa aveva una crepa !

Il gioco continua. Il dissalatore ci ha fatto sempre diventare matti per svariati motivi.

Una buona ragione per controllarlo sempre quando è in funzione. Ma una goccia ben nascosta può sempre sfuggire. E’ quello che succede quando un malefico connettore tra le due membrane si ossida. Appare subito una goccia, pessimo segnale. Gutta cavat lapidem, dicevano i latini, e qui la goccia ad altissima pressione, scavate le testate, può diventare in pochi secondi una fontana di Trevi nel vano motore. Sarebbe un disastro.

E per finire il giochino, ecco che mi viene in mente di verificare se, ben ricordavo, di aver a bordo la pompa a pedale di riserva. Con mille litri d’acqua nel serbatoio e con l’autoclave disgraziatamente fuori servizio,  diventa un oggettino assai importante. Cerca di qua e cerca di là, e non trovandola ci eravamo convinti di averla già usata con l’ultimo ricambio. Ma visto che lasciamo la barca per un mesetto e Marina si pena di far ordine in ogni dove, decidiamo di rimuovere tutto dai gavoni di prua…ed eccola comparire ben nascosta da sotto la mia attrezzatura per immersioni !

National Sea Rescue Institute

Adiacente al Zululand Marina c’è una bella costruzione, tutta mattoni e ampie vetrate.

Mi sono domandato cosa fosse, così, passeggiando tra anatre chiacchierone e verdi prati, sono andato a vedere. La facciata fronte mare, con il suo scivolo a rotaie, ha rivelato subito la sua funzione. Da qui partono, con minimo preavviso, le imbarcazioni, gestite da un corpo perfettamente addestrato di volontari, che si avventurano nel mare in burrasca per recuperare marinai in difficoltà o trainare in porto imbarcazioni che non hanno fatto in tempo a rientrare. Dicono che siano decine ogni anno e vista la dimensione dell’organizzazione non è difficile crederlo. Il tempo da queste parti è veramente pazzo.

La previsioni sono, come detto, a 24 ore. Ma non è tanto questo il problema. In linea di massima un’analisi attenta e l’esperienza aiutano molto, è che il cambio d’intensità e di direzione del vento  possono capovolgersi in poche ore. Se resti fuori, con forti venti da sud e corrente contraria assai forte, sono problemi seri. E qui arrivano i nostri, basta una telefonata.

” Invece di fermarti nel buio del dolore, attraversalo con slancio, per entrare nella luce della risata” A.Palazzeschi


AUGURI E BUON VENTO A TUTTI. Venezia, 14 dicembre 2016

2016-12-14


Invito a Ca' Sagredo per Venerdì 23 Dicembre , ore 17

2016-12-17

Siamo stati invitati dall'amico Mirco Sguario, Yachting Club Venezia, ospiti della splendida sede storica di Ca' Sagredo, ora albergo di gran lusso, a presentare le nostre navigazioni per i mari del mitico Sud Pacifico. Nulla di nuovo per chi ci segue da sempre, ma vi assicuro che la sede è davvero splendida e ricca di storia. Per farvi un'idea date una scorsa veloce a questi links.

https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Morosini_Sagredo

https://it.wikipedia.org/wiki/Sagredo

https://venicewiki.org/wiki/Ca'_Sagredo

https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Francesco_Sagredo

Ovviamente siete tutti invitati, magari per gli ultimissimi Auguri !

Indirizzo :

https://maps.google.it/maps?hl=it&gbv=2&um=1&ie=UTF-8&fb=1&gl=it&sa=X&ll=45.440555,12.334373&z=15&ftid=0x0:0x67864cbe906204a3&q=Ca'+Sagredo+Hotel&ved=0ahUKEwig8fmfyvvQAhVEMhoKHRegD8kQ_BIIfjAQ

Enjoy !


IL PROGRAMMA DI EUTIKIA PER IL 2017 - Venezia 3 gennaio 2017

2017-01-03

~~IL PROGRAMMA DI EUTIKIA PER IL 2017
Matthew Fontaine Maury, chi è costui? O meglio cosa è stato per la navigazione moderna questo Capitano della US Navy che a metà ‘800 ha inventato le prime Pilot Charts ? In allora una veloce (come oggi del resto)  traversata atlantica, con navi a vela e solo parzialmente a vapore,  sia per longitudine che per meridiano, era economicamente molto importante.
L’incognita maggiore era quella di evitare le calme, oltre ovviamente i venti contrari e burrascosi. Il Nostro, ridotto al lavoro d’ufficio in seguito ad un grave incidente di bordo, decise di studiare a fondo detto problema, che ogni capitano si poneva. Analizzò così tutti i Diari di Bordo a disposizione della US Navy e programmò una nuova sistematica rilevazione delle condizioni meteo coinvolgendo  le navi in servizio lungo le rotte più battute. Per raffigurare le informazioni così raccolte Maury, figlio esemplare del pragmatismo anglosassone, pensò di suddividere con una rete di quadrattini di 5°(300 mg) la superficie oceanica e di indicare graficamente (con vettori)  la direzione e l’intensità del vento per ciascuno. Una carta per ogni mese dell’anno. Ne indicò pure le principali correnti e le rotte consigliate. Queste carte vennero progressivamente ampliate, migliorate e restano tuttora un valido supporto per avere un quadro sinottico in fase di pianificazione di una navigazione.
Qualcuno  nei tempi moderni ha pensato bene di aggiornarle con riferimento a dati recentemente rilevati via satellite, e non solo, e ne ha fatto una pubblicazione assai commerciale in vendita nelle librerie di nautica.
Oggi però la disponibilità dei dati on line, anche in navigazione, ha nuovamente modificato la pianificazione. In altre parole e semplificando, poichè è possibile in tempo reale fruire di una rappresentazione grafica e dinamica dell’evolversi del tempo e del flusso delle correnti, è decisivo il focus sulle tendenze, e non solo quindi su dati consolidati e storici (che restano comunque  di base assai utili).
Come sempre, poi, i dati da soli sono muti senza competenza ed esperienza interpretative, e senza la loro più opportuna applicazione nel contesto del vissuto a bordo.
Non solo. Oggi è molto utile, come del resto fece Maury, accedere ai  Diari di Bordo on line di altre barche che ti hanno preceduto. Molti skipper aggiornano i loro siti web con report dettagliati ed intelligenti sulle condizioni incontrate e con una varietà di informazioni assai utili per chi seguirà.
Perchè questa premessa non brevissima? Semplicemente perchè nel 2017 dovremo navigare per circa 6.300 miglia (12 mila Km), la tratta complessivamente più lunga percorsa sin’ora: lasciare l’Indiano, attraversare il sud Atlantico , ritornare nell’emisfero Nord, incontrando le condizioni più diverse. Va da sè che ottimizzare le informazioni può significare, più che che nelle tratte precedenti, riduzione dei tempi di percorrenza e nel contempo miglioramento delle condizioni di vita a bordo.
E vediamo in macro linee il piano 2017.

Sud Africa, 850 miglia
Da Richard Bay, dove si trova ora Eutikia, a Cape Town ci sono circa 850 miglia. Non molte, ma assai difficili. Sicuramente a priori la tratta più complicata. Il perchè è presto detto. Scenderemo da 28°S a 35°S proprio in bocca ai fronti e alle Alte che spazzolano il Capo di Buona Speranza da Ovest verso Est. Il loro succedersi, assai frequente e repentino, consente ridotte possibilità per trovare accettabili finestre di venti favorevoli. Non solo. La calda corrente di Agulhas, che scorre come un fiume da Nord verso Sud lungo costa aiutando la discesa, diventa però micidiale se incontra venti sostenuti da Sud. Si alzano onde mostruose, dicono le più alte registrate al mondo (anche 10 metri, naturalmente a condizioni estreme). Come se non bastasse i porti non sono a distanze così brevi da consentire sempre tratte in tempi fuori rischio. In linea di massima le previsioni sono garantite non oltre le 48 ore, sufficienti, in teoria, a percorrere 300, 350 miglia. Le faremo bastare, giocoforza. Il finale poi sarà spumeggiante: il Capo è famoso per i suoi venti impetuosi, anche se noi confidiamo nei 2, 3 giorni di bonaccia per mese segnalati dalle carte di Maury ;-))


Città del Capo – Sant’Elena 1.700 miglia
E’ una tratta di media lunghezza,  da 10 a 13 giorni di navigazione. I venti, nel primo terzo freddi e sostenuti da Sud, andranno a scemare lungo la via con un’aliseo tiepido e più maneggevole da gestire sulle vele. Un aiutino dovrebbe darlo anche la corrente di Benguela, solo nella parte più prossima alle coste del Sud Africa. Certo che gli inglesi non potevano trovare un’isola più remota per relegarvi  Napoleone !  Ora i locali si sono ben organizzati per ospitare il crescente numero di barche in transito e per scucire loro buone sterline: campo boe, traghetto per sbarcare, rifornimento di nafta a bordo, super mercato, escursioni naturalistiche e naturalmente visita a Napoleone. Confidando in un rollio moderato, si presenta come una sosta davvero interessante e opportuna per muovere le gambette.


Sant’Elena – Brasile 1.800 miglia
La rotta sarà per Ovest  lungo il bordo superiore dell’Alta del Sud Atlantico che, come un ventilatore, ruota in senso anti orario generando un aliseo d’intensità medio, leggera: il vento apparente debole e portante, da gran lasco a poppa. Davvero pochino per mantenere medie giornaliere discrete. Ci sarà da lavorare sulle vele, magari con qualche bordo rovescio e qualche ora di motore. Una barca che ci ha preceduto, lo scorso anno e nello stesso periodo, ha percorso circa 300 miglia in più pur di  far camminare la barca.
I tempi quindi potrebbero allungarsi a 13,14 giorni…confidiamo nell’ iron wind, il nostro amato Yanmar e nella pazienza. L’arrivo è previsto a Cabedelo, Marina di Jacarè, appena sotto il grande gomito del Brasile proteso verso Est.
Il piccolo Marina, in mani francesi,  gode buona fama e da qui, se ne avremo il tempo, sarà possibile dare un’occhiata a qualche località brasiliana dell’interno ( cascate Iguazù, ecc).


Brasile – Trinidad 1.950 miglia
E’ piuttosto lunghetta da farsi tutta d’un fiato. Sarà opportuno spezzarla, come consigliato dai più, con sosta alle Iles de la Salut a poche miglia dalla costa della famigerata Caienna,  dove sarà possibile prender visione dei resti impressionanti dello storico penitenziario dell’ Isola del Diavolo. Chi non ricorda il film Papillon con con Steve McQueen e Dustin Hoffman : « Maledetti bastardi... sono ancora vivo! » ?
La prima tratta sarebbe di circa 1.350 miglia, la seconda di 600. La navigazione sarà con venti medi e favorevoli da gran lasco a bolina larga, più verso Nord. La corrente della Guyana dovrebbe spingerci con soddisfazione, pur di trovarla alla giusta distanza dalla costa. Dovremo per questo navigare oltre la batimetrica dei 100 metri e possibilmente ben lontani dalla costa, da100 a 150 miglia, se non più, per evitare i numerosi pescherecci e i detriti riversati in mare dai fiumi e dal grande delta amazzonico.
All’altezza dell’Equatore non mancheranno zone di scarso vento e abbondanti piogge, ma saremo confortati  dall’entrante aliseo di Nord Est e dall’approssimarsi della meta: Trinidad, la porta Sud dei Caraibi, dove lasceremo Eutikia per il periodo estivo non favorevole per la navigazione…al rientro abbiamo già prenotato un mese in montagna !

~~_”Il tempo non esiste per sé, ma dagli eventi trae senso il passato, il presente, il futuro”
Lucrezio

 


Brevi da Richard Bay, 18 gennaio 2017

2017-01-18

~~Yani  ci osserva dalla sponda alta  dello scivolo. Ha un nome che sembra greco, ma è Afrikan da generazioni ed è il titolare del piccolo cantiere qui a Zululand Marina. Prima di volare a casa per Natale avevamo concordato ogni dettaglio su come portare Eutikia a terra con il loro carro ponte. Ci eravamo capiti subito, forse anche per la stessa quantità di capelli bianchi, e avevamo definito ogni dettaglio. Molto importante il colmo di marea, previsto al massimo proprio due giorni dopo del nostro rientro.
Il rientro, per altro, è stato decisamente inconsueto: coda al Marco Polo in attesa dell’ok per il decollo, assai incerto per via dell’ abbondante neve a Istanbul. Primo segnale verde, alle 20, poi contrordine, non si parte ! Cambio volo a carico della compagnia turca e partenza per Amsterdam alle 6.55 del mattino dopo, poi Johannesburg e infine Durban: 8 ore di sonno in 48 ore…peggio dei turni in barca!


E così appena arrivati, nuovo immediato aggiornamento con Yani: se viene su è proprio per pochi centimetri, anche perché devo entrare di poppa e c’è il rischio di sbattere con il timone, per la forte pendenza dello scalo. Ora guardo lui che in Afrikan, assolutamente incomprensibile, si consulta con gli scurotti che governano il trabiccolo che ci dovrebbe imbragare e trascinare su per lo scivolo con un trattore. Operazione non semplice neppure con barche meno ingombranti di Eutikia. Sono dentro per metà e chiedo che qualcuno vada a vedere con la maschera. Manda subito lo scurotto più furbo a dare una controllata. Eccolo già uscire sbuffando, e con le dita segna appena qualche centimetro: troppo poco. Ci guardiamo perplessi e tra tre giorni, finiti i lavori, sarà peggio. Conclusione: rientro all’ormeggio e duecento dollari per il disturbo.


 Per fortuna i sub da queste parti non mancano e così il giorno dopo arriva Gideon, un omone baffuto che sembra uscito da una foto ingiallita dei primi coloni boeri. Prima di farmi un preventivo, per pulire il fondo e cambiare gli zinchi, vuole vederci chiaro e s’immerge con tanto di videocamera. Il filmato per fortuna ha dato un riscontro confortante: dopo oltre quattro mesi il fondo era ancora in ottime condizioni. La cosa curiosa invece è stata che, sbagliando ad aprire un video, appare lui disteso tra i cespugli della savana mentre imbraccia una potente carabina. E così scopro che Gideon è uno dei tanti cacciatori pagati dai mandriani per abbattere ghepardi e leopardi !


Naturalmente, come ad ogni rientro, i lavori sembrano non finire mai: frigo che non parte, girante del generatore da sostituire, ecc ecc, ma la cosa più sorprendente è che dobbiamo continuamente pulire la barca per asportare una sottilissima polvere nera: il Sud Africa è il sesto produttore al mondo di carbone con 250 milioni di tonnellate, 70 delle quali transitano, via treno per esser poi imbarcate per l’export, per Richard Bay il cui porto industriale è  assai vicino al Marina. Ieri fuori del porto c’erano alla fonda 17 navi!
 Le drizze, dopo quasi due mesi, ne sono impregnate e noi teniamo la barca chiusa nei limiti del possibile, quando tira vento da Sud Ovest, direzione porto. Come faccia la gente del posto a viverci senza protestare è un bel mistero. Non oso pensare cosa sarebbe successo, e giustamente, da noi.


Come già detto in precedenti posts, il tempo da queste parti è molto variabile, con repentine buriane. Per fortuna le previsioni a breve termine (48 ore) sono cronometriche e la tendenza per il terzo giorno credibile. Questa notte, alle 03.00 era prevista una rotazione da Sud con rovesci e venti oltre i 30 nodi. Alle 03.00 siamo stati svegliati dal frastuono delle drizze…dei vicini.
Tutto il giorno poi è stato bruttissimo: vento assai forte e rovesci che portavano pioggia orizzontale nel pozzetto e noi, ormeggiati di poppa e senza ancora la copertura completa, ce la siamo presa tutta, nonostante i teli per il sole sistemati alla bella e meglio. Tanto brutto che è stato giocoforza rinviare anche l’ invito per un apero che avevamo a bordo di un altro Amel, il Rev de Lun. Naturalmente passata la buriana è stato davvero molto piacevole far la conoscenza con Eva e Jean Luc, una coppia francese con la quale, forse, faremo qualche miglio insieme. Ma ne riparleremo.
Domani andiamo a vedere un po’ di bestiolini nei parchi qui vicino, poi schiodiamo… 


Richards Bay 24 gennaio 2017 E' ora di schiodare.

2017-01-24

~~Immaginate uno di quei castelli delle fiabe che si inerpicano neri, una rocca nera inaccessibile aggrappata sulla scoscesa vetta di una nera montagna, in una notte di luna scura.
Immaginate d’entrarvi da una feritoia a volo di pipistrello attratti da una luce fioca: un’ombra si muove svelta, scruta il cielo, le stelle, prepara strane alchemiche pozioni  tra  alambicchi fumanti e  libroni squadernati su formule le più arcane.
Immaginate la soddisfazione di  IRUAM  OIZ, lo stregone, nello scoprire il futuro, l’essere aeriforme degli elementi , il loro divenire pur imperscrutabile. L‘atmosfera che avvolge ogni cosa è il chaos che prende così forma e struttura, intellegibile anche per i non iniziati. Le nuvole, il mercurio, l’acqua, le folgori, i venti con i marosi ritrovano un’organica sistemazione nell’evolversi dionisiaco del chaos primigenio.
Ebbene EUTIKIA solcando i mari del mondo lo ha incontrato  e IRUAM OIZ è diventato il nostro sorcier, il nostro  routier. L’avrete sicuramente capito: sto parlando di Maurizio che da Ancona ci segue miglio dopo miglio. Mi sono permesso di scomodare il magico Disney di Fantasia, che di certo non gli mancava, per riscoprire lo stupore di Topolino di fronte al suo sorcier, YEN SID (semplicemente Disney letto al contrario) . Ma lasciamo il castello al suono, incalzante e indimenticabile,  della ballata, quella delle scope per intenderci, sulle note del buon Paul Dukas,  per tornare con i piedi sulla tolda, tra i flutti.
Maurizio nei prossimi giorni avrà il suo bel da fare,  tra alambicchi e mappe,  tra una lezione e l’altra ai suoi apprendisti stregoni durante i corsi di Meteorologia presso l’Assonautica di Ancona, per trovare la formula magica che ci consenta di estrarre 48 ore di venti favorevoli per percorrere le 350 miglia che ci separano da East London, la prossima tappa.
Tanto per dare un’idea del suo bel da fare allego alcune immagini di per sé assai significative.
Per incominciare due delle slide utilizzate al corso, semplici considerazioni che val la pena di tener a mente nel pianificare qualsiasi traversata, anche breve. Seguono due  immagini descrittive delle condizioni meteo che  vanno a svilupparsi e che caratterizzano, con continuità, la navigazione lungo la costa di Sud Est verso Città del Capo.
Per finire la sequenza delle condizioni che dovremmo trovare lungo le quattro tratte : sino a Città del Capo, sino a Sant’Elena, al Brasile e, per finire, sino a Trinidad ai Caraibi.
Per ora stiamo scaldando i motori… anche se francamente non ne sentirei il bisogno, visto che mentre scrivo ho al carteggio 33 °e barometro in picchiata a 1005 mB. Domani girerà, speriamo, da Sud Ovest con venti più freschi e cielo coperto. Topolino e Minni  aspettano fiduciosi…

 


Nei Parchi di Hululwe e di Imfolozi, 19-23 gennaio 2017.

2017-01-29

~~L’appuntamento è per le 04.50 davanti alla rustica entrata del Hilltop Lodge.
Abbiamo prenotato un’escursione guidata per esplorare, con un ranger locale,  la parte nord del parco di Hulhulwe. La giornata si presenta splendida: non una nuvola, forse, verso l’orizzonte, leggere sbavature vaporose.
Il fuori strada è assai comodo e troviamo sui sedili pure una calda coperta che ci riparerà dal fresco venticello. Dietro di noi solo una coppia di giovanissimi US. Dopo uno spiegone, opportuno ma contenuto, si parte. Pronti via, e partono pure le prime istantanee.
Dopo un breve saliscendi, alla prima curva, ecco l’Africa. Quella di E. Hemingway e di K. Blixen, per intenderci. Il sole fa capolino, rosso tra lo smeraldo serotino, e cesella una linea netta d’orizzonte sulle verdi colline che, in fuga,  s’allargano morbide su piani decrescenti ad incorniciare ampie vallate, ancora di bruma. Non sai se fotografare o se goderti lo spettacolo che rapidamente muta, troppo. Ad ogni curva il taglio fendente dei raggi illumina nuove prospettive. Nell’aria, odore penetrante di terra umida, rossa. Percepisci, anche se ancora non la vedi, la presenza animale. Solo acuti cinguettii, richiami tra le fronde dei marula e delle acacie.
Ti aspetti ad ogni istante che qualcosa accada, qualcosa di primordiale. Non una traccia d’uomini, solo nascosti sentieri d’impronte che s’inoltrano nella bassa, densa verzura del bush.
Il nostro ranger, zulu scuro scuro, scruta, sa dove cercare. Sui bordi, sterco fresco rivelano la presenza di bufali in zona. Non molto, ed ecco che un grosso esemplare se ne sta immobile, massiccio, indifferente qualche metro oltre il ciglio della via. Ci osserva annoiato, un testone con scriminatura centrale perfetta, non muove un ciglio, solo le mandibole non smettono di ruminare. Siamo molto vicini. Altri bufali sul crinale sono illuminati dai raggi radenti. Non sono per certo una vista di quelle che esaltano, ma il bufalo è pur sempre assai gallonato, è uno dei cinque  big five. Gli altri sono il leone, in primis, il leopardo, l’elefante e il rinoceronte.
Avvistare, durante la permanenza di qualche giorno in un parco, tutti e cinque è come fare bingo. Il gestore del cantiere mi diceva, per esempio, che lui, nonostante le numerosissime escursioni nei parchi, non ha mai visto un leopardo.
Il primo giorno, appena entrati, una delle addette del gate ci ha avvisato, eccitata, che poche centinaia di metri oltre un ponte, tra il bush, all’ombra di un albero , c’era un leopardo: era una grande notizia anche per loro. Ci portiamo subito in zona. Arrivati scrutiamo ogni zolla. Niente. Siamo bassi e l’erba è alta: è come trovare un ago nel pagliaio. Fa un caldo torrido, non una bava, ti accorgi della profonda quiete d’attesa solo dal leggero vibrare delle fronde d’acacia. Procediamo a passo d’uomo, ma niente. Siamo appena entrati e non abbiamo certo fatto quel minimo d’occhio per capirci qualcosa.
Decidiamo di tornare sui nostri passi e di procedere verso la parte sud del parco che contiamo di visitare sino al tramonto prima di arrivare al lodge Hilltop, dove abbiamo prenotato. E dimentichiamo l’idea del leopardo. Due saliscendi e vedo una macchina ferma sul ciglio, binocoli e macchine con tele enormi. Mi fanno cenno che verso quel marula appena più in basso, sotto all’ombra, c’è ! Abbasso il finestrino, ma non vedo proprio nulla. Decido di spazzolare l’orizzonte, come in mare, è finalmente scorgo il suo testone di profilo. Sembra proprio un micione. Ma sarà a duecento metri, troppo. La mia Lumix mi aiuta. Pur compatta, ha un obiettivo ottico strepitoso: lo vedo distintamente, anche il tipico vello maculato. Non è il massimo, ma come inizio niente male.
Ormai siamo gasati, e la fortuna continua. Incrociamo un branco di elefanti, saranno una trentina. Si muovono lentamente dalla zona umida verso la mezza collina, per il pasto. Attraversano la strada e non sappiamo cosa fare. Alcuni passano sul retro, altri più avanti. Ma riprenderli è un bel problema, non si può scendere dalla macchina. Già così potrebbe esser pericoloso, non dovremmo stare a meno di 50 mt e siamo a molto meno. Se ne vanno con queste stazze enormi ed un codino roteante, mentre i più piccoli sembrano inciampare tra le zampone delle madri.
Per finire la prima giornata altro colpo di fortuna: a pochi chilometri dal lodge ecco svettare due giraffe, a pochi metri, tra le alte fronde di acacia, ghiotte come sono dei loro germogli.
Ma torniamo alla nostra escursione mattutina con altre sorprese. Tutta questa vastissima area di parchi è considerata la più grande riserva a protezione dei rinoceronti bianchi, altrove quasi spariti. E infatti ben presto ne scoviamo diversi: di bianco hanno ben poco, ricoperti come sono sempre di fango. Gli esemplari adulti hanno un doppio corno dalle dimensioni impressionanti. Mentre brucano placidi sembrano mansueti, ma il nostro driver azzittisce brutalmente gli uaooo esplosivi dei nostri americanini. Hanno tutti, più o meno, la stessa caratteristica: quando li fotografi ti mostrano le terga !
E per finire, l’ultimo che resta dei Big Five : il leone, anzi due leoni. Trovarli è tutt’altro che facile anche per i ranger. Di questa stagione, più umida, l’erba è alta e lo sguardo, anche più esperto, ne è impedito. E così ci hanno pensato loro a farsi vedere camminando mollemente, ciondolando i testoni arruffati, lungo la via. Dietro ad una curva scorgiamo una vettura immobile, i due chiusi dentro agitati non poco, con un leone davanti e uno dietro. Due bei maschi, criniera chiara e passo felpato. Restiamo immobili pure noi. Quello più indietro ci evita ed entra nel bush e sparisce. L’altro fa una ventina di metri e si accomoda per aspettarlo. I motori sono spenti, e sentiamo il suo richiamo: un sordo ruggito, rauco e profondo. E’ lui il padrone qui. Naturalmente foto e riprese a iosa, ma per disdetta una situazione più sfortunata di così è difficile da immaginare: hai un leone a pochi metri, immobile e per giunta vanitosetto, e questo si è accovacciato proprio davanti  all’unico, umano, cartello, di un verde sparato,  posto colà per non so quali ragioni di gestione del parco. Comunque vi assicuro che i baffi al tele erano smisurati e lo sbadiglio impressionante.
Giro finito. Lunedì 30 si parte, sveglia all’alba: ci aspettano 350 miglia sino a East London.
Per seguire la rotta in diretta : http://forecast.predictwind.com/tracking/display/EUTIKIA
Alla prossima.


Da Richard Bay a East London 30 gennaio 05.00_1 febbraio 01.30

2017-02-02

Questa mattina alle 05.00 l’alba era insolitamente immobile, non un alito di vento. Solo i primi rossi a levante. Doccia, colazione e via. Usciamo tra le dighe che sono le 06. Dopo aver chiamato, più volte ed inutilmente, la torre di controllo per chiedere la libera uscita, me la prendo. Punto. Le signorine sembra che abbiano appena preso il caffè e rispondono , quasi infastidite,solo per i servizi portuali. Dopo un’oretta sale un levantino che in un’ora diventa sostenuto.
Decidiamo di tangonare il genoa e voliamo a 9 nodi. Nessun segnale dai nostri amici del Rev De Lun partiti alle 7. Siamo abbastanza straniti con un bel cerchio alla testa, ma l’aria è fresca ed il meteo confortante. Superiamo un nuvolo di navi alla fonda e puntiamo idealmente su Durban. Sam, con il net locale, ci conferma il meteo, per le prossime 24 ore: non dovrebbero esserci sorprese. La cosa curiosa è che, via radio, da la previsione lungo il percorso con una sintesi estrema. Nessun commento. Maurizio, in compenso, ci da una visione assai più ampia per aree e per tendenza. Qui ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori, quindi sveglia!…nonostante il sonno.
Il tramonto ci vede oltre Durban. Il sole scende tra le nuvole, rosse e fosche, che si addensano lungo la costa. Oltre, l’Africa degli Zulu. Con la notte il vento cala, via il tangone e accendiamo il motore. Ci portiamo lentamente sotto costa in cerca della porta della corrente. Non più di 5 miglia, lungo la batimetrica dei 200 metri, laddove il flusso verso Sud è più concentrato. Sull’AIS spuntano navi in continuazione. Le evitiamo con la solita procedura. Ma con maggiore attenzione perché o sono in contro rotta o vengono da poppa, velocissime. La cosa curiosa, ma non tanto poi, è che quelle verso Nord rasentano la costa, la sfiorano quasi, e passandoci a destra evitano il correntone. Quelle verso Sud le abbiamo dritte di poppa, nel pieno della corrente a favore.
Valutare la loro direzione e quindi il rischio è questione di qualche grado. La funzione ARPA del Radar è insostituibile e ci siamo fatti ormai un buon occhio, anche se la rappresentazione grafica del vettore (velocità-direzione) della nave è spesso molto ballerina poiché è il risultato di ricalcoli continui del sistema ARPA, e quindi, in queste situazioni limite, non ti rassicura completamente. Con l’AIS, invece, hai subito disponibili i dati di navigazione ( SOG-COG ) in tempo reale, via VHF/AIS, della nave sopraggiungente e, cosa assai importante, il suo nominativo.
Appena sono a dieci miglia, chiamo sul VHF il nome del cargo e chiedo se hanno visto il nostro segnale AIS e che intenzioni hanno su come passarmi: port o starbord?
Chiarito il tutto, alle volte non ci si capisce, vado almeno 5 gradi dalla mia parte. Non si sa mai.
Dormiamo niente e si fa fatica a cucinare: la barca entra in un pesante swell di SE, sui 2 metri abbondanti. Per fortuna è appena al moscone, con vela e motore riusciamo a non cascarci dentro. Ma la vita a bordo è assai scomoda. Non c’è un momento di stabilità, non c’è ritmo. Il nostro assetto complessivo ne risente moltissimo. Piove a tratti e fa freddino. Queste prime 350 miglia sono una bella botta, da farsi di corsa. Da Richards Bay, Durban, East London a Port Elisabeth, prossima tappa, sono le 500 miglia tra le più pericolose del mondo.
Ormai, grazie anche alla forte corrente che ci trascina con un bonus di oltre 3 nodi e con un pur debole 10 nodi al traverso, è chiaro che arriveremo di notte e non, come stimato, di giorno. L’idea di proseguire verso Port Elisabeth contando su un’estensione meteo praticabile, non è compatibile con le nostre residue forze psicofisiche.
Arriviamo di fronte al porto con il consueto sky line di luci, le più diverse e indecifrabili. Marina è nella sua classica postazione: a cavalcioni tra i winches e binocolo puntato.
A 7 miglia il Rosso è inequivocabile, poi anche i verdi. Ci infiliamo tra banchine, navi illuminate a giorno, ciminiere, torri, gasdotti. Sembra di entrare in un quadro cubista alla Léger.
Il fiume Buffalo riversa acqua più calda, c’è una gran condensa, piove ma non è pioggia.
Troviamo un po’ di spazio di fronte alle boe del piccolo marina e ci ancoriamo. Lascio l’AIS acceso per il Rev de Lun che sta arrivando, e andiamo a letto distrutti e intirizziti.
Sono le 01.30 del 1 febbraio


Da East London a Port Elisabeth 6-7 febbraio 2017

2017-02-07

~~Incominciamo dalla fine. Sono le 13.30 di martedì 7. Siamo a cuccia a prua per una dormitina, dopo aver mangiato qualcosa e aver ormeggiato Eutikia al pontone ferroso che, per fortuna, l’Algoa Yacht Club riserva libero per i transiti. Marina, che non perde un refolo, mi sveglia “ ci sono rafficozzi, la barca strappa e cigola” Mi rovescio, molto mal volentieri e metto la testa fuori. Il vento mi stira i capelli ! Dal gavone saltano fuori i pezzi da novanta e in un’oretta mettiamo in opera il necessario ed anche di più: 12 cime in tutto. Mi guardo attorno e tutte le barche sembrano tanti Gulliver. Un classico colpo di vento da Ovest ha chiuso la finestra di bel tempo che avevamo individuato, come adeguato, per la tratta.
Eravamo partiti alle 13.00 non senza apprensione. La finestra era buona, forse anche con una mezza giornata di margine, ma il Nord Est che ci aveva portato il sole dopo 5 giorni di nuvole e pioggia, ora aveva iniziato il suo turno già di buon mattino. Dentro al fiume la situazione era calma, ma fuori ? Il problema era come uscirne, con un’entrata perfettamente aperta a Nord Est e quindi anche al mare che stava montando.
Ci precede Chantey , un bel ketch di Will e Karen, due ragazzi neozelandesi simpaticissimi. Avevano deciso di partire prima di noi perché più lenti, Ora, però, pensando al vento in crescita con il sole, decido di anticipare e di uscire pure io.
Chiediamo il permesso al Port Controll, solita fredda risposta, e puntiamo all’uscita.
Per fortuna vedo che Chantey esce abbastanza bene e che le mie apprensioni erano in parte infondate. Meglio così. Il mare comunque dopo qualche miglio monta con il vento e con lo swell . Poggio e filiamo via a 8, 9 nodi. Finalmente di nuovo liberi.
E’ un bel andare. Si rolla forse troppo a causa di questo malefico swell ma la velocità è quella che dovrebbe portarci in tempo a destinazione. Opto per una rotta più sotto costa con meno corrente, più diretta, e forse con meno mare. La corrente sempre comunque a più di 2 nodi ci sospinge e superiamo prestissimo i nostri amici neozelandesi.
Restiamo in contato con  VHF e controlliamo le nostre posizioni con l’AIS. Il tramonto è fosco e il sole sparisce tra basse nuvole oltre le colline d’Africa.
Incomincia il giochino delle navi. Sembra incredibile: questa notte tutte sotto costa.
Un cargo cinese è perfettamente in prua. Procede lentamente contro corrente, ma a 5 miglia l’AIS mi da il punto più vicino di approccio uguale a zero. Potrei deviare di qualche grado, ma sono quasi in poppa piena e potrei solo orzare. E lui ? Lo chiamo e mi risponde un cinesino. Suggerisco “Port to Port” e lui “ Ok, Polt to Polt “ E via così.
Arrivano nel frattempo gli aggiornamenti meteo da Maurizio: finestra confermata, ma senza indugi. Meglio arrivare nella prima mattinata. E Infatti!. Poi Eva, già arrivata dal giorno prima, mi aggiorna sulla situazione in loco. Dovremmo trovare posto. Poi mi dice che avevano optato per entrare, più al largo, nel pieno della corrente. E’ stato orribile, dice, salti di vento e maraccio incrociato. Per la prima volta dalla partenza per il giro del mondo, non avevano cenato ! Non solo ma hanno anche rotto la randa. Francamente non ho capito perché avessero deciso di partire con il vento ancora in rotazione e basse nuvole di pioggia. Comunque le preziose notizie di Eva avevano risolto il problema, molto importante, dell’ormeggio.
Marina prepara un’ottima pasta al sugo di zucchini e finiamo con una fetta di torta di mele, sfornata prima di partire. Ci voleva proprio.
La notte passa abbastanza liscia con il vento in calo e rischiamo di trovarci a dondolare in un mare ancora vivo e incrociato. Per fortuna un ultimo refolo da Nord Est ci spinge ancora, dentro la baia di Algoa, Il sole sorge pulito, ultimo zig zag tra le navi alla fonda e con l’ultima smotorata, tra piccole stenelle e sule in picchiata sui banchi di pesce, ci infiliamo nel porto. Naturalmente dopo aver chiesto il permesso di rito alla torre di controllo.
Chantey, per la cronaca, che ci aveva seguito sempre più alla distanza e con il quale eravamo rimasti sempre in contato con la vocina squillante di Karen, è arrivato esattamente un’ora prima della botta di vento e l’avrebbe forse presa se non gli avessi aggiornati sulla necessità di non tardare oltre il mezzodì. Ma sono molto giovani!

E per finire. 130 miglia in 20 ore, media 6.5. max 9,5 nodi. Ultime 30 miglia con un nodo di corrente contraria e 5 ore di motore.


Port Elizabeth e Addo Park, 7-12 febbraio 2017.

2017-02-12

~~Dal bel finestrone del nostro piccolo, ma spazioso e ben curato, randawell, una capanna con solide pareti di fango, lo sguardo spazia su un vasto prato verde. Ovunque, ma in bel ordine, verdeggianti alberi di limone. Diresti d’ esser in Sicilia, se non fosse che a due passi si estende l’Addo National Park, uno dei  più vasti del Sud Africa.
Tutto iniziò nel 1740 con l’arrivo dei primi boeri dall’Olanda che , con mandrie, Bibbia e due fucili per famiglia, occuparono queste aree contendendole ai nativi,  rifiutandosi pure di convivere con gli inglesi che si stavano via via insediando lungo la costa.
Ovviamente fu sparso molto sangue d’ambo le parti e gli Xhosa locali dovettero alla fine soccombere.
Nel 1814 gruppi misti di agricoltori inglesi e boeri, ormai chiamati Afrikaners, promossero la coltivazione intensiva di queste vallate, per tutte,  la Sundays River Valley. Grazie a nuovi sistemi d’irrigazione, a seguito di non poche disavventure e fallimenti, fu possibile, alla fine dell’800, estendere vastissime piantagioni di limoni ed arance. E fu così che quest’area è diventata la maggior produttrice di limoni del Sud Africa. Limoni che ora trovi in tutti i super mercati d’Oriente e non solo.
L’iniziativa non piacque punto agli elefanti che assai numerosi razzolavano su queste basse colline. O meglio, erano talmente ghiotti di arance che ne saccheggiavano piantagioni intere. Naturalmente fecero una brutta fine, al punto che ne rimasero, nel 1931, solo undici. Ma i tempi, anche qui, cambiarono velocemente le cose, il turismo nascente e avventuroso suggerì di istituire l’ennesima riserva naturale. E così, finalmente, nel 1950 fu istituita quest’area protetta dedicata in prevalenza agli elefanti, anche perché nel frattempo erano state adottate nuove tecniche per proteggere le coltivazioni.
E veniamo all’oggi, si fa per dire. Nel 1989, un tale Cris Pickels, con la moglie Linda, pure lui, come i suoi antenati Afrikans, annoiato dalla città decise di trasferirsi qui per aprire una farmer di limoni. Gli ettari di proprietà erano però troppo pochi per campare e così pensò di affittare due stanze ai turisti in visita al Parco, già in forte sviluppo. La vide giusta, e in pochi anni costruì con le sue mani  questa, ed altre capanne di fango che incorniciano questo bel prato fiorito e profumato.
E così percorrendo i dieci chilometri, dal lodge all’ Addo Park, dal finestrino vedi verdeggianti distese, squadrate e ben coltivate, di limoneti. Accanto i contry villages, come li chiamano,  della popolazione di colore che lavora nelle piantagioni e nel Parco. Sono di fatto ghetti ben organizzati con micro casette singole, tutte ben in fila. Non c’è un centro, solo uno stradone con un negozio e una pompa di benzina.
Quando arrivi al gate  del Parco i controlli sono severi e, poi, finalmente puoi scorazzare all’interno con la tua vettura presa a noleggio, come del resto fanno quasi tutti. Con un primo giro di qualche ora ti fai un’idea e se sei fortunato fai anche qualche bel incontro ravvicinato, poi è meglio affidarsi alle guide locali. La nostra, un tipo assai vispo, nel giro al tramonto, ci ha portato su e giù per colline e vallate con l’obiettivo più atteso, sempre quello, di trovare il Leone. Con il sole che ormai stava infuocando l’orizzonte e con le speranze sotto i copertoni della Land Rover, il nostro si ferma di botto. E indica un basso bush a più di cento metri. Zac ! Tutti con gli occhi fuori dalle orbite per vedere ciò che solo lui aveva visto. A stento e con il tele al massimo scorgo un bel maschio sdraiato nella siesta più profonda. Ma è decisamente lontano per una foto decente e per poter dire, a chi non è venuto, “ Abbiamo visto un bel leone! E tu ?”  Restiamo tutti con un palmo di naso.
Il ranger ci guarda e non fa molta fatica a comprendere la delusione del gruppetto. Borbotta qualcosa. Capisco solo che lo fa, ma che è meglio che altri non sappiano: ingrana la prima ed entra lentamente nel bush lasciando lo sterrato. Si porta a venti metri e… con l’obiettivo posso contare gli sbafizzi del leone.
Dicono che nessuno sia mai uscito dal Parco senza mai aver visto almeno un elefante.
Da undici ora sono più di seicento e sono l’attrazione più comune, ma sempre straordinaria, del Parco. Hanno un grande spirito di comunità e ogni gruppo segue la propria matriarca, facilmente riconoscibile per l’imponente mole. Sopportano placidi ogni più intrusiva presenza, al massimo ti offrono subito le terga e il codino. Unica avvertenza: non sbucciare in loro presenza un’arancia, ne ricordano benissimo il profumo e ne vanno pazzi, potrebbero diventare pericolosi !

 


Da Port Elizabet a Mossel Bay 13-14 febbraio 2017.

2017-02-18

~~“ Lovely boat” e, per finire, una storia fortunata.
Partiamo di buon mattino con addosso tutto il nero possibile: scotte, drizze, cappotta, cime ormeggio. Tutto lercio di polvere nera.  La tratta è senza storia. Fossero tutte così ! Decisamente troppo motore, circa 28 ore, ma abbiamo di poppa altre 180 miglia (come da Venezia a Sebenico, per intenderci) lungo una costa assai difficile. La finestra meteo non ci ha tradito e siamo arrivati all’ora prevista del giorno dopo, prima delle quattro, con la luce del pomeriggio e l’ufficio del Club ancora aperto.
In mattinata li avevo chiamati, risposta: tutto occupato. Chiamo il Port Control: risposta, una sistemazione la troviamo. No male, anche perché sono previsti temporali per il giorno dopo e l’ancoraggio esterno, pur possibile, non è di certo raccomandabile. Mancano 50 miglia e con l’ultimo contatto radio , Eva del Rev de Lun, un Amel uguale al nostro, mi segnala che un velista sud africano, suo amico, ha contattato il manager del club e sono saltati fuori due posti. Fantastico ! A due miglia dall’entrata chiamo il Club. Non sanno nulla ! E non ci sarà nessuno a riceverci ( scopro poi che la sede è assai lontana dal micro pontile del club). Entriamo che rinfresca e manovrare all’interno cercando l’ormeggio riservato diventa complicato. Intravediamo un buco, ma è davvero stretto con cime che vanno in catenaria. Un bel rischio per l’elica di prua e per il timone. Decido che non se ne parla proprio. Richiamo il Port Control: capisce e mi concede un ormeggio di poppa ad un rimorchiatore, ma domani devo sloggiare. L’ormeggio è rocambolesco: il vento, dal molo, ci spinge fuori e lo spazio disponibile  è la lunghezza della barca, poco più. La parete del molo è tappezzata di enormi copertoni. Entro di poppa, Marina riesce ad infilare una cima su una catena che li regge, poca retromarcia e tanta elica di prua e per fortuna Eutikia accosta, lentamente, ma accosta sulla dritta. Marina, non so come, zompa sul copertone più grosso e poi sale sul molo e fissa la cima di prua a un bittone. Arrivati !
Dopo due ore arriva Rev de Lun. Corro al moletto del Club e segnalo a Jean Luc l’unico buco possibile. Non ci pensa due volte ed entra sparato, vento di fianco. Riesco appena a prendere una cima di prua e subito la barca si traversa, spinta dal vento contro lo spigolo del pontiletto sotto vento. Per fortuna ci sono parabordi fissi ovunque e facendo perno, io tirando di lato e lui con marcia avanti, Rev de Lun alla fine entra. Per fortuna la cosa finisce bene anche per noi. Il manager fa liberare un posto e il mattino successivo ci entriamo comodi.
Prima cosa, laviamo la barca e finalmente il nero se ne va. Eutikia sembra nuova, quasi. Passa un socio, si ferma e osserva fisso tutta la barca dagli alberi alla linea di galleggiamento “ Lovely boat !” “ Thank you, Sir ! “ e Eutikia, ingalluzzita, fa un bel balzo in avanti …ma è solo risacca.
E ora la storia fortunata, molto fortunata.
Incontro Paul, per la prima volta, a Moramba Bay in Madagascar. Lo trovo mentre passeggia, passo incerto, con sua moglie lungo il bagnasciuga. Noi eravamo in difficoltà perché, non conoscendo il passaggio, tra i bassi fondi corallini, ci eravamo ancorati esterni, esposti al vento e alla maretta viva. Saliti in gommone avevamo scorto altre barche ben nascoste dietro ad una foresta di bao bab , tranquillamente ancorate in uno specchio d’acqua.  Mi dice di raggiungerli a bordo e mi avrebbe subito dato i wpt per entrare. E così siamo diventati amici e nei giorni seguenti, in attesa del meteo giusto, sono tornato da loro, a bordo della Calipso.
La barca è assai solida, e porta assai bene gli anni che ha, oltre 35. E’ un po’ consunta,  la vernice delle finiture è scrostata, ma la ferramenta appare in ordine. Assomiglia al suo padrone, un sud africano di età avanzata, penso sugli ottanta, pelle cotta dal sole, una folta chioma argentea, una leggera barba non rasata di fresco, un sorriso simpatico a fossette,  occhi azzurri come il cielo. Assomiglia, diresti, proprio alla sua barca. Hanno quasi ultimato il loro giro del mondo e sono a due passi da casa, Simon’ s Town, e non hanno fretta di rientrare. Le prossime miglia, tutto il canale del Mozambico e la costa africana di sud est, sono una brutta gatta da pelare, per loro forse più che per noi : hanno la randa completamente cotta e nafta pochina, pochina. In sostanza, se c’è vento non deve esser troppo, se non ce ne, non hanno nafta a sufficienza per raggiungere Richards Bay.
Ma non se ne fanno un problema: prima o poi a casa arriveranno.
Qualche mese dopo ritrovo Paul e la moglie, Maggie, proprio a Richards Bay.
Vengono da noi e ci facciamo delle belle risate: lungo la costa del Mozambico si sono trovati quasi senza carburante in bonaccia e stava piombando loro addosso un bel colpo di vento da sud. Si sono messi alla radio e hanno trovato un peschereccio sudafricano di passaggio. Hanno riempito qualche tanica e sono corsi dentro al primo ridosso, appena in tempo.
Ieri scambiando due parole con Don, del catamarano Pedoja, un solido e tranquillo americano con il quale abbiamo percorso diverse miglia in occasioni diverse, vengo a sapere l’ultima su Paul. Sentite questa.
Qualche giorno fa arriva a poche miglia dall’entrata di Simon’ s Town, casa sua, di ritorno dal giro del mondo. Ne pregusta già il piacere,  immagina di ritrovarsi al molo del club e a raccontare al pub, con una birra ghiacciata tra le dita non più fermissime, le mille avventure. E invece, anche lui sotto casa è tradito da un improvviso colpo di vento. Sessanta nodi travolgono la Calipso. Paul vede andare in pezzi pure la randa nuova che alla fine si era deciso di ordinare proprio a Richards Bay. Il motore non regge. La barca deriva inesorabilmente verso la scogliera.
Ma non era questo il destino ! Arrivano di corsa i volontari del servizio di recupero, qui come in tutto il Sud Africa assai efficienti e ben organizzati. Riescono a prenderlo al traino e lo portano lontano dalla scogliera. Già lo vedo al pub, occhi brillanti, gran sorriso e una storia in più, non prevista. Come mi disse “ Better luky, than smart”  Meglio fortunati, che intelligenti ! Già !

 


Verso Città del Capo 21 febbraio 2017.

2017-02-21

~~All’alba del 14 marzo del 1595, il pilota del naos portoghese S. Panataleao si mise in rotta da Rio de Infante (East London) verso Capo da Boa Esperancia. Per doppiarlo furono necessari 21 giorni di bordi, a non meno di 75°, di fughe in poppa e di ripetuti tentativi. Alla fine del viaggio di ritorno dall’India, da cui erano partiti il 6 gennaio, arrivarono a Lisbona l’8 agosto. Non meglio, anzi peggio, andò al pilota della Nossa Senhora da Piedade. Per la stessa tratta, circa 600 miglia, furono necessari ben 33 giorni, dal 29 marzo al 1 maggio del 1610. Partiti dall’India il 19 gennaio, arrivarono a Lisbona il 13 agosto.
Trovo queste informazioni assai interessanti per la loro contestuale attualità, rispetto al nostro navigare in queste acque. Per altro con un po’ di inquietante meraviglia, poiché sono tratte da una relazione presentata da uno studioso portoghese, esperto velista, in occasione di un convegno, tenutosi proprio a Mossel Bay nel 2004, per illustrare ai convenuti archeologi del mare le tecniche di navigazione di allora e di conseguenza dove meglio cercare i relitti !
Ho trovato questo documento al Maritime Museum, un’impolverata raccolta di pagine lasciata lì su un tavolino, non meno polveroso,  poco distante  dalla sagoma massiccia, copia perfetta in grandezza naturale, del Sao Cristovao, la caravella con la quale Bartolomeo Diaz, primo europeo, doppiò nel febbraio del 1488 l’estremo sud dell’Africa.
Il Museo, adagiato sul verdeggiante declivio di fronte alla spiaggia affollata da turisti stagionali, offre anche altre sorprese: l’albero della Posta, pare usato dai portoghesi sin dai primi tempi, per lasciare la corrispondenza sotto le sue fronde e la pozza d’acqua per l’acquata, ove ora sguazzano, ignari di cotanta storia, vispi anatroccoli.
Mossel Bay è una sonnacchiosa cittadina, un microcosmo che ben rappresenta  e raccoglie in sé tutte le difficoltà di noi europei per cercar d’inquadrare questo strano Paese. La cosa che più colpisce è che per la via non trovi un bianco che sia uno. Loro, tutti in macchina oppure nelle botteghe più sofisticate oppure al club, gli scurotti ben impiegati nei servizi pubblici e al porto. Ma il discorso ci porterebbe assai lontano.
Traffico quasi inesistente, strade larghe e ben tenute, marciapiedi spaziosi lungo file di vetrine dall’allestimento del tutto improbabile. Il kitsch regna sovrano.  Ma non del tutto fuori luogo, anche perché il motto di Mossel è ”DO STUFF” ovvero, fai cose, datti da fare, sii creativo. E così accanto all’entrata del Super Market, ecco il negozio di Belle Arti, di fianco all’Ufficio Turistico l’ Art Bush Gallery,  vicino a un negozio di mobili usati una vetrina di curiose creazioni, con materiali e colori i più incredibili, frutto dell’ingegno di nere mani. E ancora, sopra ad un magazzino di Antiques, dove l’unica cosa che non trovi è un iphone prima serie, ecco una solare terrazza dalla quale appare una cortese signora che, oltre a confezionare cornici, si diletta, con tela e pennelli, nel dipingere turgidi fiori tropicali.
Scambiamo quattro chiacchere, è davvero simpatica e impazzisce solo all’idea di poter veder un giorno l’arte italiana dal vero e non solo dalle fotografie. Un giorno may be, forse. Arriva pure il marito e ci consigliano una bella camminata al faro. Suggerimento che cogliamo al volo e così il giorno dopo, di buon mattino, siamo per la via. La giornata è grigia, fredda e a tratti piovicchia.  Arriviamo alla punta di sud est della baia e troviamo i surfisti che sfidano le aguzze scogliere e i denti, non meno aguzzi, dei pescecani. Poi la strada finisce e un sentiero, non difficile, s’inerpica ad aggirare, salendo, la rocca di pietra del faro di Cape St Blaize. Lo scenario è superbo: l’oceano indiano frange sulla scogliera rossastra a precipizio nel grigio blu dei flutti. Aggiriamo il piccolo promontorio e ci troviamo di fronte alla più bella villa di Mossel : una vetrata spalancata sull’oceano. Non male !
Guardando verso l’orizzonte e quell’oceano, c’è solo da sperare in una finestra di tempo decente per passare i due capi, quello di Agulhas all’estremo sud, e quello di Buona Speranza, ormai in Atlantico…di nuovo a casa, quasi !
Se le previsioni restano così, mercoledì lasciamo Mossel Bay verso Città del Capo:
per seguirci in diretta : http://forecast.predictwind.com/tracking/display/EUTIKIA

 


Arrivati a Città del Capo: da Mossel Bay a Table Bay, 22-23 febbraio 2017.

2017-03-02

~~Arriviamo a superare Green Point, l’ultimo capo, prima di entrare a Table Bay che la gialla palla del sole resta sospesa su un orizzonte ramoso, insolitamente placido.
Mi riesce difficile non pensare alle tante letture, alle tante avventure, alle scoperte, ai traffici, ai mille approdi in questa mitica baia. Certamente in altri tempi, altre incertezze, altro navigare, ma sicuramente nelle emozioni ancora nulla è cambiato nell’uomo.
Eravamo partiti di buon mattino, come sempre, da Mossel Bay salutando il faro di Capo St.Blaize, il dominatore della bella baia. Avremo un bel ricordo di questa curiosa cittadina, micro estratto della composita realtà di questo Paese.
Quando esci per affrontare le tratte lungo questa costa e conti le barche, se ce n’erano prima alla fonda che l’hanno pensata come te, ti fai subito un’idea sulla bontà della tua scelta. Non volendo farmi comunque coinvolgere nella ben nota teoria del gregge, ho verificato che ben altre sei barche erano con noi. La ragione è molto semplice: questa è una tratta decisiva, si passa dall’Oceano Indiano all’Atlantico del Sud e deve esser ben ponderata.
Sono circa 310 miglia da percorrere alla svelta, nelle condizioni migliori possibili e tenendo d’occhio l’evolversi del tempo, prima, sotto Capo Agulhas, estremo Sud dell’ Africa, e. poi, sotto il Capo di Buona Speranza, e il nome, dato dai portoghesi, dice tutto.
La giornata è stupenda. Un bel sole ci accompagna al tramonto. Vento, quello giusto, prima al gran lasco e poi, calando in poppa. Rallentiamo di molto, da 7 nodi passiamo a 5.
Del Capo Agulhas vediamo solo il faro. E’ potentissimo, 30 miglia di luce bianca, confidente. Passiamo ben fuori, oltre le 12 miglia per evitare secche e bassi fondi che alzerebbero l’onnipresente sweel. A mezzanotte siamo al traverso e un’ora dopo, Eva, che è all’esterno, ci chiama: stanno cambiando mura per risalire. Esattamente quello che stavamo facendo noi.  Rientriamo in Atlantico, finalmente. Lasciamo molto volentieri e senza rimpianti, l’Indiano di poppa. Con il primo mattino, un po’ a vela un po’ a motore, arriviamo in vista del Capo di Buona Speranza, che qui chiamano, semplicemente senza poesia e fantasia, Cape Point.
Fuori la macchina fotografica e anche queste immagini entrano nella storia dei nostri ricordi. Non è come doppiare Capo Horn, decisamente più a Sud, ma l’evento merita davvero qualche istante di felice soddisfazione. Siamo stati fortunati e le previsioni anconetane hanno trovato perfetto riscontro. Grazie Maurizio !
Non per dire, ma due giorni prima qui c’erano  30 nodi e dentro False Bay, a Simon’s Town, dove avevamo ipotizzato di fermarci in un primo momento per accorciare, un bel colpo di vento a 40 nodi e oltre. Due barche, che erano con noi a Mossel Bay e partite due giorni prima, si sono trovate in grosse difficoltà e sono state aiutate a trovar ridosso dai servizi marittimi locali, sempre molto attenti e professionali.
Passato il Capo, ormai con il sole verso ponente, siamo stati incrociati dalla flotta dei pescherecci in uscita dalle baie della costa e diretti, di gran corsa, verso i bassi fondi di Agulhas, pescosissimi. Fosse successo di notte sarebbe stato da impazzire, ne ho contati più di cinquanta, tutti in contro rotta.
Passato Green Point, come detto, non restava che avvisare la torre di controllo e, in successione,  gli operatori dei due swing bridges da superare per entrare nel chiuso bacino del Waterfront Victor&Albert Marina.
Le vetrate dei palazzi di Cape Town brillavano, rifrangendo luci scintillanti e dorate, mentre un velo violaceo impastava le montagne, a corona della Table Mountain. Chiamo sul VHF Eva per una foto ricordo di Eutikia e scende la notte, piena di stelle.
Dal Port Control rispondono con l’indifferenza più assoluta “ Avete il permesso “e chiude.
Dallo swing bridge, invece, mi rispondono con delle indicazioni per noi assolutamente incomprensibili. Sono sicuramente scurotti e il loro inglese è fortemente dialettale.
Marina a prua cerca di capirci qualche cosa. Siamo in un canale chiuso e davanti un nastro orizzontale di luci cangianti colore, come alle giostre: è il primo ponte. Però non si alza o, meglio, non si gira. Restiamo con il fiato sospeso e immobili. Il VHF gracchia, capisco solo “…for you ! “ e il ponte, cangiando in verde, si apre lentamente. Mi avvio e dalle sponde la gente ci osserva e ci fotografa. Con il secondo ponte, stessa storia.
Questo però deve aprirsi a metà ed alzarsi . Ancora dal VHF mi par di capire che devo aspettare. Siamo imbottigliati. Poi finalmente si apre, ringrazio e passo, capisco solo “…Itsaplagiar, ser” …e siamo a Cape Town.
Il giorno dopo Eva ci invita per un drink, con un’altra coppia di francesi, anche loro amelisti. Jean Luc apre lo champagne, mentre l’ultimo sole indora Table Mountain, e Vera con un gran sorriso “ WE DID ! “.
Con la prossima un giro per Città del Capo.


Cape Town, 23 febbraio-11 febbraio 2017. Waterfront V&A

2017-03-11

~~Città del Capo
Jochen Zeitz, un mecenate riccastro, fondatore del Museum of Contemporary African Art, il giorno dell’avvio dei lavori per il restauro di un enorme e vecchio silos del porto, destinato ad ospitare nei prossimi mesi l’intera sua collezione, ebbe a dire alla stampa che “…il Waterfront Victoria & Albert è di per sé un’icona in una città, icona essa stessa il cui destino è quello di attrarre la cultura internazionale”  Icona dunque è la parola giusta per tentare di iniziare una breve, per quanto possibile, descrizione di questa realtà particolarissima che ci circonda.
Noi, con Eutikia, siamo nel bel mezzo di questo vasto complesso, nel bacino  centinaia di gabbiani e simpatiche fochette. La barca galleggia letteralmente su un tappeto di krill, assai gradito ai gabbiani. Il Marina è circondato da lussuosi palazzi, da un miliardo di euro per 50 metri q. Il tutto ben incorniciato dal vento che soffia dalla Table Mountain, spettacolare scenario, sulla vasta baia.
Lasciata la barca in Marina, quando entri per la prima volta nel Waterfront, e lo si può fare solo a piedi, non sai dove stai entrando, almeno è questa la prima sensazione.
E’ un’immagine commerciale ? E’ un nuovo modello di piazza ? E’ un’icona multitasking, come un’App a più funzioni ? Altro ancora ? Vediamo un po’.
Il luogo è animato dalla gente, da molta gente, multi etnica, ma in gran prevalenza  assai scurotta. Camminano in pieno comfort, spazi allargati illuminati dal sole e rinfrescati dalla brezza, sembra quasi un gioco, un flusso continuo in un labirinto tra palazzi d’epoca e nuovissimi edifici. Forse sono più quelli seduti che mangiano e bevono da mane a sera. Ristoranti, pub, pizzerie,chioschi, enoteche, ce n’è  per tutti i gusti, anche a più piani con affaccio sul bacino. Il più grande affare della globalizzazione. Ma non potresti dire che sia solo un gran ristorante.
Ci sono negozi per turisti, ma pure le grandi firme. Ci sono vetrine per lo sport, anche più estremo, per le comunicazioni, altro grosso affare, per i prodotti etnici, anche i più raffinati. Per non parlare dei super mercati, non cari e pure sofisticati, non manca l’angolo del Gran Gourmet, Sushi e leccornie eccezionali. Diamanti e patacche, prodotti per la bellezza e orribili display pubblicitari. Insomma di tutto e di più. Ma non potresti dire che sia solo un gran super mercato, un mall , come tanti, troppi nel mondo.
Ci sono i divertimenti. Una ruota, che ricorda il Prater,  si staglia in cielo e appare in tutte le foto di fronte alla Tavola montagnosa. Una piccola arena ha in cartellone ogni giorno, ma il massimo è nel week end, spettacoli musicali con orchestre giovanili e danze moderne. Un po’ ovunque  gruppi etnici e reggae ricordano i timbri dell’Africa più nera.. Nella piazzetta di fronte alle ieratiche, bronzee, statue dei quattro Premi Nobel del Paese, un ragazzo, un po’slavato e fazzolettino sui biondi capelli, espande nell’aria suasive melodie New Age a più strumenti sull’onda lunga del misterioso suono del didgeridoo. Due suoi CD già accompagnano le nostre cenette. Ma non potresti dire che sia solo un gran centro polifonico.
E non mancano le opportunità culturali in senso stretto. Oltre alla collezione Zeitz, pur troppo chiusa durante il nostro soggiorno, molte sono le Art Gallery con esposta l’arte figurativa africana, etnica, naturalistica, ma anche di gusto più contemporaneo. C’è molta paccottiglia, ma anche rari pezzi d’antiquariato tribale proveniente dalle più sperdute terre d’Africa. Il Museo dei diamanti è davvero stupefacente, bagliori luminosi racchiusi in granellini di carbone, ora cristallizzato dopo esser stato compresso nei millenni,  a prezzi da capogiro. Per gli sportivi è d’obbligo la visita al Museo degli Springboks, la Nazionale di Rugby del Paese. Poi c’è l’Aquarium con vasche spettacolari e didascalie a protezione dell’ambiente marino. Per non parlare della cultura del luogo stesso: antica area portuale con una sua storia pluricentenaria, ora recuperata e resa pienamente fruibile. Tanta cultura insomma, forse meno paludata che da noi, ma sempre stimolante. Comunque non potresti certo riconoscergli l’etichetta di percorso museale.
In fine una vera sorpresa, almeno per me, dedicata all’innovazione. Al Waterfront Shed, un bel capannone modernista, all’esterno con linee neoclassiche e all’interno open space, trovi di tutto. Lungo l’asse principale si allungano, uno accanto all’altro, piccoli negozi a banco. Potresti pensare alle nostre mercerie veneziane in chiave moderna. La merce esposta di produzione locale è di buon gusto: collane, abiti assai vivaci anche di raffinato design, vasetti in legno pregiato lavorati al tornio, cose d’arredo, di tutto un po’. Nel riprendere qualche foto, m’accorgo che al secondo piano c’è un vasto ambiente, tutto vetrate, ove campeggia l’insegna “ Worhshop17” un’officina, un laboratorio. Immagino dove sia possibile vedere gli artigiani all’opera nel realizzare alcuni degli articoli esposti al piano terra. Decidiamo di darci un’occhiata. Ebbene al di là delle vetrate, in un ambiente moderno e asettico, solo personal computer , cellule con stazioni di lavoro, salette riunioni e tantissimi giovani, direi tutti bianchi, impegnati e attratti sui diversi display. Leggo sulle vetrate alcuni avvisi informativi. Si tratta di un centro dove le idee innovative e collaborative vengono sostenute per avviarle a possibili sviluppi d’interesse economico e sociale. Per chi volesse saperne di più:  http://workshop17.co.za . Indugio, sorpreso, ad osservare con il naso appiccicato alla vetrata. Poi mi volto e guardo giù, verso i negozietti,...solo cortesi, belle morette,  vere icone di questo luogo..
Il giro al Waterfront Victoria&Albert è finito. Nel prossimo andremo sulla Table Mountain, a veder da vicino, vicino il Capo di Buona Speranza, a scorazzare tra le più antiche vigne del Capo e poi una vera sorpresa…veneziana !


Cape Town 25 febbraio -15 marzo 2017.

2017-03-20

~~Table Mountain
Dal secondo piano del rosso bus della CitySightseeing Tours ci gustiamo, sotto un bel sole, il primo contatto con Cape Town. Sfilano i grattacieli, del tutto anonimi, la piazza con la statua di Diaz e quella dedicata a  Van Riebeeck,  primo olandese a sbarcare in questa baia nel 1651. In centro ci sono ancora palazzine del sei, settecento, ben incastonate, si fa per dire,  tra le verticali pareti delle architetture anni ’80. Il bus ora si inerpica tra giardini e lussuose ville verso le pendici della Tavola. La salita in teleferica sulla sua sommità è, guida alla mano, la prima cosa da vedere. Ci mettiamo in fila e, mentre leggo su un cartello che è alta 1086 metri, sento alle mie spalle voci note. Sono Don del Petoja e Marcello, un milanese che sta girando in solitario. Ma guarda il caso, ci eravamo visti l’ultima volta a Mossel Bay ed erano partiti due giorni prima di noi. Entrati a Simons Town si erano beccati 40 nodi e passa! Ci facciamo quattro belle risate e saliamo in compagnia. Raggiunta la sommità in pochi minuti, l’affaccio dal dirupo, a strapiombo sulle pendici della baia, è assolutamente strepitoso. La giornata è quella giusta. Spesso ci sono nuvole oppure troppo vento, ma oggi la visibilità è perfetta. Facciamo quattro passi e ci spostiamo su diversi orizzonti: la Tavola domina la costa e tutta la baia verso nord, le vallate verso sud, sino a Cape Point ( a proposito faccio ammenda: in un primo momento avevo confuso questo Capo con quello di Buona Speranza, sono a poche centinaia di metri, ma sono due Capi diversi). Foto di rito e torniamo al nostro bus e poi in barca, con in tasca la colonna sonora del giro, musica sudafricana un allegro mix tra nuovi arrangiamenti e tradizione, peccato non si possa inserire anche l’audio.
Le vigne del Capo
Di buon mattino siamo già in macchina. Destinazione vino, o meglio i vigneti del Capo. Piove, fa freddo, e le basse nuvole ci rubano il panorama verso i monti e le valli. Tutto grigio. In entrata, cinque corsie, il traffico è completamente intasato oltre 25 chilometri di code. Noi, in uscita, vediamo un’interrotta fascia di luci accese, ferme. Il meccanico Yanmar mi ha detto che tutte le mattine è così. Da noi ci sarebbe la rivoluzione! A fine giornata, si ripete all’inverso. Marina, con il tablet e il puntino azzurro della nostra macchina, cerca l’uscita buona per La Villiera, la prima vigna sulla via. Pare producano il miglior Method Cap Classique, un brut champenoise. Mentre il cielo s’apre, ci infiliamo in un lungo viale alberato, oltre solo vigneti a perdita d’occhio. E pensare che queste vigne sono le discendenti delle prime importate dagli Ugonotti in fuga dalla Francia alla fine del ‘600. Ma ne riparleremo anche oltre. Accanto al parcheggio un’ampia vetrata s’apre tra architetture country, ma di recente disegno. Ti aspetteresti qualcosa di più caldo, è proprio il caso di dirlo, e rustico d’epoca. Confido nel contenuto. Come entriamo una cortese signorina è già pronta con lista e bicchieri in mano per iniziare la degustazione nella tasting room. Sono le nove del mattino, non siamo i primi, e di bere come vedo fan loro, anche solo qualche goccia, non mi va proprio. Anche perché se inizio ora, come andrà a finire il resto della giornata? “ Buon giorno, sono Alessandro “ la ragazza si è trasformata in un attimo in un giovanotto dal perfetto dialetto pugliese. “…e che ci fai qui ?” gli chiedo, assai curioso e finalmente libero dall’idioma inglese. Da buon meridionale ha la parlantina facile e simpatica. E’proprio in gamba. Laureato in agraria a Foggia, è qui come enologo, impara la lingua e campa assai soddisfatto. Poi andrà a prestar servizio presso un’altra vigna che la proprietà ha pure in Francia. E mentre ci racconta e parla, lo seguiamo in una visita, tutta speciale, esclusiva, come si dice, agli impianti. Ci fa vedere dove e come le bottiglie vengono girate, qualche grado al giorno, per quattro anni. Naturalmente non possiamo sottrarci, ora sì, a qualche assaggio. Poi seguiamo l’intero percorso dell’uva sino alla spremitura e alle fasi successive. Tutto davvero molto istruttivo. Un caro saluto e con sottobraccio uno scatolone di MCC brut riprendiamo la via.
Entriamo a Stellenboch, meta turistica per avvinazzati e non,  mentre il cielo, ormai terso, ritaglia nel blu, come figurine, le facciate delle case storiche di questa cittadina ricca di storia e non solo.  Il custode, ministro della chiesa olandese riformista, di Mogemeenteeder , ( Madre Chiesa in Afrikaans)   ci da il benvenuto e ci propone, vista la nostra curiosità, alcuni documenti sulla storia dei primi arrivi dall’ Olanda e delle prime fondamenta del 1735.  Ci suggerisce poi di visitare il centro storico di Stellenboch  e il museo a  Franschhoek , pochi chilometri oltre. In effetti nel minuscolo centro, sono riusciti a ben accomodare case d’epoca con arredi e corredi autentici, ben disposti con gusto,  dando la suggestiva impressione di un salto a ritroso nel tempo. E’ ora di proseguire, e lasciamo  frotte di turisti a curiosare tra le vetrine, qua e là.
Sulla via per Franschhoek, che tradotto vuol dire l’angolo dei francesi, ci fermiamo alla vigna di La Motte. Ci avevano detto che era da non perdere, ma la realtà ha superato ogni aspettativa. Il cuore dell’ azienda è al centro di una splendida vallata: i filari si perdono in verdi distese, in perfetta armonia con la cornice delle montagne che sfumano bluastre tra i vapori del meriggio. Scendiamo dalla macchina e , prima d’entrare, ci godiamo lo spettacolo che la natura offre e che l’uomo, una volta tanto, ha saputo valorizzare. Tutto è ben ordinato, curato nei dettagli, gli ambienti aperti al verde ben si  articolano all’ombra di alti e frondosi arbusti. Alla famiglia, proprietaria, non manca certo la predisposizione culturale. Una componente è stata mezzo soprano con incisioni EMI e negli accoglienti locali si tengono pure, con regolarità, concerti classici. Ma non basta. Una vasta sala raccoglie una selezione di quadri di J.H.Pierneef: straordinarie vedute d’Africa anni 20, 30.  Come se al Montello qualche azienda vinicola avesse anche solo una piccola raccolta di Gino Rossi o di Nino Springolo. Magari! Ma qui c’è molto da imparare per i nostri produttori. Con un cartone di profumato Shiraz nel bagagliaio, ripartiamo per  Franschhoek. Pochi minuti e ci siamo. Piccolo, tranquillo e ben ordinato, il villaggio fa bella mostra di sé lungo la breve via maestra. Case d’epoca, chiesette, aiuole in fiore, e degustazioni di vino un po’ ovunque. Noi tiriamo dritti verso il museo. Se vi interessa la storia degli Ugonotti, ma non credo, qui c’è di tutto e di più. Una curiosità: si sono tenuti i registri di tutti gli arrivi, sin dal primo, un certo A. Suzanne dalla Picardie, nel 1690. Si è fatto tardi e rientriamo, solo dopo, però, un’altra sosta del tutto disinteressata ad una cantina di cui avevamo apprezzato il sauvignon. Ora proviamo il loro chenin classic, niente male. E un terzo cartone si aggiunge in bagagliaio.
Con la prossima, gita al Capo di Buona Speranza, questa volta da terra ;-)) e una sorpresa veneziana ! Da non perdere.....e naturalmente qualche nota sul passaggio verso Sant' Elena. Partenza rinviata verso  fine settimana.


Gita al Capo e alla ricerca di…. .31 marzo 2017

2017-03-31

~~Dopo qualche lavorotto a bordo, sostituzione della pompa di raffreddamento dello Yanmar e un’ ulteriore stretta al premi stoppa del timone, che perdeva più di qualche goccia, riprendiamo l’esplorazione del Capo, questa volta verso sud.
La costa ovest è davvero spettacolare: sono circa 50 chilometri, sino a Cape Point, di spiagge bianchissime e di costoni a strapiombo. Sulla destra solo oceano e cielo.
Quando esci da Cape Town stai sempre con il naso all’insù. A sinistra, aggrappate una sull’altra, splendide ville con vetrate e terrazze, da urlo, sul blu. Non sapresti quale scegliere. Di fronte spiagge contornate da scogliere calcinate e l’oceano che frange, dove i più giovani scivolano spericolati con i surf. Al villaggio successivo, Hout Bay, sbagliamo direzione e ci infiliamo in una stradina che ci porta in diretta dentro una bidonville, il rovescio della medaglia. Gli scurotti ci osservano assai stupiti mentre cerco un’ improbabile inversione di marcia. Il vicolo ne è l’arteria principale e la vita vi pulsa. Macchine strausate parcheggiate a caso, mercanzia oltre i bordi, piccoli saltano vispetti come in un parco giochi, un camion si ferma in contromano.  Ne usciamo senza ammaccature e con una certezza in più.  Superata la vasta e solare baia, eccoci di fronte al gate, a pagamento, della Chapmann  Peack Road. E’ completamente scavata nella roccia e serpeggia tra vedute spettacolari. Sono pochi chilometri, ma curati nel dettaglio: ogni mercoledì viene chiusa per pulirla da sterpi e cespugli e per garantirne la sicurezza. Dopo qualche sosta per far lavorare l’obiettivo, ne usciamo e siamo di nuovo nel traffico. E’veramente sorprendente vedere la facilità con cui si formano le code. Ormai siamo all’entrata del Parco di Cape Point. Altra coda al gate, ormai il flusso turistico è notevole. Tutti al Capo, alli meio posti, come direbbero a Roma. Troviamo un buon parcheggio e dopo una breve camminata ci troviamo alla base della scalinata che porta al faro, alla sommità. Ora lo sguardo spazia in tutte le direzioni, e nella terza dimensione in profondità, la scogliera, enorme prua di nave, frange l’oceano. Lo spettacolo è superbo e pensare che ci siamo passati, proprio lì sotto. I turisti, anche se numerosi, non riescono a contaminare il fascino del posto. Naturalmente i selphies non si contano, compreso il nostro ! Durante la discesa noto una bianchetta giovinetta piazzata proprio nel posto perfetto per far, da lassù, una foto al sottostante Capo di Buona Speranza. Ha il cellulare a pochi centimetri dal volto e sta intrattenendo in diretta video l’amichetto o l’amichetta. Scoppia dall’entusiasmo, fregandosene degli astanti fotografi in attesa, di poter condividere ciò che vede. E come darle torto ! Io trovo una bella panchetta su una terrazzetta, tutta personale, e schizzo un bel acquerello a ricordo.  Lasciamo il sito ai bus che continuano a scaricare frotte multirazziali di turisti. Nuova meta il parco dei pinguini nei pressi di Simons Town, all’interno di False Bay. All’entrata del villaggio, stessa storia: una serie senza fine di splendide ville recenti, ma anche d’epoca. Il mix è di buon gusto: il bianco permette anche qualche storpiatura. Purtroppo la famosa colonia dei pinguini è una delusione: sono recintati tra rocce e micro spiagge bianche aperte, in prevalenza, alla frequentazione dei locali. Proseguiamo lungo la litoranea alla ricerca di qualcosa di speciale: un piccolo angolo di Venezia. Passano, uno dopo l’altro, ridenti villaggi illuminati da un sole, di tarda estate, avviato al tramonto. Ma non troviamo quello che cerchiamo, forse ci siamo persi qualche cosa. Sto già cercando uno spazio per invertire la marcia, che… eccola ! “ Casa labia” Fa un certo effetto trovare da queste parti una splendida villa, primo ‘900, con questo nome. Ora è un centro culturale, ristorante esclusivo, ma, per noi, un piccolo angolo di Venezia. La storia racconta che il Conte Natale labia arrivò al Capo da Foggia (?) ai primi del secolo. Si sposò assai bene con una bellezza locale e diventò tra i più ricchi dell’upper class. Si fece costruire questa villa e la fece decorare chiamando artigiani veneziani. C’è ancora un grande dipinto che lo ritrae nelle pompose vesti di Ambasciatore d’Italia. Curiosiamo, in piena libertà, qua e là e ritrovo un quadretto a olio del vero Palazzo labia. Lo indico alla signorina, bianca, che lo ha proprio alle sue spalle sopra al desk di sala. Mi da come l’impressione che non colga il collegamento. E infatti, mi dice subito, che è lì da poche settimane. In compenso passa una graziosa scuretta che sa tutto della famiglia e degli altri quadri esposti, felicissima di parlare con veneziani. Se fatto tardi e riprendiamo la via di casa. In uscita da Hout Bay altra sorpresa e coincidenza incredibile. Il semaforo diventa rosso. Mi fermo, e incomincio a pensare a come inserirmi nel traffico al prossimo verde, mai cosa scontata con guida a sinistra. Subito siamo avvicinati da venditori ambulanti che offrono di tutto. Uno scurotto, più scuro degli altri, si avvicina al finestrino e cosa vedo ? Un quadretto a olio, dipinto con garbo, di quello che sembra un canale di Venezia. Tiro giù il finestrino, e sì è proprio Venezia, un palazzo  con tanto di briccole da porta d’acqua ! Gli dico, stupito, che abito proprio lì. Lui pure incredulo, dice di averlo copiato dalla televisione. Ci facciamo una bella risata. Hai visto la globalizzazione !
Alla prossima con una grossa novità…. si parte, forse: rotta, meteo ed equipaggio con età media dimezzata !

 


Da Città del Capo a Sant’Elena. 9 aprile 2017

2017-04-09

~~Da Città del Capo a Sant’Elena. Rotta e meteo.
Venerdì 7 aprile. Dal Capo a Sant’Elena ci sono 1650 miglia per Nord Ovest, 305 °. Per come la penso, di norma, cerco le migliori condizioni possibili per la partenza. Poi, con i giorni, le cose possono cambiare, e allora prima cosa non buscare esaminando per bene la tendenza. Partire bene, dopo molti giorni di sosta, consente di riprendere il ritmo e , come si dice non casualmente “ chi ben incomincia è a metà dell’opera”. In questo caso il detto vale doppio. Al Capo le condizioni di vento e mare possono creare problemi a seconda di come gioca la pulsazione delle Alte in arrivo da Ovest e delle Basse dirette, di norma e per fortuna, a Sud del Capo.
La Pilot Chart del Sud Atlantico per aprile configurano un’ Alta confortante, che ruotando in senso antiorario, dovrebbe accompagnare la rotta sino a Sant’ Elena con venti portanti di media intensità. Peccato che il clima stia cambiando anche da queste parti. Queste Alte non sono sempre così alte e spesso sono scontornate da fastidiose Basse, in arrivo da ovest,  che ne modificano forma, posizione e movimento. Il tutto è ben rappresentato dalle immagini fornite da Maurizio con il quale siamo in costante contatto per valutare al meglio l’evolversi della situazione.
Oggi abbiamo quasi concluso le pratiche di uscita: in Capitaneria eravamo in coda, altre tre barche in partenza per lunedì. E’ uno dei segnali che confortano, di solito, la scelta per una data. Al Capo in questi giorni c’è un gran ventaccio da sud. In mare qui fuori ci sono 40 nodi con onde di oltre 5 metri. In marina Eutikia, pur con gli ormeggi rinforzati, si sbanda, poco, e quasi rolla. Dovrebbe calare tra domani e domenica e darci segnale verde per lunedì mattina. Per ora non resta che finire gli ultimi lavoretti, controllare gli aggiornamenti meteo, ultime spese per la cambusa, e far prendere confidenza con la barca a Michele e Juliana, i ragazzi che saranno con noi sino al Brasile.
Sabato 8 aprile. I ragazzi sono andati a farsi una sgambata sulla Table Mountain. Il vento è calato e la temperatura è risalita di qualche grado. La barca è solo per noi e ci dedichiamo, con calma, ai lavori di preparazione : pulizia frigo, rabbocco nafta, lavatrice, pulizia barca dentro e fuori per asportare la molta polvere portata dal ventaccio e molto altro ancora. Questo pomeriggio ancora cambusa di cibo fresco e qualche altra compera. Il meteo sembra darci ragione. Luna quasi piena, anche questo aiuta non poco.
Domenica 9 aprile. Finite le pratiche d’uscita, con la solita fastidiosa trafila burocratica. Ultime spese, controlli in coperta, quattro chiacchere con i vicini di barca che partiranno insieme a noi. Sono Eva e JeanLuc con il Rev de Lun, un Amel come il nostro. E soprattutto le ultime indicazioni meteo by Maurizio da Ancona, abbastanza confortanti. Mi sono permesso di estrapolare la parte scritta, mentre le cartine sono tra le foto, purtroppo non secondo la sequenza logica di presentazione come predisposta da Maurizio. Il tutto rende comunque assai bene l’idea del lavoro che c’è sotto.
“Lunedì 10 Aprile all'uscita da Cape Town e l'Isola di Dassen troverai il vento che ruoterà da N 10 Kts a S 10 Kts, che via via andrà aumentando fino a 15 Kts, questo cambio dovrebbe avvenire tra la tarda mattinata e le prime ore del pomeriggio. Lo swell sarà intorno ai 2 m con 14 sec, cioè con 250 metri tra "cresta a cresta", direi "piatto" per essere l'oceano!
Durante i primi giorni dallo start lo swell si manterrà con direzione SW con 2 metri medi e periodo 13,5 sec.
Analizzando su macro-scala quello che succederà nei prossimi giorni, dobbiamo rifarci al livello dei 500 hPa, 5000 metri di altezza.
Dalla immagine qui sotto, che ho elaborato sul modello vettoriale, a Sud dei 40° troviamo il flusso Occidentale che presenta una oscillazione che descrive due saccature, una vicina all'Argentina, l'altra nei pressi del Sud Africa. Tra queste due c'è un campo di alto geopotenziale, dove le figure di Alta al suolo dominano, in particolare noterai l'Alta Sub Equatoriale che estende un promontorio verso Sud. L'alto geopotenziale con la scritta H gestisce al suolo l'area dell'Alta pressione, al suolo che troviamo a ST Helena per intenderci, mentre il promontorio alimenta l'Alta che ha al suolo il centro a 40°S.
 Per via della circolazione in quota da W verso E questo promontorio ruoterà come fa un pendolo, il cui centro è fisso sopra "ST Helena" farà migrare l'Alta "argentina" verso Est!
Quindi al suolo avremo che questa Alta "argentina " viaggerà verso Est mantenendo i 40°S di latitudine, portandola ad incunearsi sotto la punta del Sud Africa, dove gli effetti sulla ventilazione ormai sono noti!
Analizzata la situazione che governa il tempo nei prossimi giorni sopra la zona di navigazione andiamo a vedere gli effetti previsti sulla rotta da Cape Town a ST Helena.
Al momento sembra dalle proiezioni calcolate alle ore 00z del 09 APR, che il giorno 14 troviamo condizioni di vento abbastanza sostenuto. Questo però non avviene all'improvviso, ma già dal 13 troviamo le avvisaglie.
Da come evolve lungo l'ortodromica la ventilazione, per eventuali scostamenti dall'ortodromica sarebbe da preferire il lato Est.
Per l'evoluzione dopo il 16 dobbiamo aspettare i prossimi giorni. E sopratutto vedere come si modifica la ventilazione a 500 hPa responsabile degli effetti al suolo.
Probabilmente dopo quella data la ventilazione rispetto alla posizione di EUTIKIA il vento non sarà forte, ma sarà quello tipico della cintura dei venti di Aliseo, con la media dei 14 Kts. Sole ad intervalli tra Cumuli e Stratocumuli, onda di swell di 2 metri e periodo di 10 sec, ma questo lo vedremo nel dettaglio prossimamente.
ciao e "buon vento"
Maurizio  . . . . weather routier di Eutikia festina lente, " mago Iruam Oiz"
Alla prossima, se riesco, dall’Atlantico del Sud.


IN DIRETTA DA EUTIKIA IN NAVIGAZIONE DA CAPE TOWN A SAINT ELENA

2017-04-16

10 aprile.Ore 11.00 siamo in attesa che aprano i due ponti per uscire in oceano, finalmente! Dobbiamo aspettare e siamo in fila di poppa al Rev de Lun. Non aprono perche' dall' altra parte sta uscendo una navetta con tanto di rimorchiatore. Quando passiamo sotto al primo ponte la gente ci fotografa e ci saluta, al secondo ponte, girevole, troviamo anche il nostro Richard, l' uomo delle banchine del marina, che si sbraccia per salutare. E si Cape Town in marina siamo stati proprio bene, anche se sicuramente troppi giorni. Fuori non c'è vento. Mettiamo motore, 5 nodi e via sulla poppa del Rev de Lun. Al tramonto sale la foschia. Per fortuna abbiamo radar e AIS. Controlliamo agevolmente il traffico, ma verso sera i pescherecci si moltiplicano. Già vedo che non dormirò, C'è una luna piena, fantastica che fa il suo dovere, mentre un leggero venticello si porta via la bassa bruma. Evitiamo diversi pescherecci, ma uno mi fa impazzire.Sul dispaly AIS vedo che ha tre AIS! Uno per sè, e due per la traina. Fila a nove nodi in contro rotta. Da che parte andiamo ? Lo chiamo, nessuno risponde. A un miglio accendo il motore e mi porto a 90°- Lui continua a girare in tondo. Ma da che parte va? Forse vuole evitarmi, per salvare la sua traina. E così nel carosello poco c'è mancato che perdessi il controllo del suo procedere, per fortuna è poi sfilato di poppa continuando a girare, questa volta verso Rev de Lun! Poi si è allontanato, con tutti suoi AIS. Prima volta che vedo qualcosa di simile.

La notte passa con un bel venticello da sud ovest e filiamo via, anche a 8 nodi. Finiti i pescherecci, arriva l' alba. Due orette di sonno e due Marina, i ragazzi qualcosa di più.

11/12 aprile. Ci stiamo allontanando da Cape Town, meno traffico in giro, ma due super tank ci passano di lato, una in salita passa a 300 metri! Ma di giorno è tutto sotto controllo, l' altra in discesa a sinistra a qualche miglio. Il vento non da buono e siamo prima a motore, poi in bolina stretta e devo poggiare. La velocità non è esaltante ma procediamo. Vorrei correre di più per evitare un ventaccio previsto da sud. Solo nella serata del 12 si decide a girare a sud ovest a 20,25 nodi e riprendiamo la corsa, non senza prenderci qualche piovasco con rinforzi. Per cena farfalle al ragù e durante il mio turno dalle 23.30 alle 02.00 Eutikia compie il giro del mondo virtuale ripassando per il meridiano di Venezia! Maurizio ci invia preziosi aggiornamenti meteo prima sconfortanti, poi più rosei. Vedremo. Rev de Lun ci sta a 14 miglia e dopo 3 giorni che due barche siano così vicine è davvero raro, ma sono due Amel uguali.

15 aprile ore 01.00. La giornata del 14 è passata con il suo maraccio e con il ventaccio, assai instabile. Un bel forza 7 è ora quasi di poppa, resta l' onda di 3 metri abbondanti, alcune forse anche di 4. E abbiamo un nuovo, vecchio poblema: il premi stoppa del timone fa di nuovo acqua. Le onde esercitano una forte pressione di spinta e sollevamento sulla poppa. Risultato, dobbiamo ogni qualche ora asciugare con straccio. Abbiamo raccolto l' acqua in un secchio e tra qualche ora sarà possibile calcolare quanta ne facciamo in un giorno. Per il resto, i ragazzi tengono botta, per fortuna, e ci riposiamo qualcosa più del solito. Marina cucina ogni sera per tutti, bravissima. Rev de Lun s'è messo in poppa con tangone a destra. Noi continuiamo con mure a destra, sempre in buon avvicinamento. Oggi con il chiaro, se calan mare e vento, vedremo se tangonare a sinistra. E invece è andata a finire che abbiamo tangonato a destra. Nel primo pomeriggio tra onde ancora altine, quasi tre metri, e vento relativo non adeguato, il genoa non trovava requie gonfiandosi e sgonfiandosi. Una sofferenza per lui e per le nostre orecchie. E così cambio mura e tangone a destra, come Rev de Lun, ormai a 16 miglia al limite del vhf. Prima del tramonto li chiamo per concordare che mura tenere per non allontanarci. Jean Luc opta per la sinistra, come avevo del resto suggerito seguendo le indicazioni di Maurizio, e così cambiamo di nuovo. Eutikia si piazza con la poppa sull' onda dello swell e con un discreto venticello facciamo anche 7 nodi! Poi cala la notte. Per cena farfalle al sugo e olive.

16 aprile. Il dì di Pasqua, alle 6 del mattio, siamo a metà strada. Nei prossimi giorni saran dolori ; poco vento e dobbiamo fare più di 800 miglia.

Carissimi Auguri di Buona Pasqua a tutti da Eutikia, un puntino nel Sud Atlantico.


ANALISI E VALUTAZIONE DELL' EVOLUZIONE METEO DEL 19 APRILE A CURA DI MAURIZIO

2017-04-19

Situazione : 

Area di alta pressione, appartiene marginalmente al nucleo di Alta Pressione posizionato a Sud del Sud Africa, si distende lungo la rotta ortodromica verso St. Helena, ed è livellata.

Le condizioni di nuvolosità del tratto di oceano sono la conseguenza del calore del mare e della subsidenza, che portano alla formazione di nubi cumuliformi Cu e Sc.

Swell da 215° con 12,3 sec di periodo e 1,70 metri di altezza, vento da Est maximo di 10 Kts. 

Previsione :

Il flusso d' aria lungo l' ortodromica vs St. Helena è influenzato da tre quadri sinottici : Parte della "Ocean Cold Tongue", flusso collegato al fronte freddo collegato alla Bassa pressione a Ovest dell' Alta, e l' ITF (Inter Tropical Font) che tende a richiamare aria dalla parte Nord di St. Helena. La ventilazione di oggi e per domani 20 aprile, sarà da Est con punte Maxime di 10 Kts.

Puoi decidere la migliore rotta verso l' isola di St. Helena per ottenere la massima velocità con a riva tutte le vele !!!


AGGIORNAMENTO EVOLUZIONE METEO PER DOMANI 20 APRILE 2017 A CURA DI MAURIZIO MELAPPIONI

2017-04-19

" Dalle ulteriori analisi degli aggiornamenti vettoriali del flusso, dalla tua appena passata posizione che marca i 20°S e 0°W/E, troverai un flusso di aria che si orientera' prevalentemente da SSE, ma alla tua destra, cioè a est della tua attuale rotta. Questo flusso fa parte della Ocean Cold Tongue che va verso Nord, aria che è richiamata dal centro/nord africano. Appena più a sinistra della tua rotta il flusso appartiene al sistema livellato di alta che gradualmente è assorbito dal fronte freddo, molte e molte miglia più a sud-ovest da te, e l' aria fluendo da SSE vira a Est come direzione, ma è a sinistra dell' ortodromica.

Quindi visto che durante la notte il sistema del vento calerà di intensità, e la fascia della Ocean Cold Tongue  si avvicinerà a te per oscillazione verso W (la direzione del vento sarà circa da SSE), da domani mattina riaumenterà fino a 10 kts, forse anche qualcosa in più!

Perciò se ti avvicini adesso troppo a sinistra rischi di avere dei veri buchi di vento. Rimani dritto verso Nord! Questo flusso da SSE dovrebbe rimanere così anche per il 21. "


BOLLETTINO DEL 20 APRILE 2017 06 UTC, REDATTO ESPRESSAMENTE PER EUTIKIA DA MAURIZIO MELAPPIONI

2017-04-20

Avvisi : NILL

Analisi :

Riferendoci all' isola di St. Helena come punto centrale e dividendo l' area circostante in quadranti possiamo definire la situazione sinottica.

I° Quadrante, sussiste il flusso dell' "Ocean Cold Tongue" (OTC) diretto a N/NNW 15 Kts

II° Quadrante, è presente un campo di pressione livellata, parte marginale dell' Alta Pressione con nucleo di 1024 hPa posizionato a S del Sud Africa africana

III° Quadrante, l' aria a pressione livellata come nel II° quadrante viene richiamata verso SSW dal fronte freddo collegato al centro di Low sull' Atlantico meridionale

IV° Quadrante, flusso d' aria derivante dal richiamo di aria dell' ITF (Inter Tropical Front) e parte del OCT

Previsione :

20 aprile  12z, vento 135°  5-10 Kts

20 aprile  18z, vento 130°  5-10 Kts

21 aprile  00z, vento 130°  8-12 Kts

21 aprile  12z,  vento 125° 10-15 Kts

Mare :

Swell 215° periodo 11,8 sec in aumento a 12,5sec altezza onda 1,50 metri

Boundary Layer :

oggi, formazioni cumuliformi e stratocumuli compatti con possibilità di pioggia a tratti di debole intensità


I°PARTE CROSS ATLANTICO MERIDIONALE. EUTIKIA È IN PROSSIMITÀ ISOLA ST.HELENA

2017-04-22

Normalmente per arrivare a St. Helena da Cape Town si sfruttano i periodi stagionali dove i grandi anticicloni sull' oceano formano un ampio corridoio (una cintura) dove i venti che si formano soffiano con costanza (gli Alisei) e si mantengono stabili per il tempo sufficiente a compiere la traversata. Il mese di Aprile vede ancora, nelle indicazioni fornite dalle Pilot Charts, l' area dell' Alta Pressione nella giusta posizione adatta a sviluppare l' Aliseo per St. Helena, ma per cause varie tra cui i cambiamenti climatici questa situazione favorevole non si è verificata. Infatti l' Alta pressione anzichè stazionare intorno ai 30° è scesa più a Sud e si è mantenuta stabile al di sotto del Sud Africa ai 40° S.

EUTIKIA prevedendo questa condizione meteorologica, ha sfruttato per la partenza da Cape Town una parte del bordo dell' Alta, che le ha permesso di salire fino a 25°S per poi proseguire per la traversata sfruttando un altro flusso d' aria, quello dell' Ocean Cold Tongue. Questo flusso si viene a formarre al di sopra dei 25° S di latitudine e scorre verso Nord lungo le coste occidentali africane giungendo sul suolo infuocato africano a Nord.

Certamente l' intensità di questo flusso è inferiore a quello dell' Aliseo, ma comunque  presente, generalmente non supera i 15 Kts.

Attualmente possiamo seguire EUTIKIA attraverso un triangolino nell' immagine al Vapore Acqua delle 00 utc del satellite geostazionario, ci rende conto delle condizioni meteorologiche. Tutta l' area intorno ad EUTIKIA è abbastanza sgombra di nubi, si vedono dei cirri.

La ventilzione al momento desunta dalle mappe vettoriali derivanti dal flusso dell' OCT è di circa 8 12 Kts e su EUTIKIA giunge da 135°, si manterrà per tutta la notte fino al mattino del 22 aprile.

All' arrivo a St. Helena qualche giorno fa era previsto uno swell da SW, quindi non fastidioso nella zona di ormeggio a NW dell' isola. Purtroppo la situazione cambierà a causa di un centro di bassa pressione che dal Nord Atlantico genera uno swell che arriverà da 310° su St. Helena con un periodo di 16,6 sec ed una altezza onda di 1,7 m già dalle 00 utc del 22 aprile. Creera' anche fastidio alla navigazione perchè di direzione opposta.

Questo è l' Oceano Atlantico.

a cura di Maurizio Melappioni


L' ARRIVO DI EUTIKIA A ST. HELENA a cura di Maurizio Melappioni

2017-04-23

" St. Helena è un' isola dell' Oceano Atlantico meridionale. E' il residuo dell' orlo craterico di un antico vulcano, in gran parte sprofondato in mare. Le coste, dirupate offrono scarse possibilità di approdo. Le imbarcazioni in transito trovano ormeggio su gavitelli nel porto di Jamestown, in mare aperto.

Scoperta nel 1502 dal portoghese Joao da Nova Costella, l' isola venne mantenuta segreta, cosicchè i primi abitanti furono esclusivamente di quella nazionalità; dal 1834 è colonia britannica, dopo essere stata dipendenza della Compagnia delle Indie Orientali fin dal 1633. Il piccolo centro di Longwood, nell' interno dell' isola, è noto per aver ospitato, dal 1815 fino alla sua morte, nel 1821, Napoleone Bonaparte, dopo la disfatta di Waterloo.

Per poter raggiungere l' isola i mezzi non sono molti, visto che non è presente un vero aeroporto, nè un vero e proprio porto e la soluzione è tramite voli diretti da Londra verso la vicina isola di Ascension, oppure via nave, con traghetti che partono dalla Norvegia occidentale, o dalla più vicina Cape Town,  sull' isola c'è un sistema di navette, non si esclude la terza opzione cioè quella del fai da te con una imbarcazione privata.

Con una navigazione nell' Oceano Atlantico EUTIKIA approda a St. Helena il 22 aprile. Partita 12 giorni prima da Cape Town, Sud Africa.

Mentre i componenti dell' equipaggio "riprenderanno energie" con una visita sull' isola, e un riposo "cullato" dallo swell oceanico, il "routier di terra" continuerà il suo lavoro senza soste. La seconda parte della rotta oceanica è decisamente più lunga della prima con differenze dovute alla latitudine prossima all' Equatore. La navigazione verso il Brasile, da St. Helena prevede l' avvicinamento alla zona dell' equatore meteorologico, sfruttando la ventilazione prossima alla linea di convergenza intertropicale, comunque al di sotto dei 6° S. La rotta "ortodromica" per Cabedelo, nei pressi di Joao Pessoa in Brasile, è di 1800 miglia contro le 1600 della prima. Probabilmente non verrà seguita l' ortodromica ! Dipenderà molto dal nuovo nucleo di alta pressione che sta prendendo posizione in mezzo all' oceano Atlantico meridionale, vedremo ! "


St. Helena, James Town Bay, 22 aprile 2017

2017-04-24

17 aprile. 08.00. Stiamo entrando in quelle che Maurizio chiama le paludi atlantiche. Con una normale, estesa area d' alta pressione l' aliseo, pur tra isobare allargate, darebbe una buona ventilazione. Ma in questi giorni non è così. C'è solo un canale allungato di venti da sud, ora da sud sud ovest. Sono assai deboli e faticano a stendersi appena il cielo si copre di basse nubi, cariche di umidità. Se questo avviene sopra vento si crea una sorta di filtro e l' aria fluisce instabile e senza intensità. La fortuna, ieri e tutta la notte, ci ha aiutato e siamo riusciti comunque a tenere, pur con qualche piccola smotorata nei vuoti, una media decente intorno ai 6 nodi, da non credere. Eutikia con vento al traverso e vento da 8 a 9 nodi riesce a raggiungere, in questo momento, i 6 nodi abbondanti, con 10 anche 7. Il sole sta sorgendo abbastanza pulito dopo giornate assai grigie. Ricordo la cena di ieri sera con piacere. Finalmente tutti e quattro attorno al tavolo per Pasqua : filetto assai morbido, riso basmati con sugo di zucchini e l' immancabile colomba e......molte storie da raccontare.

Alle 8.30, dopo la solita colazione, nescafè, biscotti e marmellata, mentre i pupi dormono fuori turno, armiamo il balooner di mezzana, una sorta di carbonera di tessuto leggero e variopinto, tra l' albero di maestra e la mezzana. Eutikia gradisce molto e allunghiamo il passo anche a 6 nodi e mezzo. Con pochissimo vento è proprio un bel andare. Mare blu con leggera ondina e il primo cielo sereno, terso, da quando siamo partiti. La giornata fila via liscia, veramente piacevole, e solo al tramonto, a malincuore, caliamo il balooner per la notte. Cenetta, cala il vento, e all' 1.00 Marina, in turno, mi chiama, accendiamo il motore e riprendiamo il passo . Ancora 600 miglia a prua.

18 aprile. Cielo grigio e basso, mare grigio e triste, quasi piatta. Alle 8 una leggera bava prende forza : il tangone forse ci sta. Armiamo il genoa tangonato a destra e spengo il motore. Niente male, intorno ai 5 nodi. Poi mentre cresce, tocchiamo anche i 6 e qualcosa di più. A rompere la noia di questo racconto ci pensa Pescamaro, un peschereccio del Belize che scorgiamo sul display dell' AIS alla nostra sinistra. Eva dal Rev de Lune, ricevuto il nostro SMS via satellite, con i nostri dati aggiornati di navigazione, ci chiama al VHF. Mi sente, ma io non la sento. Mi dice comunque come va e appena finisce mi chiama il comandante del peschereccio. "Buenas dias...." e mi precisa che stanno pescando il pesce spada. Sono in mare da quattro mesi e hanno una traina di 90 miglia!!!!!!!! Me lo faccio ripetere due volte e anche Marina capisce proprio 90 miglia alla profondità tra i cento e i duecento metri. E' lo stesso pesce che poi troviamo dal nostro pescivendolo con etichetta Zona FAO Atlantico Meridionale, hai capito ?

19 aprile. Giornata limpida dopo una smotorata notturna di 12 ore. Ho lasciato caricare, inavvertitamente, troppo le batterie AGM e quelle centrali si sono surriscaldate. Speriamo bene. In compenso hanno mantenuto una buona carica sino al tramonto. Oggi dalle 8 del mattino alle 7 di sera abbiamo fatto solo vela con un SSE di appena 5, 7 nodi di apparente : vele a farfalla e tutto che ballava, vele mai a segno. Un vero tormento, ma abbiamo fatto ben 46 miglia, poco più di 4 nodi di media! Record negativo. Non ci resta che tentare di far vela di giorno e di notte usare  l' iron wind, il vento di ferro, il nostro fidato Yanmar. Rev de Lune è ora a 12 miglia e ci sentiamo al VHF : mal comune mezzo gaudio. Ora sono le 20.30 Marina prepara una pasta speciale al sugo di pesce. Mancano 377 miglia.

20 aprile. Finalmente una bella veleggiata come da tanto, troppo tempo, non ne facevamo, 15 nodi e qualcosa in poppa, vela a farfalla con tangone a destra e via anche a 7 nodi. Mare blu, cielo terso, nuvolette all' orizzonte. Eutikia stabile come su un binario, fa scorrere rapide le miglia sul SOG, anche con un 0.3 di corrente contraria. Se domani non va proprio male, dovremmo arrivare a St. Helena entro sabato. On verra!.

21 aprile.Marina incomincia la serie dei turni alle 21.30 del 20 aprile. Ci sono le stelle, buon segno, anche se poi dopo, come ogni mattina, ci ritroviamo con pesanti, plumbei nuvoloni sulla testa. Il vento ci ha lasciati assai presto e siamo già a motore, di nuovo ! 

Con Eva, durante il collegamento VHF delle 19.00, concordiamo sul fatto che dobbiamo mantenere una media oltre i 5,5 nodi se vogliamo arrivare prima di notte. Motore obbligato. Al turno dei ragazzi mi sveglio di soprassalto : vedo Michele sbirciare dentro al vano motore e sento vibrare il motore. Come esco mi dice che il motore è sceso di botto a 1.200 giri, poi è risalito. L' elica ha sicuramente preso qualcosa. Rallento e faccio marcia indietro. Un rumoraccio, poi avanti di nuovo e l' elica sembra non vibrare più. Riprovo e sembra tutto normale. Fiuuuu! Ci mancava solo di rimaner bloccati a poche miglia da St. Helena! Do un' occhiata alle vele : vento in prua. Questa sera non si dorme! Dal consueto SSE a N, com'è possibile ? Una ragione c'è : accendo il radar e sulla destra appare un bel nuvolone, denso, denso. Il malefico ci ha tagliato la strada e ha fermato il debole SSE. Riduco, non si sa mai e aspetto. Osservo il radar e il fagiolone si svapora lentamente e il vento torna a SSE. Pericolo scampato. Il resto della notte fila via con l' auricolare che mi allieta con nostalgiche musichette anni '60 '70. 

All' alba vedo ST. Helena....sul radar a oltre 36 miglia. Alle 8 Marina sale in pozzetto e con lei St. Helena oltre il grigio, violaceo orizzonte. Finalmente! Ma non è finita. Mentre un debole levantino pur ci spinge oltre ai 5 nodi, scendo nel vano motore. Devo controllare l' alternatore che mi carica le batterie dei servizi. Da giorni lancia uno strano sibilo, ma continua a caricare.Ieri ho sentito il mio, ormai amico, tecnico della Yanmar a Lignano : forse è da regolare la tensione delle cinghie. Ma ?!. Se lasche di solito fischiano, non sembra questo il caso. Forse sono i cuscinetti usurati. Sarebbe un guaio serio. Risontro che, a mano libera, ruota libero senza attriti. Meno male! Registro la tensione e il sibilo attutisce assai. Forse ci siamo, ma alla prossima occasione dovrò darci un' occhiata radicale. Ormai siamo tutti in pozzetto a gustarci l' arrivo. Veder sorgere un' isola in mezzo ad un oceano dopo tanti giorni di navigazione è sempre una grandissima, unica, emozione. Chiamo St. Helena Radio. Rispondono subito e completo le formalità di avviso per il tempo previsto di arrivo. Giriamo a est lo spigolone dell' isola, nero a strapiombo nel mare color piombo, e vediamo gli alberi delle barche già alla boa. Prendiamo la nostra, numero 14 : ARRIVATI!!!

La cosa più curiosa di queste ultime due tratte di oltre 2700 miglia, da Richards Bay a Cape Town prima, e da questa a St. Helena, è che abbiamo sempre navigato insieme ad una barca, il Rev de Lune di Eva e JeanLuc. E' del tutto simile ad Eutikia, ma in mare aperto, poi, ognuno si trova, nolente o volente, su rotte diverse e si ritrova forse all' arrivo. Noi siamo rimasti quasi sempre a contatto VHF e spesso a vista o sul radar. Credo non sia capitato a molti e comunque è sempre bello condividere momenti indimenticabili.

Ultime due annotazioni che hanno reso questo arrivo particolarmente emozionante. A poche miglia numerosi delfini sono guizzati lungo i fianchi a farci da scorta. Eutikia gradisce molto questi appuntamenti, era già successo altre volte di avere questo simpatico benevenuto. Non sono mancati poi, al calar della sera, i fuochi artificiali, quelli di madre natura, intendo : un tramonto ha acceso l' orizzonte di intensi bagliori rossissimi e violacei.

Benvenuti a St. Helena!!!


LA PARTENZA DI EUTIKIA DA ST. HELENA a cura di MAURIZIO MELAPPIONI

2017-04-26

Eutikia è partita a metà mattinata del 26 Aprile 2017 da St Helena diretta a Cabedelo in Brasile,  circa 1800 miglia, è la lunghezza della rotta ortodromica. Quest'ultima infatti rappresenta la rotta breve, ma nella navigazione reale le cose andranno diversamente, dovrà seguire una rotta meteorologica, che la porterà forse ad allungare il percorso. La navigazione al di sopra dei 15°S di latitudine avverrà con i venti di Aliseo da SE, che avranno una intensità media di 15 Kts e saranno costanti. La partenza è stata caratterizzata da una ventilazione modesta, circa 5 Kts da SE, non ottimale ma imposta dalla burocrazia dell'isola. A livello sinottico un flusso di aria fredda si sta dirigendo verso NE, appartiene al nuovo nucleo di Alta pressione dell'Atlantico meridionale, e ben presto si porterà al centro di questo. Il flusso da S si aprirà come un ventaglio nel progredire in mezzo all'Atlantico, formando un fronte freddo verso E che è collegato alla bassa pressione di fronte a Cape Town, mentre una parte quella diretta a Nord ha il suo limite intorno ai 15°S di latitudine verso il 29 Aprile. Eutikia dovrà quindi guadagnare strada per non essere coinvolta con lo scontro del flusso freddo da Sud con i venti di Aliseo. Lo scontro delle due masse d'aria differenti per caratteristiche infatti avverrà sopra l'isola di St Helena tra 28/29 di Aprile. Lo scontro delle due masse d'aria porterà a pioggia lungo la linea frontale e in alcuni tratti anche molto forte da addensamenti compatti, inoltre influirà sugli alisei stessi imponendo loro una rotazione della direzione da S. Dal 30 in poi Eutikia sfrutterà in pieno i venti stabili degli Alisei da SE. Attualmente le condizioni del mare sono ottime, lo swell ha un periodo di 10 sec e l'altezza delle onde non supera il metro. Vedremo più avanti quando ci si avvicinerà  sotto i 5°S cosa l'aspetta, saremo molto prossimi all' ITCZ. 

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St.Helena, James Town Bay - Boa n. 14 - 23/26 aprile 2017

2017-04-28

Non solo Napoleone.

Per scendere a terra c'è un servizio di ferry. Basta chiamarli e, ogni mezz'ora, fanno la spola tra l' approdo e le barche. La cosa più complicata è mettere piede a terra. Una fastidiosa, continua risacca si catapulta sul moletto avvolgendo di spuma i gradini. Il ferry, una piccola lancia, sale e scende nell' accosto. Bisogna trovare il tempo giusto nella risalita e zompare a terra, cercando di non scivolare aggrappandosi a nodose cime posizionate come liane per sorreggere il volo a terra. Non facile. Subito oltre un enorme bastione a mare protegge le antiche mura di cinta ed il portone d' entrata. Oltre, la Main Road, uno stradone sul quale s' affacciano case d' epoca, vetrine di negozi dove c'è tutto tranne quello che ti serve, o quasi.  Abbiamo voglia di camminare e seguiamo la via che lentamente sale verso l' interno. È domenica, uasi nessuno in giro. Seduti sui gradini di casa alcuni ci salutano assai curiosi con gentili sorrisi.

Oltre al fatto di veder solo gente, più o meno, di colore, ci stupisce il numero inusitato di macchine per un' isola così piccola.

Gli abitanti sono poco più di 4 mila e ogni famiglia ha almeno una macchina, così mi dice la cortese funzionaria, di colore, dell' Immigration. In compenso ci sono pure i cellulari. Sono un lusso, la connessione via satellite è piuttosto cara e lenta. 

Camminiamo lentamente, ci salutano dalle macchine, e contiamo le solite numerose chiese di ogni ordine religioso. I negozi hanno ogni possibile tipo di scatolame, ma verdura e frutta fresca sono merce rara. Riesco a catturare un pò di lattuga, qualche pomodoro, melanzane e, almeno, alcuni bei pezzi di pesce wahoo. Domani ci porteranno a bordo 280 litri di gasolio per ripristinare la dotazione. Da parte nostra abbiamo riempito al molo tutte le bottiglie di plastica con acqua bevibile, cosi dicono.


St. Helena, James Town Bay, Boa n. 14, 23-26 aprile 2017 - 2 * PARTE

2017-04-29

Qualche lavoretto a bordo non manca : sostituzione  dello zinco dell' elica, ritensione delle cinghie alternatore e cambio olio Yanmar. Domani dopo il gasolio andiamo a trovare Napoleone..... si sente davvero molto solo.

Robert, la nostra guida, un arzillo vecchietto di ottantun anni, guida e racconta, racconta e guida senza sosta. Ha con se` un fascicolo plastificato con riportate decine di riproduzioni di personaggi, luoghi, abitazioni, ogni dettaglio significativo dell` isola e, così, ogni immagine diventa una storia. Dopo tre o quattro ore  ne usciamo storditi, anche perché comprendere il suo inglese borbottato, peraltro assai appropriato, risulta faticoso. Apprendiamo così diverse cose interessanti sulla storia dell` isola.

Non solo Napoleone dunque. Dopo la scoperta da parte dei portoghesi nel giorno di St. Helena, moglie dell` Imperatore Costantino, il 21 maggio 1502, l` isola passò rapidamente sotto il controllo britannico, utile riferimento verso l` India. Di qui passarono capitani assai famosi, Cook con la Resolution e pure il suo fido Blait, quello del Bounty. Poi l` Ammiragliato ci spedì un astronomo assai famoso, Halley (1677), proprio lui quello che scoperse la stella cometa che porta ancora il suo nome.

La località si prestava perfettamente ad osservare ed aggiornare la corsa degli astri, argomento di estremo interesse pratico per la navigazione. Poi arrivò il reverendo astronomo Maskelyne (1761). Entrambi posizionarono sulle colline più alte i loro osservatori e ancor oggi, proprio il 29 aprile si ricorderanno qui le loro scoperte. Non poteva mancare pure C. Darwin che si dilettò nello schedare diverse centinaia di piante. Per ultimo arrivò il re degli zulu, qui condotto in prigionia nel 1890 dopo aver dato del bel filo da torcere agli inglesi in Sud africa.

E veniamo a Napoleone. Dopo 69 giorni di navigazione la Northumberland getto` l` ancora di fronte alla stretta vallata di James Town. Napoleone aveva allora 46 anni, scese a terra dopo il tramonto, pochi passi tra pochi curiosi, volto impassibile, dicono, e trovò modesto alloggio per la prima notte presso una casupola oltre le mura del forte. La dimora predestinata, sull` apice di una ventosa collina a Long Wood, apparve subito inadeguata e, in attesa delle richieste modifiche ed ampliamenti, alloggiò per un certo tempo presso una gentile famiglia del posto.

Finiti i lavori vi sali` e prese definitivo alloggio. Il poggio, esposto a sud, era spazzato dal vento e Napoleone se ne lamentò. "........il posto più detestabile dell`Universo,......odio questo Long Wood, questo vento agro!" Ma ormai non gli restava che trovare il sistema per come far passare il tempo, troppo lento per lui che aveva corso l` Europa in lungo ed in largo. È facile immaginare con quale terribile noia potesse scorgere le stagioni fiorire e sfiorire tra i giardini che circondavano la villa. Giocava a scacchi, interminabili partite a biliardo, leggeva dopo cena qualche tragedia alle dame del seguito che immancabilmente si addormentavano. Dettava forse qualche memoria. Per certo al mio rientro cercherò se qualche  scritto di quei giorni sia stato pubblicato. 

Con Lowe, il governatore che lo ebbe in custodia, ebbe un rapporto arido. L`inglese fece di tutto per isolarlo ancor di più, se possibile, dal resto del mondo. Nulla seppe Napoleone della sua famiglia ne` di cosa accadeva in Europa. Da parte sua il Generale, non Imperatore, come lo chiamavano gli inglesi decise di autoescludersi, celandosi per ripicca alla loro vista di controllo al punto che alcuni incominciarono a credere che fosse nuovamente riuscito a fuggire e da ciò il nostro ne traeva misera soddisfazione. La cosa che, diversamente, più lo distraeva piacevolmente erano le lunghe passeggiate nella valle circostante.

Il posto è ancor oggi delizioso, verdeggiante, ricco di fiori e allietato dal canto degli uccelli. Una fresca fonte di acqua limpida ne appagava la sete, mentre l` acqua in collina era spesso poca e imbevibile. Amava a tal  punto quelle camminate e quella piccola valle fronte oceano che ai suoi disse che, giunta la sua ora, avrebbe desiderato essere cola` sepolto. Dolori al fianco sempr più forti ne minavano l'umore e ben presto fu confinato al letto. Si spense a mezzogiorno del 5 maggio 1821. Aveva 51 anni, 5 e mezzo sull' isola.

L'ambiente naturale a St.Helena è tipico di queste isole esposte ai venti costanti dell`aliseo. Umido, piovoso e ventoso sopra vento, più asciutto e caldo sottovento. Le 5 mila macchine (!) hanno 45 km per girarla in lungo e in largo, meglio sarebbe dire, su e giù per la sua conformazione assai montagnosa. Gli scorci tra le vallate verso l'oceano sono superbi e l`interno offre inaspettati, verdeggianti pianori per il pascolo.

In 5 ore il giro è quasi completo. Ringraziamo Robert e ci dedichiamo agli ultimi acquisti, e alle solite, noiose ed inutili, pratiche di uscita.

Alle13 del 26 aprile lasciamo la nostra boa n. 14, ci aspettano oltre 1795 miglia.


EUTIKIA-GITA DEL 1°MAGGIO"NATURALMENTE" NELL'ATLANTICO MERIDIONALE a cura di MAURIZIO MELAPPIONI

2017-05-01

La situazione meteorologica del mese di Maggio 2017 inizia all'insegna come nel dato statistico indicato dalle Pilot Charts.  Un' area di Alta pressione sarà infatti centrata in mezzo all'oceano Atlantico meridionale. Il bordo con l'isobara a 1016 hPa sta già sfiorando la parte meridionale della fascia dei venti di Aliseo di SE, contribuendo nell' aumento dell'intensità degli alisei. L'Alta pressione che si è formata sulle coste orientali dell'Argentina infatti migrerà verso Est, aumenterà la sua larghezza andando a occupare gran parte dell'oceano Atlantico meridionale, toccherà sia le coste africane che quelle brasiliane. In questo modo i venti generati nella parte a Nord del bordo dell'alta pressione si sommeranno a quelli di SE tra i 15°S e i 5°S che sono già presenti, dando un grosso contributo. Nei prossimi giorni EUTIKIA avrà un buon vento da gestire per ottenere una media più elevata in velocità per il cross verso Cabedelo, lo stato del mare avrà una tendenza ad aumentare di 50 cm l'altezza media dell'onda, che mantiene sempre un periodo superiore ai 14 sec .  Uno sguardo anche alla linea dell' ITCZ, questa rimane ancora centrata sull'Equatore, ma la tendenza nel lungo termine indica la sua discesa fino a 3°S, e con essa le relative zone con precipitazioni che arriveranno a sfiorare i 5°S . Ma è presto ancora per confermarlo, vedremo in seguito al momento dell'atterraggio a Cabedelo cosa accadrà in merito alle aree convettive dell' ITF.


Sud Atlantico 26 aprile - 4 maggio 2017

2017-05-05

Giornate di grande pazienza : dalla partenza, il 26 alle 13,00, pochissimo vento e sempre in poppa. Di giorno stiamo sulle vele per far camminare, almeno un po', la barca. Siamo soddisfatti se riusciamo a superare i 4 nodi. Di notte, dal tramonto all' alba, motore. Con le prime luci qualche bava piú fresca entra nelle vele, ma dura poco. Con il sole alto ogni speranza si spegne e di nuovo motore. Per fortuna il 27 siamo riusciti a fare un bel bordo  con mure a sinistra con tutte le vele su, compresa la colorata carbonera che ha fatto un bel lavoro fino al tramonto. 

Per fortuna il tempo ci sorride. Lasciata Saint'Helena sotto grossi e plumbei nuvoloni, abbiamo trovato cieli azzurri e nuvolette sparse. A proposito, rileggendo un piccolo, ma assai interessante opuscolo sulla vita di Napoleone sull' isola, ho trovato due vere curiosità. La prima, Napoleone, che non parlava inglese, dialogava con il medico inglese, che sapeva l' italiano, proprio in italiano. La seconda é una vera chicca : il cuoco di fiducia, che preparava tutti i suoi pasti, si chiamava Cipriani! Per i non veneziani, a Venezia, lo storico ristorante Harry's Bar, quello di Hamingway per intenderci, é gestito  da sempre dalla famiglia Cipriani, appunto.

Con il 29 é arrivato il vento finalmente! Sempre in poppa piena e via a farfalla. Alba splendida, poi cielo azzurro e terso. Nell' aria il walzer Imperatore di J.  Strauss e Eutikia ha preso il volo ondeggiando e scodinzolando....un, due, tre....un due tre, volteggiando da far invidia ai balli di Schoembrung (spero si scriva così) in quel di Vienna.

I tramonti, anche se le giornate sono lunghe da passare in questa immensità, arrivano veloci. Dopo cena al primo turno ecco apparire la prima luna. E' solo uno spicchio basso, ma fa giá una bella luce dorata che si riflette sul mare e Eutikia l' insegue trovando la giusta rotta nel suo riflesso d'argento e oro.

Il 30 aprile arriva con qualche piccolo rinforzo : il vento scodinzola come la coda di un cane, or di qua or di là, e noi a correggere continuamente la rotta anche solo di uno o due gradi, soprattutto per non far sbattere le vele che già lo fanno abbastanza ad ogni rollata. I turni proseguono bene, e ci siamo abituati al ritmo di bordo anche se da troppi giorni il movimento è assai poco e fisicamente il corpo ne risente. Non vediamo l' ora di fare lunghe camminate.

Ieri sera primo collegamento radio. Ho sentito con gioia, dopo tanto tempo, la voce di Grande Laguna sotto il gracchiare della radio. Gli amici in navigazione dai Caraibi verso l' Europa mi hanno pure sentito abbastanza chiaramente e ho passato la nostra posizione. Vedremo nei prosimi giorni.

1-2 maggio. Mi rendo conto di quanto noiosa sia questa cronaca, mal comune mezzo gaudio, dicono. Fa sempre più caldo e anche l' umidità non scherza. Il vento si è decisamente presentato con una pressione sulle vele, adeguata all' andatura quasi in fil di ruota. Ora le miglia scorrono veloci, ma dobbiamo continuamente aggiustare l' angolo di entrata per evitare contraccolpi del genoa sul tangone : l'angolo migliore è tra i 150 e  i 170  gradi. Maurizio per qualche giorno sarà assente per motivi di lavoro. Ci mancherà molto la sua e-mail quotidiana con il meteo e la sua magica simpatia.

3-4 maggio.  Ora voliamo ad una velocità  doppia dei primi giorni. Sempre tra gli 8 e i 9 nodi. Anche troppi. Abbiamo ridotto, ma le onde sui 2 metri e mezzo sollevano Eutikia che guizza via veloce. Speriamo che il premistoppa del timone tenga. Abbiamo fatto pure il record per Eutikia delle miglia trascorse in 24 ore : 183, media oltre 7,6.

A bordo il ritmo è dato dai turni, ma riposare con queste rollate è difficile. Marina è scivolata dal divanetto e si è svegliata sul pagliolato "....che botta!". Solo molto stupore per fortuna.

 Ora ci mancano 677 miglia, ancora un terzo di strada e poi faremo una bella camminata e balleremo un pò di samba, anche se Juliana, pur brasiliana, non la balla affatto. 

Alla prossima.......rollata!


EUTIKIA E LE ULTIME 170 MIGLIA PER CABEDELO a cura di MAURIZIO MELAPPIONI

2017-05-07

Lo stato del mare oceanico viene espresso come Swell, é l' onda lunga che proviene da molto lontano. Lungo la rotta di EUTIKIA questa proviene attualmente da 180° con un periodo di 13,00 sec cioé circa 250 metri di distanza tra le creste delle onde, che hanno una altezza di circa 2,40 metri. In pratica un' onda un pò fastidiosa per via del rollio generato. Il vento che proviene da ESE non supera i 15 Kts.

La rotta di navigazione di EUTIKIA é prossima a Cabedelo, mancano 170 nM, e corre molto vicina all' ITF (Intertropical Front, area compresa tra le due isobare dei 1012 hPa dei due emisferi, Boreale ed Australe, contenente l' ICTZ).

Il flusso attuale che appartiene all' Aliseo nei pressi della costa brasiliana tenderá ad interrompersi, infatti dagli attuali 15 Kts da ESE ruoterà a SE e diminuirà al di sotto dei 10 Kts, e sarà dipendente dalle termiche in terra ferma. L' aria in questo tratto di mare è instabile e contiene molta umidità che si traduce in cielo coperto con possibili precipitazioni sparse.

Al quadro meteorologico già complicato c'è quello del grande traffico delle navi. Questo scenario permette di comprendere le difficoltà di navigazione di questo ultimo tratto di mare oceanico per arrivare in Brasile.


5-8 maggio. Brasile, Jacare. Le emozioni dell’arrivo.

2017-05-12

~~Le giornate ora passano più veloci, corriamo con il sole ed i fusi orari cambiano velocemente. Alla sera, alle 20 utc, i primi contatti radio con Grande laguna da Mestre e gli amici in navigazione dai Caraibi verso l’Europa. Per ora non li invidio proprio, hanno preso una depressione terribile e uno di oro ha rotto pure lo strallo. Comunque sentire qualcuno dall’Italia in radio è sempre un’ emozione del tutto speciale.
La volata continua: il 6 maggio 180 miglia, ovvero, per intenderci, qualcosa che assomiglia molto a 330 chilometri  di oceano. Come funziona? E’ presto detto. Eutikia è dotata  di due lunghi tangoni, uno per parte. Con vento in poppa piena, come nel nostro caso per migliaia di miglia, si tratta di armare quello del lato da cui spira il vento per la direzione più favorevole alla rotta da tenere. Per esempio, se la mia rotta è appena sopra i 270°, ovvero un po’ a destra del tramonto del sole, mettiamo il tangone a destra con il vento che oscilla da Est Nord Est e che entra nelle vele tra poppa piena ( 180°) e qualcosa meno, mettiamo 150°. Questo “qualcosa meno” fa la differenza. Se il vento cala bisogna andare a cercarlo e aumentare l’angolo, anche meno di 150°, ovvero, per i più esperti, andare all’orza. Se il vento aumenta si ritorna verso la poppa piena. Oltre i 13, 14 nodi di vento reale da poppa, Eutikia incomincia a marciare bene, oltre i 15 la pressione è adeguata a compensare il continuo sbattere delle vele dovuto al rollio per l’onda da swell, sino a 3 metri con periodo da 8 a 12 secondi, che ci prende di fianco. Oltre i 15 nodi di vento si vola e sotto i nuvoloni, che ne aumentano l’intensità, teniamo 8, 9 nodi, con punte di 10 e 12 sulle creste. E pensare che, nei primi giorni, sono stato al timone automatico per 10 ore, senza perdere un solo refolo, per fare, senza vento, 40 miglia. Cioè 4 miseri nodi. Ma eravamo all’inizio ed usare il motore, con il relativo consumo di nafta, sarebbe stato comodo, ma imprudente. Bene, dopo questa tiritera piuttosto noiosa e tecnica, ma che sicuramente interesserà qualcuno di mia conoscenza: un’immagine ad alta temperatura emotiva.
Mancano circa 150 miglia, quasi arrivati,e lasciamo i cieli più o meno azzurri dell’aliseo. Davanti a noi un muro di nuvole basse, sono le avvisaglie della zona di convergenza equatoriale. Non c’è nulla da fare, dobbiamo entrarci. Piovaschi, salti di vento, mare grigio come il cielo. Solo la luna, quasi piena, riesce a penetrare questa coltre plumbea. Le notti sono più lunghe e l’alba screzia appena l’orizzonte verso poppa. Sono al mio turno e un grosso nuvolone mi sovrasta e mi fa la doccia. Passa abbastanza rapido lasciando nell’aria umidità e infinite particelle acquose che svaporano ai primi raggi del sole. Ed ecco la meraviglia:  un enorme arcobaleno, anche doppio a tratti, prende forma di fronte alla prua di Eutikia. Non ho mai visto un arco così perfetto, alto, enorme, ben impiantato a sinistra tra le onde, risalire altissimo in cielo, e poi ridiscendere a destra della prua. Eutikia sembra entrarci come in un enorme arco trionfale. E non è finita, pochi minuti, ed ecco spuntare piccoli delfini guizzanti ovunque lungo le fiancate. E’ una strana coincidenza: assai spesso alle partenze, come da Città del Capo o da S.Elena, o agli arrivi, i delfini vengono a salutarci. Che spettacolare benvenuto ! A ripensarci mi viene ancora le pelle d’oca !
Vediamo la costa brasiliana solo quando siamo a pochissime miglia. Bassa, ricoperta da nuvoloni carichi di pioggia. L’entrata nel fiume non è difficile. E’ ben segnata ed ho tutti i wpt trovati sul sito del piccolo Marina di Jacare. Un’oretta, con un bel crescentone, e siamo legati in testa al molo. Ci aiutano nell’ormeggio e uno di questi mi parla in italiano, anzi in romanesco “ Finalmente me riesce de parlà  italiano, no me pare vero, credevo che a bandiera fosse irlandese !  Qui gli italià nu ce voino venì ! “ Attilio è qui da 25 anni, simpaticissimo.
Jacare è un piccolo, misero,villaggio di pescatori. Sulla sponda s’affacciano alcune attività per il diporto locale e in transito. Noi ci siamo ormeggiati in testa al pontile dello Jacare Marina Village gestito da francesi. Nicolas è davvero molto sveglio e non so come avremmo fatto senza di lui a completare le pratiche d’entrata e d’uscita. Il portoghese è incomprensibile, nonostante il nostro decente spagnolo, e nessuno parla inglese La burocrazia poi è folle: una mattinata intera persa di fronte ad un impiegato dell’Immigration per mettere quattro timbri. Ora siamo di nuovo soli, finalmente, e rimessa la barca in ordine non resta che provvedere al cibo fresco e ad alcuni lavoretti. Per il resto la località non offre nulla di particolare, sarebbe stato interessante lasciare la barca qui per qualche giorno e fare un giretto per il Brasile, ma siamo in ritardo…sarà per il prossimo giro.
Partiremo domenica, ci aspettano oltre 1.800 miglia lungo la costa nord est del Brasile e della Guyana, poi finalmente , Trinidad. Sarà una navigazione diversa dalle precedenti tratte: meno vento in poppa piena, sempre comunque dal primo e dal secondo quadrante. Dovremmo trovare una buona corrente sempre favorevole, ottima per alzare il morale, e purtroppo anche molta pioggia e groppi di vento. Ma importante sarà camminare, e svelti.
Maurizio non ha perso un minuto e già mi arrivano i wpt d’entrata nei flussi di corrente più favorevole. Sulla carta basterebbe seguire la rotta ideale, ma dovremo star ben lontani dalla costa per evitare i pescherecci locali, non illuminati di notte, e i detriti che abbondanti scendono dai fiumi, soprattutto dal Rio delle Amazzoni. Poi ci saranno le onde tropicali, quelle che stanno in cielo,  che portano forti addensamenti nuvolosi, rovesci e colpi di vento. Per il meteo ne riparleremo, sarà l’argomento dei prossimi giorni, in diretta, spero.

 


AGGIORNAMENTO METEO PER EUTIKIA a cura di MAURIZIO MELAPPIONI

2017-05-18

Una saccatura in quota nell' emisfero Nord del Getto Sub tropicale associata alla linea dell'ITCZ ha determinato la formazione di una Onda Tropicale con lo sviluppo di un Cluster che ha rischiato di tagliare la rotta di Eutikia.

Il cambiamento dell' assetto da saccatura in semplice Getto Sub tropicale ha modificato la traiettoria di formazione del Cluster lasciando via libera a Eutikia lungo la sua rotta per Trinidad.


Verso Trinidad 14-18 maggio 2017

2017-05-19

Due storie di mare. 

Un’ora di notte con noi in pozzetto.

 Di nuovo Equatore

Lasciamo le cime del marina sul pontile alle 7.30 precise. Erano servite per assicurare prua e poppa ai corpi morti per contrastare la violenta corrente di marea nel fiume. Con la stanca la manovra è più semplice e filiamo via. Ciao Jacare. Siamo stati bene, ci siamo riposati, cibo fresco, nuove conoscenze, unico neo il raffreddore che ci siamo presi negli uffici improbabili dell’Immigration. Tra un caipirinha e l’altro ci sono almeno due storie di giramondo da ricordare. La prima è quella dell’olandese volante, dal nome impossibile, ormeggiato accanto a noi. Parte con la regata attorno al mondo per solitari con un monoscafo che a vederlo sembra una camera di tortura, più che una barca a vela. Solo a stare seduti in pozzetto è un problema, ginocchia in bocca, per entrare è come passare sotto le forche caudine, timone a barra, naturalmente e così via. Gli domando che ci fa qua. Con lo sguardo arguto e assai sveglio mi dice che l’ha passata bella. A metà Atlantico in discesa verso il Sud Africa, scopre di avere una piccola ferita allo stinco. In pochi giorni  fa infezione. Lo assistono per radio, prende farmaci, sembra che migliori, ma poco dopo i dolori testimoniano la presenza di qualcosa di grave. Decide di ritirarsi e di fermarsi a Jacare. Come arriva fila dritto in ospedale. Il medico che lo opera gli dice poi che ha rischiato l’amputazione ! Ora è assai felice per averla scampata e con la compagna tornerà a casa, anche se vedendo Eutikia, mi ha detto, che  è la barca dei suoi sogni. Gli credo. Incontro Ugo in una cameretta dal marina, ove è più semplice collegarsi a internet. Accanto, la moglie, una simpatica moretta pettinata a maschietto. Lui scrive per la più importante rivista di vela francese, lei monta filmati che poi vende. Campano con mille euro al mese…senza andare al ristorante, aggiunge, naturalmente ! Il bello è che sono appena tornati dopo un anno di permanenza, compreso l’inverno, in Patagonia. Hanno una barca di ferro di qualcosa meno di 12 metri, con gli interni completamente rivestiti di polistirolo, e una buona stufa per togliere la condensa. Non oso pensare. Mi dice che sono stati benissimo e gli credo, noi no, grazie. Quando ci salutiamo mi dice che partiranno, forse in tre, per tornare diretti in Francia e lavorare quanto basta. Risaliranno sino alle Azzorre, almeno 40 giorni di oceano: la cosa che più lo fa pensare e che spera di non dover chiudere, per via degli spruzzi, il passa uomo di prua. Non ne dubito, sarebbe come star chiusi in una scatola di sardine. Due storie, non proprio qualunque, tra le tante.

Bene. E ora un invito a stare con noi in pozzetto per un’oretta durante un turno di guardia. Ma cosa fanno tutta la notte, qualcuno si domanderà, eccolo accontentato. E’ mezzanotte, una qualunque, di una notte qualunque in mezzo all’oceano ( un po’ troppi qualunque, ma ci può stare), cerco di lavarmi il viso con l’acqua gelata da frigo. Marina ha finito il primo turno di tre ore, ora tocca a me. Su tre ore ne avrò dormite, se tutto va bene, forse due. Ci passiamo le ultime informazioni, uno sguardo attento al radar e alla rotta. Per ora poco vento e mare tranquillo. Un’aggiustatina alle vele e via. Mentre Marina cerca la posizione più comoda, torno al radar. La nuvolosità è  bassa e a grumi densi di pioggia, ma per ora vincono le stelle. Il fatto è che questi grumi sul radar possono nascondere navi in contro rotta o, peggio, piccoli cargo locali senza AIS: Già successo. Tra qualche minuto dovrebbe arrivare un bel piovasco. Il cumolo, alto e cinereo incombe sulla destra, la luna, già un po’ rosicchiata, ne illumina gli alti merli. Il vento gira da poppa verso il fianco e rinforza. Ho solo la randa e la mezzana, motore al minimo. Avevamo poca aria e Trinidad ci aspetta, meglio non indugiare con i refoli. Ora invece faccio 8.5 nodi, grazie anche alla corrente. Osservo la chiazza sul radar e il relativo nuvolone tra le stelle, pare ci sfili a prua. Meglio così. Mi accomodo sulla panchetta accanto alla mezzana, schiena verso fuori e piedi puntati sul winch della randa. Stabile e rilassato. Accendo il piccolo lettore di musica e cerco qualcosa. A dir il vero ho già in mente cosa, il Miserere di Allegri. Un coro d’angeli. Se volete gustarvi qualche mistero speciale che la natura ha sempre in serbo per noi, questa è una delle colonne sonore che vi suggerisco. Un salto su YouTube, scrivete Allegri, Miserere, e quel coro di voci femminili non lo scorderete più. Naturalmente non sempre il contemplativo aiuta a vincere il sonno. Ci vuol dell’altro. E allora ecco pronte alcune raccolte  anni 60, 70 con il meglio della pop, rock americana e della nostrana italietta, dai Beatles a Edoardo Vianello. Mi alzo e cerco di muovere qualche passo di danza tra una rollatina e l’altra. Guardo l’ora e il display della carica delle batterie. Bene c’è tempo, ancora due orette prima di accendere il generatore. Scendo al carteggio, prendo il libro di bordo e annoto i dati di navigazione essenziali. Lo sfoglio, quante pagine, quante miglia, quanti posti: tutto passa come un flash in retro moviola…meglio guardare al prossimo miglio .

Che sta passando proprio sopra l’Equatore. E’la quarta volta per Eutikia. La prima quando scendemmo da Panama verso le Galapagos, poi lungo l’arcipelago indonesiano, verso la Thailandia e poi di nuovo in discesa verso l’Indiano, e per finire questa , di notte sotto un bel  acquazzone con luna e stelle. Sono le 5 e 40 e 12 secondi del 18 maggio 2017…potrete dire di averlo passato con noi !...e qualcuno che ci segue dalla torre, più di altri …


Trinidad 25 maggio 2017. ARRIVATI !!!...e completato il giro!

2017-05-29

Per la prima volta, da quando iniziai a scrivere i miei resoconti su questo diario di viaggio,

mi trovo in difficoltà nell’esprimere quello che mi passa, ci passa, per la mente dopo esser approdati qui, a Trinidad, di nuovo dunque, nei Caraibi.

 Per certo possiamo affermare, ma ancora non ne abbiamo chiara consapevolezza, di aver completato il nostro giro del mondo a vela con Eutikia. Anche chi non ci abbia seguito in questi anni, ma che comunque con la vela abbia un rapporto di forte passione, può ben immaginare il particolare nostro stato d’animo, il vissuto emotivo di questi momenti. Sull’argomento mi piacerebbe ritornare, ma per ora anche la conclusione di questa ultima tratta da Jacare, Brasile, a Trinidad, merita alcune righe per condividerne l’emozionante e del tutto particolare esperienza di navigazione.

Bene, ci eravamo lasciati mentre Eutikia stava lasciando l’emisfero sud , la Croce del Sud, per rivedere il nostro cielo stellato, la nostra Polare. E qui sono iniziati problemi di inattesa dimensione e tipologia. La navigazione, prima tutto sommato tranquilla, salvo la necessità di far camminare svelta la barca con venti leggeri e di ben monitorare l’intenso traffico marittimo, è diventata assai pesante entrando nella fascia di convergenza intertropicale

 (ITCZ). Sulle mappe meteo appare come un biscione che collega le coste africane con il sud America. La sua configurazione, e qui sta il busillis, muta giornalmente e quindi assai difficile prevederne la collocazione e l’intensità. Sta di fatto che bisogna, prima o poi, attraversarla da sud verso nord e prendere quello che capita, confidando nella buona stella. Ho l’impressione che a noi sia andata abbastanza bene, nel senso che poteva andare molto peggio.

Convergenza significa, semplificando, vaste aree di dense nubi, basse, cariche di pioggia e di elettricità. Per fortuna non abbiamo avuto, se non marginali, fenomeni temporaleschi. Personalmente ho un vero terrore d’esser colpito direttamente da un fulmine in queste situazioni, in pieno oceano. Le conseguenze potrebbero esser catastrofiche, non solo fisicamente per noi, ma in particolare per la sicurezza stessa della barca e quindi nostra. Se sei molto fortunato tutto l’impianto elettrico e l’elettronica vanno fuori servizio, nel peggiore dei casi il fulmine può danneggiare lo scafo cercando la via più breve per scaricarsi in mare. Anni fa a Santa Maria di Leuca vidi rientrare di corsa un francese. Un fulmine aveva centrato la barca e si era trovato la via attraverso il cavetto del sensore velocità. Lo strumento, di dura plastica, passa attraverso lo scafo e si era liquefatto al calore aprendo una pericolosa via d’acqua.

Se non bastasse il cielo, ci si mette anche il mare. Lo swell oceanico, come sempre, arriva ovunque. In questa tratta è al traverso, per poi girare verso poppavia.  Non è pericoloso, anche se le onde di oltre 2 metri arrivano con un periodo abbastanza corto, ma molto, molto fastidioso e, alla lunga, ti sfianca fisicamente a causa delle continue rollate. L’effetto poi sulle vele è micidiale. Non stanno mai a segno, anche perché il vento, raramente sopra i 15 nodi, non esercitava un’adeguata pressione, sempre in poppa piena o al gran lasco, troppo lasco. Per far camminare la barca dovevamo spesso giocare su qualche grado di differenza, complicandoci la vita, soprattutto durante i turni. Il perché è nascosto in una semplice parola: sonno! Semplicemente riposare con le vele che sbattono e il continuo trambusto, diventa un…sogno! Si dorme solo perché si crolla per la stanchezza. Per vedere il bicchiere mezzo pieno, per fortuna, ci pensa la corrente, sempre, o quasi sempre, a favore. Vedi, con vero piacere, la velocità crescere sugli strumenti ed il morale ne trae beneficio.

Questa la situazione vista dal basso, miglio dopo miglio per 1900 miglia circa, ma c’è chi il tutto vede dall’alto: Maurizio. Tutti i giorni, più volte al giorno, abbiamo ricevuto le sue mail via satellite Iridium Go. Previsione del vento, della posizione e della traiettoria dell’ITCZ, delle Tropical Waves, immagini con la posizione di Eutikia sotto le nubi, i wpt per centrare al meglio il flusso della corrente, insomma di tutto di più per agevolare il nostro progredire. Ma soprattutto il piacere di avere parole e battute che ti fanno un’ enorme compagnia.

Questa modalità di ricevere a bordo informazioni meteo è davvero straordinaria, impensabile solo pochi anni fa: l’utilizzo di contenuti di analisi e di previsione, elaborati e descritti, con gran qualità, diventa un valore aggiunto davvero molto prezioso.

Ma non è finita. C’è pure un bel traffico marittimo in rotta da e verso il sud America. Ben condito dalla presenza di numerosi pescherecci. Di giorno, salvo i giorni del diluvio con visibilità ridotta a zero per ore, avvistare le navi non è un grosso problema, anche perché il loro segnale AIS arriva a bordo, di solito, abbastanza chiaro. Localizzate virtualmente, le seguiamo poi sul display o a vista, se a distanza ravvicinata. Di notte le cose si complicano, soprattutto con i pescherecci che, lungo queste coste a differenza del Sud Africa, non hanno l’AIS, e sono relativamente piccoli e quindi difficili da individuare sul radar durante i piovaschi.

In mezzo a tutto questo trambusto, ora dopo ora, giorno e notte, ci siamo noi. La vita a bordo non è nulla di speciale, tranne il fatto che bisogna dormire qualche ora a turno. Di solito chi naviga in coppia addotta il turno di guardia di tre ore, noi abbiamo trovato un compromesso: il primo di tre ore, poi i seguenti accorciati in base alla stanchezza e alle situazioni contingenti ( avvistamenti, rovesci e colpi di vento, ecc). Marina per rimanere sveglia legge molto con il Kindle, non so come faccia io crollerei dopo tre righe. Poi guarda le stelle, quando ci sono, e scruta l’orizzonte con il radar. Controlla il livello di carica delle batterie, aggiusta le vele e il timone automatico. Naturalmente il tutto ben condito con buona musica dal suo IPOD. Soprattutto di notte,quello che più mi fa innervosire è l’ estrema variabilità del vento per intensità e per direzione. Poiché è quasi sempre troppo poco per dare un assetto stabile alla rotta, devi continuamente andarlo a cercare con qualche grado all’orza e poi ripoggiare appena rinforza quello che basta. Di notte gli occhi sono incollati, per ore, sulla luce rossa degli strumenti a tal punto che ne resti ipnotizzato. E così per distrarre lo sguardo ci siamo fatti l’occhio nell’osservare, anche al buio, le code del Leon che sventola a poppa. Se sono dritte la barca va.

A bordo abbiamo, quasi dimenticavo, due, aggiunti e stabili, componenti l’equipaggio:

lo Yanmar e GenGen, il nostro generatore. Durante tutta la stagione, che ci ha portato da Richard Bay a Trinidad per oltre 6.600 miglia, non ci hanno dato problemi durante la navigazione. Un po’ di fortuna ci vuole sempre.

Ora è tempo di fare un po’ d’ordine a bordo, di pulire, rassettare e preparare la barca per l’alaggio. Eutikia resterà a terra per sei mesi e dovremo sistemarla per bene e con questo caldo, mentre continua a piovere, è un lavoraccio. Ma ci risentiamo prima del rientro con un report su questa Trinidad e la sua gente, il tutto piuttosto intrigante


TRINIDAD, 10 giugno 2017.

2017-06-10

~~TRINIDAD, 10 giugno 2017.
Immagini sonore e, per finire per chi vorrà leggere anche le ultimissime righe, un grazie speciale a tutti.


~~Vi ricordate di Bob Marley, l’icona del reggae caraibico, ebbene, credo che, a sentire il frastuono musicale qui a Trinidad, inorridirebbe pure lui che con la chitarra ne combinò di tutti i colori…jamaicani. Ma era lo spirito di queste isole. A sentire questi forsennati, ti domandi perché. Perché quando entri in un caffè pub vieni respinto da un’onda d’urto di casse mai viste così grandi ? Perché quando sfreccia una macchina ne senti solo il rombo al suo interno ? Perché dall’altra sponda, di questo assai stretto fiordo, sparano da un bar, mane e sera, le stesse note percussive ? Perché, e questo è il peggio del peggio, durante i fine settimana, a notte fonda e primo mattino, escono con navette e barchini scaricando nell’etere urla forsennate come se il fracasso a tutto volume non bastasse? Si divertono così. Sembrano travolti dall’eccitazione di vivere eppure se li incontri sul lavoro ti guardano, questi afrikans come si chiamano tra di loro, ti guardano con sguardi spenti, come se tutto costasse enorme fatica, anche la sola parola. Se poi devi risolvere un micro problema, oppure hai una pur semplice domanda, la risposta, pur cortese, è solo di circostanza, inconcludente. Mi ero ripromesso di tratteggiare al meglio quest’ambiente, ma ne sono stato dissuaso da questa colonna sonora assurda, per me, almeno, incomprensibile.


Però ripensando alle colonne sonore e a questo sito, ove sono incolonnati i momenti del nostro navegar, trovo sia davvero un peccato non poterli compiutamente descrivere senza la loro autentica colonna sonora. Il sito non permette questa contestualità, solo testi e immagini, o a parte qualche piccola ripresa, per altro assai difficile da montare a bordo in tempi ragionevoli. Altra cosa sono i filmati raccolti su https://www.youtube.com/user/eutikia1  che dovrò anzi aggiornare con Indiano e Sud Atlantico.


Allora mi ci proverò a descrivere i nostri suoni, non solo quello che vediamo dunque, ma anche ciò che sentiamo in mezzo all’oceano, Pronti ? Incomincio dal cielo e dai suoi abitanti, gli uccelli. Ci domandiamo sempre da dove vengano, siamo a miglia di miglia dalla costa più vicina, ed ecco che senti i loro richiami. Sono spesso in coppia e volano rasi, rasi sulle creste verso prua. Di notte accade di tutto. Affiancano, vicini vicini, la barca a un paio di metri dalle onde e lanciano richiami striduli e insistenti. Si lanciano in picchiata tra le onde sollevate dal dritto di prua e ritornano in posizione al nostro fianco. Una ruota continua a caccia dei pescetti volanti attratti dalle pur fioche luci di bordo o dal verde e rosso. Una volta di fronte all’Ecuador abbiamo dovuto spegnere tutto per liberarci dal loro rumoroso, insistente inseguimento. L’ultima volta, di fronte all’Amazzonia, abbiamo avuto ospite a bordo Giacometto, un bel uccellotto dal capino bianco. E’ rimasto con noi tre notti ed ha avuto il suo bel da fare per difendere il suo trespolo. Al tramonto lanciava urla assai minacciose contro altri intrusi. Poi se ne è andato dopo aver discusso con un suo pari su che direzione prendere.

Ma il cielo è soprattutto il luogo del sole, delle nubi, del vento. Una vera sinfonia di colori e di suoni, con direttore il vento.  Alle volte solo pochi nodi di differenza e la musica cambia. Con appena 10, 15 nodi un leggero, allegro, fischiettare passa tra le sartie. Sui venti, venticinque eolo inizia a sbuffare e le onde a biancheggiare. Oltre, verso i trenta e oltre, sembra cha a bordo ci sia, come dice Marina, un bel gattone “Mauuuu, mauuu….mauuuuu” ma l’unico che sventola spensierato a poppa è il nostro leoncino di San Marco. Noi guardiamo, non rilassati, l’anemometro e la direzione del vento. Ed inizia il giochino del mauuu mauuu che sale e che scende, o che appena muove la coda di qualche grado, e noi a cercare l’assetto migliore delle vele. Ormai anche nel buio più fitto e con il sonno più incombente, con le vele abbiamo un dialogo fatto di fremiti, sbattimenti, colpi sordi, da far paura, quando riprendono vento di botto, e di silenzi quando tutto è al limite dell’armonia.


 E poi ci sono i delfini. Spesso prima di vederli, li senti. Arrivano inattesi, sempre. Uno schiaffo svelto sull’onda annuncia il loro arrivo. Sono talmente veloci, appena sotto la superficie, che ne percepisci il rapidissimo spostamento d’acqua: un sibilo sordo ed è già guizzante a mezz’ aria, se non ti incolli con lo sguardo al suo codino ne perdi il tuffo. Solo uno splash ed è già sparito.

Le nuvole dell’aliseo, poi, sono una meraviglia: piccole s’inseguono cangiando colore al mare che da blu diventa ombroso indaco. Non c’è musica o suono, solo colori. Altro, se passi le zone di convergenza: solo basso e pesante grigiore. Quello che t’aspetti, accade inevitabilmente: piove. Ma la parola non rende: diluvia. Quando arrivano i primi goccioloni sembrano proiettili. Il vento sibila tra le sartie, un muro d’acqua ci raggiunge: è musica d’acqua. Sopra, sotto, ovunque acqua, E’ un vero rimbombo, per sentirci dobbiamo alzare la voce, e non dura pochi minuti. Anzi una notte, durante l’ultima tappa, questa cupa sinfonia è durata per ore e noi con gli occhi incollati al radar e all’ AIS per intercettare per tempo navi sulla nostra rotta. Fabrizio Plessi, che con l’acqua e le nuove tecnologie, ha realizzato le più sorprendenti installazioni potrebbe avere ispirazioni d’arte nuova. Altrove con l’acqua compongono musiche primitive: alle Vanuatu le ragazze si divertono a prendere a schiaffi l’acqua cristallina della barriera ed inventano suggestive risonanze.
 E poi c’è il vento di ferro, l’iron wind all’inglese, ovvero il nostro motore Yanmar. Ogni volta che lo fermiamo, magari dopo interminabili ore e ore, lo ringraziamo con un applauso: non è certo silenzioso, ma ci ha portato per miglia e miglia e il suo basso continuo è vera musica celeste.


 Che dire, per finire, delle onde ? Qui l’orchestra si esprime con tutto il suo colorismo. C’è il poco mosso, l’andante, lo scherzo di qualche frangente in coperta, il maestoso è davvero superbo, ma è meglio non guardarlo: le onde, lo swell, le creste montano ovunque ed è un bel turbinio di vento e acqua e di…emozioni. Meglio quasi di notte, ne senti solo il mugghio e l’anemometro fa meno impressione…forse. Di giorno, ma anche di notte con luna, vedi Eutikia cavalcare treni d’onda che arrivano sollevando la poppa e lanciano lo scafo in surf sulle creste. Sotto i piedi, dal timone a prua, la barca vibra e risuona mentre la velocità raggiunge e supera spesso i 12 nodi, verso fondo scala. Assai meglio voltar pagina allo spartito e ridurre ancora vela verso la poggia. I timbri scendono di registro, Eutikia ringrazia e a 8 nodi è un’altra musica.


Per combinazione, mentre scrivo queste righe di getto, sento uno dei soliti barchini passare, ma , meraviglia!, il suo hi-fi , pur a volume indecente, libera nella luce del tramonto la canzone forse più azzeccata “ Sitting On The Dock Of The Bay” cantata da Otis Redding. https://www.youtube.com/watch?v=wyPKRcBTsFQ


E allora perché non ascoltare insieme, con noi in pozzetto, alcuni dei motivi che ci accompagnano di notte e che portano con sé un po’ di mare oceano ?
Ecco alcune proposte, note e meno note, ma con l’invito a tutti di aggiungerne  altre sul tema ( Message Board del sito), per arricchire il piacere dell’ascolto:


https://www.youtube.com/watch?v=EKxohZRSL1g   Vivaldi,  La tempesta di mare
https://www.youtube.com/watch?v=Hdc2zNgJIpY     Offenbach, Barcarola
https://www.youtube.com/watch?v=RdZeaWHiUKk  Ravel, Une barque sur l’Ocean
https://www.youtube.com/watch?v=kfFCoRy8WWM  Heinali, El Mar


Buon ascolto dunque, ma vorremmo chiudere questa stagione del tutto speciale con un valzer verdiano, assai celebre, per ringraziare tutti, amici da lunga data o che magari neppure conosciamo, per averci così a lungo seguiti e sostenuti, e per aver condiviso le nostre avventure più emozionanti…e anche i report non sempre frizzanti, alziamo dunque i” lieti calici” e brindiamo al prossimo miglio che noi tutti abbiamo a prua..


https://www.youtube.com/watch?v=J8tX8E866EM 


dal Gran Teatro La Fenice di Venezia e dall’Hotel Excelsior a Lido, a due passi…di danza da casa..
Buon Vento a TUTTI !!!! ….e a prestissimo !


Venezia 12 settembre 2017. DUE OCEANI

2017-09-12

L’estate è finita e il sole se ne va. Il tempo vola, panta rei, tutto corre, e sono già tre mesi che abbiamo lasciato Eutikia a terra a Trinidad. Ora non resta che seguire il formarsi e il procedere di questi uragani che stanno devastando la parte nord dei Caraibi. Incrociamo le dita.
Sto seguendo le terribili avventure di un Amel che si trovava a St. Martin, lato olandese.
Il proprietario, un navigatore solitario assai conosciuto nell’ambiente Amel per la sua sempre pronta disponibilità a supportare con preziosi consigli tecnici altri amelisti, dopo affannosi giorni per svuotare la barca di tutto quel che poteva e averla assicurata ai moli del marina con 19 cime e due catene, ha cercato rifugio in un albergo nelle immediate vicinanze. La descrizione dell’impatto di Irma sulla sua stanza è spaventoso. Acqua ovunque, cercando disperatamente di trovare protezione nei lati più interni della suite. Tutto attorno all’albergo non una casa senza disastrosi danni. Tutta l’area, ben ricordo, attorno al marina era assai accogliente e il bacino sembrava a prova uragano.
Finito il cataclisma nessuno sperava di trovar la propria barca ancora galleggiante e infatti il mio amico vide solo gli alberi spuntare tra un mare di detriti! Ma al disastro si sta ora aggiungendo la mano dell’uomo. Gli hanno chiesto un consistente rincaro per la sistemazione in albergo adducendo motivazioni inesistenti, per le strade non c’è sicurezza e iniziano saccheggi. Ora ha chiesto aiuto (via email quando il wifi funziona, ma non c’è più carburante per il generatore) agli amici del Gruppo Amel per aver contatti con ambasciate ancora aperte in loco. E ancora, disperato, chiede se c’è qualcuno che può con una barca andarlo a prendere con quanto è riuscito a salvare ! Che situazione terribile! Per fortuna pare che stiano arrivando legionari per rimettere un minimo d’ ordine.
Lasciamo ora i Caraibi per l’Indiano e il Sud Atlantico.
Ho aggiornato la mia pagina You Tube


https://www.youtube.com/user/eutikia1

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con quattro nuovi video:
Indiano_2016_Prima Parte. Dalla Thailandia alle Cocos Keeling : Angkor (Cambogia), Canale di Malacca, Nord Indonesia, Giacarta, Stretto della Sonda. 32 minuti
Indiano_2016_Seconda Parte. Dalla Cocos Keeling a Richards Bay (Sud Africa): attraversata dell’Oceano Indiano, Rodrigues, Reunion, Madagascar, Mozambico. 25 minuti
Sud Atlantico_2017_Prima Parte. Da Richards Bay a Cape Town: visita ai Parchi, East London, Port Elizabeth, Mossell Bay, Capo di Buona Speranza. 27 minuti
Sud Atlantico_2017_Seconda Parte. Dal Sud Africa ai Caraibi: Cape Town, Sant’Elena, Jacarè, Trinidad. 40 minuti
I video ripropongono quanto già documentato in sequenza nel diario del sito. Ma l’impatto è decisamente diverso. Ricordo che l’editing è assolutamente domestico ed è stato pensato, prima di tutto, secondo il nostro desiderio di ricordare e rivivere un’esperienza straordinaria…già oggi, nel rivedere il tutto decine di volte nel montaggio, mi par quasi una cosa impossibile.
La qualità è quella che è: quasi tutto dipende dal girato e non sono certo un professionista. Le condizioni ambientali, fretta e tempi ristretti, stanchezza, impreparazione non aiutano. Abituati ai racconti, televisivi o romanzati, qualcuno potrà giustamente chiedersi: ma la storia dov’è? Non c’è. Fate voi. Ognuno è libero di vederci quello che più lo colpisce, che più lo fa pensare. Forse un’evasione,un progetto, un sogno, chissà ?
Ultima annotazione. La parte relativa al Madagascar è stata montata, quasi per la totalità, con immagini riprese/copiate direttamente dal sito e quindi di scarsissima qualità. La differenza dalle altre è di tutta evidenza. La ragione è semplice e tragica, insieme: in Madagascar ci hanno rapinato e rubato di tutto di più, compreso il girato, foto e video.
Consiglierei, nel limite del possibile, di visionare i filmati in sequenza, partendo dal primo. La continuità accompagna luoghi, distanze, emozioni, esperienze che trovano la loro reale dimensione nell’attraversata di due oceani e, perché no, nella conclusione del nostro giro del mondo con Eutikia. Buona visone!


Venezia, 31 ottobre 2017. Eutikia all’Assonautica di Ancona.

2017-10-31


Sabato 4 novembre saremo ancora ospiti dell’Assonautica di Ancona, presso la loro bellissima ed accogliente sede di Marina Dorica.
Lo scorso hanno fummo invitati a presentare i filmati relativi a “Pacifico per Due”. Fu un piacevolissimo e assai interessante incontro con i velisti di Ancona. Ora l’esperienza si ripete con la presentazione dei filmati relativi al passaggio dell’Oceano Indiano e del Sud Pacifico, 13 mila miglia (2016-2017) dalla Thailandia ai Caraibi.
Ricordo, per chi fosse interessato, che tutti i filmati dal passaggio del Canale di Panama (2011) ai Caraibi (2017) sono visibili al seguente link :
https://www.youtube.com/user/eutikia1
NB: attenzione alla piccola freccia sulla destra (>) per far scorrere e visualizzare la lista completa dei filmati.

 


VENEZIA,13 Dicembre 2017

2017-12-13

Buone Feste e Buon Vento a Tutti

A prestissimo con i programmi 2018.

Gianni & Marina


ROTTA EUTIKIA 2018

2018-01-22

ROTTA EUTIKIA 2018
Abbiamo appena voltato pagina al Diario di Bordo. Si è concluso un 2017 con veramente tante miglia di poppa e ora sta per iniziare un 2018 molto diverso. Potrei, in sintesi, dividerlo in tre parti.
Caraibi. Eutikia è ora a terra a Trinidad e ci sta aspettando. Dalla prossima settimana ci sarà molto da lavorare. L’argomento non è sicuramente tra i più avvincenti, ma la lista delle cose da fare può interessare a chi vuol farsi un’idea di cosa vuol dire gestire una barca, oggetto assai complesso, molto più che un’abitazione. Sarò però brevissimo: sostituzione di 12 batterie (770 chili da spostare e da cablare), re-installazione dell’alternatore dato in manutenzione, sostituzione delle guarnizioni asse timone, antivegetativa, riarmare tutta la coperta, vele ecc In sostanza, se tutto va per il meglio, una decina di giorni e saremo quasi pronti per far vela.
L’obiettivo è di arrivare entro i primi di Marzo in Martinica dove ci attendono per sostituire tutte le sartie. Un lavoraccio. Per fortuna c’è una base Amel e quindi ne approfitteremo per far dare un’occhiata al vano motore e per altri lavoretti, che non finiscono mai. Dopo di che faremo qualche bordo lungo quella collana di isole per testare il tutto e per un meritato, a questo punto, relax.
Il passaggio da Trinidad alla Martinica di per sé non dovrebbe presentare problemi: 250 miglia di aliseo moderato, salvo qualche rinforzo, e maretta solo tra isola e isola. La prima tratta, però, sino a Grenada, dovremo farla di notte. Meglio non farsi vedere troppo in giro. Poi qualche balzo di isola in isola, tra ancoraggi nel blu e con nuovi incontri con altre barche, ma soprattutto con vecchie carissime conoscenze.
Atlantico del Nord. In Maggio, appena il meteo ci darà segnale verde, partiremo per le Azzorre (2.300 miglia circa). Non sarà facile seguire una giusta e conveniente rotta, giocando tra i venti iniziali da levante e poi con quelli in rotazione da quadranti più favorevoli (Ovest Sud Ovest). Dovremo seguire molto le previsioni sia per non buscare e sia per non rimanere impiantati nell’ Alta delle Azzorre. Con Maurizio ne stiamo già prendendo le misure. Il passaggio verso Est del Nord Atlantico può nascondere davvero brutte sorprese. La novità è che saremo, quasi per certo, in tre a bordo. Ci raggiungerà Marcello, “il marinaio” come ama chiamarsi, un simpaticissimo marchigiano che incontrammo a Bora Bora…il mondo è davvero piccolo.
Mediterraneo. Alle Azzorre, dicono molto interessanti per la natura e non solo, dedicheremo qualche escursione e il giusto tempo. Poi dovremo far rotta su Gibilterra (950 miglia) per rientrare, finalmente, dopo 11 anni nel Mare Nostrum ! Lasceremo la barca nel Marina di Almerimar (Spagna) per un rientro estivo (luglio e agosto) a casa e poi di nuovo a bordo, ma questa sarà un’altra storia, con meta Prevesa, alle Isole Ionie, dove dovremmo lasciare la barca a terra per l’inverno…per poi ritrovare gli amici nelle lunghe giornate invernali. Alla prossima da Trinidad.
“ E ‘ndevéno cussì le vele al vento lassando drio de noaltri una gran ssia co’l’anema in t’i vogi e ‘l cuor contento sensa pinsieri de manincunia.”
( E andavano così, le vele al vento / lasciando dietro di noi una gran scia / con l’anima negli occhi e il cuor contento / senza pensieri di malinconia)
Biagio Marin


Trinidad, 11 febbraio 2018

2018-02-11

Martedì 13 Febbraio, se tutto procede per il meglio, dovremmo schiodare da Trinidad al tramonto. Direi che i lavori per risistemare Eutikia dopo sette mesi a terra hanno richiesto le solite due settimane piene. Non sono mancati gli interventi eccezionali e …misteriosi.
Ora abbiamo 12 batterie AGM (servizi) e una per lo start, tutte nuove. Poi, acquisto imprevisto, anche la catena nuova. La vecchia, pur di ottima qualità, aveva troppi metri assai arrugginiti. Una catena arrugginita significa meno garanzie, anelli che si incastrano sul vericello e sporco in coperta. La prossima volta che andremo a terra raccoglierò la catena sotto la prua su un bel tavolato. Lasciarla nel gavone significa un rapido deterioramento. Tra i vari interventi su pompe e rubinetteria, uno si è rilevato un bel mistero. In sintesi, ma io ho perso quasi una giornata, poiché la pompa della sentina (dove si raccolgono tutte le acque grigie) non si innescava automaticamente, ho deciso di aprirla. La girante in effetti si era sclerotizzata. Sostituita con nuova, nessun miglioramento. L’idraulico, venuto a bordo per la rubinetteria, mi segnala che la girante non sarebbe stata la stessa (i codici però corrispondono). Per fortuna ho di riserva una pompa identica, nuova e completa, e ne asporto la girante. La metto nella vecchia pompa in opera e…niente da fare. Non si innesca. A questo punto decido di sostituire la vecchia pompa con la nuova e…funziona! Normale direte voi. Ma se ogni volta che una girante si rovina, si deve cambiare tutta la pompa diventa un bel problema.
I lavori di antivegetativa sono stati eseguiti dagli operai del cantiere: bravi ragazzi, ma da non perdere mai di vista. Nessuno li controlla. In compenso la più efficiente è la contabile. Sanno fare molto bene le fatturine. Non economico, ma qualcosa si recupera con il cambio.
Per rimettere la barca in acqua ci pensa un tipo davvero in gamba, che io chiamo Pecos Bill, per la folta e lunga capigliatura con tanto di cappello da cowboy. Arriva con un trattore lungo, lungo dotato di poderose braccia a ganascia. Si infila sotto la barca, mentre gli scurotti tolgono i supporti a stelo, sistema le patte, solleva lentamente Eutikia e parte in retromarcia. Parte è dir poco: fila via sparato. Lui davanti, Eutikia dietro sobbalzante, fila e fa le curve come a Monza e trova pure il tempo per sistemarsi il cappello, rovesciato dal vento. Un minuto ed è già sul molo sotto ad un enorme carroponte. Porta Eutikia con il trattore sotto le cinghie che vengono rapidamente allocate nei punti giusti e Eutikia è di nuovo sospesa e dondolante. Le enormi ruote si muovono verso il bacino di carenaggio. Eutikia è ora a pochi metri sopra l’acqua. Le cinghie scendono e voilà, galleggia felice e… noi pure ! Ora bisogna far partire il motore (con l’alternatore di potenza rimesso a nuovo) e dopo sette mesi, ma ?!?! Avvio la chiavetta e ..bruuunnn, al primo colpo. Mai successo. Buon segno.
E ora, per cambiare argomento, il contesto esterno. Qui, sulla sponda della baia di Chaguaramas, vi sono cantieri in serie, E’una zona portuale, senza grandi risorse naturalistiche, ma da qui partono tutti, soprattutto i locali, per ogni tipo di lavoro o gita. Di domenica è una bolgia tra moto ondoso e barconi turistici stracarichi con musica orribile al massimo volume. Ieri ho fatto la conoscenza con un ragazzo italiano che si è inventato di che sopravvivere. Ha lasciato il lavoro in Italia perché in azienda, pur ben inquadrato, si sentiva in prigione. Ora è qui da sette anni e ha sposato un’indiana (qui gli indiani sono assai ed assai intraprendenti). Ha una barca a vela sui 40 piedi, ma sbarca il lunario con un’idea da non credere. Grazie alle buone relazioni della moglie e alle conoscenze di alcuni che lasciano le barche qui ferme, organizza cenette a bordo, or qui or lì, con una o due coppie di indiani. Naturalmente a barca ferma all’ormeggio, ma l’indiano si accontenta e vive da protagonista una serata indimenticabile da yachtsman !
Per fortuna c’è pure un buon ristorantino con affaccio con vista, proprio sul pontile ove è ormeggiata Eutikia. Il menu, assai corposo, è per noi di difficile interpretazione. Non riusciamo a trovare piatti semplici. Il pesce è sempre innaffiato da salse improbabili. Per carne, i soliti smisurati burger, per noi inaffrontabili. Per fortuna, dai e dai, abbiamo scoperto un trancio di tonno non troppo trattato e pure, per cambiare, un buon salmone al forno. La cenetta è servita sotto un cangiante e variopinto gioco di luci che illumina piatti e pietanze dal verdino al rosso e azzurrino, da far male agli occhi. Alle orecchie ci pensano due diffusori, musica percussiva anche questa assolutamente orribile. I love Chopin! Per fortuna, ancora, abbiamo scovato al bordo della terrazza un angolino con tavolino quasi al buio e defilato dal frastuono….Martedì Grasso si parteeeee…ma senza frittole!


~~Grenada, 16-20 febbraio 2018. Windward Islands

2018-02-20


Le chiamano Windward Islands, le isole contro vento: provare per credere ! Noi ci avremmo fatto volentieri a meno. Da Trinidad a Grenada, solo 75 miglia, si fa per dire visto i precedenti, la previsione era per un vento di bolina accettabile: sui 60° e massimo 20 nodi, forse qualcosa di più.
Partiamo al tramonto, verso una traversata notturna, per non farci vedere ed evitare così spiacevoli incontri. Vicino al Venezuela la sicurezza è sempre assai precaria. Come usciamo dalla tranquillità di Ciaguaramas, il vento si fa subito sentire. Sono più di 25 nodi, mare sui 2 metri con qualche cresta, ma soprattutto sono molto meno dei 60° previsti. Mezza randa, mezzo genoa e via. Scadiamo, in modo pauroso, sotto rotta. Così cadremmo almeno 25 miglia sotto vento a Grenada. Impensabile. Marina mi chiede, ironicamente, se c’è un piano B. Non c’è ! Dobbiamo arrivare a Grenada. Ci vorrà molta pazienza e qualche novità positiva. La notte arriva davvero scura. Niente luna, cielo coperto e morale sotto la chiglia. Eutikia avanza con fatica e deriva inesorabilmente ed iniziano pure i primi target sul radar. C’è un bel traffico di navi mercantili che tagliano la nostra rotta. Ne devo chiamare due per esser sicuro che ci abbiano visti. In questa situazione governare e cambiar rotta può esser una rogna in più. Per fortuna il vento non ha più  raffiche sui 30 nodi e si stabilizza sui 20. Ma la direzione non cambia. Non resta che provare con motore e randa. Via genoa e accendo il motore. A 1800 giri riesco a stare sui 4, 4,5 nodi con una rotta che mi fa scadere una quindicina di miglia sotto Grenada. Sempre meglio di prima.
La barca soffre contro vento e onde. E noi con lei. La vita a bordo è assai spiacevole per usare un eufemismo, anche perché sono le prime miglia dopo sette mesi di terra. Nonostante tutto mi consola il fatto che poche ore prima di partire, durante l’ultimo controllo nel vano motore, ho notato una leggerissima perdita, solo qualche goccia, da un tubo del circuito di raffreddamento. A Città del Capo era stato necessario sostituire la relativa pompa e il meccanico aveva serrato troppo la fascetta in acciaio stringi tubo. Quelle a striscia forata sono micidiali e tagliano, prima o poi, il loro tubo. Ci ho messo le dita e ho subito verificato che stava completamente cedendo. Il meccanico, chiamato di corsa (avevamo già fatto le pratiche d’uscita), ha trovato, per fortuna, un tubo nuovo di misure adeguate e l’ha fissato con due fascette, questa volta, piatte. Risolto il problema siamo partiti…sotto piovaschi. Partenza bagnata, partenza fortunata: ora, con molte ore di motore davanti, se non avessi cambiato quel tubo sarebbero stati problemi seri con tutto quel liquido in giro.
La notte passa tra incroci, pescherecci molti e tutti senza AIS e poi con qualche stella. Il vento mette giudizio. Cala un po’ e da buono quel tanto che basta per migliorare il punto d’arrivo. Solo una decina di miglia sottovento a Grenada. Con le prime luci la fortuna gira dalla nostra. Il vento cala ancora e l’onda è ora più morbida e Eutikia sbatte meno. Ora ho a prua il capo Sud dell’isola. Altra notizia, questa da festeggiare, davvero e ancora: incrociamo fisicamente la rotta che avevamo seguito per raggiungere il Venezuela, poi la Colombia e poi Panama, in partenza per il giro del mondo.
Con il primo sole doppiamo il capo e troviamo un ancoraggio tra molte altre barche appena fuori George Port. Giù ancora e siamo fermi, finalmente. Rolliamo molto, ma è quasi un piacere. Sistemato, con Marina, l’elastico sulla catena, rientro verso poppa e mi appoggio alle sartie per ritrovare un po’ di equilibrio….cosa vedo ! Un cavetto della sartia bassa prodiera, di dritta, è spezzato. Forse pure un altro più in alto. Pensare che per il 5 Marzo abbiamo fissato un appuntamento in Martinica proprio per sostituire tutto il sartiame. Non resta che fermarci qui per qualche giorno per sostituire la sartia. Procedere in queste condizioni per risalire le Windwards Islands sarebbe insensato.


18-19-20 febbraio. Marina Port Louis.
Passiamo due notti a rollare come non mai. Accanto a noi rollano pure i catamarani ! Dopo la notte insonne della traversata, altre due notti da incubo. L’aliseo soffia e  spinge l’onda che  gira la punta Nord di Grenada e raggiunge l’ancoraggio, dopo ben 11 miglia di costa ridossata, arriva comunque una maretta morta che ci fa ballare e non dormire. Poiché  abbiamo fissato l’appuntamento con chi dovrebbe cambiarci la sartia per lunedì mattina, decidiamo di entrare in marina la domenica, e dar così fine all’incubo del rollio. Prima di accendere il motore do la solita occhiata nel vano motore. Il pezzo di carta, che avevo messo sotto la girante nuova del generatore per controllare eventuali perdite, è bagnato ! Strano. Avevo controllato per bene e dopo alcune ore di generatore non era bagnato. Accendo il generatore e con la torcia cerco eventuali perdite. Non di gasolio, non di olio. Che sia acqua di mare o liquido di raffreddamento? Non sicuramente dalla girante. Osservo lo scambiatore, tocco i tubi e… voilà! Una fascetta d’acciaio s’è spezzata ed il tubo del sistema di raffreddamento (liquido blu) che porta alla pompa gocciola abbondantemente. Se mi fosse successo in navigazione mi sarei presto trovato con il generatore surriscaldato, Il bello è che avevo ben controllato il tutto quando lo avevo riattivato dopo la sosta del rimessaggio a terra. Anche ora la fascetta appariva perfetta. La malefica s’era spezzata proprio sotto la vite senza fine che la serrava. In un punto, quindi, assolutamente non visibile. Ennesima lezione: MAI  fidarsi delle fascette. Meglio cambiarle periodicamente con altre di ottima qualità. Unica consolazione del week end, un bel primo bagnetto refrigerante e corroborante.
Il lunedì, di buon mattino arriva il tecnico, come d’accordo. E’uno scurotto, età giusta, smilzo, con l’occhio scrutatore. Capisce al volo il problema, tocca, palpa le sartie. Alle mani, guanti distrutti che ne hanno conosciute molte. Mi ricorda un po’ quel piccolo filippino che a Pango Pango mi sistemò il generatore. Vedi mai. Tornerà tra un’oretta una volta concordato il preventivo con il boss. Detto, fatto. Ritorna con l’aiutante, smontano la vecchia sartia ( rotta in due punti ! ) e partiamo verso l’officina. C’è sempre qualcosa da imparare. Al cancello del marina incontriamo un tale che pare conosca assai bene il nostro. Si presenta e mi sorride compiaciuto: “ You are in good hands, Sir !” lei è in buone mani…non è difficile immaginare a cosa io abbia subito pensato ;-)) Comunque sia, il lavoro è presto fatto e documentato. E nel primo pomeriggio, tra una raffica e l’altra, la sartia nuova è montata e tesata. Speriamo comunque che nei prossimi giorni non ci sia il vento che soffia oggi. Queste Windward Islands ci faranno ammattire, già lo vedo.
Oggi, martedì 20, facciamo un bel piglio in pescheria. Ottimi tranci di un grosso tonno pinna gialla finiscono in frigo. La spedizione in centro Port George è stata davvero curiosa. Abbiamo preso al volo, o meglio ci hanno preso al volo con uno di quei furgoni, stracolmi, che ragazzotti, svegli assai, guidano sfrecciando tra una curva e un saliscendi e l’altro, quasi fossimo in una micro San Francisco. Poi non resta che sistemare le ultime cose a bordo e dar un’occhiata al meteo, non proprio confortante. Il vento per domani sarà sui 20 nodi, ma tutto in prua perché la direzione sarà da 60°circa e noi dobbiamo andare per 30°. Con rinforzi probabili e con onda, anche fare solo 30 miglia vuol dire sbattere sino al tramonto. Ma risalire dobbiamo e non ci sono alternative. Ne riparleremo.

 


Carriacou 21-22 febbraio 2018.

2018-02-22


Alle 14.00 eravamo ormai scaduti quasi 15 miglia a Ovest di Carriacou. Non era la nostra meta. Speravo di arrivare a Union, 38 miglia da Port George, Grenada, ma le condizioni, dopo le prime 15 miglia sotto costa, erano diventate pesanti. Vento sui 25 nodi da Nord, Nord Est, onda corta da 50° e soprattutto un bel correntone che spinge verso Ovest. In conclusione la direzione era un 30/40° fuori rotta, ma con la deriva ne perdevo altri 30°! Saremmo arrivati oltre 20 miglia sotto vento a Union. Incredibile. Quindi  motore e randa, e arrivare comunque di notte. Piano B: decisa virata a destra, verso l’ancoraggio a Tyrrel Bay, Carriacou. Non facile comunque: altre 3 ore di motore, ben su di giri, contro tutto esattamente in prua. Naturalmente non eravamo gli undici. Era confortante vedere sull’AIS che non se la passavano meglio, mal comune mezzo gaudio. Magra consolazione. Arriviamo in baia alle 17.30 ricoperti di sale e con 45 litri di nafta in meno. Dopo pochi minuti un bel nuvolone ci ha fatto una graditissima doccia e Eutikia ha ringraziato. Domani riposo e attenzione al meteo. Qui le barche alla fonda non mancano. Sono decine e decine. Ricordo che nel 2009, quando passammo da queste parti verso il Venezuela, eravamo quasi soli. Spero che i Caraibi non siano ora tutti così. C’è da dire, però, che molti forse hanno scelto il Sud per evitare le isole a Nord devastate quest’anno da ben due uragani. Vedremo
 


Union Island, Chatman Bay, 23 febbraio 2018

2018-02-28


Da Tyrrel Bay a Chatman Bay ci sono solo 9 miglia. Ormai la strategia è quella dei piccoli passi, anzi piccolissimi. Poiché, per consolidata esperienza, le prime ore del mattino sono le meno ventose: madre natura deve pure lei svegliarsi. Abbiamo, all’alba, tutto il tempo di alzarci alle 5.30, far colazione,  tirar su, e via, come al solito a motore. Riusciamo a non derivare troppo anche perché le isole sopra vento ci proteggono almeno un po’ dalla corrente. Dopo 2 ore e mezza siamo arrivati, senza storia. Troviamo diverse barche alla fonda e, niente di meno, quello che sembra proprio essere lo yacht reale inglese. Domani camminata a terra. Ma se va avanti così sarà assai duretta rimontare questo aliseo invernale.
24-25 febbraio. Dopo una notte di pioggia e raffiche violente, tanto che ho dovuto attivare l’allarme ancora, la giornata è iniziata nel migliore dei modi: uno scurotto è passato sotto bordo “ Lobster, sir ? “ ne aveva diverse guizzanti sul fondo della piccola lancia. A  cenetta è stata servita, ben innaffiata con cenin sudafricano, per sollevare il morale piuttosto basso. Ho decisamente fatto un errore di valutazione. Non pensavo affatto che fosse così rognosa la risalita di queste isole. E il fatto di aver rotto una sartia alla prima uscita non ha certo giovato. In baia ci sono ben 24 barche, tutte bloccate da un tempo forse inconsueto in questa stagione. Senza accesso a internet,  ho riattivato la vecchia, cara radio con il suo bel Pactor e …voilà ho di nuovo qualche informazione meteo via email. Il NAVTEX poi mi aggiorna con le mappe dalle stazioni americane. Maurizio, infine da Ancona, certifica il tutto con un quadro sinottico da par suo.
Il vento oggi, 25 febbraio, è calato e in baia si sta finalmente bene, senza raffiche importanti. Alcuni si sono già mossi, i più verso Sud. Noi invece abbiamo passato il tempo a inventariare i pezzi di ricambio e ho scoperto, come spesso accade, di averne alcuni che proprio non ricordavo e altri del tutto inutili…non si sa mai. Poi finalmente un bel bagno in pieno sole che ci ha riconciliato con questi Caraibi inaspettati. Per chiudere in bellezza la giornata un bel disco del sole che si è tuffato a Ovest regalandoci il primo raggio verde di quest’anno. Gustandone i colori, e dei bei tramonti non ci si stanca mai ovunque, sono tornato con gli occhi del ricordo a quei soli che si infilavano oltre l’orizzonte, sempre a Ovest durante le lunghe traversate del Pacifico e dell’Indiano. Tutto scorre. Domani si riparte verso Bequia, l’isola delle balene.


Bequia 26 febbraio – 1 marzo 2018.

2018-03-01


Siamo partiti da Chatman Bay con una giornata da “ O sole miooo! “, venticello, anche teso, e bolina a bordi sino a Bequia, una trentina di miglia che sono diventate quasi 50. Ridare il giusto assetto a Eutikia dopo anni di venti portanti non è stato proprio così automatico. E’ una barca fatta per girare il mondo e il mondo non si gira in bolina. Sarebbe davvero contro natura, anche se molti, magari in regata, si divertono a farlo. Contenti loro…La cosa curiosa, in questi bracci di mare, è incrociare queste molte vele: chi scende, al lasco, sta in coperta al sole e guarda e saluta chi sale, ben ingavonato e ricoperto dagli spruzzi di sale.
L’arrivo a Bequia è stato, più o meno, come ce lo aspettavamo. Quando si torna nei luoghi dei quali si ha un bel ricordo e’ poi difficile non rimanere almeno un po’ delusi. E dopo quasi dieci anni dall’ultima volta il rischio era concreto. Per fortuna non è cambiata di molto. Sicuramente molte barche di troppo, ma l’atmosfera, la luce, i riflessi della baia, l’intrigante passeggio lungo le botteghe coloratissime del piccolo villaggio offrono ancora il meglio dei Caraibi. Ieri sera poi da un locale affacciato sulla bianca sabbia ci giungeva una voce canora con un perfetto tono alla Barry White, e non il solito frastuono della contemporaneità senza emozioni, come a Trinidad.
All’ombra del verdeggiante palmizio e degli alberi del pane che circondano la baia, il raccolto lungomare è un susseguirsi di variopinte bancarelle con paccottaglia varia per turisti americani. Verso la fine della via, però, abbiamo ritrovato un piccolo laboratorio dal nome altisonante “ Boats Museum”. In effetti sono forse gli unici, veri artigiani, che ancora danno vita e forma, sia pur in scala ridotta, alla tradizionale lancia a vela con la quale, da queste parti, si dava la caccia, ancora non molti anni fa, alle balene di passaggio. Quando vi arrivammo la prima volta non resistetti al fascino di queste storie di mare e a questa semplice, ma preziosa, manualità del fare e ne acquistai una dallo scafo blu. Ora fa ancora la sua bella figura  nello studio di casa.
Domani venerdi 2 marzo si riparte. Prima tappa, assai breve, una baia sulla  costa Ovest di Saint’ Vincent, il giorno dopo una tiratina fino a Rodney Bay, St. Lucia e poi, per finire, una ventina di miglia sino a Marin, Martinica. Là ci aspettano per sostituire tutte le sartie e Eutikia ne aveva proprio bisogno dopo quasi 50 mila miglia. Sarà un’esperienza un po’ diversa, ma da raccontare. E speriamo di ritrovare vecchie conoscenze…abbiamo in sospeso uno champagne per festeggiare con Eva e Jean Luc del Rev de Lune il passaggio del Capo di Buona Speranza. Alla prossima.

 


Martinica, Marin 3-10 febbraio 2018.

2018-03-12

Martinica, Marin  3-10 febbraio 2018.Sono ormai alcuni giorni che siamo a Marin, un quasi lago ben protetto, base naturale per ogni attività nautica. Attorno a questo mondo, popolato da centinaia di imbarcazioni, soprattutto catamarani charter, gira un business vorticoso tra noleggi, manutenzioni, accessori vari, boutiques e chi più ne ha più ne metta. Sembra d’esser in un  super market oppure in un super condomino nautico. C’è per sino un catamarano con a poppa un forno, catafalco, per le pizze che poi vengono recapitate in gommone ! Come ti muovi o compri una vite gli euro volano, senza neppure molta soddisfazione. Non si può dire che ci sia un’elevata professionalità, tutti troppo abituati a servire le flotte charter, né la possibilità di definire facilmente accordi di assistenza o fornitura. O parli francese o…parli francese. L’inglese è ben parlato da pochissimi. Per non parlare di internet. Un vero disastro. Mai trovata una situazione così critica. I wi-fi di fatto sono intasati e cari, dovrò arrangiarmi con una SIM Orange o Digicel, ma sarà una soluzione tutta da verificare.

Ora ci troviamo, legati di prua a un mini pontile e con cima di poppa in boa, al Caraibe Greement , ovvero ospiti (a pagamento) di un laboratorio officina per interventi di ogni tipo sul sartiame. Sembra di essere in un drive in: ogni giorno entrano e escono barche di ogni tipo per rimediare a qualche danno o per rifare e installare sartie nuove. L’altro giorno ho fotografato ben tre alberi (compreso il mio di maestra), tutti insieme nella stessa immagine, con a riva tre tecnici al lavoro in testa d’albero. Sembravano tre scimmiette e sotto altri a far assistenza. Una vera catena di montaggio. Installano decine e decine di metri di cavo d’acciaio, di arridatoi e di raccordi i più diversi…speriamo non cinesi.

Come avrete ben inteso da queste prime note, la mia, la nostra, impressione sui Caraibi d’oggi è assai lontana, e in negativo, dei Caraibi che ricordavo, quelli del quasi mito. Spero però d’esser presto smentito veleggiando verso Nord, verso le isole di sotto vento, meno appetite dal turismo di massa, anche perché in parte compromesse dal passaggio recente di ben due distruttivi uragani. On verra !

Come detto, siamo qui giunti per sostituire tutto il sartiame. Dopo quasi 50 mila miglia non c’erano dubbi e dopo la rottura di una sartia bassa venendo da Trinidad, ancora meno. Il lavoro del cantiere è organizzato in squadre di 2 o 3 elementi per barca. Con un saliscendi ben studiato rimuovono a coppie le vecchie sartie, allestiscono le nuove su identica misura, e risalgono per fissarle provvisoriamente. E così via per tutte la coppie. Rimuovere lo strallo a prua è un affar più serio perché c’è pure l’estruso d’alluminio (che lo incorpora) da calare con molta attenzione per non danneggiarlo. Poi il paterazzo della maestra, altro problema. Regge tutto l’albero che quindi va messo prima in sicurezza con drizze rinviate e cazzate verso poppa. Il paterazzo diventa così lasco e si fa rimuovere più facilmente. Comunque è un bel peso. Il tutto sotto il sole caraibico dalle 8 di mattino al tramonto. Erano stati preventivati 3 giorni, ma diventeranno almeno 5. Alla prossima con una storiella che ricorda Venezia.


Martinica, Marin, 12 – 23 marzo 2018. Una piccola Venezia ?

2018-03-23

Martinica, Marin, 12 – 23 marzo 2018.

Fuori un sole cocente e una luce abbagliante, ma quando superi il modesto portale, di grigia pietra squadrata, ti accoglie un’inattesa e ombrosa frescura. Pace e silenzio ti isolano dal mondo. Un’ampia, unica, navata s’allarga e trova raggi di luce da finestroni affacciati e sovrastanti il vasto blu luccicante della baia di Marin. Dalle arcate lignee, a carena di nave, pendono importanti lampadari: tante gocce di cristallo. L’aliseo vi irrompe e le fa vibrare appena. Nell’aria un lieve tintinnio, note sottili, quasi un cinguettio.  La piccola chiesa di St Etienne (XVIII), appoggiata su  una lieve collinetta, è abbracciata dal suo borgo antico, ora in rovina. Non solo per le misere casette accalcate una accanto all’altra, ma anche per un’insolita aria di abbandono. La sua gente in gran parte se n’è andata. Qualche decennio fa sicuramente non era così. Delle vecchie case, basamento in pietra e pareti di legno dipinto color pastello, ora ne restano solo alcune, non abitate. Le altre, tutte, costruite negli anni ’50 e ’60 sulle antiche fondamenta, sono pure loro senza vita, anche se in parte abitate, oltreché davvero indecorose. Nonostante tutto è ancora possibile immaginare, e in parte rivivere, la storia della ville. Ritrovi i luoghi di allora se ti affacci sulla riva e scendi un’erta calle. Ecco una modesta patisserie che vende biscotti della nonna e le immancabili baguette. Il vecchio mercatino della frutta, azzurro, proprio di fronte alla riva ove sono tirate in secca, tra reti rinsecchite, piccole e lunghe lance variopinte, ma stinte, senza pescatori; anche se il mare brilla d’azzurro e l’aliseo teso soffia il cielo azzurro tra le chiome delle palme e degli alti arbusti.

 Gli abitanti se ne sono andati altrove lungo la trafficata via che ha tagliata fuori, pur a pochi metri, l’antico borgo. Ora quartieri, tutti nuovi, circondano la baia di cemento colorato, i centri commerciali servono a socializzare (con internet pessimo gli smartphone e i social hanno vita dura) e i turisti affollano i pontili del marina, pronti all’imbarco su catamarani, enormi camper. Mi domando se qualcuno su al borgo, …oltre al parroco, si sia reso conto che tutto è cambiato in modo irreversibile. Certo il benessere, il consumismo e i nuovi affari mal si conciliano con la conservazione e la tutela del tessuto sociale, ma così si perde la vita delle città, piccole o grandi che siano. Marin, una piccola Venezia?


Maria Galante, 26 marzo-1 aprile 2018.

2018-04-08

Brevi dalle Antille francesi.

Balenottera e Mai Mai.

 Partiamo da Saint Pierre di buon mattino, 70 miglia ai Santi, Les Saintes, a Sud di Guadalupe. Il villaggio di Saint Pierre,  a Nord di Martinica, è rimasto quasi come ce lo ricordavamo. L’ancoraggio è ancora condizionato dai molti relitti delle navi affondate l’8 maggio 1902 a seguito della devastante eruzione del vulcano che sovrasta la baia. Lo scenario è superbo, ma ancor oggi all’idea di cosa allora sia successo c’è di che rimaner impressionati. Si salvò, dicono le storie, solo un carcerato rimasto sepolto e protetto nella sua robusta cella. Il passaggio verso Dominica, isolone montagnoso e selvaggio tra le due isole francesi, è assai svelto. Vento fresco a mezza nave e via,  sino a 9 nodi. Sotto vento a Dominica, bonaccia e bave perse. Mentre cerco di evitare le zone di piatta, scorgo a pochissimi metri da prua uno spruzzo. Balene ! Mi allontano molto rapidamente, ma riusciamo a vedere una balenottera con il suo piccolo immergersi lentamente. Abbiamo poi letto che si trattava di un odontoceto di misura assai ridotta, un bel testone a spigolo e gobbetta. Proprio un piccolo Moby Dick, per intenderci. Molte le barche a vela che salgono e scendono, in gran numero, ne ricordavo assai di meno. Superata a motore la zona di ridosso, ripartiamo sparati e arriviamo a destinazione a metà pomeriggio. Entriamo a motore da Sud e ci infiliamo nello specchio di mare appena protetto di Les Saintes. Mentre ritiriamo le vele, incrociamo un barchino di pescatori, quasi fermo. Sembra stiano sistemando nelle cassette il pescato. Con il mio francese stentato chiedo se hanno del pesce per noi. Pare di sì ! E in pochi istanti guizzano a bordo due lucenti Mai Mai, chiamati pure Dorado per la bellissima e luminosa livrea. Davvero un bel piglio, anche perché pescare alla traina è quasi impossibile, poichè i sargassi, che in vaste aree coprono la superficie tra le onde, si impigliano nella lenza e nel rapala.

NO GRANDI NAVI.

Ancora un curioso rimando a Venezia. Nel primo mattino vedo dalla mia boa accanto al villaggio, a Les Saintes, la sagoma bianca di una cruising ship avvicinarsi al nostro ormeggio.  E a cento metri cala le due ancore. Si piazza esattamente al centro del canale d’entrata verso Ovest. Ovviamente per la mente mi passano non poche espressioni di forte disappunto…per usare un eufemismo. Ma ecco che dal fondo del baione ne spunta una seconda, più grande. Per fortuna si piazza abbastanza lontano da noi. Nel giro di una decina di minuti calano i lancioni ed inizia il su e giù, senza sosta, verso il moletto del villaggio. Per il moto ondoso e il traffico sembra d’esser al Tronchetto. Ogni considerazione sul turismo a basso costo e di massa, nei luoghi” sacri”,  è scontata. Ma mi resta un’ultima annotazione. Al centro del borgo svettava un bel campaniletto della chiesuzza di Santa Maria. C’è ancora, ma non si vede più dalla baia. Ci hanno piazzato proprio davanti un’orribile quattro piani in cemento, lasciato non finito non so perché, forse per un ripensamento, ma dubito molto. Comunque il profilo gentile del villaggio è ora deturpato per sempre….a Venezia volevano innalzare il grattacielo dello stilista, di origini trevigiane, Pier Cardin !

Evviva la Pasqua !

Dapprima non ci avevamo fatto caso. Pensavamo che le numerose imbarcazioni alla fonda, ovunque, fossero per lo più in transito. Ma ora notando il numeroso andirivieni di barchini, motoscafi, catamarani e vele d’ogni foggia con a bordo solo francesi e con le idee ben chiare su dove andar subito a piazzarsi, realizziamo che è il fine settimana di Pasqua ! Sono i diportisti di Guadalupe e di Martinica che si sono presi le loro belle vacanze e vanno a prendersi i migliori ancoraggi per gozzovigliare in tutta tranquillità…come a Poveglia.

La nostra generosa incompetenza.

Nel bordeggiare, dopo vent’ anni e più, lungo le coste di queste isole francesi ho notato con stupore, misto a curiosità, che le strutture abitative, i villaggi, ma anche le ville sono cresciuti a dismisura. Strano. Anche perché non è evidente come il benessere possa così esser cresciuto a fronte di un’economia insulare tutto sommato limitata, anche se il turismo appare assai florido e il rum assai pregiato. A Reunion, altro possedimento francese d’oltre mare con uno sviluppo  del tutto, in apparenza, simile, mi ero però fatto un’idea, confesso, un po’ maliziosa. Il nuovissimo marina, dove avevamo lasciato la barca, era stato finanziato con i soldi della Comunità Europea, cioè anche con i nostri soldini. Nuovo bacino, pontili, il verde, i servizi e le strade di accesso tutto firmato, con un bel cartello, Comunità Europea. Qui a Maria Galante, piccola isola di fronte a Guadalupe, ho ritrovato una situazione analoga. Dodici chalet per i pescatori (in parte in disuso) e una moderna struttura pubblica per servizi igienici pro diportisti di passaggio (in completo abbandono) firmati EU. Per carità non un gran che, ma sono bastati pochi minuti di una camminata al tramonto per notarli. Ma quante altre strutture ed attività sono da noi finanziate in queste isole francesi ? Il bello è che il neo governatore della Sicilia, Musumeci, ha recentemente dichiarato che per l’isola non ci sono progetti da far finanziare dalla Comunità. Ma lui che ci sta a fare ?


Martinica, 7 aprile 2018.

2018-04-09

Quello che non ti aspetti.

Primo episodio

Partiamo da Maria Galante con un bel Est. L’idea è quella di rientrare a Martinica passando esterni a Dominica per evitare la bonaccia sotto vento. Il bordo appare assai buono, un po’ stretto ma da metà Dominica dovrebbe allargare entrando nel canale verso la parte Nord di Martinica. E infatti filiamo bene per le prime 30 miglia, entriamo nel canale ma stranamente il vento cala e le vele sbattono nella maretta. I tempi sono stretti: dobbiamo arrivare a Saint Pierre prima che faccia buio. Nella zona dell’ancoraggio ricordiamo di aver visto alcune boette con nasse, da evitare con cura. Decido di avviare il motore: bruuumm….ma il rumore non mi convince. Scendo nel vano motore, con le dita sento che la piastra della girante è molto calda. Ferma tutto !!!. Controllo il filtro, con quei sargassi vedi mai, ma è pulito. Non mi resta che aprire e controllare la girante. In navigazione non è un giochino, ma l’ho fatto anche in condizioni peggiori. Marina intanto assiste me e cerca di far camminare Eutikia che, quasi senza vento, sta derivando verso le rupi di Dominica, spinta dalla vivace corrente in entrata del canale. Siamo a circa un miglio dalla costa.  Senza motore e correntone siamo tutt’altro che tranquilli.. Apro il box della girante e sembra in ordine. Le palette sono tutte lì. Apro appena la saracinesca a mare e l’acqua entra. Nessun problema di circuito d’entrata, dunque. Non resta che sostituire la girante e sperare che si sia allentata la connessione tra la gomma delle palette e la camicia di metallo interna che l’assicura all’asse. A volte succede: l’asse gira, si porta dietro la camicia interna, ma non le palette. E il tutto si arroventa in pochi secondi. Il lavorotto fila liscio, grazie anche alla girante di nuovo tipo che si sfila via facilmente in virtù di una filettatura alla quale si avvita un comodo e piccolo estrattore. Rimetto la nuova. Chiudo e incrociamo le dita. Marina fa partire il motore e…voilà la piastra si raffredda subito. Funziona !.... e via di corsa dalla scogliera. Naturalmente arriviamo con il buio,  evitiamo le boette per pura fortuna e brindiamo all’insolita giornata.

Secondo episodio

Rimesso a nuovo tutto il sartiame, ci sono un paio di dettagli che andrebbero registrati al meglio.: eventuale lieve curvatura dell’albero di mezzana e riposizionamento alla giusta altezza dei supporti di sostegno per i tangoni , rispetto alle tacche d’inserimento sull’albero di maestra. Poiché qui non tutti (Amel officina e rigger) erano dello stesso avviso, decido di sentire, come sempre, il mio amico Paolo Salomoni, titolare di Sailaway, dealer di Amel per l’Italia. Lo chiamo e mi risponde subito. Lo metto al corrente dei quesiti, gentilmente mi ascolta e alla fine mi dice “ Gianni sei fortunato, ho di fronte a me proprio Olivier Beaute! “ Vera sorpresa, sono insieme a Lignano !  E’sicuramente l’uomo che degli Amel sa proprio tutto. Ci ha lavorato una vita e ora fa il perito e il consulente. Gli espongo i quesiti e ci intendiamo al volo, nonostante l’audio ballerino. Mi ragguaglia su tutto, mi augura buon vento e di goderci il nostro Amel !...in fondo, nei quesiti, c’ero andato abbastanza vicino.


Martinica, Marin 25 aprile -2 maggio 2018

2018-05-01

Qualche considerazione sulla nostra più recente esperienza di navigazione tra  le isole di Sottovento, da Martinica a Guadalupe.

Più in generale devo dire che questi Caraibi hanno perso molto del loro fascino. E’ davvero troppo semplice ritornare sul solito ritornello “ una volta non era così. ecc ecc…” Ma purtroppo le cose stanno così. Come ti muovi, o ancoraggio che fai, sembra d’esser al Super Market della nautica. Qualsiasi baia, o decente insenatura, ospita decine e decine, se non centinaia, di barche. Di cui un buon quarto professional. Ovunque è stato adottato il sistema dei campi boe, per guadagnare quattrini facendo ordine, peraltro assolutamente necessario. Se non hai la boa, quasi sempre tutte occupate, devi ancorare fuori area con più fondale, più maretta e più lontano dai pontiletti per arrivare a terra in gommone.

Quando scendi per fare due passi lungo le stradine di questi piccoli e apparentemente pittoreschi villaggi, scopri in realtà che di vezzoso e attraente è rimasto ben poco. Solo negozietti con vestitini e paccottiglia varia. Nulla che attiri per esser opera di artigianato locale di qualità. Motorini ovunque, macchine, anche se a Les Saintes è possibile noleggiare solo vetture elettriche, e tuttavia le stradine sono invase da quei pericolosi motorini che ti sfiorano.

Il cibo non è un problema, ovunque piccoli Market offrono quasi tutto: il solito formaggio francese, il rosè, carne mediocre, polli,  tutto il surgelato possibile e, per fortuna, verdure varie. La cosa più preziosa sono le baghetterie, con quel pane a filoncini, vero salva fame per i francesi…e per noi. La vera nota negativa, davvero incredibile per essere queste isole in mezzo all’oceano, è che non c’è pesce fresco da acquistare, né da pescare. Solo a Les Saintes siamo riusciti a fare il pieno di Mai Mai (dorado) dopo alzatacce e diversi tentativi falliti presso la piccola pescheria locale che apre solo all’arrivo di qualche barchino di pescatori. Con la traina dalla barca è impossibile tentare perché i sargassi, ovunque e in quantità impressionante,  si attaccano subito al rapala o all’amo.

Ultima chicca: internet, davvero pessimo. Funziona praticamente solo via wi-fi con hot spot a caro prezzo. In Indonesia, per dire, il servizio era decisamente migliore. E non è il caso di scendere nei dettagli. Infine la SIM TIM funziona e non funziona, non  prende la rete. Se la prendesse sarebbe come se fossimo in Italia e quindi con costi noti e contenuti. Il fatto che non sempre prenda la rete Orange locale fa sorgere dei sospetti…noi siamo stati costretti a comprare una SIM Orange locale. Capito?

Navigazione e boette.

Il passaggio tra queste isole, sia pur di 20, 30 miglia al massimo, è pur sempre in mare aperto e l’oceano si fa sentire, soprattutto per il moto ondoso. Salire verso Nord non è un problema con l’aliseo da Est Sud Est, ma scendere non è sempre così piacevole: bolina tra i 20 e i 30 nodi e corrente che fa derivare verso Ovest, sottovento. In questa strana stagione, poi, la nuvolosità, con relativi piovaschi e rinforzi di vento, è stata, direi, quotidiana. Una lavatina al giorno non guasta, anche per rimuovere la salsedine accumulata in bolina, ma il troppo è troppo.

Se tra isola e isola bisogna fare i conti con il mare aperto, sotto vento alle isole sono le boette a creare non poche apprensioni. Il vento, trattenuto dagli alti picchi, scema rapidamente o gira a ponente, attratto dal calore ascendente sopra queste isole montagnose e massicce. Non resta, quindi, che accendere il motore per raggiungere gli ancoraggi sotto costa. E qui arriva il bello, anzi il brutto ! Più ti avvicini e, ovviamente, il fondale sale, anche rapidamente: dai centinaia di metri si arriva ben presto  sotto i cinquanta. Da questa batimetrica in poi è zona da boette, ovvero  segnali da pesca per le nasse. Si tratta, nella migliore delle ipotesi, di palline bianche, oppure di bottigliette trasparenti o blu, difficilmente individuabili. Le palline sono legate alle nasse con cavetto anche da 10, 12 mm. Prenderlo nell’elica diventa un affar serio. Un nostro amico ha passato un’ora sotto la barca cercando di tagliare tutto, mentre la barca, senza vento, derivava verso gli scogli. In Malesia o in Indonesia ci mettevano almeno le bandierine e c’era sempre una barchetta a controllare la situazione. Qui ognuno fa quello che vuole, anche nei pressi della direttrice d’entrata agli ancoraggi difronte ai paesetti.

Un po’ di storia.

Per controllare le rotte verso le Americhe e per sfruttare le risorse naturali di queste isole (canna da zucchero,rum, tabacco, cacao e spezie) inglesi, francesi e spagnoli se le sono date di santa ragione per secoli. Hanno innalzato forti imprendibili per presidiare porti e canali tra le isole e non pochi sono stati gli scontri navali. In visita al Forte di Napoleone ,ora museo, a Les Saintes era ben illustrata la battaglia navale che proprio qui s’era combattuta il12 aprile1782 tra inglesi e francesi. Il Conte Le Grasse perse la nave ammiraglia, La ville de Paris, oltre che la faccia, a tutto onore dell’ammiraglio Rodney che era a bordo del Formidable, con ben 90 cannoni.  Nella vicina St. Lucia, a buona memoria, gli dedicarono il nome di una baia e, oggi, quello di un bellissimo marina.


L' Atlantico di Eutikia

2018-05-22

Martinica, Marin 5 maggio 2018.

Oggi è stato il primo giorno della nostra attraversata del Nord Atlantico verso il Mediterraneo, dopo 11 anni dalla partenza dalle Canarie e il giro del mondo con Eutikia.

Finalmente lasciamo il Marina dopo l’ennesimo lavoro nel vano motore, dopo la cambusa e il rifornimento di gasolio. Nel pomeriggio ancoriamo a Sant’Anna e siamo ospiti di Anna e Stephane per uno champagne di ricordi e di saluti. Speriamo di rivederli in Europa : ci hanno invitato in montagna da loro. Vedi mai che…

Il 6 maggio salpiamo di buon mattino (dopo aver stretto l’ennesima fascetta sul motore) e ci godiamo una bella veleggiata sino a Saint Pierre. Bella serata e cenetta al marlin.

Il 7 maggio partiamo come schegge e attraversiamo il canale di Dominica con media oltre gli 8 nodi e maretta di 2 metri al traverso. Buona vela sino a poche miglia di Prinz Rupert Bay. Siamo ricoperti di sale e l’entrata in baia è ventosetta. Speravo meglio e sfuma l’idea di un bagnetto, troppe raffiche. Faccio però in tempo ad accendere la radio e a sentire gli amici in frequenza: Danilo dall’Italia e Giorgio del Saudade III in navigazione di fronte al Rio delle Amazzoni.

Antigua, 8 maggio 2018.

Bella bolina larga, mare tra il metro e mezzo e i due metri al moscone di dritta, vento fresco ma non oltre i 25 nodi. Angolo sui 65°, 70° e un bel passo sui 7, 8 nodi e più. Un buon test, insomma, per la partenza verso le Azzorre. Entriamo in Jolly Harbour Marina, Antigua, nel primo pomeriggio. Sarà la nostra ultima tappa per mettere in ordine la barca e per riposarci un po’. Le ultime notti, assi ventose, non sono state piacevoli, anzi abbiamo dovuto persino rifare un ancoraggio perché il fondo algoso aveva, per la prima volta, tradito la nostra ancora…e noi. Una raffica fortissima aveva colpito Eutikia al centro più fondo della baia (sui lati più bassi non avevamo trovato posto) che se ne era andata di qualche metro. E così al buio e sotto raffiche abbiamo dovuto ripetere l’ancoraggio, ma questa volta con 70 metri di catena no problem.

La lista dei lavori non finisce mai: nuovo tubo con nuove fascette a monte dell’oil cooler. A Martinica il lavoro non era stato completato a dovere. Cambio filtri Raccor, pieno di nafta con 200 litri supplementari. Controllo dotazioni di sicurezza ecc. Mi manca la salita sugli alberi per un’ultima occhiata e la sostituzione dello zinco dell’elica, ma qui Ennio, grande sub, mi darà un assai prezioso aiuto.

14 Maggio.

Partiti ! La giornata è solatia. Usciamo tra le molte barche alla boa o all’ancora. Lo sguardo sale sulla collina di sinistra. Dalla sua sommità ieri ci siamo goduti un tramonto memorabile. Lo specchio d’acqua sottovento ad Antigua è calmo e azzurro. Peccato lasciarlo. Il passaggio verso Barbuda è quasi piatto, poi alcune onde s’allungano dall’oceano. Al tramonto usciamo dall’ombra dell’isola, peraltro assai bassa, evitiamo l’esteso reef ed entriamo nell’oceano. E si vede! Le onde ora arrivano libere ed il vento pure.. Bolina larga verso Nord e maraccio. Balliamo e pestiamo. No buono. La prima notte in mare è sempre un problema, questa di più. Trovo un assetto decente alle vele e con un po’ di poggia, va meglio, non molto. La notte passa buia e ventosa, con rinforzi sotto le nuvole, anche oltre i 25 nodi. Qualche raffica di troppo.

15 maggio

Va meglio. Il vento è meno vivace e l’onda sembra più verso poppa, ma è solo un’idea o una speranza. La giornata fila via abbastanza liscia. Cerchiamo di dormire a turno, Restiamo sui 20 nodi. Magari durasse, ma il meteo via IridiumGo mi conferma ancora Est teso per i prossimi giorni e mare sui 2 metri, troppi al traverso, anche perché poi sono di più. La notte con le stelle fila via e riusciamo a dormire qualcosa.

16 maggio

Giornata ventosetta, forse quella con più intensità. Il mare non è da meno: un bel 5, con onde da 2 metri e passa al traverso e onda viva al moscone.. Per fortuna al tramonto cala e ci lascia riposare. Con queste onde e questo vento, riusciamo appena a fare un angolo di 60, 70 gradi e dobbiamo poggiare nei rinforzi. Non credo proprio che riusciremo a raggiungere il wpt a 30n 60w al bordo dell’alta. Cadremo sicuramente di qualche decina di miglia più a ovest.

17 maggio

Stiamo navigando verso Creta ! No, non sono diventato matto. E’ proprio quello che stiamo facendo con questa bolina di circa 750 miglia da Antigua al WPT. E’ come se da Venezia avessimo puntato, a bordo unico, alla costa Ovest di Creta. Tutta in bolina. Da pazzi. Ora ce ne mancano solo 300 circa. Pare con meno vento e mare. Domani si vedrà.

18-19 maggio

Ora il vento è calato, ma è sempre bolina. Mare decente, con onda in calo. Finalmente un bel navigare. Marina in cucina fa del suo meglio, anzi di più. Il menu è assai vario: pesce bollito con contorno di riso, una sera, e poi pasta al ragù un’altra, con verdure varie e torta al cioccolato. Nel pomeriggio del 19, oltre a varie navi (sei sino ad ora), abbiamo identificato un’altra barca a vela. Lo Yuana, un AR 39, di Markus uno svizzero con moglie e  due figli giovanissimi, e pure un amico. Ora siamo giornalmente in contatto radio VHF, finchè le distanze non aumenteranno, prima o poi. Le notti ci hanno regalato il primo spicchio di luna, che già rischia un cielo assai terso.

20 maggio

La notizia del giorno è che alle 6.20 di questa mattina abbiamo finito la bolina, 900 miglia complessive ! Non l’avrei mai creduto possibile, e men che meno accettabile. Ma l’Atlantico è anche questo ! Abbiamo acceso il motore e fatto riposare il generatore che ci ha sostenuti 3 volte al giorno per caricare le batterie. Un cento e dieci con lode se lo merita tutto. Messo in moto in bonaccia, ci siamo preparati a serrare  il genoa con il rulla fiocco. Aziono l’apposita leva e non succede nulla! Tutto bloccato !!, Riprovo, niente ! Mi è, ci è venuto un colpo. Provo il rulla randa, niente! Sembra un problema elettrico. Siamo scioccati…in mezzo all’Atlantico senza la possibilità di ridurre le vele elettricamente, solo a mano con complicate manovre di emergenza. Che fare ? Mi manca il coraggio di pensare ! Non ci posso credere. A Marin avevo persino fatto revisionare il rulla genoa e controllare il rulla randa. E sino a ieri tutto era ok. Nel buio mentale più totale è scoccata una fioca lucetta, …una lucciola? Scendo in cabina, guardo il quadro comandi generale e…l’interruttore della strumentazione di coperta era disattivato !!! Qualche manina stanca, all’alba, invece che spegnere la luce bussola, aveva inavvertitamente disattivato tutta la strumentazione elettrica di coperta. Mamma mia, che felicità! 

21 maggio

Ora, analizzate tutte le varie ipotesi in funzione di diversi modelli previsionali meteo, c’è il problema di dove fissare il nuovo wpt verso Est. A Nord , oltre il 36° di latitudine, è in arrivo un bel fronte con venti forti e mare. Noi siamo quasi a 34°con niente vento. Dovremo stare bassi non oltre i 35°Nord, anche per evitare possibili venti contrari prima dell’arrivo del fronte. Arriva in aiuto una bella cartina da Maurizio che toglie ogni dubbio: meglio puntare al WPT 34N 50W. E con la cartina arriva pure un leggero venticello da Sud Ovest che ci spinge in quella direzione. La stessa rotta sarà seguita pure da Markus. Ora ci attendono più di 400 per arrivare al wpt intorno alle ore 12z del 24 maggio. Vedremo.


~~L’Atlantico di EUTIKIA. Da Antigua a Faial, Azzorre. - 2

2018-06-05

22 maggio Tanto per cambiare non è stato possibile far rotta diretta al wpt. Poco vento e per giunta in poppa piena e onde incrociate. Un bel ballo del quà quà. Tutto il giorno abbiamo cercato di stabilizzare la barca con l’uso del tangone da una parte e poi dall’altra, ma poco avanzamento. Ogni tanto ci fanno visita piccoli, bianchi e veloci gabbiani. Si lanciano sulle onde di prua per carpire sprovveduti pescetti in fuga e poi ripassano a poppa per poi ripartire in picchiata verso prua. Il tutto a 600 miglia dalla costa più vicina. Come fanno ? E’ davvero prodigioso.Dopo cena e il primo turno, quello di Marina (dalle 21 alle 24) sento dalla cuccetta che qualcosa sta cambiando nell’aria. Esco e vedo, appena illuminato dalla luna, un bel cordolo nero al nostro fianco a sinistra, a un paio di miglia. Poiché è in arrivo la coda Sud di un fronte, meglio non rischiare. Via il genoa tangonato, via il tangone e riduciamo la randa. Cambio le mura e con la direzione siamo per la prima volta sulle Azzorre ! Accendo il motore e a 1.500 giri manteniamo una media ragionevole sui 5.5 nodi e stabilizzo la barca, mentre il cordolo si sfanta innocuo. Meglio così. Con la luna bassa torno a cuccia e va Ennio di guardia dalle 24 alle 03.

23 maggioForse la più bella giornata da quando siamo partiti. Sole, nuvolette e un bel venticello che finalmente gonfia le vele con tangone a destra. Il mare, benigno, ci consente di non rollare e Eutikia, con la pressione giusta, scivola sulle crestine con punte sino a 9 nodi. Miglia su miglia, e tutte dirette sulle Azzorre per 79/80°. Intanto continuano i contatti radio, via VHF, con lo Yoana di Markus. Sono a circa 10 miglia e hanno davvero un ottimo passo per esser così piccoli. Ci scambiamo notizie meteo, progetti, e quando gli ho detto della mia età, si è messo a ridere “ ..quella di mio padre, Gianiii..he..he..”

24 maggioLa luna ora illumina le nostre notti, anche se densi nuvoloni bassi ci tengono in preallarme. Ti aspetti il colpo di vento, e invece per fortuna passano con qualche leggero rinforzo, qualche goccia e nulla più. Di notte chi è di turno deve verificare, ogni mezz’ora, al radar e all’AIS se vi sono target sino a 36 miglia e poi zoommare sino alle immediate vicinanze della barca. Sino ad ora abbiamo incrociato una decina di cargo, tutti con rotte parallele alla nostra, tra Europa e US. I consumi elettrici di bordo non sono eccessivi (due frigoriferi, pilota automatico, VHF, AIS e plotter con Radar, attivato come detto, più altre apparecchiature per la navigazione GPS; stazione vento, ecc) ma è necessario mantenere sempre le batterie ad un buon livello di carica. E così il generatore, ormai famigliarmente chiamato GenGen, ha pure lui i suoi turni: un’ora e mezza di moto, tre volte al giorno.

25 maggioUna bella giornata di vela al gran lasco e molte miglia di poppa, spinti da un buon Ovest Sud Ovest. Le previsioni però non sono ottimistiche e già al primo calar del sole restiamo quasi senza vento. La goduria è durata ben poco. Questo Atlantico è davvero complicato da gestire per via dei fronti da Ovest, dei salti di vento, e del mare sempre pronunciato anche se con poco vento. Al tramonto, di nuovo, grossi cordoli neri circondano Eutikia. Meglio non rischiare. Via genoa e mezzana. E infatti il vento cambia di botto direzione anche se solo con una piccola sbuffata. Ma ormai il sole si è nascosto tra le nuvole, oltre l’orizzonte, e una strana luce rosata e violacea ci avvolge sotto vaporosi nuvoloni, mentre cerchiamo di fissarne il ricordo con qualche ripresa. Non c’è più vento, accendo il motore e scendiamo a cenare. Domani è un altro giorno.

26 maggioSembra un giorno come un altro. Continua il vento da Sud Sud Ovest, quello giusto per intensità e filiamo via dritto per dritto sulle Azzorre, Restiamo però assai sorpresi per il traffico delle navi. Passano giorno e notte, almeno 4, 5 sulle 24 ore. Tutte in contro rotta, la più vicina ci passa a meno di 2 miglia. Ma è sotto controllo. Prima la vediamo sul radar e poi la identifichiamo sull’AIS, Con l’arrivo della notte però le cose si complicano. Il vento scema e a motore procediamo su nubi basse che vanno, via via, intensificandosi sino a diventare grossi e bassi cordoli minacciosi. Lo scenario è un po’ inquietante: la luna, quasi piena, ne illumina i contorni, lineari  lungo l’orizzonte piovoso e montati a neve nera sopra di noi. Lampi improvvisi serpeggiano in cielo, quasi silenti. Il vento gira, salta, rompe il normale flusso e ci costringe a raccogliere le vele. E’ il momento di maggiore attenzione sul radar. Vaste chiazze opache ne ricoprono lo schermo impedendoci una chiara ricerca di eventuali ostacoli. E infatti ecco che scorgiamo un cargo sbucare proprio di fianco ad una di queste. Ci passa non lontano, 2 miglia, ma senza problemi. Intanto cerco di capire la situazione meteo per i prossimi giorni e con Maurizio abbiamo il conforto di chi ben vede dall’alto.

27 maggioContinua il Sud Ovest, ma le previsioni sono per una rotazione verso Ovest e poi Nord Est con venti in calo. E’in arrivo una nuova forte depressione da Ovest, per ora molto lontana e non dovrebbe raggiungerci, ma…. La situazione è critica perché eventuali bordi per assecondare le direzione del vento ci allontanerebbero dalla rotta diretta ideale, peraltro senza certezze su eventuali vantaggi in termini di tempi e di confort a bordo. Deciderò nelle prossime ore in relazione ai dati meteo forniti aggiornati 4 volte al giorno via satellite ( IridiumGo e PredictWind). A questi aggiungo le mappe meteo fornite dagli Uffici Meteo americani (Boston),Da Ancona poi  Maurizio  certifica il tutto dalla torre del suo castello incantato con puntuali e precisi resoconti sulla situazione generale e con suggerimenti sulla rotta da seguire. La cosa più bella a bordo è l’equipaggio. I turni filano lisci e ci siamo molto affinati nella caccia ai target. Marina sforna non solo il pane e torta di mele, ma prepara sempre per cena  ottime paste e risotti , mentre Ennio si da da fare nei servizi di supporto. Impareggiabile, davvero un grande  nuovo amico  in queste giornate d’oceano.

28-29 maggioDecido di proseguire dritto per dritto. Di notte do motore per qualche ora se il vento latita, anche per consentire un riposo stabile a chi è fuori turno. In effetti poi il vento gira a Nord Est e di nuovo bolina, ma con mura a sinistra e riesco comunque a far rotta su Horta. Nel frattempo Markus, via email, mi conferma la sua intenzione di proseguire per Flores. Un suo amico tedesco, esperto meteo, gli aveva segnalato in arrivo vento da est, la nostra rotta. E così risalendo verso Flores il Nord Est è tutto suo, giusto in prua, ma…?! Doveva però sbarcare l’amico , terzo di bordo, con in tasca un biglietto aereo in partenza da Flores il 2 giugno. Mi è difficile credere che qualcuno possa acquistare un volo per una data prima di una traversata oceanica, eppure…!  Unica nota positiva è che incominciamo a sentire odore di terra, si fa per dire, mancano solo 380 miglia. Qualche berta, gli uccelli delle Azzorre, ci da il benvenuto ed i delfini vengono a curiosare saltando e guizzando al nostro fianco.

30 maggioBella rogna ! All’alba, spento il motore che ci aveva spinti a Est, un fresco Est Sud Est ci impedisce di proseguire. Devo risalire per Nord Est in bolina strettissima e scadiamo qualcosa a Ovest di Flores. Parlo con Marina e non ci resta che pensare di ricorrere al piano B : Flores. Non oso pensare a Markus, più sottovento di noi. Avrà sicuramente da battagliare. Non si era portato a Est e ora avrà il suo bel da fare per risalire.Le prime ore della giornata sono piene di dubbi. Continuo a studiare i diversi modelli che aggiorno appena posso seguendo con attenzione i tempi di rilascio. La situazione è molto incerta per l’impatto di un nuovo profondo fronte sul bordo di ponente dell’Alta ancora sulle Azzorre, ma tutti danno almeno una rotazione verso Sud Est, poi a Sud Sud Est, poi persino a Sud. Troppa grazia. Poi in arrivo, ma tra 72 ore e più, il Sud Ovest del nuovo fronte. Ma quando girerà e con quale intensità ? Nel frattempo non perdo d’occhio un minuto la direzione del vento. La freccetta dell’angolo di bolina oscilla sempre tra i 45° e i 50°, un angolo davvero impegnativo per Eutikia, un ketch. Ma procediamo comunque ad una velocità decente sui 5, 6 nodi e onda viva. Verso le 10.00 riesco a recuperare qualche grado. Mi sembra d’esser tornato in regata: il vento soffia dalla boa e ogni grado è guadagno.  Alle 12.00 la prua è a metà via tra Flores e Horta. Gira per davvero! Ma non basta. Mi servono altri 10, 15 gradi, Arriveranno? Al tramonto qualche grado ancora. Speravo meglio. Ora Marina, al primo turno di notte, dovrà mettercela tutta. Il vento rinforza e siamo sempre fuori rotta di almeno 15°. Rischiamo di non centrare la boa, Horta.

31 maggioIl giorno della verità. O meglio la notte del tanto atteso giro di vento. Marina mi dice a fine turno che non è cambiato nulla, anzi più vento teso. Poi, mentre sono in cuccetta sento, verso le 02.30 la barca quasi ferma, non sbandata come dovrebbe. Esco, Ennio mi accoglie con un sorriso “ Sta girando ! “ In effetti da qualche minuto siamo quasi in stallo: vele ridotte e cazzate a ferro e vento al traverso. Orzo piano, piano e cerco di capire cosa succede. E solo un buco di vento o gira davvero ? Recupero molti gradi e sono su Horta, finalmente ! La felicità dura pochino. Ben presto mi accorgo che la deriva ci spinge a Nord di Faial. Non basta. Il cambio c’è stato, ma il vento molto instabile, è ancora un Sud Est, con qualche cedimento. La cosa più rognosa è che, pur recuperando sulla rotta, sbattiamo contro le onde che aveva generato il vecchio vento da Est Sud Est. Veri muretti d’acqua. Eutikia vi si impianta, rallenta di botto, sbatte e riparte con fatica. Tra muro e muro solo pochi secondi: onda corta e alta. Ennio mi dice che ha visto sparire la prua di Eutikia dentro un’ onda arrivata a coprirla sino all’albero di maestra.! Verso le 10.00 ancora un buono e questa volta siamo su Horta. Ma la navigazione è davvero difficile. Sono con una bolina che mai avrei pensato che Eutikia fosse in grado di mantenere. Le nuove sartie e la loro nuova tensione hanno sicuramente giovato. Con le ore recupero millimetri sul plotter e riesco a portarmi un niente sopravento a Horta. Quello che basta. Il vento resta lì e ci consente un buon arrivo verso le scogliere dell’isola, un miglio sottovento. Altre due vele convergono verso il canale tra Fajal e Pico. Ormai è fatta. Arrivati. Alle 17.00 diamo fondo nella piccola rada del porto di fronte al marina.Alcuni dati di sintesi:in totale, in ore, di 18 giorni e 3 ore di navigazione. 17 giorni pieni..Miglia percorse da Antigua circa 2777 (quasi la metà in bolina), a una media di 6.5 nodi..94 ore di motore e 54 ore di generatore per un totale di 300 litri di nafta.


~~31 Maggio-14 giugno 2018. Le nostre Azzorre.

2018-06-22

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Mentre il sole fatica a perforare con gli ultimi raggi nuvole basse e filacciose, il profilo di Sao Miguel svapora lontano,grigio e leggero, di poppa a Eutikia che corre verso Est, verso l’Europa. Lasciamo questo arcipelago di isole deliziose con sicuro rammarico. Ci avevano davvero sorpreso per la loro inaspettata bellezza. Il nostro soggiorno è stato  troppo breve e svelto, ma bastevole per regalarci momenti indimenticabili. Non starò ora qui a dare un rendiconto di quelle giornate, ma alcune pennellate vorrei darle, tanto per ricavarne  una immediata impressione nel ricordo, altrimenti fuggitivo.
Horta, a Faial, è un’accogliente cittadina che si raccoglie attorno al suo porticciolo che ospita una vera flotta di barche a vela. Qualche chiesa, nera e bianca, svetta tra i tetti del centro storico. Non hanno ancora fatto in tempo a distruggerne l’antico profilo con stucchevole cemento. I locali per la sera, a tavola, hanno ancora un’atmosfera calda, d’altri tempi, anche se lo storico Peter sta forse concedendo troppo all’omologazione del gusto. Pure lui che ha celebrato i 100 anni dall’apertura, anni allora di balene e balenieri, ora di velisti rumorosi in cerca di divertimento, di qualche birra di troppo e di musica improbabile.
Se lasci Horta di buon mattino ti ritrovi avvolto dalla sua rigogliosa, verdeggiante natura. E impari, poco per volta, a capire il linguaggio di queste isole. Nel seguire il tracciato tra morbide colline, ortensie appena in fiore, fianchi boschivi, pascoli di verde freschissimo, intravedi squarci d’orizzonti infiniti, d’oceano. Ecco, ciò che più attrae è questa diversa dimensione, sempre giocata tra l’immediato a raggio corto e la più irraggiungibile linea dell’infinito blu, tra mare e cielo. Arriviamo, così, sulla cresta del vulcano, la Caldeira.(1,043mt) Davvero un bel colpo d’occhio che abbraccia, con la sua circolarità, verdi declivi, mari lontani e cielo, sparso di nubi gonfie di vento. Se poi ti sposti verso i capi alti, di nera roccia, di Sud Ovest, quelli che ti danno il benvenuto quando arrivi da quei giorni, indimenticabili, d’attesa, di mare e vento, ti ritrovi in una natura appena generata. Proprio così: una terribile eruzione sconvolse tutto quel braccio di costa nel recente 1957. Un vulcano emerse a pochissima distanza e  le  terribili eruzioni durarono un anno e alla fine fu un’altra costa.  Ora un museo sotterraneo ne racconta la storia e la salita sul vecchio faro (142 gradini) spazia tra gli impasti di nera cenere dei dirupi scavati da mare e vento, coste rocciose e verdeggianti colline, mentre grida di gabbiani si perdono nell’aria tra scivolate d’ala.


Il tempo corre in fretta e decidiamo di fare un salto a Pico, l’isola accanto a meno di un’ora di ferry. E come non farlo. Dalla barca vediamo sempre il profilo alto, tra le nubi, del suo vulcano, semplice triangolo incorniciato dal cielo di queste isole. Raggiungiamo in macchina il piccolo rifugio ai suoi piedi e tentiamo una breve escursione in salita lungo le prime pendici. Di salirne la cima, 2.351 metri, neppure a pensarci, anche se Ennio morde il freno. Noi due dopo un’oretta ci fermiamo e trovo il poggio giusto per un breve acquerello. Ennio invece allunga e sale svelto lungo la cresta. Lo vedo sparire balzando di pietra in pietra. Il panorama è superbo, strepitoso. Siamo sopra un letto di nubi, Il cielo azzurro mi ricorda, per luce e intensità, quello del Tibet. Sotto appena intravedi il violaceo, ombroso, distendersi dell’oceano. Sembra d’esser seduti tra le ultime, alte fila, di un teatro greco. Le quinte sono le pendici verdeggianti del vulcano che spariscono tra i bordi vaporosi delle nubi che ariose cangiano forma, ma restano immote. Dopo un po’ ritorna Ennio, fresco come una rosa, beato lui, Dopo esser salito rapido per un bel tratto, ha deciso di rientrare non avendo peraltro preavvertito i rangers del parco della sua eventuale completa salita, come d’obbligo. Avevamo infatti scelto il percorso corto e ci avevano pure dato, per sicurezza, un GPS per monitorare la nostra posizione .Al rientro al rifugio ha poi scoperto d’esser arrivato a soli cento metri dalla vetta! Il giro continua verso la costa Nord alla ricerca dell’imperdibile, mitico, Verdelho, il vino delle Azzorre per eccellenza. Prima ne attraversiamo i vigneti che ricordano quelli di Lanzarote: neri muretti di lava proteggono morbide e basse pianticelle, appena mosse dalla brezza, baciate dal sole che le carica di calore. Le coltivazioni ora sembrano non proprio curatissime, forse i locali preferiscono alla bassa terra il più facile raccolto dei turisti. Comunque sia, un’assai preziosa bottiglia di quell’oro verdhelo è ora nella cantina di bordo.


Il passaggio tra Faial e Sao Miguel è senza storia: una notte e tanto motore. Lasciamo la barca nel nuovo marina e dedichiamo una giornata per i luoghi, come si dice, da non perdere e qualcosa di più. Ennio, che ci è già stato, ci fa da guida. La zona dei vulcani a doppia caldera a Ovest è davvero una meraviglia della natura con i suoi due laghetti, uno verde e uno blu, al loro centro. Ancora una volta è il gioco degli spazi che colpisce. Lo sguardo d’orizzonte non è bastevole a raccoglierne la dinamica nella fuga degli orizzonti e la completa tavolozza dei colori. Eppure i dettagli lasciano  il segno nella memoria. Una dimora d’epoca, di biacca antica, spunta lontana tra bordi di prati fioriti, tra cime scure di bosco. Accanto un placido laghetto, specchio d’acqua, abitato da anatre chiacchierone. Il giro continua sulla costiera: ampi golfi con recessi porticcioli di pescatori, nascosti alla furia dell’Atlantico. Per finire quello che non ti aspetti. Un poggio, vasto, a morbido declivio verso il mare, completamente ricoperto da ordinate file di piantine di tè, incorniciate da un giardino, blu violaceo di turgide orchidee in fiore. Una piccola e storica azienda, Chà Formoso, ne governa la raccolta, il trattamento e la distribuzione. Un campione abbondante delle  quattro qualità prodotte profuma ora la nostra cambusa.
Ma è di nuovo tempo di lasciare gli ormeggi. L’ultima tratta verso Gibilterra, circa mille miglia prima di rimettere piede in Europa.


~~L’Atlantico di Eutikia. Dalle Azzorre all’Europa.

2018-06-23


14 giugno 2018.  Sao Miguel.
Partiamo dal marina di Ponta Delgada alle 14.30, forse un’ora come un’altra, ma non è così. Nei limiti di quel ragionamento un po’assurdo che vorrebbe prevedere il quasi imprevedibile come avviene con le previsioni meteo a medio, lungo termine, mi par di vedere una finestra decente verso Gibilterra, o almeno verso la costa sud portoghese o spagnola. Il percorso deve tener conto di tre componenti , in sequenza: l’attraversamento della famosa Alta delle Azzorre, quasi sicuramente a motore, l’impatto poi con l’aliseo portoghese da Nord Nord Est con sicuro ventaccio e onda, e, infine, l’entrata a Gibilterra, da non farsi con il famigerato levante, giusto in prua. Ma è alla fine, e nel frattempo cambieranno molte cose. Raccolte tutte le ultime notizie con il supporto assai prezioso di Maurizio, ci diamo segnale verde e partiamo. Sino al tramonto sfiliamo la costa Sud dell’isola, davvero assai interessante, costa alta e ripide colline verdeggianti. Avremo un bel ricordo di queste Azzorre. Per cena, tutti e tre a tavola, tranci di tonno con una nuova ricetta squisita, da ripetere! La notte passa tranquilla a motore, salvo che per Marina che. durante il suo primo turno, deve vedersela con due pescherecci. Ennio poi mi passa le consegne e io arrivo sino all’alba con qualche nuova piantina meteo via satellite. Per ora tutto confermato. 145 miglia, tutte a motore.
15 giugno
Giornata coperta all’inizio, poi bel sole, quasi mediterraneo. Solo una nave. Abbiamo rabboccato completamente il serbatoio con quasi 80 lt e, a conti fatti, abbiamo consumato 3,1 lt ora a 1.600 giri, velocità 5.7/6 nodi con corrente laterale da NNW, tutto sommato non un gran consumo. Nessun delfino, solo qualche isolato uccello. Tutto il  mare sta perdendo vita, anche gli oceani. Ennio ha preso un po’ di sole in coperta, Marina ha preparato i broccoli per la pasta della cena ed io mi sono dedicato, come sempre, a scaricare via IridiumGo i dati meteo.. Per ora si riscontrano lievi miglioramenti nell’intensità del vento, ma quello che più mi fa pensare e l’onda assai viva al traverso, anche 3 metri. Per questo stiamo salendo verso un WPT che dovrebbe consentirci, scendendo poi, di prendere il moto ondoso almeno leggermente a poppavia del traverso. Per ora i modelli sono abbastanza simili e i suggerimenti di Maurizio confortanti: il peggio dovrebbe durare una giornata. Vedremo, per ora dobbiamo ancora raggiungere il wpt a 39°20 Nord.  18°00 Ovest.
16 giugno
Bella giornata di sole dopo un’alba grigia e nuvolosa con qualche goccia. Ormai è così: di giorno tepore primaverile e raggi di sole, di notte si copre e addio stelle. Ma salutiamo il primo spicchio di luna. Il meteo continua a dare questo aliseo portoghese da Nord Est intorno ai 25 nodi e onda sui 2 metri e mezzo, il tutto appena in calo. Dovremmo prenderli al traverso, se rinforza dovremo poggiare di qualche grado, allontanandoci però dal Capo S.Vincente, nostra meta. Di Gibilterra neppure a parlarne: levante in arrivo. Speriamo di trovar ormeggio al marina di Portimao. Costa Sud del Portogallo Per ora le condizioni meteo corrispondono ai modelli previsionali e anche la notte passa come da attese. Meglio così. Qualche ora di sonno tranquillo fa assai bene, mentre la barca con qualche metro di tela in meno sta ben in assetto senza perdere troppo in velocità. Preferisco il confort a bordo a qualche ora in più nel precorso complessivo. Chi è in turno ha comunque il suo bel da fare: le navi in transito sono assai numerose e spuntano sul radar, quasi sempre da prua. Ne rileviamo anche tutte le caratteristiche attraverso l’AIS. Resta comunque il fatto che noi vediamo loro sul nostro AIS, spesso a grandi distanze, ma loro vedono noi solo nel raggio di 8, 10 miglia al massimo, come ho accertato chiamandole per verificare se mi vedevano. Noi siamo bassi e l’uscita del segnale non è un granché. Quindi occhio gente, non confidate troppo d’esser visti.
17 giugno.
Continuiamo verso  il WPT, cioè verso Est, anche se ormai è chiaro che dovremo puntare un po’ più a Sud. Il vento da Nord Est incomincia a farsi sentire e dobbiamo poggiare. Per ora l’intensità è assai gestibile, ma nel pomeriggio aumenterà. Vedremo. Ed eccoci al tramonto arrivano i 15, 20 nodi con qualche raffica più vivace. Riduciamo vela, ma non posso poggiare come dovrei, ormai sono quasi 30 nodi. Sta arrivando la Global Electra, un bel cargo di 220 metri, da sinistra. L’incrocio è perfetto. Il punto più vicino di accosto è uguale a zero, ovvero collisione. Le miglia si accorciano e la situazione non cambia. Non poso cambiare rotta. Se poggio, non so comunque se basta e poi avrei difficoltà di manovra, A orzare, impensabile con 30 nodi. Aspetto e decido di chiamarla appena sotto le 8 miglia. “Global Electra, this is sailing vessel Eutikia, copy ? “ e subito mi risponde un inglese con ll caratteristico accento indiano “ Yes, copy you! “ Gli spiego la situazione e gli chiedo se vede il mio segnale AIS. Indugia, capisco che la cosa non è poi così evidente. Alla fine mi conferma: mi vede ! Meno male, è già molto. Concorda sul fatto della rotta di collisione e gli chiedo di deviare sulla sua sinistra, port side, per lasciarmi a destra e passarmi ben chiaro a prua. Potrei così controllare per bene il suo passaggio, puntando alla sua poppa. Ci accordiamo di stare in ascolto sul 16 VHF. Mi piazzo di fronte ai monitors, Radar, AIS e PC e cerco di accertare gli attesi cambi rotta. Niente, per altre 4 miglia. Ma che abbia capito ? Lo richiamo “ E allora, capitain, qualche grado in più alla tua sinistra sarebbe molto gradito” E finalmente, dopo qualche minuto vedo la sua rotta modificarsi, ma proprio quel tanto che basta per passarci a meno di mezzo miglio a prua, mentre resisto in bolina con onda che monta. E quasi buio che finalmente posso poggiare, diretti verso il Capo S Vincent., 380 miglia.
18 giugno
La notte inizia e passa con vento in crescita e mare che per ora non vediamo, per fortuna, ma assai mosso. Ormai sono stabili 30 nodi, ma è molto rafficoso tra i 25 e i 35 nodi e passa.. Siamo in bolina larga, sui 70/75 gradi, a tratti 80. Ormai è burrasca bella e buona. Un sicuro forza 7. Altro che 20, 23 nodi e mare poco più di 2 metri. Non posso poggiare più di tanto, mi tengo la poggia se va verso i 40 nodi, andrei troppo lontano dal Capo. All’alba la situazione è davvero grigia, in tutti i sensi. Nuvolaglia bassa e scura incombe su di noi. Cordoli grigi si ricorrono richiamando rinforzi di vento. Il mare è sui 3 metri, almeno, e le creste spazzano la coperta e sbattono rumorose sui fianchi. Eutikia mantiene la calma, almeno lei, sale e scende abbastanza tranquilla, mentre il vento non cessa di fischiare, ululare, tra le sartie e nelle nostre orecchie. Non c’è niente da fare. Dobbiamo solo aspettare che si sfoghi. Maurizio e i modelli indicano che nel pomeriggio dovrebbe calare, almeno un po’, Speriamo. Alle 18.00 in punto, esattamente come annunciato da Maurizio da Ancona, scende un po’. Ora la situazione diventa più gestibile, anche se gli incroci con le navi continuano.
19 giugno
Il vento finalmente ci da un po’ di tregua, Fischia meno e durante la notte riusciamo a riposare qualche ora. All’alba Eutikia fa decisamente rotta sul WPT posto accanto al Capo e riusciamo a tenere un buon passo con un vento sui 20, 25 nodi che sembra però in calo. La mappa del vento prevede una repentina uscita dal flusso verso Sud Est. Così accade che quasi di botto, come se qualcuno avesse spento il ventilatore, le vele sbattono, si controventano e ci fermiamo. Eutikia balla in un mare infernale, onde di 3 metri ci sollevano e ricadiamo nei cavi,  le crestine continuano a spumeggiare, quasi inerti. Accendiamo motore e via tra montagne russe d’acqua. Mare grigio, cielo grigio brumoso. Mai successa una cosa simile. Per fortuna abbiamo l’iron wind, il vento di ferro, come gli inglesi chiamano il motore ! Dopo qualche ora usciamo in un mare meno formato e allunghiamo il passo. Ora si tratta di capire cosa troveremo lungo la rotta. Il tempo è molto instabile e una Bassa tra Gibilterra e il Golfo di Cadice può complicarci la vita. Dopo cena, al primo turno Marina incomincia a vedere lampi un po’ ovunque. Sul radar le zone temporalesche sono abbastanza circoscritte e riusciamo, con un po’ di fortuna ad evitarle. Ora non resta che aspettare l’alba. Maurizio ci invia gli ultimi aggiornamenti. Per la notte nulla da segnalare, nessuna ulteriore zona temporalesca. Il giorno dopo non dovrebbero esserci venti importanti da Est. Speriamo.
20 giugno
Le ultime notizie meteo sono abbastanza confortanti, anche se potremmo trovare un secco 15 nodi da Est, proprio in prua, una volta doppiato Capo S. Vincente verso Portimaio. Le zone temporalesche sono un’ulteriore rischio poiché una bassa continua a muoversi verso il golfo di Cadice a risalire verso Nord Ovest, verso di noi.. Al mattino, al mio turno con inizio 3.30, do uno sguardo assonnato fuori e resto di stucco. Mi sembra d’esser l’Olandese Volante, galleggio in un mare di nebbia. Non vedo quasi neppure l’acqua. Non mi resta che seguire esclusivamente la navigazione strumentale: Radar e Ais. Per fortuna nessuno in giro. Al mattino un cerchietto rosso perfora le basse brume. Il sole finalmente. La visibilità aumenta, ma le ore del motore crescono. Non una bava. Mancano 100 miglia, non resta che accelerare, se possibile. Meglio arrivare prima del tramonto. Mentre lo Yanmar ce la metta tutta, a oltre 2.100 giri, continuo a monitorare il meteo. Pare che il vento da Est non ci sarà, meglio così. Alle prime luci, ancora fumose e incerte, cerco sul radar eventuali targhet. Tutta la notte, niente. Possibile ? Ma ora capisco il perché. Siamo ormai nei pressi del Capo e tutto il traffico è concentrato nei canali virtuali, obbligatori per tutto il traffico marittimo a Ovest del Capo nella verticale Nord-Sud. Passiamo così il resto della giornata ad evitare questo traffico ordinato, mentre procediamo ortogonali verso Est.. Nel pomeriggio ne siamo fuori, mentre la costa appare prima sul radar e poi sottile e nera all’orizzonte di sinistra. Il resto è senza storia. Ancora qualche ora di motore e siamo di nuovo in Europa dopo 11 anni.


Segue una nota, curata direttamente da Maurizio, a commento della complessa situazione meteo incontrata da Eutikia:
“Guardando le immagini mi sono chiesto come mai EUTIKIA sia partita verso Gibilterra nelle peggiori condizioni sinottiche che ogni manuale scrive e avverte di evitare?
Cioè di partire con l'Alta sulle Azzorre e una Bassa in Spagna, proprio come da foto allegata? Ben 39 Kts misurati al satellite ASCAT per il rilevamento del vento reale con radiometro, e da simbolo sinottico 35 della barbetta sulla analisi al suolo.

Nei piani previsionali a lungo termine letti alla partenza quella situazione di fatto non esisteva!
Perchè allora non è stato previsto? Hanno sbagliato i modelli?

Quell'area di Bassa relativa si è sviluppata in seguito alla forte spinta di aria calda che dall'Africa è risalita a Nord. Oggi nelle mappe infatti è molto evidente il lungo promontorio di Alta pressione che si formata! Ma quel promontorio non era prevedibile?

Queste spinte in senso meridiano così veloci sono la risposta ai cambiamenti climatici in atto, sono gli anticicloni africani, oggi sempre più frequenti e vanno ad interferire con l'arrivo nel Mediterraneo del Promontorio dell'Alta delle Azzorre.
L'Alta delle Azzorre oggi come oggi non può far altro che stazionare in Atlantico, al massimo può salire più a Nord, proprio come accade adesso. Non è normale nel periodo climatico per le nostre regioni del Mediterraneo essere invasi da aria Africana al posto della ben più mite aria delle Azzorre.
I fenomeni associati a queste incursioni calde dall'Africa sono violenti temporali, sferzate di vento, alluvioni, e non per ultimo il richiamo di masse di aria Polari fredde! Quello che stà accadendo nel reale di adesso!
Quindi sì ai modelli, non però a quelli a lungo termine. Si vive nell'immediato, non nel futuro!”


Buon Vento a tutti dall’equipaggio di Eutikia. Ora verso Gibilterra.


MEDITERRANEO, 24 giugno 2018 Da Portimao ad Almerimar.

2018-06-30


Il 3 agosto 2007, a mezzogiorno, Eutikia filava svelta, con 30 nodi di vento al gran lasco, oltre le Colonne d’Ercole, oltre Gibilterra, verso l’Atlantico. Lasciavamo l’Europa per sbirciare oltre l’Orizzonte. E di Orizzonti, poi, ne abbiamo superati innumerevoli, sempre con il sole che nasceva a poppa e con i tramonti che incendiavano i cieli a prua, per 11 anni, durante il giro del mondo. Ora, il 24 giugno 2018, l’Europa ci tornava incontro tra la foschia, ma con lo stesso sole di mezzodì. Confesso la nostra profonda emozione nel rivedere queste sponde. Rientrare nel Mare Nostrum è stato un sottile piacere atteso a lungo. Abbiamo percorso migliaia di miglia, ancorato in sperduti atolli, incontrato altri come noi rimasti tra le nostre migliori amicizie, vagabondato tra arcipelaghi esotici, vissuto esperienze incredibili che non riusciremo mai a raccontare compiutamente, attraversato tre oceani, ma il rientrare nel Mediterraneo ha un sapore antico. Ritroveremo vecchie amicizie, ancoraggi rimasti solo nella memoria, non più gli alisei ma i capricciosi etesii, calcinate e lucenti chore egee, il profumo dei nostri sapori, le radici della nostra cultura, e ancora nuovi bordi a vele spiegate tra nuove avventure da raccontare. E Gibilterra è già di poppa.
Per la cronaca la tratta da Portimao (Portogallo) ad Almerimar (Spagna), circa 300 miglia, non ha creato per certo i problemi dell’ultima tappa da Punta Delgada. Le previsioni erano ottimali: nessun levanter allo stretto e venti quasi inesistenti. Tanto motore, quindi. Ma il nostro Yanmar ha fatto più che il suo dovere. Unica vera preoccupazione, un traffico navale molto consistente. Le direttrici da e per Gibilterra sulla carta sono chiare, ma noi abbiamo dovuto attraversarle, almeno in parte. La cosa più curiosa sono state le navi alla fonda o in stand by, non all’ancora. Non sai mai come aggirarle. Marina s’è trovata, di notte, con una di queste che ha preso la via  improvvisamente, mentre le sfilava di poppa pur a distanza di sicurezza, facendo zig zag tra altre nelle stesse condizioni. Questa parte di Atlantico, dalle Azzorre a Gibilterra, ci ha sorpreso non poco per l’assai intenso traffico. Un assiduo monitoraggio di radar e AIS è di vitale importanza. Loro certamente non ti cercano e neppure ti vedono, quindi…sta a te ! Passata la rocca di Gibilterra e lo stretto, con i suoi fast ferry, la costa spagnola sfilava lenta nella notte con la luna piena più bella da quando siamo partiti. Luna d’argento e mare chiaro…come a Napoli. Al marina di Almerimar siamo stati accolti con molta gentilezza e, per la prima volta, ho trovato un addetto alla Reception che mi ha invitato a parlare in italiano. Voleva impararlo. Siamo proprio rientrati in Europa.
Un carissimo saluto a tutti gli amici, vecchi e nuovi, e a tutti coloro che neppure conosciamo e che pur ci seguono. Un grazie di cuore  a tutti con un abbraccio grande, grande da parte mia e di Marina. A bordo di Eutikia c’è sempre un meraviglioso ricordo per tutti.
BUON VENTO e al PROSSIMO MIGLIO lungo le rotte del Mediterraneo da riscoprire insieme.

 


Venezia 26 ottobre 2018. NOVITA’ IN LIBRERIA e su YOUTUBE.

2018-10-26

Venezia 26 ottobre 2018. NOVITA’ IN LIBRERIA e su YOUTUBE.

Al rientro da Almerimar (Spagna), dove è stata sistemata a terra Eutikia per la stagione invernale nel varadero del Marina, abbiamo avuto la bellissima sorpresa di trovare, fresco di stampa, il nuovo libro “ EUTIKIA Una Vela sugli Oceani” , edito con amorevole cura da                  Mare di Carta, Venezia.               

Vi anticipo che il libro sarà presentato, nel quadro di una serie di incontri culturali mare laguna, organizzati dall’editore e dalla Compagnia della Vela presso la sede di San Giorgio (Venezia), venerdì 23 novembre 2018 alle 18. Per l’occasione ho montato un video sul passaggio dell’Oceano Indiano e dell’Atlantico, Sud e Nord. Inserirò al più presto il calendario completo di questi incontri.

 Il libro, ne riprendo ora per comodità di lettura la sinopsi, racconta giorno per giorno (300 pagine, con molte foto a colori e in B/N), cinque anni di mare. La rotta dall’Australia ai Caraibi  e poi sino al rientro in Europa: 22 mila miglia, in presa diretta, un succedersi di progetti, decisioni, emozioni, incontri, storie di mare, strategie di navigazione, ancoraggi, coste esotiche, parchi naturali, zone archeologiche, la contemporaneità dei grattacieli. Dalla costa del Queensland (2014, Australia) e Darwin, a risalire l’arcipelago indonesiano, il Mar di Giava, Singapore, Malesia e Thailandia. E poi ancora la discesa lungo lo Stretto di Malacca, verso Giacarta, e lo Stretto della Sonda. Da qui il passaggio dei due oceani: Indiano e Sud Atlantico. Dall’ancoraggio di Cocos Keeling, un puntino nel blu, a Rodrigues e poi a Reunion e il soffio potente dell’Indiano è di poppa. Aggirato per Nord il Madagascar, la discesa del Canale di Mozambico lungo la costa d’Africa. Alle latitudini più basse il confronto con un meteo molto imprevedibile. Ogni tappa verso Città del Capo è stata studiata con attenzione, mentre la lancetta del barometro condizionava ogni scelta e la vita a bordo. Poi finalmente il Capo di Buona Speranza e l’arrivo a Table Bay. Il Sud Africa ci ha lasciato un ricordo memorabile: coste selvagge, l’Eden dei parchi, verdi colline e vallate ricche di storia e di vigneti, il mal d’Africa insomma. Ora di nuovo il vecchio Atlantico, da Sud all’Equatore, passando per l’isola di Napoleone, Sant’Elena e poi il Brasile. Con il rientro nell’emisfero Nord, l’aliseo di Nord Est ha spinto benevolo  Eutikia sino a Trinidad, l’isola più a Sud dei Caraibi.  Ma non è finita, siamo poi ripartiti per il Nord Atlantico (2018) per rientrare, via Azzorre, in Europa, dopo 11 anni. Una bella emozione !

Altre informazioni su questo link:

https://maredicarta.com/resoconti-di-navigazione/testa-giovanni-e-marina/eutikia-una-vela-sugli-oceani/3467910

Ricordo che molti filmati sul giro del mondo (Pacifico, Indiano,Sud e Nord Atlantico) sono già disponibili qui

https://www.youtube.com/user/eutikia1

Tra questi ho appena inserito il  nuovo video del passaggio del Nord Atlantico (2018) da Antigua ad Almerimar (Spagna) via Azzorre. A questo link :

https://www.youtube.com/watch?v=d-A5RWkV0Ts

Altri video sono in corso d’inserimento,  2007-2010: Caraibi, da Cuba alle San Blas.

La rotta del passaggio da Panama all’Australia (2011-2013) è raccontata su                             “ Pacifico per Due, Racconti dai Mari del Sud” Ed. Il Frangente. I video sono su YouTube come sopra.

A prestissimo, dunque.


Presentazione libro

2018-11-14

Si avvicina il giorno della presentazione del libro“ EUTIKIA Una Vela sugli Oceani”

Accanto la foto della locandina dell’evento promosso da Mare di Carta, l’editore, e dalla Compagnia Della Vela, Isola di San Giorgio, 23 novembre, ore 18.

 La nostra emozione è, direi, pari a quella provata il giorno del nostro rientro in Europa. Averlo tra le mani, sfogliarne le pagine, scorrerne le date, soffermarsi sulle foto è come rivivere quei momenti irripetibili. Alle volte ci domandiamo persino come possa esser accaduto proprio a noi: 45 mila miglia di poppa, un giro del mondo in 11 anni. Qualcuno si domanderà, anzi ci potrebbe domandare se lo rifaremmo. Beh, la risposta non è poi così scontata, ne riparliamo venerdì 23 a San Giorgio? Vi aspettiamo con entusiasmo.

Ogni altra utile informazione (foto del libro, sinopsi,link YOUTUBE) è reperibile sul post precedente.


PRESENTAZIONE LIBRO "Una vela sugli Oceani"

2018-11-19

Ricordo che venerdì prossimo, 23 novembre, è previsto l'incontro di presentazione del libro appena uscito " EUTIKIA. Una Vela sugli Oceani". Lo ri-segnalo poichè ci siamo accorti che la precedente locantina evidenziava una data ERRATA , 23 ottobre. Un refuso troppo biricchino !


Castradina della Madonna della Salute e Carta del Cantino, 21 novembre 2018.

2018-11-26

NB. Bisogna cliccare sulle foto in calce al post per allargarle a dimensione corretta

Cos’è la Castradina ? I veneziani, almeno quelli più attenti alle genuine tradizioni, lo sanno benissimo e quindi con loro mi scuso. Però è il caso qui di ricordarlo ai più giovani e ai foresti, anche perché siamo stati invitati, presso la sede dell’Associazione Sette Mari, dai Fratelli della Costa ad una simpaticissima serata conviviale dove proprio la Castradina ha fatto gli onori di casa. Tra un brindisi e una portata e l’altra, c’è stata pure data l’occasione di dire due cose sul nostro giro del mondo e siamo stati orgogliosi di ricevere in ricordo la copia di una carta geografica storica (1502) davvero speciale, La Carta del Cantino (vedremo poi).

Per la circostanza, la castradina è stata preparata, come sempre, con pazienza e passione da Michele. Non solo, ma pure accompagnata dal giusto vino  del Montenegro e dalla furlana gubana. Per cucinarla, naturalmente, ognuno ha i propri segreti ma quella che segue è quella tradizionale descritta proprio da Michele nel libro ”Forchette veneziane - le ricette "casalinghe" della Settemari” edito dalla San Marco Press.

" Piatto tipico della Madonna della salute 21.11 . Si tratta di carne salata, affumicata e speziata ed essiccata di montone castrato proveniente in origine dalla Dalmazia ed Albania che ebbe grande diffusione all'epoca della pestilenza del 1630. Questa tecnica di conservazione consentiva di superare il periodo di quarantena in epoca di emergenza sanitaria. 

Per 4 persone, 1 kg. di montone castrato salmistrato, 1 kg di verze, 50 g. di burro, 100 g. di cipolla, 100 di carote, 100 di sedano a pezzetti, sale, pepe e timo fresco q.b. 

Procurarsi dunque  per tempo, prenotandola dal bechèr (macellaio),  la carne di castrato. Ciò è possibile a Venezia solo nel periodo attorno alla seconda metà di novembre, bollire la carne dopo averla tenuta a bagno in acqua fredda per almeno una notte; cambiare l'acqua di cottura almeno due volte,  per eliminare il grasso in eccesso,  facendo almeno tre bolliture e conservando l'acqua per l'ultima, cuocendo  per due ore ciascuna volta, in tutto quindi sei ore. Dopo la prima bollitura occorre spezzettare la carne e eliminare le ossa. 

Nel contempo soffriggere la cipolla, le carote ed il sedano  nel burro ed aggiungere la verza affettata a julienne  cucinandola in acqua salata  fino a 3/4 cottura,  poi unirla alla carne dell'ultima cottura,  unitamente al suo brodo. Aggiungere abbondante timo e spolverare di pepe .

Vini consigliati: Cabernet Sauvignon dei colli asolani, Rosso dei monti Lessini, ovvero,  per restare nei luoghi di origine della carne (non so però se oggi provenga ancora dall'altra sponda adriatica..) rosso  Vranac del Montenegro, Kosovo o Serbia.” 

In sostanza, ci vuole la giusta carne, molto tempo per sgrassarla e ammorbidirla e soprattutto una bella serata a tavola con amici chiassosi e di buon spirito…in tutti i sensi.

Per i foresti ricordo che questo piatto deve la sua fortunata memoria storica (in allora si cercava cibo proveniente da zone che si pensava non fossero ancora infettate) alla Festa della Madonna della Salute che si celebra ogni anno l’11 novembre dal 1630, anno della fine della terribile peste che ridusse gli abitanti di Venezia ad un terzo. Nè più nè meno di quanto accade ai giorni nostri, visto che dal dopoguerra Venezia ha perso i due terzi dei suoi cittadini per varie ragioni, in primis a causa del turismo affaristico assolutamente fuori controllo.

E ora la Carta del Cantino. Raccontarne tutta la valenza storica ed economica  sarebbe troppo impegnativo in questo post. Ma in estrema sintesi, questa carta è la seconda rappresentazione del  Nuovo Mondo, opera di sicura fattura portoghese e portata in Italia nel 1502 da Alberto Cantino per conto di Ercole I d’Este, molto interessato alle vicende di geografia economica che in allora stava disegnando nuove rotte e nuovi mercati. Bartolomeo Diaz nel 1488 aveva doppiato il Capo di Buona Speranza per la prima volta e Vasco da Gama era tornato dall’India nel 1499 con importantissime buone nuove sulle opportunità di traffici. Il mondo si stava spaccando a metà. Gli spagnoli di Ferdinando V stavano occupando le Americhe, i portoghesi di Giovanni II puntavano a oriente. Ma le rotte non sempre ne rispettavano gli interessi e i motivi di contrasto crescevano. Nel 1494 fu definito il Trattato di Tordesillas.Fu tracciata una linea di demarcazione, la Raya, posta a 370 miglia a Ovest delle Azzorre che divideva virtualmente le rispettive aree di dominio. La carta riportata, curata dalla Tavola di Venezia dei Fratelli della Costa, ne riporta, per motivi pratici solo un settore, ma altri seguiranno. E’ comunque ben visibile a sinistra la linea, Raya, Nord-Sud che la divide.

Ricevere questa carta ci ha fatto molto piacere anche perché siamo passati pure noi per quei mari e a Città del Capo ci siamo fermati ammirati sotto la statua di Bartolomeo Diaz, mentre al museo navale di Mossel Bay (230 miglia dal Capo) abbiamo trovata esposta    un’ esatta replica della sua caravella (vedi foto). Insomma davvero un bel mix tra cultura e buona tavola.

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Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore, 23 novembre 2018 ELOGIO A EUTIKIA

2018-12-03

Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore, 23 novembre 2018.

Le presentazione del libro “EUTIKIA. Una Vela sugli Oceani” è stata per noi un’esperienza davvero unica, entusiasmante anche per la partecipazione calorosa di così tanti amici. Però vorrei dire che la vera regina della serata è stata proprio lei, Eutikia !

Se tutti questi anni, queste migliaia di miglia in giro per il mondo possono oggi essere l’autentico contenuto di un racconto divenuto poi un libro, ebbene, tutto ciò Marina ed io lo dobbiamo alla nostra barca.

Pochi giorni fa, durante l’ennesimo riordino invernale, ho risfogliato un piccolo libriccino che realizzò, e che poi mi regalò, un carissimo amico di vecchia data, Guido pure lui, con Daniela, appassionato della natura e del mare. In allora raccolse e stampò, per la prima volta, il mio Diario di Bordo relativo alle prime navigazioni caraibiche (2008-2009).

Ebbene, nella prima pagina, ho ritrovato quanto allora scrissi, senza minimamente pensare che  saremmo, poi,  pure partiti per il giro del mondo. Quel libriccino fu davvero birichino perché da lì nacque poi l’idea di raccogliere le nostre miglia nelle pagine di due libri e nel racconto per immagini di molti video. In quella prima pagina scrissi di getto un ELOGIO a EUTIKIA. Direi che anche ora, pure dopo il giro del mondo, non cambierei una virgola.

 “Elogio a EUTIKIA

Venezuela, Puerto La Cruz. Marina Bahia Redonda, 22 maggio 2008.

….e già, come tutte le storie, anche questa sta voltando pagina. Siamo arrivati in Venezuela dopo 7.800 miglia da Lignano, da dove eravamo partiti il 7 maggio 2007.

Chi ci ha portato sino a qui è stata la nostra Buona Stella e la nostra barca Eutikia .

Eutikia ha visto per noi notte e giorno. Miglia e miglia sono passate scivolando, di poppa, sulle creste dell’oceano. Con la prua ha solcato bianche creste di bolina, respirando con l’aliseo dei Carabi. Il vento ha giocato con le sue vele e qualche volta è stato davvero rabbioso. Ma Eutikia ha sempre trovato la giusta rotta ed è stato un “ navegar come Dio comanda “.

 Il giorno  le ha portato il cielo cobalto, il veloce scorrere di bianche nuvole spinte dal soffio dell’Atlantico, ma anche  grigi minacciosi nembi carichi di pioggia. Tramonti infuocati  le hanno arrossato le vele,con  la notte tante, tante stelle, e la luna, la luna, che dire della luna ?

Eutikia ci ha cullato in calmi ridossi. Presa per il naso, mordeva il freno, guizzando sotto raffica , ma anche lei gioiosa specchiandosi su un mare smeraldo oppure immobile sotto la nera volta del cielo tra la Polare e la Croce del Sud.

Ma l’immagine , il regalo più bello, l’emozione più forte è sempre la stessa. La prua che scivola sull’onda tra riflessi d’arcobaleno, un chiarore di bianche vele, il blu del mare che scorre di poppa, veloce, lungo una scia senza spazio, né tempo. E lo sguardo torna verso la prossima onda, oltre c’è solo un nuovo orizzonte.”

Arrivederci e grazie ancora a tutti.

Marina & Gianni


Venezia 13 dicembre 2018. Il clima sta davvero cambiando.

2018-12-13

Venezia  13 dicembre 2018. Il clima sta davvero cambiando.
Pubblico volentieri un documento predisposto da Maurizio che ci ha seguito con un prezioso supporto meteo durante la seconda parte del nostro giro del mondo. Come spesso accade, proprio quando si pensa d’esser arrivati, ecco che l’imprevisto può rovinare la festa. Non è che nei vari passaggi del Pacifico, dell’Indiano e del Sud Atlantico non avessimo presso ventaccio, ma era nella natura delle cose, come dire, in programma. Le previsioni e le statistiche parlavano chiaro, dovevamo solo farcene una ragione ed agire al meglio. Nel passaggio, invece, dalle Azzorre a Gibilterra, circa mille miglia teoriche, pur avendo una finestra meteo decente siamo incappati in una burrasca, per fortuna di soli due giorni, non prevista neppure dagli aggiornamenti, sino a circa due giorni prima. L’intensità del vento (raffiche ben oltre i 40 nodi) e l’altezza delle onde (3 metri abbondanti) erano  tutte di bolina larga. Non piacevole, ma sempre dentro i margini di assoluta sicurezza. Con l’aliseo oceanico sarebbe stata una bella corsa al gran lasco. A dire il vero partendo da Sao Miguel non ero del tutto tranquillo per una previsione di vento fresco da Nord Est. Nei primi giorni, quindi, ci eravamo tenuti, anche a motore, ben alti, puntando su Lisbona e oltre. Poi l’entrata del ventaccio ci aveva trovati ben sopravento e riuscimmo a gestire una bolina decente, evitando pure il grosso dei marosi. Una barca, partita 12 ore prima e con rotta quasi diretta, ha trovato condizioni peggiori, come ci raccontarono a Portimao.
La nota che segue, non di immediata lettura, è comunque un avviso per tutti i naviganti del Mediterraneo, e non solo, attenzione alle bolle africane nella prossima stagione !

“Lo sbuffo !  Che viene da lontano . . . tecnicamente come si arriva alla situazione di burrasca improvvisa nel Nord Atlantico, dalle Azzorre a Gibilterra.
di Maurizio Melappioni Weather Routier di Meteoancona per EUTIKIA

E’interessante fare una rianalisi della Burrasca del 18 giugno 2018 occorsa a EUTIKIA durante il trasferimento dalle Azzorre a Gibilterra. Per ricercare le cause si ricorre all’analisi nefologica (studio delle nubi) ed in particolare al vapore acqueo sul canale 6 con un range del campo dell’infrarosso compreso tra 6.85 - 7.85 µm, dove risultano evidenti i flussi alle quote medio alte della circolazione atmosferica.
La sequenza delle immagini comprende anche la parte Equatoriale africana in quanto interessata dalla zona dell’ITCZ. ( zona di convergenza intertropicale )
Si fa notare che la linea di convergenza intertropicale “lavora come macchina termodinamica” sopra il continente africano che è fortemente surriscaldato dalla radiazione solare. Nella immagine n° 2 sono presenti due enormi celle convettive presenti ancora nella immagine n° 3. Il risultato di queste due enormi celle lo si intravvede già sulla stessa n° 3. Il cerchio rosso presente in tutte le sei immagini serve come punto di riferimento, ed ha la stessa posizione.
L’aria sollevata dalle due celle alimenta nella direzione del Marocco / Stretto di Gibilterra un flusso di aria sopra la zona del Sahara diretto verso NW. (Fig. 1,2,3)Nella figura n° 4, successiva di 24 ore alla n° 3, si scorge un bel tondo bianco che rappresenta una nuova cella convettiva che raggiungerà lo sviluppo massimo nel giorno 20. (fig. 6)
L’aria del sistema è indirizzata sempre nella direzione di NW, davanti alle coste del Marocco. Per effetto della deformazione del flusso verso NW, una parte devia verso sinistra formando un sistema a vorticità positiva che alimenterà quindi la depressione atlantica davanti al Marocco, l’altra parte alimenterà con vorticità negativa il nucleo di Alta pressione al suolo già preesistente delle Azzorre, che estende un lungo promontorio nella direzione di NE fino alla Francia. In queste condizioni si avrà un incremento della quantità di aria che alimenta il promontorio in superficie. Dall’altro il sistema depressionario che si viene a formare in tempi rapidi di fronte al Marocco provoca in superficie quella differenza di gradiente sufficiente a far correre i venti lungo la cintura dell’Alta fino a raggiungere la forza di Burrasca. Venti che hanno raggiunto i 40 Kts reali lungo la rotta di EUTIKIA, velocità misurata con il satellite ASCAT. (Advanced Scatterometer observations : https://manati.star.nesdis.noaa.gov/products/ASCAT.php )
Possiamo in questo modo concludere che l’attività convettiva sviluppatasi dalla enorme superficie africana tramite i meccanismi sviluppo verticale tipici della zona ITCZ, hanno spinto nelle quote medio alte un afflusso di aria nella direzione di NW sull’Atlantico Nord occidentale,determinando un quadro sinottico capace di indurre un repentino peggioramento alle condizioni di ventilazione comunque previste dai modelli numerici GFS diramati dal NOAA. I modelli prevedevano una ventilazione lungo la cintura dell’Alta di 25 Kts, con variazione di +/- 3 Kts. Solo 12 ore prima hanno indicato la formazione di una seconda bassa pressione di fronte allo stretto di Gibilterra e le coste del Marocco.
Non vi sono al momento dati climatologici che confermano questa caratteristica sinottica, ma sicuramente il fatto accaduto è da imputare all’eccessivo riscaldamento del pianeta Terra. Questi meccanismi, chiamiamoli “sbuffi” sono alla base della formazione dei promontori africani diretti a Nord che coinvolgono il Mediterraneo. Situazioni sinottiche che dovremmo ormai considerare all’ordine del giorno”


Venezia 19 dicembre 2018_Auguri e Buon Vento a tutti.

2018-12-19

AUGURI E BUON VENTO A TUTTI


Presentazione libro e filmato " Giro del MOndo in 80 minuti"

2019-01-10


Segnalo che venerdì 18 gennaio alle ore 17, presso la sede della Munincipalità del Lido, ex Liceo Pietro Orseolo, presenteremo il libro " Eutikia. Una Vela sugli Oceani" ed. Mare di Carta. Con l'occasione ho preparato un video, penso intrigante, dal titolo " EUTIKIA, IL GIRO DEL MONDO IN 80 MINUTI " Buon Vento


SAIL SUMMIT Milano, 2-3 marzo 2019

2019-03-01

Segnalo che domani, 2 marzo, saremo a Milano invitati da Davide Zerbinati in occasione del http://sailsummit.com/ Verrà presentato il libro" EUTIKIA Una Vela sugli Oceani" e proiettato il video"EUTIKIA Il giro del mondo a vela in 80 minuti"


EUTIKIA SULLA ROTTA DELL'OSSIDIANA. Venezia 24 marzo 2019

2019-03-24

~~Eutikia sulla “rotta dell’ossidiana”
Di nuovo nel Mare Nostrum, dopo 11 anni di giro del mondo, nei prossimi mesi ci dedicheremo al rientro nel Mar Egeo. Seguiremo una delle più antiche rotte navigate nei millenni dai popoli del mare, la rotta dell’ossidiana. Gli archeologi, dopo aver rinvenuto un po’ ovunque dalla Sicilia alla Sardegna, alle Baleari, sino alla Spagna, molti reperti di manufatti strumentali di ossidiana, ritengono che ci siano stati frequenti contatti marittimi con il medesimo luogo di provenienza: l’isola di Milos, ben nota, sin dal tardo neolitico e prima età del bronzo, (3.000 - 2.000 a.C.) per le sue cave di ossidiana. Per certo è una delle rotte storiche del Mediterraneo per collegare i bacini Est e Ovest. Consentiva comode tappe intermedie, passaggi non troppo impegnativi per la distanza,  praticabili nella buona stagione, e la fondazione di vantaggiosi empori.
Sarà dunque una navigazione, com’è del tutto evidente,  nella storia di questo nostro mare, straordinariamente ricco di sorprese e di bellezze artistiche, oltre che naturali.  L’esperienza del giro del mondo, sia pur straordinaria, dovrà confrontarsi con diversi orizzonti culturali. L’approccio da noi adottato, non certo senza difficoltà, per meglio interpretare le molte culture altrui, cambia ora del tutto aspetto. Avremo a che fare con le nostre radici, il linguaggio sarà più diretto. Anche se le novità, il bello, il gusto, il piacere del ritorno e della riscoperta dovrà confrontarsi con i molti problemi della contemporaneità e noi velisti, proprio perché tocchiamo molte sponde, non ne siamo esenti, anzi.
Vengo ora a considerazioni più tecniche, di gestione di questa tratta che ci porterà dalla Spagna alla Grecia dopo aver toccato le Baleari, la Sardegna e la Sicilia. In tutto 1.600 miglia, non molte.
Il meteo, prima di tutto. Mi sto rendendo conto che una corretta previsione, anche a tempi brevi, non sarà cosa semplice. Il Mediterraneo già di per sé non è mai stato - come noto - un mare accomodante. Troppo vento o troppo poco, e per giunta molto instabile di direzione. In giro per il mondo, salvo i seri problemi stagionali (tempeste tropicali, uragani e tifoni) da evitare con cura, i venti sono più costanti e quasi sempre un buon aliseo di Sud Est gonfia le vele su andature portanti, sempre verso Ovest. Il passaggio poi dai Caraibi verso l’Europa è un’altra storia, non così scontata. Già al nostro rientro (maggio-giugno 2018) in Europa abbiamo dovuto fare i conti con situazioni meteo pesanti e del tutto inattese, nonostante una puntigliosa analisi di previsione. Non avevamo fatto i conti con una bolla d’aria calda in espansione esagerata dalle coste africane verso Nord. Questa sarà, con ogni probabilità, una novità costante, affatto gradita. Aria calda, con Alta pressione stabile, significa trovarsi esposti a eventuali infiltrazioni fredde frontali con un bruschi gradienti termici e di pressione. Le conseguenze sono facilmente immaginabili: colpi di vento fortissimi, bombe d’acqua, mareggiate violente. Insomma vere tempeste tropicali, proprio quelle che avevamo cercato di evitare nei vari oceani.
Altro aspetto da riconsiderare è quello che potrei chiamare densità abitativa. Non mi riferisco agli aspetti demografici (ne riparlerò poi), bensì alla diffusione abnorme della flotta delle imbarcazioni da diporto. Manchiamo da molto tempo e, per certo, le cose sono peggiorate, sia per quantità che per qualità. L’attività professionale di noleggio, a costi competitivi, è cresciuta in tutti i bacini, allargando pure i limiti stagionali. I marina sono sempre più affollati e i costi di ormeggio spesso spropositati. Cresce così il numero di diportisti che cerca soluzioni più convenienti nei bacini orientali, lasciando purtroppo il nostro Sud Italia che meriterebbe ben altra attenzione. Nella quotidiana pratica della navigazione tutto ciò comporta scelte ben diverse da quelle da noi praticate abitualmente negli ultimi anni. Vediamo come.
 Ancoraggi: il nostro sistema standard di sosta o di prolungata permanenza, presso una qualunque località insulare oceanica, è sempre stato quello dell’ancoraggio, senza problemi di affollamento, né eccessivi timori per repentini cambiamenti nella direzione del vento. Anche i fondali erano stati quasi sempre di ottima tenuta (quelli corallini avevano altri problemi). Ora l’arrivo in baia dovrà tener conto di probabili divieti di ancoraggio, di campi boe obbligatori (ben vengano, se affidabili), delle numerose barche già alla fonda, magari stanziali nelle parti più comode e protette. Per non parlare degli equipaggi improvvisati e incompetenti delle flottiglie charter che sistematicamente si piazzano di fronte alla tua linea  d’ancoraggio dopo aver, semplicemente e maldestramente, appoggiato ancora e catena sul fondo, spesso per giunta non buon tenitore poiché algoso.
Marine: nei trasferimenti a tappe non sempre è possibile trovare baie sicure, magari per più di una notte, e quindi non resta altro che cercare un marina. E qui entrano in ballo altri fattori. Prenotazione quasi sempre necessaria, costi pirateschi (soprattutto in alta stagione), stretta e inevitabile vicinanza con altre barche i cui equipaggi ritengono, troppo spesso, che la loro libertà espressiva (soprattutto quella telefonica) sia più che un diritto, scontato, così come del resto, purtroppo, accade sempre più di frequente nella nostra vita sociale.
Ultimo tema è quello della sicurezza. Ricordo quella notte, a metà strada tra lo Stretto della Sonda (Indonesia) e l’atollo Coco Keeling (Australia), quando notai sul radar un piccolo target, a circa 5 miglia, che appena si vedeva. Nell’oscurità, il nulla o quasi, forse una fioca lucetta, intermittente. Non era di sicuro un peschereccio. Quelli australiani hanno le luci di via e son ben grossi e visibili, quelli indonesiani sono illuminati a giorno. Forse qualcuno in difficoltà? VHF muto. Nel dubbio informai, via email, la Guardia Costiera australiana. Nessuna risposta. Quando arrivammo all’atollo trovammo una nave guardiacoste di ragguardevoli dimensioni alla fonda. Elicottero in coperta e motolancie pronte sugli scivoli. Stavano cercando alcuni clandestini. Questo per dire che tale fenomeno, assai presente nel Mediterraneo, può rappresentare una minaccia alla navigazione, soprattutto notturna. Quando entrammo a Gibilterra notai, prima sull’AIS e poi a vista, un notevole movimento di mezzi costieri spagnoli, sia in cielo che a mare. Poi un Guardiacoste ci superò rimorchiando due grossi gommoni, mentre sul VHF c’era un intenso traffico informativo. A Sud delle Baleari, della Sicilia e in tutto il Mar Ionio bisogna quindi tener conto di possibili target di difficile individuazione. Nel caso poi di avvistamento di gommoni in difficoltà, c’è poi da gestire al meglio l’eventuale soccorso, molto critico quando si è solo in due a bordo e senza preparazione specifica (basta osservare le particolari precauzioni, anche sanitarie, adottate dai soccorritori della nostra Marina). Per chiudere l’argomento è doveroso registrare come il traffico marittimo commerciale (porta container, fast ferry soprattutto) sia cresciuto a dismisura. Per averne  un’ immediata e sorprendente conferma invito tutti, se già non lo conoscete, a dar un’occhiata qui  https://www.marinetraffic.com/.

Non oso pensare quello che succederà con l’apertura delle nuove rotte della Via della Seta verso i nostri porti. Purtroppo lo immagino molto bene dopo aver visto con i nostri occhi la fila senza fine di porta container, cinesi e non, lungo l’asse del Canale di Malacca, all’entrata dell’Oceano Indiano.
Speriamo che non siano solo spine,…ma se son rose fioriranno. Buon Vento a Tutti e arrivederci dalla Spagna.

 


45 mila miglia in 80 minuti

2019-04-04

~~Prima di tornare a bordo, dove ci aspettano i consueti lavori per rimettere in forma Eutikia, ho pensato di pubblicare 2 filmati con il titolo ”IL GIRO del MONDO in 80 minuti“ PRIMA PARTE da Panama alla Nuova Zelanda e SECONDA PARTE dall’Australia sino al rientro nel Mediterraneo, via Capo di Buona Speranza. Poiché si tratta di una vera sintesi, rimando ai video, per ciascuna tratta di queste 45 mila miglia, che sono pure pubblicati sulla nostra pagina YOUTUBE. Ricordo che per avere una visione completa di tutti i VIDEO pubblicati bisogna cliccare sulla voce VIDEO.
https://www.youtube.com/user/eutikia1


Cartagena, 8-11 maggio 2019.Come inventare e sfruttare il turismo di massa grazie ad Augusto.

2019-05-11

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Come inventare e sfruttare il turismo di massa grazie ad Augusto.
In un giorno qualunque d’estate del VI sec.a.C. una piccola imbarcazione a vele quadre, di circa 8 metri, spezzava l’albero, forse a causa di un fortunale, e cercando disperatamente ridosso nei pressi di questo bel porto naturale, che forse già ben conosceva, naufragò affondando non lontano dalla salvezza. Erano mercanti fenici. Avevano appena scaricato le loro mercanzie: tessuti, spezie, zanne di elefante, vetro. E avevano appena iniziato il ritorno verso Est carichi di pani di piombo, forse un po’ d’argento. Tutta questa costa era allora ben nota per le sue miniere e tuttora il piombo si estrae e si fonde in lingotti del tutto simili a quelli che usavano, dopo i fenici, i greci e i romani. Tutta questa storia è ben illustrata e raccontata nel Museo de Arqueologia Subacuatica, modernissimo e appena adiacente al nostro ormeggio.
Ci siamo fermati a Cartagena, lungo la rotta dell’ossidiana verso Est, attratti dal desiderio di dare un’occhiata a questo antichissimo porto, uno dei migliori di tutta la costa spagnola, e proprio per questa sua dote naturale, con una lunga storia.
Astrubale le diede, per primo, il nome di Cartago Nova nel 209 a.C. Il massimo splendore di Cartagine, però, non durò molto. Ben presto i romani decisero di farne una loro base marittima e in età augustea, I sec. dopo C. la rifondarono dotandola di tutte quelle strutture architettoniche funzionali al loro stile di vita: foro, terme, teatro e quant’ altro, il tutto ben localizzato attorno al cardo e al decumano. I bizantini non hanno, poi, contribuito un granché, mentre i Mori, oltre a distruggere, non hanno lasciato alcuna traccia significativa. I re spagnoli, invece, e Carlo III, soprattutto, l’hanno arricchita e dotata di imponenti mura, che ora circondano la parte vecchia della città con i suoi eleganti palazzi ‘800 e primo ‘900.
Proprio tra le due file di questi assolati palazzi, parte dal molo il paseo principale che porta al centro, verso Piazza di Spagna. Panetterie d’epoca, case di moda, banche, marchi del lusso, gelaterie, tapas ovunque,  e molto altro ancora, danno il benvenuto alle tasche dei turisti che a migliaia sbarcano dalle cruising ship che giganteggiano, almeno due ogni giorno, proprio di fronte al bel fronte mare, rubando allo sguardo il piacere di spaziare verso la splendida bocca del porto. Una vera bruttura, direi, peggio che a Venezia. Per fortuna se ne vanno prima del tramonto liberandoci la vista di poppa e lasciandoci dormire tranquilli.
L’approdo di queste Grandi Navi è un fatto recente, di soli due anni. Quando siamo entrati nel porto ci siamo trovati di fronte i fianchi immensi di due di queste e non riuscivamo a capire dove fosse il marina, la cui vista era completamente occlusa da questo sbarramento. Sulla cartografia digitale i nuovi moli non erano ancora stati segnalati.
Il business, devo dire, è stato assai ben congeniato. Le attrazioni cultural turistiche della città sono state assai valorizzate. Molto è stato fatto, soprattutto negli anni ’90, portando alla luce le strutture romane e ricostruendo, purtroppo, laddove era rimasto pochissimo. Il teatro ne è un perfetto esempio. Sulle sue gradinate c’era il vecchio quartiere dei pescatori. E’stato spazzato via, le gradinate rifatte, la scena rimessa su in qualche modo e, listo, il teatro, con il suo museo, con quasi nulla dentro, ora attrae gruppi di turisti ben ammanniti dalle guide.
Il Museo Archeologico è pure esso una mezza delusione. Se non avessero scoperto il cimitero romano, fonte di numerosi reperti funerari (vasellame, anfore, fibule, steli funerarie, ecc) non ci sarebbe null’altro. Però è ben presentato e quel poco che c’è, è ben valorizzato ed illustrato.
Insomma se non ci fosse stato Augusto le cruising ship forse non sarebbero mai arrivate nel porto di quella piccola e coraggiosa imbarcazione fenicia.

 


IBIZA, 16-18 maggio 2019. Dalla Costa del Sol alle Baleari 12 anni dopo: alcune brevi considerazioni

2019-05-22


Dalla Costa del Sol alle Baleari 12 anni dopo: alcune brevi considerazioni.
A tutti sarà capitato di rivedere luoghi e di rivivere situazioni dopo una decina di anni e di porsi inevitabili considerazioni a confronto tra l’oggi e l’allora, spesso con qualche delusione. Rientrati nel Mediterraneo e navigare  di nuovo in questo mare spagnolo, da dove eravamo partiti nel 2007, dà alcuni spunti di riflessione.
La Costa del Sol, 170 miglia c.a. da Gibilterra a Capo de Gata e  la Costa Blanca, 150 miglia c.a. da Capo de Gata ad Altea, restano, al primo colpo d’occhio, davvero impressionanti. Dico al primo colpo d’occhio perché subito dopo l’istinto mi porterebbe a chiuderli tutti e due.
In effetti il loro profilo dal mare non è cambiato molto, se mai è peggiorato in alcuni scorci. E’davvero incredibile come l’uomo possa manomettere e distruggere la bellezza della natura con il disegno di improvvide architetture, grattacieli ovunque, e con l’abuso devastante del cemento. Tutta questa lunga costa di per sé meriterebbe davvero  gli attributi “del Sol e Blanca”: la natura è stata benigna per il clima, siamo in effetti a latitudini basse ed asciutte, e il suo allungarsi tra cielo e mare è spesso assai mosso: vaste baie, insenature sabbiose, capi alti e rocciosi si allungano e si aggettano verso il blu del mare con alle spalle le possenti quinte di montagne ancora innevate. Lo scenario è primordiale, a tratti inospitale, inaccessibile sia da chi venga dal mare che da terra. Le condizioni meteo spesso non aiutano  perché ponente e levante si alternano a soffiare impietosi nei confronti di ogni desiderata rotta, oggi come ai tempi dei fenici. Il vento, sempre e comunque, è un po’ come l’anima dei luoghi, e qui recita per bene la sua parte allargandosi sul mare e scendendo mattutino dai rilievi della costa. Se tutto così fosse potresti proprio dire di navigare ai confini del mondo, del ben noto Mare Nostrum, laddove erano diretti i primitivi popoli del mare, ancor prima di fenici e greci, per primi oltre quelle colonne del mitico Ercole. E invece! E invece, dobbiamo fare i conti con il peggio della nostra contemporaneità. In giro per il mondo una simile violenza alla natura non l’abbiamo mai vista. Certamente non nel Sud Pacifico, né in Australia o in Nuova Zelanda, neppure a Singapore, il che è tutto dire. Lungo questa costa non c’è un angolo dove lo sguardo possa appoggiarsi senza sorprese ed evitare profili seghettati di improbabili e indecenti centri abitativi, che non potrei neppure chiamare villaggi o città, tranne rarissime eccezioni storiche. Sono il risultato piuttosto di una speculazione edilizia sistematica e ignara di ogni rispetto ambientale. Tutto è stato sacrificato al business e al turismo di massa.
Abbiamo quindi lasciato la costa per le Baleari senza alcun rimpianto, salvo qualche rara eccezione per Cartagena e Altea. L’approccio, per altro, alle Baleari non è stato entusiasmante, pure esso. All’arrivo a Formentera, pur fuori stagione, le poche boe disponibili erano tutte già occupate e, poiché è vietato l’ancoraggio a protezione delle posidonie, siamo stati costretti ad ancorare a ridosso del porto, unica zona non vietata, con un andirivieni di navette, ferry e lancioni da non credere. Ne ho contati 6 in movimento in 10 minuti con relativo moto ondoso ravvicinato e conseguente rollio. Da quel che mi è parso di capire la sistemazione dei campi boe era ancora incompleta nonostante fossimo già in maggio e con i charter già scatenati.
Per fortuna abbiamo poi trovato una buona sistemazione nell’accogliente marina di Sant’Eulalia. Anzi alla reception abbiamo ricevuto il benvenuto da una simpatica ragazza napoletana che, in poche parole, ci ha confessato di esser stata ben felice di aver lasciato l’Italia, e Napoli in particolare. Veramente brava e professionale, Che pensare ?
Con il prossimo post il racconto della visita allo splendido parco dell’ isola di Cabrera, 


Isola di Cabrera, 19-20 maggio 2019

2019-05-26


Cosa hanno in comune Cabrera, Capraia, Caprera, l’isola del Giglio e Morris Island, lungo la barriera corallina australiana ? Per le prime tre la risposta è di tutta evidenza: le capre. E per il Giglio? …Sempre le capre, dal greco igilion. Ma Morris Island ? (Vedi il ns blog https://my.getjealous.com/eutikia  alla data 20 giugno 2014, Portland Road, Morris Island, ecc) Ancora le capre. La ragione è semplice. Da sempre gli uomini hanno avuto bisogno delle capre per sopravvivere  su isole deserte. Carne, latte e lana sempre a disposizione. Nel Mediterraneo tutto ciò è accaduto sin da tempi remotissimi, a Morris Island , invece, fu una soluzione adottata dall’Ammiragliato Britannico per garantire un minimo di risorse agli equipaggi eventualmente sopravissuti, e non erano pochi, a naufragi  lungo l’infida e sconosciuta barriera.
A Cabrera, però, le capre non ci sono più da diversi decenni. In pratica da quando si decise di istituirvi un parco naturale (1991). Ora chi vi approda vive momenti di grande pace (non in alta stagione) tra natura e storia. L’isola, come tutte le Baleari, era sulla rotta dell’ossidiana (2 mila a.C), poi fenici e romani vi trovarono ridosso, non sempre con esiti sperati visto che sono stati individuati ben 4 relitti sui suoi fondali. Poi arrivarono i bizantini (V e VI sec d.C.), anzi a quel periodo risale il primo documento storico con un preciso riferimento all’isola. Papa Gregorio Magno era stato costretto ad inviarvi  un suo delegato per ricondurre sulla retta via alcuni monaci che vi si erano installati e che non rispettavano le regole dell’ordine. Alcune tombe di monaci sono state recentemente e casualmente individuate e ora sono ben visibili e valorizzate.  Turchi e barbareschi non hanno lasciato, come al solito, alcuna traccia, anzi hanno fatto di tutto per distruggere lo svettante castello dei Tarragona (1410),  più volte ricostruito. Ultima vicenda, assai tragica, fu quella di 9 mila prigionieri napoleonici qui reclusi. Ne morirono almeno la metà di sete e di stenti.
Dalla barca, assicurata ad una boa, come d’obbligo, lo sguardo spazia libero sfiorando il morbido saliscendi delle colline a corona, qua e là bruscamente interrotto da strapiombi sul blu della baia e dal picco del castello che domina severo l’anfiteatro. In una splendida giornata di sole ci siamo incamminati al seguito di una leggiadra fanciulla, guida del parco, che ci ha condotti per una decina di chilometri ad esplorare la natura dei luoghi. Il verde dei pini stava tornando dopo l’allontanamento delle capre, e così pure la bassa flora con le prime margheritine gialle e strane forme rotondeggianti di erbe selvatiche. Nel saliscendi del sentiero verso il grande faro a Nord Ovest, ad ogni curva s’aprivano orizzonti lontani a sconfinare tra cielo e mare tra i primi bagliori del tramonto. Proprio un bel ricordo.

 


Dalle Baleari alla Sardegna. Una lucetta misteriosa nella notte, 21-31 maggio 2019.

2019-06-23


Pur dopo dodici anni di giro del mondo e il rientro nel Mediterraneo le emozioni, a bordo di Eutikia, non mancano. La navigazione, non certo esaltante, lungo la costa spagnola sta volgendo al termine. Le Baleari sono ora l’ultima tappa prima del rientro in Italia. Dopo Cabrera e una breve sosta a Porto Cristo, Maiorca, ci sistemiamo a Minorca, a Mahon. Da questo magnifico porto naturale verso il Sud della Sardegna, Carloforte, Isola di San Pietro, ci sono solo 200 miglia, un giorno e mezzo di navigazione, con una notte di scuro di luna. Speriamo con le stelle. Non un granché, sulla carta. Ma nella testa sono un’altra cosa.
Ci organizziamo come al solito. Aspettiamo un meteo decente, un maggio così incerto e avverso erano anni che non si vedeva. Da queste parti il mistral, forte da Nord, la fa da padrone. Meglio evitarlo con cura. Appena cala un po’, lascia un bel mare e magari ti ritrovi rapidamente con venti da Sud. Finestre brevi, dunque. Questo è il Mediterraneo. Per condire l’attesa veniamo a sapere che una nave,  con molti super yacht sistemati in coperta per il trasferimento dai Caraibi alla Costa Smeralda, ha perso in mare il nuovo e magnifico veliero di 40 metri di proprietà di un noto industriale italiano. Il vento di burrasca, mistral fortissimo al traverso, e il rollio l’hanno fatto volare fuori bordo e con lui 40 milioni di euro. Da non credere.
Noi rimandiamo di qualche giorno e poi finalmente si parte. Usciti c’è un bel mare formato e vento sostenuto, non rabbioso. Tutto comunque previsto. Eutikia riprende il suo passo. Dopo tante cure, ora tocca a lei. Troppi giorni di comoda vita all’ormeggio mal si conciliano con una navigazione piuttosto vivace. Procediamo veloci, a vele un po’ ridotte, confidando che il vento da  Nord Nord Est, scendendo noi verso Sud, non cali troppo. Davanti a noi troviamo un 14 metri. Ci sentiamo per radio: sono tedeschi e sono diretti pure loro a Carloforte. Al tramonto son già distanti di poppa, fuori portata AIS.
Con la notte il mare si calma e riusciamo a far vela piena quasi sino al nuovo giorno. Il cielo è stellato, limpido, profondo. Verso prua scorgo appena, appoggiato sulla linea immaginaria dell’orizzonte, un piccolo lume. La lucetta è calda, aranciata, minima. La punta rovente di uno spillo. Un peschereccio al lavoro? Un segnale di richiamo? Con il buio l’occhio si perde. Meglio il radar e l’AIS. Sul display passo rapidamente a setacciare l’orizzonte verso prua. Nulla. Sull’AIS solo un paio di grossi cargo, ma molto lontani, ancora non visibili nell’oscurità del mare.
Passo qualche minuto ripensando a quante altre impreviste e incredibili situazioni, più o meno simili, abbiamo vissuto nelle notti dei nostri oceani. Riesco, afferro il binocolo. Ora la lucetta sembra più vicina, appena più chiara e brillante, pur sempre radiosa e calda. Un piccolissimo riflesso, sul nero pece dello sfondo, mi aiuta a ritrovarla muovendo lentamente la mira oltre la veloce prua di Eutikia. Resto attonito: una luna così non l’avevo mai vista ! L’ultimissima falcetta, sorgendo, aveva forato con il suo acuminato apice l’oscurità densa dell’orizzonte. Che meraviglia! Sono attimi che riempiono di ricordi una vita. Le notti in mare sono sempre dense di rimembranze e di futuri immaginati. Sono quei momenti in cui la natura ti circonda sovrana e misteriosa. La scia fosforescente, i lontani riflessi delle stelle o della luna, il chiarore opalescente delle vele, il gorgoglio del mare oscuro che s’apre a prua, tutto s’impasta con i sensi, con i pensieri che scorrono via. Ti domandi che ci fai lì, proprio tu …ma ecco che il gracchiare del VHF ti riporta alla realtà. La voce è forte e chiara, è Radio Cagliari. Beh, ne sono rimasto colpito, emozionato. Per la prima volta dopo 12 anni ho sentito nuovamente la voce dell’Italia in mare. Con le prime luci  Eutikia ha la prua sulla costa sarda. La giornata è splendida, radiosa. Dopo tanto soffiare da Nord, il cielo è pulitissimo e all’orizzonte le prime nuvolette si appoggiano sul basso profilo della costa. Nel primissimo pomeriggio siamo a Carloforte ed entriamo in marina gustandoci la scenografia mediterranea di questa davvero graziosa cittadina. Il personale di servizio accorre con gommone e sul pontile già ci aspettano. Sono molto premurosi, gentili e professionali, altro che in Spagna ! “ Io sono Andrea, benvenuti al Marina e a Carloforte”. Lo ringrazio e gli dico che lui è il primo italiano che incontro dopo il rientro in Italia, in Sardegna da dove eravamo partiti nel 2007. Resta molto sorpreso, e io più di lui quando il giorno dopo, passando sul pontile, accanto al nostro ormeggio, si blocca di colpo, afferra un arbalete (fucile subacqueo ad elastici) riposto poco distante. Si distende sul molo, infila il fucile in acqua e …zac, estrae dall’acqua l’asta con DUE bei pesciotti infilzati. Con un colpo solo. “Ecco, sono per voi, buona cenetta !”


Sardegna, Isola di San Pietro, 1 settembre 2019.

2019-09-01

~~Brevi da Carloforte: falchi, Savoia e, naturalmente, tonni.
Ci siamo fermati a Carloforte, dopo esser arrivati ai primi di giugno, e abbiamo lasciato Eutikia in consegna al bravo Andrea del Marinatour, per un rientro imprevisto di quasi tre mesi a casa. Ora, di nuovo a bordo, dovremmo esser pronti per riprendere il largo verso la Sicilia e la Grecia, se i venti saranno a noi favorevoli.
Nel frattempo abbiamo riscoperto, dopo 16 anni, questa bella e accogliente Isola di San Pietro, la cui storia è legata, appunto, ai falchi, ai Savoia e ai tonni.
Incominciamo dai falchi. A Capo Sandalo, l’estremo Ovest d’Italia, c’è un’Oasi della Lipu, riserva del falco eleonorae in omaggio a Eleonora d’Arborea, regnante in Sardegna nel XIV sec, che ebbe la meritevole idea di legiferare vietando la caccia ai falchi. Questo tipo di falco, di taglia medio piccola, è molto comune lungo le coste rocciose del Mediterraneo. Durante i mesi estivi volteggia sugli strapiombi a picco sul mare a caccia di altri piccoli volatili o di roditori fuggitivi. Con l’autunno scende verso l’Africa, sino in Madagascar dove, con il senno di poi, ricordo di avene visto qualcuno volteggiare dalle parti di Nosy Be. La nostra gita per osservarli qui nel loro habitat preferito, non ha avuto, direi, il successo sperato. Ci siamo pure inerpicati lungo un insidioso sentiero per accedere ad un bel costone a picco sul mare blu  per meglio osservarli, ma soltanto in due sono passati alti e piuttosto diffidenti. Riprenderli con foto o video, neppure a pensarci, anche per la giornata grigia e afosa. Ci hanno poi spiegato che bisogna dedicarci ore e ore di appostamento, meglio al tramonto, per vederne qualcuno impegnato nella caccia. Comunque ci siamo goduti lo spettacolo del panorama davvero superbo. E a ricordo un colorato acquerello.
L’insediamento di Carloforte è opera del benemerito intervento di Carlo Emanuele III di Savoia. Era successo che la popolazione di Tabarka, sulla costa tunisina, proveniente da Pegli secoli prima (1540) per dedicarsi alla pesca e al commercio, non sopportava più la vessatoria oppressione dei califfi di turno. E poiché erano ormai ridotti allo stato di schiavitù, si appellarono alla benevolenza dei Savoia. Fu così che Re Carlo concesse loro di trasferirsi a San Pietro nel 1738, dove fu eretto il primo forte in suo onore. I trasferimenti proseguirono in massa anche negli anni successivi (1777). Tra un attacco pirata e l’altro, l’insediamento si rafforzò e non mancò neppure l’arrivo dei rivoluzionari francesi (1793).  Accadde allora una cosa davvero curiosa. Gli abitanti, che avevano pure eretto in piazza una statua in onore del Re Carlo, ritennero opportuno farla sparire per evitare ritorsioni da parte dei francesi tutt’altro che monarchici. Scavarono una buca e vi calarono il Re per nasconderlo. Peccato che la buca non fosse fonda abbastanza e così, nella fretta, spezzarono il braccio del Re che, in alto proteso, salutava a protezione  il popolo. Ora il Re Carlo, tornato al suo posto proprio di fronte al molo, appare in tutte le fotografie dei turisti ancora senza il suo braccio, andato perduto.
E ora parliamo di tonni, anche perché qui è ancora operativa un’antica tonnara, l’ultima rimasta in Italia, dopo che a Favignana, proprio quest’anno, non sono riusciti a riaprire quella storica dei Florio. In maggio, appena arrivati da Maon, ci troviamo coinvolti nella festa del tonno, il Girotonno. Un’ iniziativa tutta dedicata alla storia dell’isola, che poi è, in verità, quella delle sue tonnare e della fabbrica del tonno, ovvero del tonno confezionato in scatolette sott’olio, secondo una ricetta inventata proprio a Favignana nel 1888. Presso la segreteria del Marina scopro che per l’indomani è prevista una gita in gozzo alla tonnara per vedere da vicino, una mattanza. Evento più unico che raro poiché, quasi sempre, avviene una volta sola all’anno in maggio. I tonni scendono da Nord lungo la costa Ovest della Sardegna per dirigersi verso il Canale di Sicilia e poi verso Est per riprodursi. L’isola di SanPietro sporge di qualche miglio dalla costa e deve esser costeggiata dai branchi che trovano sulla loro rotta le reti delle tonnare ad aspettarli. I posti per la gita però sembrano esauriti, e l’occasione perduta. Magari se qualcuno rinuncia…Al mattino ci presentiamo comunque alla partenza e fortuna vuole che riusciamo a salire su un bel gozzo, il Ruggero II, assai vecchio di quasi cent’anni, perfettamente restaurato. Faceva la spola per trasportare minerali dall’isola alla vicina costa sarda. Al timone uno di quei personaggi che ancora si trovano lungo le banchine italiche. Sapeva praticamente tutto per aver vissuto e praticato il duro lavoro di tonnara. Splende un bel sole e il Ruggero II sfila tranquillo su un basso fondo turchese, mentre il Nostro si sgola, contro vento, per raccontare agli ospiti una storia di tonni dietro l’altra. Un miglio a prua si intravede il profilo della tonnara, ma non le barche che dovrebbero serrare la camera della morte per la mattanza. Strano! Il Nostro si insospettisce e chiama qualcuno al telefono. Si parlano in tabarchino,  e non capisco assolutamente nulla. Ma una cosa, poi, è chiara: la mattanza non ci sarà ! Rimaniamo di sasso. Il rais ha deciso che non si fa per ragioni non del tutto chiare visto che i tonni ci sarebbero. Detto per inciso, la quantità di tonni autorizzata per la cattura è di 24 tonnellate complessive, a valere per tutte le tonnare della zona. Ci sarebbe un’alternativa. Corre voce che in una tonnara un paio di miglia più avanti sotto costa la mattanza ci sarà. Peccato che noi abbiamo pagato per la prima e non per quest’ultima. Il tutto finisce con una bella lite tra il nuovo rais e il Nostro che non lo vuole pagare. E così noi restiamo di sasso per la seconda volta. Rubo soltanto una foto da molto lontano per inquadrare la scena , comunque senza mattanza poiché praticamente ci cacciano via. La gita finisce con un bel bagno in baia, e, in paese, con una bella litigata degli organizzatori della gita con le Autorità, Sindaco compreso, che avevano programmato il tutto.
In conclusione Carloforte, nonostante tutto, ci ha davvero piacevolmente sorpreso. Se si capita in Sardegna, da non perdere-

 


ISOLE EGADI, SCIACCA e LICATA, 7-14 settembre 2019.

2019-09-19


 Rostri romani e Leoni siciliani.
Nel seguire a ritroso - senza nulla di rilevante dal punto di vista velico viste le calme settembrine…almeno per ora - la Rotta dell’Ossidiana che in epoca protostorica ( 4-3 mila a.C.) le prime imbarcazioni utilizzavano per scambiare l’ossidiana di Milos (e pure di Pantelleria e Lipari) con prodotti provenienti dalle coste siciliane, sarde e spagnole (avorio, minerali, tessuti, prodotti agricoli e d’artigianato), ritroviamo tracce di questi traffici nel bel museo dello Stabilimento Florio a Favignana, nel museo archeologico attiguo alla Valle dei Templi di Agrigento e in quello di Licata. Ciò che però più colpisce è l’inaspettata dimensione del fenomeno. Siamo infatti di fronte ad una vera e propria “globalizzazione” ante litteram, a dimensione mediterranea, culturale ed economica sostenuta da traffici marittimi assai articolati e diffusi, testimoniati non solo dai piccoli ed affilati strumenti di ossidiana (sino all’avvento del rame 3-2 mila a.C.), ma anche da vasellame di fattura egea, tipica dei bacini del Mediterraneo orientale.
Le Egadi, come tutta la costa Siciliana, ne sono state da sempre uno snodo assai importante attirando l’attenzione, prima dei greci e poi dei cartaginesi. Questi ultimi, per ciò che ora dirò, considerarono le coste siciliane – con la complicità di Siracusa - come loro territorio, più che un diffuso e strategico insediamento di colonie, sino a quando i romani non s’accorsero delle enormi potenzialità dell’isola (frumento, olio, vino, pesca). Il conflitto fu inevitabile e proprio alle Egadi si ebbe una delle più importanti battaglie navali della storia. Il 10 marzo 241 a.C. soffiava forte il libeccio. La flotta cartaginese, composta da navi da carico e da combattimento, era appostata a Marettimo (la greca Hierà Nesos) in attesa del momento propizio per puntare su Drepanum (Trapani), sbarcare e portar soccorso al loro generale Amilcare asserragliato sulla rocca di Erice, circondato per terra e mare da imponenti forze romane. Lo storico greco Polibio e, soprattutto, le più recenti scoperte di archeologia subacquea ci offrono ora una cronaca attendibile di quello che successe. Annone, l’ammiraglio cartaginese, visto il buon vento, decise di passare rapidamente lo stretto braccio di mare verso le più prossime spiagge della costa, non sospettando la presenza della potente flotta romana nascosta nei ridossi di Levanzo e Favignana. L’ammiraglio romano, Lutazio Catulo, visto il fianco della flotta nemica, diede l’ordine di partenza immediata. Fu tanto rapida che i marinai non ebbero neppure il tempo di salpare le ancore. Ne tagliarono le cime e fecero vela e remi per intercettare la flotta nemica che stava approssimandosi velocemente. In effetti proprio a Levanzo sono state trovate numerose ancore romane  riconducibili al periodo. Si stavano scontrando due schieramenti, dicono le cronache, composti ciascuno da circa 200 imbarcazioni. I cartaginesi furono presi di sorpresa, soprattutto le navi da carico, lente e ricolme di rifornimenti per Amilcare. Le navi romane, dotate di rostri di bronzo, speronarono ai fianchi quelle cartaginesi creando terrore e disordine. Annone alla fine riuscì a salvare parte della flotta tornando a Marettimo, ma i romani conseguirono una completa vittoria. Da quel giorno la Sicilia fece parte dell’Occidente, della romanità insomma, e non più colonia o territorio di genti provenienti da est o da sud. Al Museo dello Stabilimento Florio sono esposti, a testimonianza, numerosi rostri romani rinvenuti proprio nelle acque del canale di Levanzo. Ultima curiosità. Proprio per finanziare le  Guerre Puniche i romani si sono inventati, per così dire, la dizione “denaro” con l’emissione della moneta “denarius” in argento che ebbe poi corso per oltre 500 anni. Alcuni di questi sono esposti nel bel museo archeologico di Licata.
Lo Stabilimento Florio a Favignana, che alcuni chiamano la fabbrica del tonno, è di assoluto interesse, non solo per quanto già detto, ma principalmente perché tra quelle mura è ben illustrata la vita di tonnara e di quella, direi assai fascinosa e incredibile, dei Florio, della famiglia Florio che sotto il simbolo del Leone che beve alla fonte, fu una delle famiglie industriali più ricche d’Italia a cavallo tra fine ‘800 e inizio ‘900.
Dei tonni ho già detto qualcosa nel report precedente. Qui però è proprio il caso di aggiungere qualche annotazione davvero inaspettata. La tonnara di Favignana, che pare risalga all’epoca greco romana, nell’800 è diventata vera e propria industria. Nel 1891 i Florio, che l’avevano acquisita anni prima intuendone l’affare, presentano all’Esposizione di Palermo la prima scatoletta di tonno ad apertura rapida, dopo che già avevano conquistato il mercato con le prime confezioni in scatole grandi di tonno sott’olio. La quantità di tonno lavorato era enorme. Nell’unico mese di tonnara, maggio, si potevano contare due mattanze al giorno con il massimo pescato totale, a fine periodo, di oltre 14 mila tonni dal peso medio da 250 a 350 Kg.. Oggi la quota autorizzata per l’unica tonnara italiana a Carloforte è di sole 24 tonnellate.
I Florio avevano visto giusto, ma non solo nei tonni. Paolo e Ignazio, i capostipiti di 4 generazioni, si erano trasferiti dalla poverissima campagna di Bagnara Calabra a Palermo ad inizio ‘800. Avevano acquisito il negozio di una piccola “aromateria”, oggi sarebbe un’ erboristeria, che gestirono con oculata competenza. Delle erbe sapevano quasi tutto ed erano provvidi di preziosi consigli per far fronte a qualsiasi malessere. Morto Paolo, Ignazio riuscì persino a mandare il figlio del fratello, Vincenzo, a studiare a Londra e farne diventare un vero uomo d’affari. Di generazione in generazione, nel loro massimo splendore, a inizio ‘900, avevano una flotta di 99 navi sulle rotte interne e per le Americhe, lanciarono la gara automobilistica Targa Florio, erano produttori dei migliori vini e frequentavano la più selezionata nobiltà  europea. Con le due guerre mondiali, e a seguito di investimenti azzardati, la fortuna svaporò e fu la bancarotta. L’I.R.I. salvò le principali attività economiche e l’industriale genovese, Angelo Parodi, acquistò lo stabilimento di Favignana. I Florio sparirono, pur con dignità, dalla scena. La loro storia è ben raccontata nel recente libro “I leoni di Sicilia” che ne narra le vicende sino al disastro economico, ma lascia aperto l’interrogativo sulla sorte degli ultimissimi eredi. Che fine hanno fatto, insomma, i Florio ? Possibile che una famiglia così famosa si sia dissolta nel nulla, visto che le cantine, da noi visitate anni addietro,  esistono tuttora a Marsala? A Trapani abbiamo ritrovato Andrea, e famiglia, con il quale attraversammo l’Oceano Indiano. Pure lui affascinato dal libro e pure lui assai curioso di venir a capo della sorte dei Florio. E ora accade l’incredibile. Arrivati con Eutikia a Sciacca decidiamo di noleggiare una macchina per visitare la Valle dei Templi ad Agrigento. Al ritorno, la signorina dell’autonoleggio ci riaccompagna, per cortesia, al porticciolo assai distante dalla loro sede dove ci avevano consegnato la vettura. Lungo la via ci chiede della nostra visita e la chiacchera si è subito allargata alle bellezze della Sicilia, presenti e passate. Anzi le ho confidato che stavo proprio leggendo il libro sulla vita dei Florio e che ero rimasto assai incuriosito di come la loro storia fosse andata a finire. “Sa cosa le dico” mi guarda con un compiacente sorriso ”il mio fidanzato è un Florio e la sua famiglia sta ancora mangiandosi le mani poiché una loro lontana parente, ignorante e contadina, era stata contattata a suo tempo dal notaio liquidatore e si era rifiutata più volte di proseguire ogni pratica, memore delle dicerie sui disastri economici del suo lontano parentado” Svelato così il mistero, e che coincidenza, da non credere!
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Santa Maria di Leuca, 5-10 ottobre 2019.

2019-10-10

~~Navigazione d’altri tempi, colonie greche e la bellezza.
Navighiamo da giorni lungo le coste italiche del Sud (Sicilia, Calabria e Puglia) sempre da Ovest verso Est, verso le Isole Ionie, con Preveza nostra meta finale dove lasceremo Eutikia a terra per l’inverno.
Non è una navigazione semplicissima poiché i venti di questa fine estate sono in  prevalenza orientali e quindi cerchiamo di evitare fastidiose boline o interminabili tratte a motore. Le previsioni dei modelli meteo sono di aiuto, ma in queste ultime settimane le condizioni generali sono assai variabili e vorrei evitare i pesanti temporali carichi di elettricità. E così, con calma, finestra di bel tempo dopo finestra, ora siamo a Santa Maria di Leuca pronti per il passaggio su Corfù.
L’aspetto, per altro molto positivo, di questa rotta stop and go è l’opportunità di goderci, ancora una volta, le bellezze storiche, artistiche e paesaggistiche della Magna Grecia. Ciò però che più mi sorprende, come premessa, è la nascita di questa cultura e di come il tutto sia avvenuto via mare.
Sin dai tempi protostorici (almeno sin dal tardo neolitico e prima età del bronzo, ovvero dal 2.500 al 1.500 a.C.) ci sono testimonianze archeologiche di intensi scambi commerciali (ossidiana, ambra del Baltico, stagno da Ovest necessario per il bronzo e minerali vari di cui era povera la Grecia, rame da Cipro,  vasellame di diversa provenienza, sigilli egizi, ecc)  tra i bacini mediterranei. Le popolazioni autoctone vivevano in piccoli villaggi isolati e arroccati sulle colline prossime ai fiumi, ma abbastanza lontani dalle coste, sempre più attenti a eventuali passaggi di naviglio d’oltre mare. Era questo composto da prime imbarcazioni di dimensioni assai contenute: non più di 12, 13 metri, con non più di 10 rematori per parte, non pontate e con vela quadra.. Spesso si trattava di singole unità comandate da intraprendenti commercianti che durante le soste giornaliere (non più di 20, 30 miglia al giorno) cercavano di stabilire utili punti  d’appoggio d’intesa con i locali. Nascevano così i primi empori. Grazie ad alcuni esemplari ritrovamenti di archeologia subacquea, a numerose grafie su vasellame e sulle pareti di monumenti egizi (Medinet Habu, battaglia navale contro i Popoli del Mare) e minoici (affresco della flotta ad Akrotiri, Santorini) nonché ad  alcuni testi epici (in primis, l’omerica Iliade, databile all’VIII sec a.C, ma con riferimento alla guerra di Troia del 1.200 a.C circa) è stato possibile avere un’idea almeno accettabile di come potessero essere armate queste imbarcazioni . Quelle omeriche, più tarde, sembrano decisamente di dimensioni maggiori. Dal famoso Catalogo delle Navi (II Libro dell’Iliade) i Beoti, grandi navigatori, arrivarono sulle spiagge di Troia con 50 navi, con ben 120 uomini ciascuna. Sulla costruzione di questi primi navigli e sulla relativa documentazione di ricerca, disponibile anche  on line, ci sarebbe molto da scrivere, magari in una prossima occasione.
Strabone, geografo e storico greco vissuto all’epoca di Cristo, racconta come, curiosamente, una primissima e leggendaria colonia greca sarebbe nata dalle parti di Crotone proprio a seguito della fine della guerra di Troia (1200 a.C). Parte degli Achei durante il ritorno a casa incapparono nei violenti venti etesii (meltemi), per i quali l’Egeo è famoso, e furono spinti verso le coste calabre. Giunti miracolosamente a terra, gli uomini sbarcarono lasciando le donne troiane, bottino di guerra, sole a bordo. Queste, esauste e in odio dei loro padroni, incendiarono le navi e così non restò che fondare un nuovo abitato. Il tutto è ben raccontato nel piccolo, ma molto ricco Museo Archeologico di Crotone. In realtà, con qualche prova archeologica in più e qualche storiella in meno, la vera colonizzazione greca iniziò nel 760 a. C. con la fondazione ad opera dei soliti Beoti di Pithekusa     (Ischia), seguita da Siracusa nel 733 ad opera dei Corinti, di Crotone con gli Achei nel 730 e così via.
Con il consolidamento di queste colonie e soprattutto di Siracusa che, grazie al suo fantastico porto naturale, divenne il centro di riferimento più vitale di tutta la Sicilia, le architetture urbane si arricchirono, via via, di imponenti fortificazioni che proteggevano aree sacre, depositi di viveri e mercanzia, pubblici edifici e palazzi del tiranno di turno. Il territorio, del resto, era assai ricco della triade economica per antonomasia del Mediterraneo: uliveti, anche per l’olio per i lumi, vite e grano.
Colonie molto ricche quindi che ben presto entrarono non solo in conflitto tra di loro, ma pure e, soprattutto, contro la potenza emergente di Cartagine e poi di Roma. Ma questa è pur un’altra storia.
A testimonianza di questo stato di grazia restano oggi, per la delizia dei nostri occhi e della nostra mente, vestigia archeologiche di straordinaria bellezza: maestosi templi in stile dorico, teatri         all’ aperto, ville con mosaici di raro impatto scenografico, sculture di classica armonia, monili d’arte orafa, armi bronzee, insomma le ricchissime raccolte dei più interessanti musei lungo queste coste.
Nel passare in rassegna, teca dopo teca, queste raccolte, accade di riflettere su come il destino mortale degli uomini ci consenta oggi di conoscere come allora era la vita. Sono le tombe infatti che hanno ben conservato tracce parlanti dei defunti, di giovinette e dei loro amuleti e ferma capelli, di giovani eroi con le loro armi bronzee, di olii profumati, di piccoli grandi tesori in monete e tanto altro ancora. Senza quell’aldilà, ben poco sapremmo della loro vita e, quindi, delle nostre radici, della nostra storia.
Per concludere una nota ancora su questa bellezza del tutto unica e che attrae folle (purtroppo) di turisti. Credo che tali realizzazioni monumentali, e pure quelle più semplicemente artigianali, siano frutto di una cultura permeata dalla bellezza stessa dei luoghi, della natura nelle sue forme più semplici o degli spazi terrestri o marini perfettamente complementari. E mi spiego. Che dire del possente tempio della Concordia che domina sul mare dalla Valle dei Templi presso Agrigento, creato sicuramente per colpire lo sguardo attonito del navigante ? O del miracoloso teatro di Taormina che incornicia, profondo spazio scenico, la fumante sagoma dell’Etna che tanto incantò Goethe nel suo Viaggio in Italia? Chi l’ha pensato era sicuramente un dio dell’Olimpo. O ancora, come non ammirare le foglie di vite che in oro formano, avvolte con semplice eleganza, la corona di Hera Lacinia esposta a Crotone ? Credo che il bello, insomma, sia nato proprio da queste parti, tra il mare e il  cielo del nostro Mediterraneo.
“Esistono uomini in grado di edificare, per il piacere dei loro simili, opere come queste ? Gli uomini d’un tempo avevano occhi e anime differenti dai nostri, giacché nelle loro vene, col sangue, scorreva qualcosa che non esiste più: l’amore e la devozione per il bello.” Così scrisse Guy de Mupassant, viaggiatore del Gran Tour in Sicilia, ammirando il Teatro.
Ora siamo a Santa Maria di Leuca, l’estremo lembo d’Italia verso Sud Est, all’entrata di quello che era il Golfo di Venezia. Proprio sulla sommità del Capo svetta l’imponente faro, accanto la Basilica di Santa Maria Finis Terrae, laddove terminavano le vie romane Appia (Brindisi), Francigena del Sud e Leucadense. Al di là dell’orizzonte, verso levante, ci aspetta Corfù, l’antico baluardo veneziano a difesa del Golfo.


Marcon 22 novembre 2019

2019-11-07

In autunno un po'di sole e mare non guasta.


Da Santa Maria di Leuca a Preveza, 6 – 22 ottobre 2019.

2019-11-10

 "e spesso sul mare canuto tra ricci di schiuma, implorando il dolcissimo ritorno"                                                                                                                                                           Archiloco (lirico greco da Paro, 630 a.C)

Ionie, dove una natura incantata ha incontrato la Storia.

Oltre quella linea d’orizzonte c’è la Grecia. L’ultima volta fu 14 anni fa, prima di partire per il giro del mondo. Ora ci torniamo. E’come fare un tuffo nel passato, speriamo che il presente non ci deluda e ci accompagni ancora in nuove attese ed emozionanti avventure. Eutikia scivola svelta tra onde dolci e spumeggianti in una radiosa giornata di sole autunnale. La bolina è larga, finalmente una brezza favorevole dopo alcuni giorni passati a Santa Maria di Leuca in attesa che i venti orientali scemassero e ci lasciassero far rotta diretta verso Est, per Fanò (Othoni). Arriviamo all’ancoraggio giusto in tempo per gustarci un bel bagnetto. L’acqua è frizzante, limpida, l’ancora luccica sul fondale di sabbia chiara. Quando gli ultimi raggi di sole si spengono, ecco che selene appare già alta sull’orizzonte. Notte di luna piena, argento vivo che si specchia tremolando nella piccola insenatura e abbraccia coccolando Eutikia. Chissà, forse lo stesso incanto che immagò Ulisse tra le braccia di Calipso sulle spiagge della mitica Ogigia che alcuni identificano proprio con questa prima isola delle Ionie.

Dietro l’angolo, a poche miglia, l’accogliente Corfù. Ci fermiamo nel marina di Gouvia per due pratiche importanti. Prima cosa, visita agli uffici dell’Autorità Portuale. Da quest’anno la procedura d’entrata è piuttosto complessa: tutto on line seguendo una sequenza affatto chiara. Ma alla fine le carte sono pronte. Mi presento un po’perplesso, ma tutto fila liscio e mi danno il permesso di navigazione. Siamo in Grecia…quasi. In serata la seconda pratica, però molto più piacevole. Cerchiamo, e troviamo, tra le stradine del paesetto prossimo al marina, quella taverna che ci accolse quando arrivammo a Corfù per la prima volta, qualche decennio fa, e che poi non mancammo di visitare ad ogni successiva occasione. Entriamo da “ Georgios “, tutto come allora, nonostante la stagione ormai agli sgoccioli. Ci servono un fumante moussaka, un arrosto di agnello e kokkino krasì, il vino rosso della casa. Ora siamo davvero ritornati in Grecia.

Il giorno dopo visita al centro storico. E’ sempre piacevole perdersi lungo le sue calli, quasi fossimo a Venezia, curiosare tra le vetrine, i caffè e sbucare, alla fine, nella vasta, verdeggiante spianada, proprio di fronte all’emblema di Corfù: la fortezza veneziana. Qui davvero è passata la storia. E sembra proprio volerlo ricordare il sorriso beffardo e sicuro di sé di Johann Matthias von der Schulenburg. La sua statua si erge stentorea proprio di fronte all’entrata del forte, quasi a voler dire al turco, qui non si entra.

Era l’agosto del 1716 e la flotta ottomana, dopo aver ripreso, una ad una, tutte le piazzeforti veneziane riconquistate pochi anni prima da Francesco Morosini, era saldamente ancorata nei pressi delle mura nonostante i numerosi tentativi di rompere l’assedio da parte della flotta veneziana, scarsamente rinforzata da qualche naviglio alleato. La Serenissima, messa alle strette, di fronte al rischio imminente di trovarsi la Sublime Porta pronta a risalire il golfo, decise, per la prima volta nella sua storia, di dare il comando supremo, di mare e di terra, a un non veneziano, allo Schulenburg, condottiero sassone, ben famoso in Europa per le sue capacità. I Capitani da mar  mandati a fermare la flotta turca non avevano certo fatto bella figura e avevano quasi sempre abbandonato le posizioni ritirandosi verso la costa occidentale del Peloponneso. Erano dunque stati privati della libertà e sostituiti. Gli stessi greci non avevano dato adeguato sostegno, anche per la politica accentratrice veneziana degli ultimi anni. Neppure i bellicosi Manioti avevano imbracciato le armi, pur loro che avevano sempre violentemente combattuto il turco per mare e per terra dalle loro torri che svettano ancor oggi sulla penisola del Mani a Nord di Capo Tenaro (Malea). Non restò che trattare un’alleanza con l’imperatore asburgico Carlo VI, non gradita per i difficili storici rapporti per il controllo dell’Adriatico e non solo, ma ora di vitale importanza.

Le forze in campo erano sproporzionate a favore dei turchi: 30 mila giannizzeri contro 7 mila difensori (in gran parte dalmati, veneti e mercenari tedeschi), ben asserragliati all’interno della poderosa fortezza. L’assedio procedeva con alterni momenti di scoramento e di esaltazione tra attacchi forsennati alle mura e sortite con gravi perdite.

L’8 agosto giunse la notizia della vittoria campale degli asburgo a Petervaradino e il  turco, preso tra due fuochi, incominciò ad essere non più così baldanzoso. Tra il 19 e il 20 si decise tutto. I veneziani tentarono una sortita verso il colle che dominava la fortezza per farvi sloggiare le batterie che da lì martellavano le mura, ma dovettero poi ritirarsi con il favore delle tenebre. Il mattino successivo i giannizzeri contrattaccarono convinti, questa volta, di farla finita. Trovarono invece uno Schulenburg scatenato che, preso personalmente il comando della prima linea, rigettò l’attacco e li mise in rotta. Le cronache, nell’esaltare il comportamento eroico degli assediati, registrano 1.200 turchi uccisi e 300 difensori.  Il giorno dopo si aggiunse una violentissima tempesta che sconvolse, con ulteriori distruzioni e perdite, i quartieri turchi. Il 21 agosto i turchi tolsero l’assedio e se ne andarono. A Venezia la notizia fu accolta con enorme sollievo e grandi festeggiamenti di popolo tra campi e campielli. La colonna sonora era quella dil Vivaldi, il Prete Rosso, che immortalò l’evento con l’oratorio Juditha triumphans devicta Holofernis barbarie.

 https://www.youtube.com/watch?v=DG0BqZLtvrU

Lasciata Corfù, la bella, ci fermiamo a Paxos, nella turchese  cristallina baia di Lakka. La natura ha davvero benedetto queste isole, verdeggianti di pini e con frastagliate, idilliache e ben protette insenature. Il turismo nautico non chiedeva di meglio e, da diversi anni ormai, sono prese letteralmente d’assalto. Purtroppo  la quantità mal si concilia, come sempre, con la qualità. A Gouvia ho visto un operatore di una nota compagnia charter spiegare a un tizio, sicuramente albione, come si annodava un’ elementare gassa. Ebbene, erano in un bel gruppo, tutti comodamente seduti, con le loro birre, a poppa di un catamarano a motore di una quindicina di metri. Stava spigando  l’essenziale, ma mi domando se prima di firmare il contratto non avesse chiesto loro almeno un’abilitazione al comando. Poi te li trovi all’ancoraggio pochi metri sopra vento con niente di catena, come se fossero parcheggiati con un camper in baia.

Ma lasciamo perdere. L’ottobrata è splendida come non mai. Cielo terso da giorni, sole caldo, brezza pomeridiana e ultimi sguazzi. Un vero relax, anche perché siamo prossimi alla meta. Dal Cleopatra Marina di Preveza ci confermano l’ormeggio per alcuni giorni prima dell’alaggio. Abbiamo già preparato la solita lunga lista di lavori prima di lasciare Eutikia per l’inverno.

Ormai siamo prossimi alla costa ove un largo canale, ben segnato, conduce dritto all’entrata del porto di Preveza, anzi – mi piace di più l’idea – di Aktion. Chi non ricorda la grande battaglia navale di Azio tra le flotte, entrambe romane, di Antonio con la greca Cleopatra, ultima discendente dei Tolomei, e Ottaviano? Il profilo della costa, l’atmosfera di fine estate, il bagliore del mare, nulla è cambiato. Esattamente 2.050 anni fa, il 2 settembre del 31°a.C. qui si decisero le sorti dell’Occidente. Entrando lentamente a favore di corrente, quasi in bilancia, l’immaginazione vola a quella giornata, probabilmente del tutto simile a queste: ben 400 navi e 80 mila combattenti per parte. Il meglio della gioventù romana e di quella alleata, presente nei due schieramenti e pur divisa. Vinse Ottaviano e diventò Augusto, il più grande degli imperatori. Ma soprattutto per la prima volta nella storia l’asse delle forze in gioco nel bacino del Mediterraneo si spostò decisamente verso Occidente, con Roma baricentrica. Se avesse vinto Antonio l’Oriente, con Alessandria e Cartagine, avrebbe sicuramente avuto tutt’altro peso. Ma ne riparleremo con una scheda dedicata in un nuovo libro in cantiere sui nostri peripli egei. Del resto, e per concludere, l’eroica resistenza a Corfù e la battaglia navale di Azio hanno in comune, a voler leggere i corsi e ricorsi della storia, questo continuo confronto tra Oriente e Occidente, certo non sopito pure nell’attuale epoca della globalizzazione.

Per ora è tutto. Eutikia si gode un meritato riposo in buona e numerosa compagnia, ben 1.500 barche sistemate in buon ordine a terra ! E noi stiamo già pensando al prossimo miglio.


MAERNE,28 novembre, giovedì, ore 18.30

2019-11-25

Nuova presentazione del libro Eutikia, Una Vela sugli Oceani. Se può interessare a qualcuno in loco sarà un vero piacere vederci , scambiare opinioni, e condividere quelle emozioni che il mare sa dare.


Alla Lega Navale di Padova 6 Febbraio ore 20.30

2020-01-27

Ancora un incontro con gli appassionati dell'avventura e di quelle emozioni che solo la vela degli oceani fa vivere tra sogno e realtà. Magari a chi è in zona può interessare. Buon Vento !


NOSTOS. Venezia – Preveza 1-2 luglio 2020.

2020-07-07

NOSTOS.  Venezia – Preveza 1-2 luglio 2020.

…un giro del mondo a 83 anni.

Nostos, viaggio in greco, è quello del nostro oggi, un ritornare più che a luoghi ben noti, a qualcosa che va ben oltre l’arrivo ad un punto, ad una meta. Perché questa citazione dal sapore classico? Semplicemente perché da sempre nella nostra cultura di mediterranei il viaggio è tale perché è per mare. Dai tempi ai confini della storia, dal ritorno degli eroi dalla guerra di Troia, gli epici Nostoi appunto, il viaggio ha assunto un significato coinvolgente, tutto da scoprire. Non si torna mai uguali a come eravamo prima della partenza. A scuola, non a caso, le tribolate avventure di Ulisse ci sono state insegnate per rappresentarci difficoltà da superare, tentazioni da evitare, amicizie da coltivare, e potrei continuare nell’incorniciare quei valori che sono eredità diretta del nostro più remoto passato, delle nostre radici. Ognuno di noi ha la sua Odissea, piccola o grande che sia.

Quello che vorrei dire, scrutando l’orizzonte del nostro Adriatico dalla tolda di un fastferry   partito da Venezia, è che stiamo ritornando in Grecia esattamente come ci accadde più di 40 anni fa per la prima volta: per mare e in nave. In allora partimmo alla sua scoperta ancor assai giovani, e ansiosi per le prime, temute veleggiate in Egeo. Oggi, questo viaggio, a parte i miei capelli bianchi, ha aspettative che in allora erano appena in nuce, e continua alla riscoperta di coste, isole ed approdi che avranno molto di nuovo da raccontarci semplicemente perché la curiosità avrà altre motivazioni e lo sguardo più educato ad osservare e a ricercare spunti e nuovi contenuti per queste pagine. La nostra rotta è già immaginata, tra passati e nuovi giorni. Vedremo dove Eutikia ci porterà.

Mi trovo a vagheggiare tra questi pensieri in libertà,  mentre Asterion, il nostro fastferry, sta doppiando a 21 nodi , pochini per un fast, Capo Linguetta e sta puntando dritto verso il  canale che divide Corfù dalla costa. Cielo azzurro e mare blu, leggero nord est. Osservo gli altri passeggeri sparpagliati sul ponte. Molti, anche non più giovani, hanno bivaccato e dormito all’aperto distesi su sacchi a pelo o all’interno di micro tende da campeggio. Ieri pomeriggio un pope, con il consueto abito nero e barbona mal curata e svolazzante al vento, osservava la scena con occhi chiari e cisposi che lasciavano comunque intuire una certa ieratica distanza. Come dargli torto. A bordo regna il disordine, nessuno rispetta le distanze e pochi hanno le mascherine. Nel salone centrale, presentato nelle fotografie dell’armatore Anek, come la parte più accogliente e moderna del nuovo arredo della nave con tanto di piano bar, è stato trasformato in campeggio dormitorio con varia umanità sparsa ovunque sui lunghi divani, allungando fetidi piedi tra una poltrona e l’altra, o a terra sulla moquette. L’unica cosa in comune l’immancabile smartphone. All’esterno i cani e i gatti non si contano e contendono ai padroni un po’d’ombra. Un ragazzino albione gira con una gabbietta con due pappagalli. Mi vien da pensare che nelle galere veneziane, stracariche di pellegrini traghettati in Terra Santa, la scena fosse del tutto simile, tranne che per lo smartphone, naturalmente. Però eravamo diversi secoli fa. Nulla è cambiato.

Alle 14.30, in arrivo, siamo invitati per telefono a raggiungere la macchina al livello garage sottostante. Ci presentiamo, quasi per primi, all’ascensore. Un vecchietto italiano, che se la cava con il tedesco e l’inglese, ci sconsiglia di usare l’ascensore. E’bloccato. Dice che prima dobbiamo aspettare che il traghetto si ormeggi e poi sarà riattivato. Resto nel dubbio, ci hanno pur detto di scendere e così decido di entrare e di chiudere alle nostre spalle l’ascensore. Pare che non succeda nulla e restiamo chiusi dentro. Non soffro di claustrofobia, ma meglio uscire. Provo a premere l’apertura e voilà… il vecchietto ci sorride “…ve l’avevo detto!” E’ davvero simpatico, ora parla con tutti e da istruzioni anche in greco. Gli domando come mai parla così bene anche il greco “ sono molti anni che vengo qui, …vivo in barca”. “Pure noi”, rispondo, “sono molti anni che veniamo con la barca in Grecia, ora ci siamo di ritorno dopo un bel giro del mondo…”  non finisco la frase che “…il mio più grande sogno ! Quest’anno partirò verso la Spagna e poi per il giro, mi sto organizzando !” Gli chiedo così che barca abbia. Mi dice che è una di quelle moderne, veloci, un…27 piedi ! Credo di non aver capito, ma mi conferma: sono circa 9 metri. La cosa davvero mi incuriosisce. Mi viene spontaneo chiedergli l’età. “Sono 83, no problem…” Resto stupefatto. Cerco di fargli capire che forse non sarebbe il caso. Mi guarda fisso da sopra la mascherina con occhi brillanti e..” non vorrà che io debba morire dove vogliono i miei figli, voglio morire dove voglio io, e partirò! “ In quel mentre l’ascensore inizia a funzionare e la gente s’accalca, facciamo appena in tempo a salutarci, ci sorride “…le scriverò, le scriverò, voglio sapere…” e via tra la folla. Quando la vita é sempre un bicchiere mezzo pieno. Che ancora molte siano le miglia lasciate di poppa e pure quelle davanti alla prua.


Leucade 15 luglio 20120.Tra scrittori, poeti e musicisti: libertà.

2020-07-17

Leucade 15 luglio 2020. Tra scrittori, poeti e  musicisti: libertà.

Tornati finalmente in acqua, dopo una decina di giorni di lavori sotto al sol leone per mettere in ordine Eutikia, passiamo lentamente sotto le mura del Forte di Santa Maura e ci infiliamo nello stretto canale tra la costa e l’isola di Leucade, verso Sud. Abbiamo aspettato più di un’ora che gli addetti si decidessero ad aprire il passaggio. Da una parte e dall’altra la fila delle barche in attesa del transito s’era ingrossata ed ormai la decisione per l’apertura non poteva esser ulteriormente rinviata. Ora ad attendere doveva esser il traffico terrestre, sempre intenso tra le due sponde.

Passare sotto le possenti mura di questa fortezza è sempre, almeno per me, assai emozionante. Quei bastioni hanno quasi sette secoli di storia da raccontare. La posizione è decisamente strategica poiché garantisce il controllo all’accesso di quello che fu il Golfo di Venezia, il Mare Adriatico. Il primo presidio fu posto dai Franchi nel 1362, poi vi si insediarono gli Ottomani (1477-1684), in fine i Veneziani sino al 1797. Fu allora che Santa Maura raggiunse il suo massimo con l’arrivo di molti rifugiati da Candia e dalla Morea. La cittadella, ben organizzata con un piano urbanistico assai funzionale, fu difesa da potenti batterie di cannoni fusi nel bergamasco. Con l’uscita di scena di Venezia, arrivarono i Francesi, i Russi e pure gli Inglesi. Poi finalmente passò, con la libertà, ai Greci.

Per noi, ora, è semplicemente l’inizio di una nuova stagione di vela. Ma per dirla come si espresse l’ulisside, come Gabriele D’Annunzio amava definirsi, “Siamo finalmente nel mare classico. Grandi fantasmi omerici si levano da ogni parte”

Proseguiamo verso l’uscita del canale, passando davanti ad un moderno Marina (di proprietà turca, la storia si ripete !) e facciamo nuovi incontri.

Sto perigiali to kryfo: su una spiaggia segreta tra passione e libertà.

“Quando mi svegliai e salii sul ponte, la nave stava scivolando per uno stretto angusto: ai due lati basse colline spoglie, morbidi poggi cosparsi di viole, di proporzioni così intime e umane da far piangere di gioia. Il sole era quasi allo zenit, la luce intensa abbagliava. Era come svegliarsi e trovarsi vivi in un sogno….C’era qualcosa di prodigioso nell’immediatezza luminosa di quelle due sponde colorate di viola…Era più che un’atmosfera greca: era poetica e di nessun tempo o luogo noto all’uomo. La nave era il solo legame con realtà”.

 Questa è la voce di Henry Miller che ci accompagna mentre la prua solca quello specchio di mare che si raccoglie a levante di Leucade tra le spiagge di Nidri , di Perigiali e l’isolotto di Sparti, infilandosi nel cuore delle Isole Ionie. Lo scrittore, americano e digiuno consapevole d’ogni rudimento classico, dopo aver passato giorni d’una sorprendente bellezza a Corfù in compagnia di un’ altrettanto fortunato e straordinario gruppo d’amici ”…i giorni passavano come una canzone. Ogni tanto scrivevo una lettera o provavo a dipingere un acquerello”, deve imbarcarsi per raggiungere Atene. Stava scoppiando la Seconda Guerra Mondiale. Le Isole Ionie erano troppo vicine all’Italia e da Atene sarebbe stato, forse, meno complicato intraprendere le attese visite alla grecità e, comunque, ancor più semplice trovarvi un imbarco in caso gli eventi fossero precipitati. Ha così tutto il tempo per nuovi incontri e per visite che l’avvincono nel profondo. Sentiamo: “Qui tutto parla,oggi come secoli fa, di illuminazione, di un’accecante, gioiosa illuminazione. La luce acquista una qualità trascendentale: non è solo la luce del Mediterraneo, è qualcosa di più, qualcosa di insondabile, qualcosa di sacro. Qui la luce penetra direttamente nell’anima, apre le porte e le finestre del cuore, sei nudo, esposto, isolato in una beatitudine metafisica che rende tutto chiaro senza che sia conosciuto”.                                                                                                           Come se non bastasse gli viene presentato Ghiorgos Seferis (1900-1971), primo poeta della Grecia moderna a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura nel 1963, seguito da Odisseas Elytis, che incontreremo più avanti lungo la nostra rotta, nel 1979. Miller trova in Seferis una guida spirituale per meglio intendere ciò che i suoi sentimenti vedevano, oltre lo sguardo, oltre il primo colpo d’occhio. “L’uomo che ha colto questo spirito di eternità presente ovunque in Grecia, che lo ha inciso nelle sue poesie, è Ghiorgos Seferiadis, pseudonimo Seferis. Conosco la sua opera solo in traduzione, ma anche se non avessi mai letto le sue poesie direi che questo è l’uomo destinato a trasmettere la fiamma”.                                                                                                                 Ora però fermiamoci quel tanto che basta lungo la nostra rotta, anche perché questi sono ancoraggi di una mitica bellezza, per incontrare un altro personaggio di questo racconto, cardine di una straordinaria valenza nella storia, non solo musicale, della Grecia moderna: Mikis Theodorakis, nato a Chio nel 1925, passata la primissima giovinezza a Tripoli di Arcadia – che aveva forgiato importanti personalità nel corso della rivoluzione contro la Sublime Porta - , entra nella resistenza contro l’occupazione tedesca e finisce in carcere. A seguito della successiva guerra civile (1946-1949) è nuovamente rinchiuso nei campi di concentramento. Tornato in libertà nel 1950 completa gli studi musicali,  inizia a comporre testi di musica classica, riprendendo e rivisitando temi tradizionali, e fonda pure un’orchestra sinfonica che conduce all’estero in turnè che lo portano alla ribalta come nuovo artefice della musicalità greca. Proprio in quegli anni la Grecia, afflitta da grande povertà dopo i disastri bellici,  stava cercando di riprendersi in un contesto di speranze e di grandi travagli politici interni. Da parte sua sente il desiderio, la necessità di arricchire il rinnovamento musicale e artistico che stava prendendo forma in un contesto culturale soffocato da una monarchia autoritaria e da troppi interessi economici e politici di parte. Si rivolge così nel 1960, dopo le prime coinvolgenti esperienze con il poeta Ghiannis Ritsos (1909-1990) già suo compagno di prigionia,  a Ghiorgos Seferis. Ne nasce una perfetta sintesi, una comunanza di amorosi sensi: da una parte la luce delle isole riflessa nel mito più arcaico dei valori vitali delle origini della poesia stessa, e dall’altra un interprete con il destino di musicarne lo spirito essenziale,  per rivitalizzarlo ed attualizzarlo con stilemi subito compresi dalla sua gente che accorre entusiasta ai concerti e che canta, suona nelle taverne e nei circoli musicali di tutto il Paese. 

Seferis, molti anni prima, a cavallo delle due guerre, aveva già composto diverse liriche, tra queste decidono di musicarne una davvero speciale, quella che diventerà l’inno alla libertà, l’inesauribile canto contro la dittatura dei colonnelli:

Sto perigiali to krifo.

Su una spiaggia segreta

bianca come una colomba

morivamo di sete

ma l’acqua era salata

sulla spiaggia dorata

scrivemmo il suo nome (*)

ma venne bella la brezza

dal mare e cancellò le parole

con quale cuore, quale animo

quale desiderio e quale passione

afferrammo la nostra vita:

un errore ! Così cambiammo la nostra vita.

(*) la libertà

https://www.youtube.com/watch?v=SoGdeg2K81c  

Seferis, non solo poeta, ma diplomatico affermato di lungo corso, aveva osservato in gioventù la diaspora dei greci dalla costa anatolica e da Smirne, sua città natale, incendiata e massacrata dai turchi (settembre 1922). Aveva toccato con mano le democrazie europee (soprattutto con lunghi soggiorni a Parigi e Londra) e il confronto con la situazione in patria gli era del tutto sconfortante. Ora con il rivoluzionario Theodorakis poteva esprimere alto il suo pensiero, poetico e politico, in anni di crisi ma anche di rinnovata speranza. Purtroppo non andò così. Nel 1967 con un colpo di stato la Giunta dei colonnelli prese il potere. Seferis andò in esilio volontario e Theodorakis, ancora in carcere e poi al confino, si salvò solo perché sostenuto dall’intera opinione pubblica europea. Le sue musiche sono bandite, ma durante la segregazione compone altre canzoni e i suoi motivi echeggiano, mal sopportati dai militari, nei circoli privati e nelle taverne delle isole e della Plaka, mantenendo viva la fiamma della resistenza. Nel 1971 Seferis muore, ma quella fiamma non si spense, e ai suoi funerali una folla immensa ferma il centro di Atene e intona Sto perigiali to grifo. Theodorakis e la Grecia tornarono in libertà con la caduta della Giunta nel 1974.                                                                                                                                                  La lettura del testo poetico della canzone, anche in relazione ai moltissimi commenti apparsi da allora, ci suggerisce alcune considerazioni per meglio comprenderne il significato. E’del tutto evidente, per esempio, che il riferimento a quella spiaggia, Perigiali, sia semplicemente un pretesto, anche mio per l’esordio a questo racconto. Potrebbe essere una spiaggia qualunque, o semplicemente l’idea stessa di spiaggia, l’immagina  che ognuno di noi potrebbe aver fissato nel ricordo di un’emozione lontana. Quello che conta sono quelle parole spazzate dal vento. Nessuno sa con precisione a cosa pensasse Seferis quando compose quei versi in tempi così lontani (1931). L’intonazione è sicuramente quella di un intenso pathos emotivo, di un canto d’amore. Per certo divenne subito un canto d’amore per quegli ideali smarriti che solo una forte passione collettiva poteva tener vivi. Non di meno, quei versi non furono scritti sulla sabbia ma sul marmo pentelico, il più prezioso e lucido utilizzato per i templi arcaici. E ancora. Lo stesso significato di alcune parole, e quindi di quello di alcuni versi, non sempre è stato interpretato in modo univoco. La stessa parola greca, nelle sue antichissime origini, si presta a una lettura con diverse sfumature, spesso legate al contesto. Ma la pura sostanza del messaggio non cambia per certo, allora come oggi.

La traduzione riportata - ma ve ne sono diverse - è quella tratta dal testo della canzone interpretata da Maria Farantouri.  La cantante è stata sin dagli inizi, appena ventenne, la grande voce di Theodorakis; ne ha seguito le sorti e subìto la repressione poliziesca. Proprio questa canzone è diventata la colonna sonora di molti romanticismi, soprattutto per chi nell’oggi, non conoscendone il testo e il relativo autentico significato, si fa trasportare dalla sua struggente dolcezza. Non si dimentichi tuttavia che questo forte pathos emotivo è stato messo a disposizione del collettivo desiderio di libera espressione in qualsiasi contesto di vita politica.

E ora a Itaca !


ITACA, 19 luglio 2020.

2020-07-24

ITACA, 19 luglio 2020.

L’isola che ognuno ha con sé.

 Chi era il Capitano A.L. Mansell ? Molti di noi velisti avranno avuto sotto i loro occhi, senza averne contezza, il suo nome ben scritto a chiare lettere sulle Carte Nautiche dell’Ammiragliato Britannico delle Isole Ionie. A bordo del H.M.S. “Hydra” iniziò a mappare queste coste nel 1864-5, magari avendo come base proprio Santa Maura che in allora era ancora sotto il controllo inglese. Dico questo poiché ci siamo divertiti a riprendere vecchie carte, lasciate in un rotolo perso a bordo di Eutikia. L’ultima edizione che ho tra le mani è del 1970, anche se per la prima volta arrivammo a Itaca nei primi anni ’80. Oggi con la cartografia e la georeferenziazione (GPS) elettronica queste carte hanno solo un sapore romantico, magari con ancora qualche rotta tracciata con squadrette e matita e qualche punto stimato.

Comunque sempre di un viaggio ritorno si tratta e le coincidenze non sono finite ! Vediamo perché. Arrivati a Itaca, Porto Vathi, ci siamo ancorati di fronte al bel paesotto poiché il molo era al gran completo e il forte maestrale al traverso non invogliava certo manovre piuttosto rischiose per infilarci tra barca e barca. Molto meglio alla fonda. Il maestralone però ha fischiato tutta la notte e, come dice la ben nota guida nautica inglese, il porticciolo può diventare very uncomfortable ! E infatti, notte quasi insonne. Al mattino, intravedo in banchina lo spazio sufficiente per un ormeggio all’inglese, di fianco al molo. Non si potrebbe, ma è domenica, nessuno in giro e dobbiamo solo far provviste e passare una notte. In breve, decidiamo di accostare e detto fatto, senza problemi. Finiamo l’ormeggio, mi giro e osservo curioso le casette, antiche, proprio a due passi dal nostro fianco e…su un cancello d’ingresso ecco ancora quella parola già incontrata “ NOSTOS ”…il ritorno. Sarà un caso, ma mi fa piacere pensare che ci sia un po’ di destino... come in questa fantastica poesia di Kostantinos Kavafis (1863-1933)

ITACA

Quando ti metterai in viaggio per Itaca

devi augurarti che la strada sia lunga,

fertile in avventure e in esperienze.

I Lestrigoni e i Ciclopi

o la furia di Nettuno non temere,

non sarà questo il genere di incontri

se il pensiero resta alto e un sentimento

fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.

In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,

ne' nell'irato Nettuno incapperai

se non li porti dentro

se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.

Che i “mattini d'estate siano tanti”

quando nei porti - finalmente e con che gioia -

toccherai terra tu per la prima volta:

negli empori fenici indugia e acquista

madreperle coralli ebano e ambre

tutta merce fina, anche profumi

penetranti d'ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,

va in molte città egizie

impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -

raggiungerla sia il pensiero costante.

Soprattutto, non affrettare il viaggio;

fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio

metta piede sull'isola, tu, ricco

dei tesori accumulati per strada

senza aspettarti ricchezze da Itaca.

Itaca ti ha dato il bel viaggio,

senza di lei mai ti saresti messo

sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.

Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso

già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

A voi il gusto della rilettura.


Modone, 28 luglio 2020. Una lunga storia in un quadro.

2020-08-13

Modone, 28 luglio 2020. Una lunga storia in un quadro.

 Esattamente 520 anni fa, il 9 agosto 1500, i 7 mila veneziani di Modone dovettero soccombere di fronte allo strapotere dei turchi (si narra che fossero ben 100 mila armati) che, al comando del sultano Bayazet, avevano circondato la fortezza che per ben 300 anni era stata sicuro approdo lungo la via dei pellegrini verso la Terra Santa e dei commerci con il Levante.

La difesa era stata strenua, ma alla fine una maldestra azione, che  portò al salvamento di tre galere, mise in ulteriore pericolo gli ultimi difensori che furono travolti e massacrati. Il patrizio rettore del forte, Marco Gabriel, ritenuto pure colpevole di codardia, fu imprigionato e decapitato a Costantinopoli. La famiglia cercò di riabilitarne il nome affidando a Vittore Carpaccio, pittore allora di gran moda a Venezia, il suo ritratto in armi.

L’ancoraggio di fronte alle mura, davvero molto suggestivo e protetto, lascia tutto il tempo per approfondire con buone letture la lunga e avvincente storia dell’approdo: dalle primissime citazioni omeriche sino ai giorni dell’Indipendenza greca dopo la battaglia navale di Navarino (1827), che da qui dista solo 9 miglia, con la definitiva sconfitta della Sublime Porta


Peloponneso, Porto Kaio, 1 agosto 2020.

2020-08-17

Peloponneso, Porto Kaio, 1 agosto 2020.

Un maniota veneziano

Mentre seguiamo le viuzze di Vathia, strette tra le alte pareti delle sue torri medioevali, incontriamo Georgios. In giro non c’è nessuno, le torri molte cadenti, alcune restaurate, un silenzio profondo, solo l’onnipresente frinire delle cicale. Immagini di poter incontrare un antico abitante di questi turriti villaggi, un nikiliano, come ancor oggi con orgoglio amano appellarsi, e invece ecco un ragazzone, ricoperto di polvere calcinata, tutto impegnato a realizzare un impianto elettrico, un installatore elettricista. Sta ricavando alcune canalette su muri di pietre che hanno secoli di vita e una straordinaria storia da raccontare. Lo salutiamo e subito, in inglese, ci chiede, con un’aria davvero simpatica, da dove veniamo. “From Venetia” e aggiungo che siamo con la barca a Porto Kaio (estremo sud della penisola del Mani). Il suo viso diventa radioso “…pure io sono da Venetia, la mia famiglia si trasferì qui cinquecento anni fa ! “.

E già, in allora le galere veneziane passavano in gran numero sotto questi capi, sia in pace che in guerra con il turco e i manioti nikiliani, di spirito libero discendenti dagli antichi spartani e dai franchi, difendevano con ferocia la loro indipendenza.

Georgios mi racconta che ha imparato il mestiere di elettricista in Australia e così gli chiedo, per pura curiosità, dove precisamente. “ A Darwin, 5 anni fa “ Altra incredibile coincidenza, proprio in quel periodo pure noi eravamo a Darwin con Eutikia !

Descrivere il Mani in poche parole è un’impresa difficile. Ecco una sintesi perfetta tratta dal libro Mani del grande viaggiatore e scrittore inglese Patrick Leigh Fermor (1915 - 2011), la cui vita non è da meno di quella dei Manioti. https://it.wikipedia.org/wiki/Patrick_Leigh_Fermor

  “Un subisso di brulli picchi grigi si ergevano precipiti da gole tortuose ad altezza pari o superiore alla nostra; inclinati ad angoli pazzeschi, cadevano così a strapiombo che era impossibile vedere cosa c’era, un mondo più in basso, in fondo al canyon immediatamente sotto di noi…le montagne parevano dure come l’acciaio. Era un luogo morto,astrale, un habitat da draghi… La luce a picco senz’ombra, si riverberava dalla pietra con un bagliore metallico, e tutto il paesaggio era come percorso da un brivido continuo, tremolando ed ondeggiando nella feroce vampa pomeridiana.. Il solo barlume di salvezza appariva lontano, a sud ovest: dove attraverso una fenditura nella prigione dei monti luccicava un pallido e caliginoso spicchio di Ionio….Quelle cime spoglie, secondo Omero,erano la dimora di Artemide e di tre ninfe dal piede caprino, che trascinavano il viaggiatore solitario in una danza campestre conducendolo ignaro verso il precipizio…All’improvviso un’altra meraviglia venne ad accrescere il nostro benessere: un alito fresco di vento. E’ questa una benedizione di rado assente nel Peloponneso di mezza estate”


Despotiko, AntiParos, 9 agosto 2020.

2020-08-21

Despotiko, AntiParos, 9 agosto 2020.

Despotiko, la nuova Delos ?

Nel 490 a.C. i Persiani di Dario passarono per Paros con una flotta di 300 navi. Erano in rotta verso Atene con intenzioni tutt’altro che amichevoli. Gli abitanti dell’isola, già allora ricca e famosa per via delle cave del marmo, brillante e morbido, si trovarono nella scomoda situazione di dover aderire alla richiesta di Dario di dare un contributo in navi e combattenti. E così, obtorto collo, tre loro navi si accodarono alla flotta di occupazione. A Maratona però Miliziade sconfisse gli aggressori ed Atene mandò lo stesso Milziade a punire i Parioti traditori. Dopo mesi di assedio Paros non cedette e Milziade per vendicarsi si diresse verso la vicinissima isola di Despotiko con l’intenzione di radere al suolo l’indifeso tempio di Apollo e tutta l’area sacra a lui dedicata, il luogo più prezioso e prestigioso al centro delle Cicladi. In effetti la sua ubicazione era assai più favorevole di quella di Delos sia per l’intrecciarsi delle rotte mediterranee che per la sicurezza garantita da un bacino protetto da tutti i venti, particolare assai raro in Egeo, e di cui continuano a beneficiarne pure i velisti dell’oggi.

Compiuto il misfatto, Milziade, tornato ad Atene, fu rimproverato non solo per non aver punito Paros, ma soprattutto per aver commesso un atto sacrilego contro Apollo, divinità principe nel panteon greco. Fu di fatto bandito e morì poco dopo.

Da allora si perse ogni notizia su Despotiko. Da oltre vent’anni (1996), però, l’archeologo Yannos Kourayos si sta adoperando per riportare alla luce, con pazienza e competenza, la sua storia. Queste pietre che a noi tutti, il più delle volte, lasciano una prima impressione di abbandono e desolazione hanno invece molto da dire a chi le sa ascoltare. Hanno ancora l’impronta di coloro che per secoli le hanno frequentate. Despotiko è un caso esemplare della ricerca archeologica nella nostra contemporaneità.

https://www.youtube.com/watch?v=k-RKBsArEPs Breve video panoramico sulla storia del sito archeologico con intervista a Y.Kourayos.


Kalimnos, Emporio 14 agosto 2020.

2020-11-09

Uomini cicala. ( allegato al post video della cicala canterina)

Una giornata intensa aveva aiutato ipnos a farmi sprofondare nel primo, profondo sonno. Eutikia, presa per il naso, brandeggiava sotto le violente raffiche che piombavano su di noi dalle alte montagne che circondavano ad anfiteatro la baia di Emporio, a Kalimnos. D’improvviso, tra sogno e realtà, un’insistente musica s’infilò in cuccetta. E pur la riconoscevo. Laggiù in taverna, dalla vicina sponda, un concertino improvvisato di bouzuki e lyra rompeva il fischiare del vento. Nell’oscurità più profonda, solo la fila delle lanterne della taverna. La musica, un richiamo semplice e caldo di note insistite, era ora accompagnata da una voce solista. Chissà quali parole d’amore e passione per la donna amata o per la sudata terra, o per il difficile mare. Sembrava dovesse cessare nel silenzio, e invece riprendeva forza con note più sostenute e ripetute.

La sera prima, ancora alla luce del lungo tramonto, eravamo seduti proprio ad un tavolino di quella taverna. Sopra di noi, dai rami folti delle tamerici, un concerto di cicale. La stessa ritmata, insistente melodia. Un frinire assordante ora in sordina, ora ancor più vivace. Senza tregua. Uomini cicala, un canto senza tempo ? E come non ricordare allora il mito delle cicale ?

Già, “senza tempo”, entriamo pure nel mito delle cicale. Platone ci racconta nel Fedro come nacquero le cicale. Ascoltiamo. C’erano una volta uomini che vissero prima che nascessero le Muse. Ma quando queste nacquero e comparve il bel canto, quegli stessi uomini furono a tal punto colpiti dal piacere che continuarono a cantare trascurando di bere e mangiare, fino a morirne. Da loro nacque la stirpe delle cicale che ricevettero dalle Muse il doppio dono di cantare senza cibo dalla nascita sino alla morte, e di annunciare loro  quali fossero gli uomini di questo mondo che le onoravano. Tutte le Muse avevano un loro riconoscimento, ma a Calliope “dalla  bella voce” e ad Urania “la celeste” indicavano, tra tutti, quegli uomini che rendevano onore  alla musica e alla ragione. Queste sono le note più belle, queste le Muse che elevano la voce più affascinante. Morale: le cicale indicano coloro che non si fanno prendere solo dal bel canto, dalla musicalità delle parole ma ne ricercano, consapevoli, l’effettivo valore. Attenzione dunque a non farsi attrarre della falsa retorica, da quel canto insistente che abbaglia, ieri come oggi.

Sotto le stelle, tra le tamerici.

Musica e canto d'altri tempi : (copia/incolla il link su youtube o google)

 https://www.youtube.com/watch?v=TYMMxYrvKt8&fbclid=IwAR0yFkFaKy9bdbPXSbSWuNBxMgWV235NA1t80uR-jcommxe3krYRPoc8-VM


Leros, 17 agosto 2020. Un incontro davvero speciale.

2020-11-10

Leros, 17 agosto 2020. Un incontro davvero speciale.

Ha gli occhi azzurri, limpidi, Christine, come il cielo e brillano come questa piccola baia di Panteli. Ci accoglie sorpresa, ospiti improvvisi ed improbabili, ma con serena tranquillità. E’appena rientrata dalla spesa, avvisata per telefono della nostra visita, del tutto inattesa, dalla simpaticissima signora greca che ci aveva aperto e fatti entrare nella fresca penombra di questa casa che così a lungo avevamo cercato.

 Eravamo venuti, ancora una volta, a Leros nel 2004, con la prima crociera egea di Eutikia. E dopo non pochi saliscendi tra viuzze, quasi impraticabili, l’avevamo pure trovata. Avevamo suonato e la signora che ci aprì ci informò, sconsolata, che il signor Goran si trovava in Finlandia, a casa. Purtroppo venni poi a sapere che era rientrato per gravi motivi di salute e infatti poco dopo alzo le vele per l’ultimo bordo in quel Mediterraneo che tanto amava.

Da giovinetto conobbi la Grecia, forse per la prima volta, quella di mare e di vela, leggendo d’un fiato “ Vent’anni di Mediterraneo” che Goran Shildt aveva scritto negli anni ’50. Davvero un altro mondo. Il libro, con nuova edizione, credo sia ancora reperibile .

Le pagine per me più coinvolgenti sono quelle dei primissimi contatti con il mondo greco di allora. Sentiamo dalla sua voce Leros, 17 agosto 2020. Un incontro davvero speciale. l’emozione del primo approdo. “L’ancora sferragliando calò sul fondo, il brontolio del motore si chetò e noi ci trovammo avvolti dal canto assordante delle cicale e dal forte aroma dei cespugli tipici della macchia mediterranea che rivestiva gran parte delle rocce. L’insenatura, sotto i raggi arroventati del sole, sembrava sprizzare scintille. Solo dopo un certo tempo, scoprimmo nella densa ombra proiettata da alcuni nodosi e contorti alberi di fico, un gregge di pecore tutto ammassato e unica figura umana, anch’essa accovacciata e immobile. Mentre mettevamo il tendalino, una piccola imbarcazione sconquassata si staccò dalla spiaggia. Erano due ragazzi pastori, dei quali uno remava e l’altro, vestito di stracci, se ne stava in piedi sulla prua con un flauto tra le mani. Quest’ultimo ci fissò mostrandoci tutti i denti in un sorriso amichevole e sulle acque aleggiò una melodia stridula e delicata, fragile e senza tempo come il frinire delle cicale.”  Era appena arrivato, con il suo ketch Daphne, per la prima volta in Grecia (estate 1950).

Scelse poi Leros come oasi incantata e vi restaurò, ampliandola su più piani, una casetta tutta bianca affacciata a levante. Dal 1965 Goran e Christine hanno sistemato, raccolto, arredato questo piccolo angolo del loro paradiso. Dalle finestre entra la luce della baia e il meltemi se la porta via tra coloratissimi oleandri e bouganville. Christine ci presenta ogni stanza. Ognuna curata nel minimo dettaglio secondo tradizione. Tra tutte lo studio ove Goran raccoglieva i suoi pensieri: una finestra aperta sull’infinito.

Villa Kalkis, così ora si chiama, è diventata il punto di riferimento per attività culturali e sportive: ogni anno persino una regata. Inesauribile animatrice Cristine che , nonostante l’età (82), è sempre pronta ad organizzare, ospitare amici e a far quattro chicchere. Grazie Cristine.  Per chi volesse saperne di più consiglio : https://www.villakolkis.org/en/


Patmos 1 settembre 2020. Vista al Monastero di San Giovanni Teologo.

2020-11-11

Patmos 1 settembre 2020. Vista al Monastero di San Giovanni Teologo.

 “La terrazza offre una vista illimitata sull’isola e su tutto l’Egeo – forse una delle più belle al mondo, così il viaggiatore del Levante Charles Perry 1743 – verso nord vediamo la montagna più alta di Samo, patria di Pitagora; più a occidente incontriamo con lo sguardo le piccole isole di Korasie e Furni. A nord ovest si estende Icaria; a ovest con tempo sereno e limpido si vede la microscopica Donussa e dietro Nasso, e dietro ancora le alte montagne di Paro. A sud ovest, a destra della vetta del profeta Elia, si distinguono le montagne di Amorgos; verso sud vediamo Levita e dietro Astipalea. A sud est Lero, dietro verso sud Coo, la patria di Ippocrate. Verso est, vicino a Patmo, si estende Chiliomodi e dietro, più lontano, Lipsi; più a nord si distinguono le isolette di Arki e sul fondo Agathonissi. L’orizzonte tra Lero e Samo è chiuso dalle coste dell’Asia Minore. Al tramonto si stampa nella mente un indimenticabile ricordo purpureo e l’anima è invasa da un senso di solitudine profondo, da un’immensa serenità” La descrizione non è mia, bensì dell’estensore di una piccola, ma preziosa, guida in italiano del Monastero di Patmos, Dr. S.A. Papadopulos. Noi però abbiamo avuto l’assoluto privilegio di salire, soli, su quella terrazza, nel suo punto più alto ove a nessuno è consentito l’accesso.

Eravamo entrarti nel Monastero di buon mattino. Nessuno. Solo un bel gattone sonnolente faceva la guardia al portale d’accesso. Qualche foto in libertà alle Cappelle della Chiesa Principale e poi, subito, alla ricerca, nel Museo, della Bolla d’Oro con la quale l’imperatore Alessio I aveva riconosciuto, nel 1088, al Beato Cristodulo la fondazione dei Monasteri di Amorgos e Patmos, sicuramente i più spettacolari di tutte le Cicladi. Il custode mi aiuta con gran disponibilità, anche perché siamo soli. Tra le teche trovo pure un volume di Aristotele, stampato in greco a Venezia da Aldo Manuzio. In allora i figli dell’aristocrazia veneziana studiavano in greco, indispensabile per il loro futuro di mercanti.

Gli chiedo se è possibile salire in terrazza poiché vedo tutti gli accessi chiusi. Sono aperte solo piccole terrazze interne. Gli spiego che vorrei dipingere un acquerello. Da sotto la mascherina mi sorride e sgattolaiamo inosservati per angusti recessi sino ad una scaletta e …siamo sul tetto del Monastero. Ci porta due sedie, due bicchieri con bottiglia d’acqua gelata ed un piattino d’uva. Restiamo soli sul tetto delle Cicladi.


Sifnos 2 settembre 2020. L’ultima cittadella micenea

2020-11-12

Quel mattino Pan decise di portare le caprette sul versante più alto, quello a nord,  della scoscesa collina sulla quale era arroccata la cittadella da cui si dominava tutta l’isola. Sicuramente avrebbero trovato ancora qualche arbusto ancor verde dopo un’estate riarsa e spazzata dal meltemi. Trovò un po’ d’ombra sotto le fronde argentee d’un ulivo ed estrasse il flauto dalla sacca. Alle prime note le cicale smisero d’incanto, come sorprese. Poi, trovato l’accordo, ripresero l’assordante, frondoso concerto.

I raggi del sole nascente illuminavano il mare sottostante. Lo sguardo, perso verso le isole che galleggiavano sul brillare marino, non s’avvide subito di alcuni neri puntini che stavano sbucando proprio sotto costa. Non ebbe alcun dubbio. Erano vascelli, molti vascelli. Non certamente dei ben noti vicini approdi e stavano puntando alla baia dalla quale saliva il sentiero sino alle mura della cittadella. Sicuramente un pericolo incombente. Corse, scendendo a balzi per rupi e muretti, ad avvisare la guardia alle porte. In breve tutto il contado si rifugiò dentro le possenti mura e gli aristos corsero ad armarsi infilando schinieri e brandendo corte daghe di bronzo. Non c’erano più dubbi: era il nemico tanto temuto. Era infatti giunta voce che popoli dal nord avevano già invaso la terraferma. Micene, Tirinto, Corinto e Pilo erano cadute. Erano avanzati sin verso i confini del ricco Egitto che aveva reagito ed aveva respinto diversi tentativi d’invasione da parte di quelli che chiamavano i “popoli del mare”.

La sorte della cittadella era dunque segnata e quella cultura, che oggi chiamiamo Micenea, svanì. Tutto ciò accadde intorno al XII sec. a.C. Da allora sino all’VIII sec. a.C. gli storici parlano di secoli bui, di dark age, poiché di essa nulla si sa, o molto poco. Una sorta di Medio Evo. Ci pensò Omero (VIII sec a C.) con l’Illiade a far rivivere quell’epopea micenea di eroi e dei, al confine tra storia e mito.

Ora siamo a Sifnos in visita a queste rovine ed il luogo ha mantenuto tutto il suo fascino. La cittadella micenea è stata risistemata tra le mura che testimoniano antiche ricchezze. Sifnos infatti era ben nota ed invidiata per avere cave d’oro e d’argento. Fu loro tempio, il primo completamente in marmo di Paro, eretto a Delfi.

Come allora il meltemi soffia tra questi ulivi e porta con sé il canto delle cicale, colonna sonora di questo navegar.


Elafonisos 9-10 settembre 2020

2020-11-13

Vino e meltemi.

Un bel giorno Dioniso, una divinità dalla vita piuttosto allegra e inventore, non a caso, del vino, per ringraziare Icario, che lo aveva ospitato nella sua casa, gli donò un tralcio di vite e gli insegnò l’arte del vino. Icario la imparò così bene che i suoi vicini divennero ben presto ebbri a tal punto da temere d’esser stati avvelenati e decisero di ucciderlo. In quell’isola il caldo si fece soffocante e le terre riarsero. Si corse ad interpellare l’oracolo di Apollo che vaticinò la fine di cotanta calura solo con l’uccisione degli assassini di Icario. Detto, fatto. Spirò subito un forte vento da nord che la spazzò via e così, da allora, durante ogni stagione estiva soffiano gli etesi ( dal greco annuale, periodico), in turco meltem, termine usato in tutto l’Egeo.

In realtà questo vento, spesso assai temibile, dipende dalla interferenza tra una Bassa pressione nel centro sud dell’Anatolia e un’Alta a Occidente. Più è sostenuto il gradiente barico tra le due, con le isobare assai ravvicinate, più soffia, sempre da nord, scendendo lungo la dorsale ovest della Bassa (che ruota in senso anti orario). L’annuncio di un meltemi forte è sempre motivo d’apprensione per noi velisti. Così è sempre stato sin dai tempi della guerra di Troia e del periglioso ritorno di Ulisse ad Itaca.

Oggi, con le previsioni a portata del nostro smartphone, è tutto più semplice, anche se non  bisogna mai sottovalutare le condizioni di contorno: il mare alto e corto, il ridosso adeguato da raggiungere per tempo, l’ancoraggio delle barche più prossime, spesso charter in mano a sprovveduti che credono di aver noleggiato un camper, e così via.

Ora siamo ancorati di fronte ad una spiaggia davvero spettacolare, a Elafonisos, nei pressi di Capo Malea. Solo vent’anni fa era pure deserta, ora non mancano ombrelloni e bagnanti, però resta il posto ideale per sostare in attesa che un davvero forte meltemi si attenui.

Ieri notte,dopo aver soffiato il soffiabile tutto il giorno, le stelle hanno illuminato la grande baia silente. Sembrava che il meltemi fosse andato, pure lui, a riposare. Dopo una cenetta al lume di candela, tutti a nanna, increduli per questa inaspettata tranquillità.  A mezzanotte ci svegliamo di soprassalto: dal baretto, assai lontano sulla spiaggia, un frastuono ossessionate aveva invaso la baia e rotto la magia del luogo. Da non credere come l’uomo abbia perduto il senso della sua vita anche nel contesto naturale più autentico.  Decisamente meglio il soffio impetuoso del meltemi ! Ho pensato pure io ad Apollo musagete che deve avermi ascoltato, inviando Calliope dalla bella voce. Il canto del vento ha disciolto la stupidità.


Ormos Petalia. Il giorno dopo… il ciclone Medicane. 19 settembre 2020

2020-11-14

Ormos Petalia. Il giorno dopo il ciclone Medicane. 19 settembre 2020

Dico a Marina di reggersi e di guardare a prua nel buio della notte più buia, appena rischiarata da un’alba pallidissima, ma tanto attesa. Dall’oscurità avanza un muro vaporoso, argenteo, tra turbini di creste sollevate dalla raffica e folate scroscianti di pioggia. S’avvicina a una velocità da fermare il fiato. Per fortuna Eutikia, proprio in quell’istante, ha la prua esattamente filo vento. All’impatto vibra come non mai. Il fragore e il sibilo tra le sartie non riesce a sovrastare l’urlo del vento. Qualche secondo e Eutikia parte di fianco, inesorabilmente. E ’il momento decisivo. Reggerà la linea d’ancoraggio ? La lancetta dell’anemometro è a fondo scala, fissa oltre i 50 nodi. L’imbardata sembra non finire mai. Eutikia regge, sbanda, sembra d’esser in bolina e le creste, basse ma rabbiose, spazzano la coperta sino alla copertura del pozzetto. Visibilità nulla. Solo schiuma, acqua polverizzata e …paura.

La notte era passata carica di tensione. Il buio certo non aiuta ad affrontare situazioni difficili e questa lo era in modo esemplare. Purtroppo dalle ultime analisi delle previsioni meteo stava accadendo proprio la situazione peggiore. Sino al giorno precedente la maggior parte dei modelli dava come probabile il passaggio del nucleo appena più a Sud di Zante o appena sopra. Noi saremmo rimasti ai margini, più a Nord Est, evitando il peggio, con venti sui 35, 40 nodi dal Primo e Secondo Quadrante. A mezzanotte, invece, il barometro segnava 999 mbar. Il centro del ciclone, evidenziato dagli Avvisi Navtex del Servizio Meteo Greco, era di 996 mbar, sopra di noi , dunque.

Sino alle 6 del mattino l’intensità del vento era stata tra i 35 e i 45 nodi, fisso da SE. Piovaschi continui e maretta alta e rabbiosa, nonostante il fetch ridotto. Non vedevamo l’ora che facesse chiaro per meglio affrontare eventuali emergenze. L’allarme GPS era ok.  Eutikia intanto si comportava perfettamente. Vedevo la sua traccia ad arco sul plotter, non arretrava affatto e teneva testa ad ogni raffica. Con i primi chiari la situazione peggiorò gradualmente. Il vento passando a Est rinforzò per intensità e per valore assoluto. Le colline in quella direzione, pur basse e morbide, ne incentivavano la violenza per effetto catabatico.

L’ultimo NAVTEX dava sul Patraikos (Golfo di Patrasso) forza 9-10, la forza di un uragano, del nostro Medicane ( MEDIterranean hurriCANE). Nei Caraibi avrebbero chiamato Ormos Petalia con l’epiteto di Hurricane Hole. Ne ha tutte le caratteristiche. Ma non siamo ai Caraibi, siamo però a sole 10 miglia dall’entrata del Golfo !  Avevamo girato il mondo cercando di evitare con cura situazioni del genere, abbastanza comuni nelle stagioni a rischio, e ora ce lo troviamo sulla testa di fronte alla porta di casa.

Dalle 7 alle 13 la situazione diventa davvero pessima. La luce, tanto attesa, ci offre uno scenario davvero lugubre. Nubi bassissime si addensano sulle colline e sulle sponde lagunari della baia. L’oscurità a Sud resta intensa. La visibilità è molto scarsa. Scrosci continui e raffiche insistenti. L’anemometro staziona tra i 45 e i 50 nodi. Le raffiche non sono più raffiche, ma vento violento e pesante che schiaccia l’anemometro a fondo scala. La linea d’ancoraggio regge e ci conforta. L’elastico, come noi chiamiamo il cavo in nylon puro collegato alla catena con un gancio, fa il suo dovere e si allunga smorzando lo strappo dell’imbardata a fine corsa, il momento peggiore.

Verso le 14 la bestia sembra perdere energia. Barometro in leggera ma costante risalita. Le previsioni indicano una rotazione verso Nord Est e vento in calo. Mi basterebbe un normale 35, 40 nodi. Sigà Sigà, per dirla in greco, Piano Piano lo scenario e la bussola danno qualche cenno di rotazione. Raffica, dopo raffica c’è qualche guadagno verso il Primo Quadrante. Ne stiamo uscendo. Domani è un altro giorno.

…a proposito, il 18 era il giorno del mio compleanno e ho ricevuto tantissimi auguri, graditissimi DUE volte. Ringrazio tutti di cuore.


Itaca, Porto Vathy. Non solo charter. 25 settembre 2020.

2020-11-18

La prima fa capolino in lontananza. Sta entrando dalla bocca della vasta e accogliente baia di Porto Vathy, Itaca. La luce è quella del primissimo pomeriggi. Ecco spuntare la seconda, e poi la terza, la quarta e così via sino al tramonto. Sono le barche charter che, a gruppi, cercano di sistemarsi nei migliori posti in banchina. Più il sole tende a nascondersi dietro le colline e più velocemente s’affrettano per infilarsi negli spazi residui. Alla fine , mal contante, saranno una cinquantina, allineate su diverse banchine a Sud e a Ovest del porto. Alle ultimissime non resta che stare alla fonda. Dovranno andare in taverna con il tender. E già, perché l’obiettivo di tutte e di andare in taverna. Non vi sono altre intenzioni che possano piacevolmente incontrare ciò che offre l’isola né per la sua affascinante configurazione naturale,  né per la sua storia, né per il suo monastero di Kathara con vista mozzafiato, né per gli ombrosi e antichi villaggi dell’interno.

Le barche charter sono facilmente riconoscibili. Hanno tutte una bandiera, più o meno vistosa, che identifica la società di noleggio. Nessuna ha il radar. Quando arrivano sono spesso in gruppo. L’altro giorno sono sceso a terra per aiutare nell’ormeggio una di queste. Parlavano in russo. Erano almeno sette, otto barche…da, da, da e l’olezzo della vodka giungeva sino in banchina. Alla sera tutti in taverna. Hanno occupato oltre la metà dei tavoli. Mancava solo Putin. Ma Nikos si fregava le mani. Il giorno dopo sono arrivati i tedeschi. Decisamente più ordinati e pronti ad aiutarsi l’un  l’altro. Finito l’ormeggio, accaldati e decisamente xxxlarge, doppia birra e grande compiacimento. Ma è arrivata anche una coppia, fuori gruppo ma sempre di Germania, e ha puntato al nostro fianco. Ultimo posto rimasto. Arrivato a 5 metri dalla banchina, urlo della moglie “ Non c’è più catenaaaa! “ Tutto da rifare. Sistemo poi le loro cime, mille ringraziamenti e doppio drink Sandeman Porto per entrambi. Lei bella paonazza , lui ben piantato. Quello era il suo secondo ormeggio! Era particolarmente soddisfatto, ma consapevole di dover molto imparare. Forse tra cinque anni sarà pronto per una barca tutta sua, moglie permettendo. Altra barca tedesca e stessa storia: catena finita! Questa volta però aveva ragione il canuto skipper: per una barca di 49 piedi i 50 metri di catena in dotazione erano decisamente pochi. Dopo i recenti disastri tutti hanno almeno ben capito che è meglio dar catena, molta catena.

 Ieri sono arrivati in flottiglia gli inglesi. Alle Ionie hanno una lunga storia alle spalle. Sono stati i primi ad avviare società di noleggio, soprattutto in flottiglia. E infatti il coordinamento da terra è perfetto. VHF alla mano danno ripetute istruzioni agli improvvisati skippers e dopo un paio d’ore sono tutti in pozzetto a festeggiare con l’immancabile birra. Tranne in una barca. Sono al nostro fianco e a riva hanno quattro enormi bandiere: greca, europea, britannica e scozzese. Non mi è chiaro perché abbiano quella europea visto che hanno preferito la brexit, ma tant’è ! Però mi sorprendono assai. Sono in quattro e dopo qualche assestamento si mettono a leggere. Non ci posso credere, Ciascuno di loro ha trovato un angolino dove sistemarsi in tranquillità e LEGGE un libro ! E c’è pure la tecnologica con un Kindle in mano. Silenzio. Niente smartphone. Sembra d’essere in biblioteca.

Racconto questa breve nota poiché siamo in attesa da giorni che il tappezziere ci restituisca la copertura del nostro pozzetto dopo alcuni lavoretti di risistemazione. Ne approfittiamo per qualche passeggiata, anche per le viuzze più nascoste del villaggio. Scopriamo così, leggendo una lapide presso il Centro Culturale, che vi soggiornò pure George Byron nel 1823, solo un anno prima della sua morte a Missolungi, per febbri misteriose, dove s’era recato per sostenere i primi moti di ribellione contro l’occupante turco. “Se quest’isola mi appartenesse, vi seppellirei tutti i miei libri e non andrei più via” Che i nostri inglesi, vicini di barca, stessero leggendo proprio qualche sua  poesia ?


Preveza, ottobre 2020.“Punto , Linea, Superficie”: un incubo astratto.

2020-11-20

Con queste apparentemente semplici parole Vasilij Kandinskij ha intitolato il saggio che stava alla base della sua filosofia pittorica che, ben presto, prese il nome di astrattismo. La logica compositiva che vi sta dietro è tutt’altro che semplice. Volendo semplificare, qualsiasi figurazione può compiersi generandosi da un punto, che in movimento genera una linea che si sviluppa su una superficie, per esempio una tela. Le cose si complicano un po’ con l’intervento dei colori, ciascuno con una sua propria frequenza emotiva. Il verde, staticità e tranquillità, il rosso calda espansione, l’azzurro fredda contrazione e così via. E per finire, ogni astrazione pittorica potrebbe associarsi ad un suono, come se i tasti di un pianoforte (aveva in mente la musica atonale di Schoenberg) fossero colori.

Ebbene in questi giorni mi sono spesso ritrovato a meditare su quanto, con un certo ossessionante metodo, stavo pure io dipingendo: la coperta di Eutikia. Con un rullino e pennelli di varie misure stavo realizzando un incubo astratto, composto da una linea scura lunga complessivamente circa 400 metri, larga da 3 a 4 mm, e con innumerevoli interruzioni, angolature e curvature. La superficie, la coperta in finto teak della mia barca, o meglio, per l’esattezza, le sottili linee scure del finto caucciù che in sedici anni di maltrattamenti (raggi UV, temperature tropicali e salsedine) s’erano di troppo sbiadite.

Nonostante la mia confidenza con pennelli e colori, l’idea d’ affrontare questa complessa composizione aveva incontrato non poche perplessità. La tela bianca, una qualsiasi superficie, alla prima pennellata lascia sempre molti dubbi. Come sarà il risultato finale ?

Fuor di metafora si è trattato di un lavoraccio che ho iniziato solo dopo aver studiato per bene quanto sperimentato da altri su barche del tutto identiche e con risultati, peraltro, assai difformi.

Poiché immagino che il tutto sia di scarso interesse per molti mi limito all’essenziale: circa 65 ore di lavoro per 10 giorni. Il tutto può esser suddiviso in : ideazione/progettazione, pulitura delle vecchie strisce (carta vetrata sottile e alcool), dipintura con un particolare strumento tira righe della Beugler( la cui rotellina procede, punto per punto, posando il colore per lineette sottilissime e compatte, di fatto un’unica striscia) e con pennelli di varia dimensione, rifinitura con stesura di innumerevoli metri di nastro carta adesiva per pitture, pulitura finale con solvente al nitro delle inevitabili sbavature.

Per giorni sono rimasto inginocchiato in coperta all’attenzione, tra lo stupefatto e il curioso, di decine di velisti e il più bel complimento l’ho ricevuto da una simpatica signora tedesca che ama l’Italia, soprattutto la nostra cucina (…altro che la Grecia, dice lei !),  “..brand-new”…nuovo di zecca !


Nel cuore dell’Ellade: Meteora. 17-18 ottobre 2020.

2020-11-22

Ciò che più colpisce ai piedi della Meteora è l’incontro tra l’unicità spettacolare  dei luoghi e la tensione verso il divino dell’uomo. Ai margini della vasta piana della Tessaglia, quasi a mezza via tra Ionio e alto Egeo, s’alzano imponenti sculture naturali, falesie d’arenaria modellate da acque e venti primordiali, torri slanciate verso il cielo. Il panorama dal basso o dalla loro sommità lascia uno spaesamento prospettico, un senso di vuoto e di vertigine,  di lontananze incolmabili. La natura vi si esprime con stupefacente bellezza, quasi irraggiungibile nei percorsi. Sembrerebbe. Eppure l’uomo desideroso di pace, interiore e contemplativa, ha trovato nella solitudine di queste verticalità l’energia fisica e spirituale per avvicinarsi al divino.

 Sin dalla prima età arcaica e poi durante quella classica, e soprattutto con l’ellenismo, i greci hanno ricercato la fusione perfetta tra il bello e il sacro. Ancor oggi noi diciamo “bellezza apollinea”, non a caso. Le bellezze naturali sono dunque state da sempre lo sfondo di quelle architetture che tuttora ammiriamo. Il tempio di Poseidone a Capo Sounion, per esempio, oppure la distesa marmorea ad Olimpia, o ancora, e qui si tocca davvero l’apice, con i molti teatri ubicati con la natura più spettacolare a far da scenografia, come a Taormina o a Pergamo. Non si può dire che l’uomo d’oggi abbia la stessa attitudine nel rapporto “sacro” con la natura.

Quando il monaco Atanasio, dopo aver a lungo viaggiato, studiato e soggiornato nei monasteri del Monte Athos, vi arrivò, 1334 ca., per sfuggire all’ombra lunga dell’Islam che già minacciava Costantinopoli, trovò in questi luoghi alcuni eremiti che vi si erano rifugiati sin dal X sec. Avevano scalato – è proprio il caso di dirlo - queste ripide pareti per isolarsi all’interno di nicchie sospese sul vuoto. Atanasio ne rimase così colpito che chiamò il suo primo insediamento a 613 metri d’altezza,” Meteora” (ora Sacro Monastero Gran Meteora) ovvero, in greco, “a metà dell’aria”,  vicino al Paradiso dell’anima.

Ben presto seguirono molti altri monaci, attratti dalla nomea del luogo, e i monasteri crebbero di numero arroccati sulle cime più inaccessibili. Unico sistema di salita lunghe scale removibili di corda e legno  o con cesti a rete calati con funi e argani ancor oggi visibili. Ora, peraltro, i sei monasteri visitabili (dei 24 originari) hanno tutti l’accesso, raggiungibile non senza qualche fiatone, alla sommità di erte e panoramiche scalinate  scavate nella roccia.

In queste architetture, in canone bizantino, rinnovate nei secoli e di dimensione contenuta, vi sono raccolti importanti documenti storici e rari volumi antichi. Tra questi appare in bella mostra l’edizione dell’opera omnia di Platone stampata in greco a Venezia da Aldo Manuzio  (trovata altresì nel Monastero di Patmos). Edizioni studiate pure dagli stessi figli della nobiltà veneziana - quando la Serenissima era ancora una città di 190 mila abitanti e non come ora di soli 50 mila mal contati - per meglio intendere il contesto culturale ed economico levantino. Tra questi pinnacoli, in queste biblioteche s’è conservata, durante la secolare occupazione turca,  l’essenza della cultura greco-ortodossa.

Vorrei finire tra lo splendore dei Katholikon, per meglio intenderci delle chiese, cuore di ogni monastero, dalle pareti ricoperte da innumerevoli pitture, sfondi dorati e preziose icone. Immagino questi monaci che per secoli hanno raccontato con il pennello, per immagini facilmente comprensibili, i misteri e la gloria del creato. E’così che tutto iniziò, dalla vista della cupola che sovrasta questi ambienti a croce ove la figura ieratica del Cristo Pantocrator dà il senso e la prima chiave di lettura a tutte le storie dell’ecumene all’intorno raffigurate. La natività, vita e passione, la pietas nella morte, la rinascita, la fede oltre le crude immagini dei molti martiri, i quattro evangelisti, il giudizio universale e così in altri mille racconti per catturare nel ricordo lo sguardo, con l’augurio che il tutto “rappresenti un diletto intellettuale che stimolerà ad esercitare ulteriormente la propria mente” e al devoto sia “fonte di inviti celesti” (da “Meteore” ed. Sacro Monastero di Varlaam 2013, Catecumeno Arc.Isidoros Tsiatas)